delle
nostre società evidenziando il loro
contributo positivo”
(Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration)
(Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration)
1 In
questi giorni sta tenendo banco sui Social
e nei media il tema riguardante l’approvazione
del Global Compact for Safe, Orderly and Regular migration (per brevità, GCSORM),
ovvero l’accordo promosso in sede ONU e che sarebbe finalizzato a dare una
risposta globale al fenomeno della migrazione. Tra le voci che si sovrappongono
a favore e contro detto accordo, sembra soprattutto passare inosservato il
fatto che il GCSORM
non è una misura estemporanea partorita improvvisamente dal nulla, ma
costituisce un documento inserito in una logica e ben congegnata “sequenza procedimentale”
per dare specifica attuazione ad un disegno molto più vasto che l’Ordine
sopranazionale dei M€rcati ha tracciato già da tempo.
2 In
questa sequenza, ed evitando di risalire troppo nel tempo (per esempio, alla International Conference on Population and Development tenutasi nel lontano 1994 al Cairo), bisogna innanzi tutto prendere
le mosse dalla distopica volontà di “trasformare
il nostro mondo” contenuto in quel capolavoro cosmetico chiamato “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”
adottata all’unanimità (quindi anche con il contributo del rappresentante italiano
pro tempore) dall’Assemblea Generale
dell’ONU con Risoluzione del 25 settembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio
2016 e che ha il compito di orientare i successivi sviluppi per i prossimi 15
anni. Come risulta da documenti parlamentari, l’Agenda “ha sostituito i precedenti Obiettivi di
Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che
avevano orientato l’azione internazionale di supporto nel periodo 2000-2015”. La nuova Agenda globale
si propone, in particolare, di raggiungere i seguenti 17 obiettivi pubblicizzati
alla stregua di un nuovo
e meraviglioso paese di Bengodi, obiettivi ai quali sono associati “169 traguardi … che sono interconnessi e
indivisibili” (così al punto 18, pag. 6, dell’Agenda):
2.1 Non è il caso di addentrarsi in un esame dettagliato di detto documento. Si evidenziano tuttavia alcuni principi generali che sono da considerare i pilastri sui quali è stata congegnata la Road Map elitista:
- “L’attività
imprenditoriale privata, gli investimenti e l’innovazione rappresentano i motori principali della produttività, di una
crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo
la varietà del settore privato, che varia dalle micro imprese alle cooperative,
e alle multinazionali. Promuoveremo un settore
imprenditoriale dinamico e ben funzionante, salvaguardando contestualmente i
diritti dei lavoratori e le norme ambientali e sanitarie…” (punto 67, pag. 29, dell’Agenda).
Lo Stato non è contemplato come “motore
della produttività”;
- “Il
commercio internazionale è il motore per una crescita economica inclusiva e per
la riduzione della povertà, ed esso contribuisce
alla promozione dello sviluppo sostenibile. Continueremo a promuovere un sistema multilaterale di commercio che
sia universale, basato sulle regole, aperto, trasparente, prevedibile,
inclusivo, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale
del Commercio, così come una liberalizzazione
significativa del commercio…” (punto 68,
pag. 29, dell’Agenda). Il Mercato sarà sempre più il nostro pastore;
- “… ogni Stato ha la primaria responsabilità della propria
economia e del proprio sviluppo sociale e che il
ruolo delle politiche interne e delle strategie per lo sviluppo non può essere
messo in discussione. Rispetteremo
lo spazio politico di ogni Nazione e la loro leadership per implementare
politiche per la lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, pur rimanendo coerenti con l’importanza
delle leggi e dell’impegno internazionali. Allo stesso tempo, gli sforzi
per lo sviluppo nazionale necessitano del supporto di un contesto economico
internazionale favorevole, attraverso un commercio mondiale coerente e di
sostegno reciproco…” (punto 63, pag. 28, dell’Agenda). Nel caso dell’Italia,
per esempio, verrebbero “rispettate” le politiche deflazionistiche e di
impoverimento derivanti dall’appartenenza all’U€ ed al sistema della moneta
unica;
- “…
Riconosciamo il bisogno di fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo affinché
raggiungano la sostenibilità
a lungo termine del debito, attraverso politiche coordinate,
finalizzate a promuovere, a seconda dei casi, il finanziamento, la remissione, la ristrutturazione e la solida gestione
del debito. Molti paesi restano vulnerabili alle crisi del debito e alcuni
paesi, ivi inclusi alcuni dei paesi meno sviluppati, alcuni piccoli Stati
insulari in via di Sviluppo e alcuni dei paesi sviluppati, sono nel mezzo di
una crisi. Ribadiamo che i debitori e i creditori devono
lavorare congiuntamente al fine di evitare e allo stesso tempo
risolvere le situazioni di debito insostenibile. Mantenere
livelli di debito sostenibile è responsabilità dei paesi mutuatari …”
(punto 69, pag. 29, dell’Agenda). Detto altrimenti, nel farsi
sbranare, l’agnello dovrà cooperare al meglio con il lupo, dal momento che sua
è la responsabilità di essere la parte più debole del rapporto obbligatorio.
3. Quanto
delineato per sommi capi rappresenta a ben vedere il manifesto di un neoliberismo
incrementale, all’interno della cui cornice di “crescita sostenibile”, ovviamente, svolgono un ruolo non
indifferente anche le migrazioni di massa. A queste ultime, si
badi bene, viene infatti riconosciuto a
priori un:
“… contributo positivo [per] una crescita inclusiva e … uno
sviluppo sostenibile. Inoltre, [viene riconosciuto] che la
migrazione internazionale è una realtà … di grandissima rilevanza per lo sviluppo dei paesi d’origine, di transito
e di destinazione, che richiede risposte
coerenti e comprensive. [perciò si lavorerà insieme] … a
livello internazionale per garantire
flussi migratori sicuri, regolari e ordinati, secondo il
pieno rispetto dei diritti umani e il trattamento umano dei migranti, a prescindere dallo status di migrante,
rifugiato o sfollato...” (punto 29, pag. 8 dell’Agenda). Insomma, viene affermato in modo perentorio
e senza possibilità di smentita che le migrazioni sono un bene, una opportunità
di crescita e sviluppo globali.
3.1 E’ da sottolineare, quindi, che sin
dall’Agenda 2030 è sancito in nuce che
la realizzazione degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile debbano essere
realizzati “all’interno di una
struttura di Partnership Globale” (punto 40, pag. 10 dell’Agenda)
nell’ambito della quale non poteva mancare il riconoscimento del ruolo svolto
dal “variegato settore privato…dalle
micro-imprese…[dalle] multinazionali,
[dalle] organizzazioni della società
civile e… filantropiche
[cioè le ONG]” (punto 41, pag. 10 e punto 45, pag. 11 dell’Agenda).
4 Fissata
in generale l’Agenda nel 2015, l’oligarchia capitalistica mondiale si è ovviamente
mobilitata per dare esecuzione, in particolare, all’obiettivo n. 10 (“ridurre
l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni”), preoccupandosi di dettagliare
la disciplina al fine di rendere “… più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la
mobilità delle persone, anche con l’attuazione di POLITICHE MIGRATORIE PIANIFICATE
E BEN GESTITE” (punto 10.7 pag. 21 dell’Agenda).
4.1 Tale disciplina è contenuta nel testo della
fondamentale Risoluzione dell’Assemblea
Generale dell’ONU del 19 settembre 2016 (“Dichiarazione di New York per i rifugiati ed
i migranti”, di cui non è stato possibile reperire il testo in lingua
italiana) anch’essa, ovviamente, adottata con il contributo dell’allora
rappresentante italiano pro tempore. Secondo
quanto previsto al punto 21 della citata Dichiarazione (pag. 5), anche se gli
Stati hanno approvato una serie di “impegni”
che si applicano indistintamente sia ai rifugiati che ai migranti, il GCSORM darà tuttavia specifica
attuazione all’Allegato II con il quale sono state stabilite proprio le “misure per l'adozione nel 2018 di un patto globale per la
migrazione sicura, ordinata e regolare”. L’assunzione di
un corrispondente patto globale per i rifugiati – oggetto dell’Allegato
I – sembra sia stata invece rimandata ad altre sessioni
intergovernative.
Ora, al di là delle pletoriche espressioni sparse a piene mani in tutto
il testo della Dichiarazione in
parola, è necessario passare brevemente in rassegna quelli che sono i principi
più importanti in essa sanciti in materia di “migranti economici”. Tali
principi sono contenuti nell’Introduzione,
nei punti da 41
a 63 (ovviamente in linea con quelli già formalizzati dell’Agenda
2030) e nel citato Allegato II il quale, più specificamente, ha la
funzione di anticipare nel dettaglio il contenuto sostanziale e soprattutto organizzativo
del GCSORM.
4.2 Ci viene innanzi tutto spiegato che gli
uomini si
stanno muovendo anche “per cercare … nuove
opportunità economiche… per fuggire … da povertà [e] insicurezza alimentare” (punto 1,
pag. 1), anche se non viene mai spesa una parola sulle reali cause della
povertà. Tale “movimento” di uomini è ribadito dall’ONU come opportunità per una
crescita inclusiva ed uno sviluppo sostenibile nonché per la distopica realizzazione
di un “mondo migliore”: “…
Quando abbiamo adottato un anno fa il
programma di sviluppo sostenibile nell’orizzonte 2030, abbiamo evidenziato chiaramente
il contributo positivo che i migranti
hanno apportato alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Questo
contributo rende il nostro mondo un posto migliore. I vantaggi e le
opportunità associati alla migrazione regolare, sicura e ordinata sono
considerevoli e generalmente sottovalutati...” (punto 4, pag. 2).
Di conseguenza, “… Il massiccio spostamento di …
migranti deve essere pienamente sostenuto… e protetto in conformità con gli obblighi del diritto
internazionale”, dovendo gli “… obiettivi
di sviluppo sostenibile [essere]
realizzati a beneficio di tutte le nazioni, dei popoli e di tutti i componenti
della società” (punto 11, pag. 3) e potendo i migranti “… contribuire
positivamente e profondamente allo sviluppo economico e sociale delle loro società
di accoglienza e alla creazione
di ricchezza su scala globale” nonché aiutare ad “… affrontare alcune delle
tendenze demografiche, carenza di manodopera e altre sfide che affliggono le società ospitanti e fornire competenze notizie
e rinnovato dinamismo nelle economie di questi paesi” (punto 46,
pag. 10).
4.3 Considerati
tutti questi presunti “benefici” apportati dalle migrazioni economiche di
massa, che “tutti gli esseri umani
nascono liberi e uguali in dignità e diritti [e che] tutti hanno il diritto di essere riconosciuti OVUNQUE come persone di fronte alla legge [a prescindere da
motivi di] fortuna, nascita o qualsiasi altra situazione” (punto 13,
pag. 3), la conclusione non poteva che essere scontata: “… tutti hanno il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso
il proprio, e di ritornare nel proprio paese” perché “la migrazione dovrebbe
essere una scelta” (punto 42, pag. 10). In sostanza, la
Dichiarazione di New York, sotto il paravento generalizzato e ipocrita dei “diritti
umani”, finisce per riconoscere il pieno
diritto dei “migranti economici” a lasciare il proprio Paese e ad essere
accolti da un altro, ricevendo un trattamento praticamente uguale a quello dei
rifugiati.
Gli Stati firmatari, d’altronde, si sono impegnati ad “adottare le misure necessarie per migliorare la loro integrazione, se del
caso, in particolare per quanto riguarda l'accesso
all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla giustizia…ai corsi di lingua”
(punto 39, pag. 9) ed a tutti i servizi sociali, assicurandosi così di
assestare forse la spallata decisiva a quello che è ormai rimasto del loro sistema
di Welfare.
4.4 Anche la Dichiarazione di New York ovviamente ribadisce che, essendo
quello delle migrazioni un fenomeno globale, esso “richiede
approcci e soluzioni globali” (punto 7, pag. 2), e ciò in
quanto nessuno Stato da solo può gestire questi spostamenti. Di conseguenza,
gli Stati si sono espressamente assunti l’impegno di “RAFFORZARE
LE STRUTTURE DI GOVERNANCE delle
migrazioni a livello globale” (punto 49, pag. 11), confermando chiaramente
il ruolo di primo piano che in tale governance
(a tutti i livelli) dovranno avere - anche per “colmare le lacune nel
finanziamento degli aiuti umanitari” (punto 38, pag. 9) - la
Banca Mondiale, “le organizzazioni della
società civile, comprese le
organizzazioni religiose, il settore
privato, le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e altre parti
interessate [e]… LE
ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE” (punto 39, pag. 9 e
punto 61, pag. 13).
4.5. Per
non farsi mancare proprio niente, e sul presupposto indimostrato che “la diversità arricchisce ogni società e
contribuisce alla coesione sociale”, gli Stati hanno tra l’altro dichiarato
di condannare “fermamente le
manifestazioni e gli atti di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia nei
confronti di rifugiati e migranti”, aggiungendo però alla condanna anche “l'intolleranza associata, nonché l'uso frequente di stereotipi”
(punto 14, pag. 3), cui segue l’impegno a combatterle. Non sia mai che ai cittadini
dei Paesi di accoglienza possa saltare in mente di esternare in qualche modo il
proprio legittimo e giustificato disagio.
5. Volendo
riassumere quanto detto sin qui, si può dire che, pianificata compiutamente nel
2015 un’Agenda con l’indicazione di 17 macro-obiettivi che la “Comunità
Internazionale” ha dichiarato di voler raggiungere nei prossimi quindici anni, l’ONU
sin da subito si è spesa con solerzia per la loro concreta definizione e, concentrandosi - come
detto - sull’obiettivo n. 10, ha fatto il modo che fossero sottoscritti
dagli Stati i principi e gli impegni di cui alla Dichiarazione di New York
del 19 settembre 2016. Da quest’ultima data è poi seguito “per fasi” un pervicace percorso
di negoziati che dovrebbe concludersi in Marocco con il meeting intergovernativo del 11 ed il 12 dicembre 2018 per l’adozione
del “Global Compact for safe, orderly and regular migration” il quale costituisce, dunque,
solo l’ultimo atto (anche se non definitivo) della citata sequenza ad “imbuto”.
6. Deve
essere subito chiarito che il GCSORM – in conformità alle indicazioni programmatiche inserite
nell’Allegato
II della Dichiarazione di New York (v. pagg. 24-27) – rappresenta
un deciso “salto di qualità” sia rispetto a quest’ultima che rispetto all’Agenda
2030, non tanto per la coerentizzazione e ulteriore specificazione di tutti i
principi contenuti in materia migratoria nei due documenti sopra commentati
(per esempio, viene dichiarato che “La
migrazione ha fatto parte dell'esperienza umana nel corso della storia, e
riconosciamo che è una fonte di prosperità, innovazione e sviluppo sostenibile
nel nostro mondo globalizzato”, punto 8,
pag. 2), quanto perché contiene vere e proprie norme organizzative
e procedurali-operative funzionali alla realizzazione di
specifiche soluzioni normative all’interno dei singoli Paesi membri (v.infra).
6.1 In primo luogo, il GCSORM
[nel quale si legge che è riaffermata la dichiarazione di New York e che lo
stesso “è radicato nell'agenda 2030”
(pagg. 1 e 2] specifica
come al solito di voler offrire “una
visione a 360 gradi della migrazione internazionale”
e ribadisce che è improntato ad “un APPROCCIO GLOBALE
per ottimizzare i benefici generali della migrazione” (punto 11,
pag. 3). Ciò, in termini organizzativi, si traduce coerentemente in un
impegno degli Stati “a proseguire il dialogo
multilaterale presso le Nazioni Unite attraverso un meccanismo periodico ed
efficace di continuazione e di revisione” al fine di assicurare che “le
parole [del GCSORM] si traducano in
azioni concrete a beneficio di milioni di persone in ogni regione del mondo”
(punto 14, pagg. 3 e 4).
6.2 A
tal fine, l’organismo di cooperazione multilaterale diretto a facilitare “un dialogo ad alto livello sulla migrazione”
è stato individuato nell’International Migration Review Forum, il quale fungerà
da “… principale piattaforma globale
per gli Stati membri per discutere e condividere i progressi compiuti
nell'attuazione di tutti gli aspetti del Global Compact…con la partecipazione
di tutte le parti interessate”. Il Forum
si riunirà ogni 4 anni a decorrere dal 2022 per discutere l’attuazione del Global Compact a livello locale,
nazionale, regionale e globale, nonché per consentire l'interazione con le “altre parti interessate” al fine
di individuare opportunità di ulteriore cooperazione (punti 48 e 49,
pagg. 33-34).
6.3 L’International Migration Review Forum si
avvarrà del Forum globale su migrazione e sviluppo, il quale avrà il compito di “fornire uno spazio per lo scambio
informale annuale sull'attuazione del patto globale e riferire i
risultati, le migliori pratiche e gli approcci innovativi”, mentre gli
Stati membri sono incoraggiati a sviluppare “non appena possibile, risposte nazionali ambiziose per l'attuazione del
patto globale e a condurre revisioni periodiche e inclusive dei progressi a
livello nazionale, ad esempio attraverso l'elaborazione e l'uso volontario di un
piano nazionale di attuazione” (punti 51 e 53, pag. 34).
In breve, pare evidente che il GCSORM formalizzi la creazione dell’ennesima
ORGANIZZAZIONE SOVRANAZIONALE e
mondialista in grado di dettare – sotto forma di immancabile Soft Law - vere e proprie direttive in
materia di migrazione in tutto simili a quelle provenienti dall’U€.
6.4 In secondo luogo, e facendo propri i
principi già contenuti nell’Agenda 2030 nonché nella Dichiarazione di New York
[in particolare, se quest’ultima ha sancito il diritto di emigrazione economica,
si dovrà “consentire ai migranti di diventare membri a pieno
titolo delle nostre società” punto 13,
pag. 3], sulla
scorta del principio del Whole-of-society approach (pag. 5), è dichiarato che
il Global Compact possa promuovere “… ampi partenariati
multi-stakeholder per affrontare la migrazione in tutte le sue dimensioni
includendo migranti… comunità locali, la
società civile, il mondo accademico, il settore privato, i parlamentari, i sindacati, Istituzioni
nazionali per i diritti umani, i
media e altre parti interessate nella governance delle migrazioni”,
ovvero gli stessi soggetti che, insieme alle “organizzazioni basate sulla fede”, dovranno cooperare
all’attuazione del Global Compact (v.
punto 15, pag. 5, e punto 44, pag. 33). A sostenere gli sforzi degli Stati membri
ed a rafforzare le capacità delle Nazioni Unite nell’attuazione del Global Compact saranno ammesse in modo
continuativo anche “le fondazioni filantropiche”
(punto 43, pag. 32) alle quali (insieme agli altri soggetti) è permesso perciò
di fornire contributi finanziari attraverso l’avvio, anche nell’immediato, di un
fondo start up.
A ben vedere, pertanto, in quest’approccio olistico di attuazione del Global Compact, qualunque organizzazione o soggetto abbia un interesse (di
qualsiasi natura) da far valere nell’ambito
delle politiche migratorie a livello globale, potrà senz’altro aspirare a
questi “partenariati” (si pensi, per esempio, alle imprese
multinazionali, alle Banche internazionali ed alle ONG ad esse direttamente o
indirettamente collegate, o addirittura alle istituzioni religiose. Oppure,
ancora, si pensi ai colossi delle telecomunicazioni che poi, paradossalmente, dovrebbero
fornirci anche una narrazione imparziale sull’argomento!).
Non c'è la prefigurazione di alcuna gerarchia di interessi, di alcuna distinzione, ricognitiva della sostanziale differenza di legittimazione, tra istituzioni democratiche (statali), rappresentative di interessi generali, e enti privati esponenziali dei più diversi interessi di settore, promossi da finanziatori altrettanto privati e spesso celati dietro le quinte di sigle altisonanti; interessi eticamente accattivanti nelle enunciazioni formali ma sostanzialmente opachi nelle loro finalità ultime. Finalità inevitabilmente riguardanti l'assetto del mercato del lavoro globalizzato e equalizzato verso il basso, della tutela e dei salari, per il tramite dell'evidente effetto dell'immigrazione come super-principio insediativo che riplasma le singole realtà statali, rese periferiche e subordinate dalla centralizzazione mondiale della governance.
Non c'è la prefigurazione di alcuna gerarchia di interessi, di alcuna distinzione, ricognitiva della sostanziale differenza di legittimazione, tra istituzioni democratiche (statali), rappresentative di interessi generali, e enti privati esponenziali dei più diversi interessi di settore, promossi da finanziatori altrettanto privati e spesso celati dietro le quinte di sigle altisonanti; interessi eticamente accattivanti nelle enunciazioni formali ma sostanzialmente opachi nelle loro finalità ultime. Finalità inevitabilmente riguardanti l'assetto del mercato del lavoro globalizzato e equalizzato verso il basso, della tutela e dei salari, per il tramite dell'evidente effetto dell'immigrazione come super-principio insediativo che riplasma le singole realtà statali, rese periferiche e subordinate dalla centralizzazione mondiale della governance.
6.5 Quanto
al ruolo (obiettivamente subordinato, in questo quadro istituzionale globalizzato e de-legittimante) degli Stati nell’attuazione delle migrazioni (economiche) di massa, esso
è condensato in ben 23 obiettivi che costituiscono la parte più
corposa e defatigante del Global Compact.
Veramente nulla è lasciato al caso. Ogni obiettivo contiene un impegno seguito
da una serie dettagliata di azioni considerate strumenti strategici rilevanti e
buone prassi per ottenere una migrazione sicura ed ordinata e sull’attuazione o
meno dei quali verranno giudicati gli Stati firmatari. Non è possibile in
questa sede analizzare nello specifico tutti gli obiettivi e gli impegni
concreti assunti dagli Stati per realizzarli.
Si segnala, per esempio, che
nell’ambito dell’obiettivo n. 15 (“fornire
accesso ai servizi di base per i migranti”) è addirittura prevista come
azione statale l’impegno ad “istituire o incaricare istituzioni
indipendenti a livello nazionale o locale…, per ricevere, indagare e monitorare le denunce relative a situazioni
in cui l'accesso ai servizi di base dei migranti è sistematicamente negato o
ostacolato”, istituzioni indipendenti che dovrebbero addirittura agevolare
l’ottenimento del risarcimento del danno da parte del migrante in casi di
disservizi, lavorando per un cambiamento della cattiva prassi (punto 31,
lett. d), pagg. 22-23).
6.6 Ed
ancora a titolo esemplificativo, si evidenzia come nell’ambito dell’obiettivo
n. 17 (“eliminare tutte le forme di
discriminazione e promuovere il discorso pubblico basato sulle prove per dare
forma alle percezioni della migrazione”) sia previsto che gli Stati si
impegnino a “Promuovere la
comunicazione indipendente, obiettiva e di qualità dei media, comprese le informazioni basate su Internet,
anche sensibilizzando ed educando i
professionisti dei media su questioni e terminologia relative alla migrazione,
investendo in standard etici e pubblicità” (punto 33, lett. c, pag. 24). Non è dato
intendere, però, come possa essere promossa una “comunicazione indipendente” ed
imparziale se, come detto sopra, agli stessi media è consentito di essere partners
nell’attuazione del Global Compact.
Tant’è.
7. Non
è qui il caso di dilungarsi nel ribadire quale sia “l’effetto immancabile e programmatico dell'immissione
di forza lavoro proveniente da altri Stati, che risulti sistematica, costante e praticamente
illimitata nella durata” né quale sia la chiara paternità
delle radici ideologiche sottese al paradigma neoliberista che “conduce al
lavoro-merce globalizzato”, ai quali i documenti sopra richiamati danno
un palese sigillo. Si tratta piuttosto di capire brevemente quali potrebbero
essere gli effetti di riverbero sul nostro Ordinamento nel caso di eventuale
adozione del GCSORM da parte
dell’Italia. Ciò, peraltro, in considerazione di quanto affermato in modo rassicurante
dal Ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero Milanesi, nella risposta ad un’interrogazione
a risposta immediata presentata dall’On. Giorgia Meloni, ovvero che “il Global Compact … non sarà un atto giuridicamente
vincolante”.
8 Ora, gli atti dell'Assemblea generale dell’ONU
sono nella maggioranza dei casi denominati “risoluzioni”
che, sotto il profilo dell'efficacia giuridica, sono privi di forza vincolante in
quanto invitano, ma non obbligano – è vero - gli Stati a
uniformarsi al loro contenuto. E’ la Carta stessa, d’altronde, ad attribuire alle
risoluzioni dell'Assemblea generale il valore di raccomandazioni (cfr. artt 10-14).
Tuttavia, già alle risoluzioni in generale deve riconoscersi un’efficacia giuridica, seppur limitata, “… consistente nel cosiddetto effetto di liceità… [che] opera … nel senso di creare una presunzione di legittimità nell'ambito del diritto delle Nazioni Unite, del comportamento adottato dagli Stati in conformità alla raccomandazione dell'Assemblea generale…” [S. MARCHISIO, Digesto discip. pubbl., 1999, voce, ONU, 520].
Tuttavia, già alle risoluzioni in generale deve riconoscersi un’efficacia giuridica, seppur limitata, “… consistente nel cosiddetto effetto di liceità… [che] opera … nel senso di creare una presunzione di legittimità nell'ambito del diritto delle Nazioni Unite, del comportamento adottato dagli Stati in conformità alla raccomandazione dell'Assemblea generale…” [S. MARCHISIO, Digesto discip. pubbl., 1999, voce, ONU, 520].
9 Alcune
risoluzioni dell'Assemblea generale dell’ONU, tuttavia, si presentano “…contenenti in annesso “DICHIARAZIONI DI PRINCIPI”,
atti di particolare solennità inquadrati nella categoria della soft law … molto spesso il loro
contenuto si colloca in una prospettiva de lege ferenda, vale a dire di
modifica del diritto internazionale vigente, consuetudinario o pattizio. È il
caso, tra gli altri, della Dichiarazione sul Nuovo ordine economico
internazionale (NOEI), annessa alla risoluzione 3201 (S-VI) dell'1-5-1974, in
parte ribadita dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, annessa
alla risoluzione 3281 (XXIX) del 12-12-1974… le
dichiarazioni… possono tradursi nel contenuto di norme
convenzionali o assumere valore
dichiarativo rispetto a norme internazionali preesistenti, consuetudinarie e
pattizie, o, infine, presentarsi come autorevoli manifestazioni
della prassi degli Stati ai fini della formazione di norme del diritto internazionale
non scritto…” [S. MARCHISIO, cit., 521].
10. Orbene,
detto ciò, non può escludersi che già l’Agenda 2030 e soprattutto la Dichiarazione di New York esplichino
per gli Stati un’efficacia vincolante. Verificato, infatti, che le relative
risoluzioni non riguardano l'attività delle Nazioni Unite come organizzazione
(per esempio, l’elezione del Segretario Generale), è indubbio che in esse la
questione affrontata (quella dei migranti) “is
a matter of existing, or nascent, or potential customary law” e che,
quindi, le volontà dei singoli Stati devono considerarsi estremamente rilevanti
e tali da poter contribuire alla creazione o allo sviluppo del diritto [P. FOIS,
Le
organizzazioni internazionali e la formazione del diritto internazionale contemporaneo. Il ruolo degli
stati membri, in Rivista
di Diritto Internazionale, Milano, 2014, 650].
10.1 Si
consideri, in proposito, che con l’Agenda 2030 l’Assemblea
Generale ha ottenuto il consenso su principi generali, ma gli stessi sono inseriti
e collegati ad un quadro consuetudinario già fortemente consolidato e condiviso:
“…. La nuova Agenda è stata creata seguendo obiettivi e principi della Carta delle Nazioni
Unite, compreso il totale
rispetto del diritto internazionale. È fondata sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sui trattati internazionali sui diritti umani, la Dichiarazione del Millennio e i risultati del Vertice
Mondiale del 2005…11. Ribadiamo i risultati delle principali conferenze delle Nazioni
Unite e i risultati che hanno portato alla creazione di solide fondamenta per
lo sviluppo sostenibile e hanno contribuito a
dare forma alla nuova Agenda. Fra queste ricordiamo la Dichiarazione di Rio
sull’Ambiente e lo Sviluppo5, il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile,
il Vertice Mondiale per lo Sviluppo Sociale, il Programma d’Azione della Conferenza
Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo6, la Piattaforma di Azione di
Pechino7 e la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile.
Ribadiamo il seguito di queste conferenze, compresi i risultati della Quarta
Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi Meno Sviluppati” (così i punti 10 e 11
dell’Agenda, pagg. 4 e 5).
10.2 Lo
stesso, ed a maggior ragione, può dirsi per l’adozione solenne della Dichiarazione di New York, la quale può essere annoverata
proprio nell’ambito delle “Dichiarazioni
di principio”. Invero, in essa pare essere cristallizzata in versione più
dettagliata quella opinio
iuris ac necessitatis nell'àmbito della Comunità internazionale e che l'Assemblea “sente” come
matura per una disciplina di diritto internazionale [si veda in tal senso B. CONFORTI, Enciclopedia del diritto, Milano, XXXI, 1981, voce “Organizzazione Nazioni Unite”, 273 secondo
cui “… le dichiarazioni di princìpi
costituiscono una delle manifestazioni più autorevoli dell'opinio iuris ac necessitatis nell'àmbito
della comunità internazionale…”]:
“… Ribadiamo
gli scopi e i
principi della Carta delle Nazioni Unite. Riaffermiamo inoltre la Dichiarazione universale dei diritti
umani e richiamiamo i principali strumenti internazionali relativi a tali
diritti. Riaffermiamo
e continueremo a proteggere pienamente i diritti fondamentali di tutti i
rifugiati e migranti, indipendentemente
dal loro status; tutti hanno diritti. La nostra azione dimostrerà
il nostro pieno rispetto per il diritto internazionale e la legge internazionale
sui diritti umani e, se del caso, per la legge internazionale sui rifugiati e
il diritto internazionale umanitario...” (così al punto 5
della Dichiarazione, pag. 2).
10.3 Non
dovrebbe perciò disconoscersi che già gli atti dell’Assemblea Generale dell’ONU
sopra citati nella sostanza possano atteggiarsi - nella
loro specifica singolarità – a
vere e proprie fonti di diritto consuetudinario internazionale, ovvero “norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute” alle quali “l’ordinamento
giuridico italiano” afferma di conformarsi secondo quanto previsto dall’art. 10,
comma I, Cost. (c.d. adattamento
automatico):
“… con questa formula … si è voluto porre una “norma sulla produzione”, cioè determinare il procedimento sufficiente a introdurre automaticamente la regola di diritto interno che manca (o a sostituire quella esistente, ma in contrasto con l’altra derivabile dal diritto internazionale) in virtù di deduzione della medesima, per opera dell’interprete, dai principi del diritto internazionale. In questo modo, mentre si conferma la posizione di autonomia dei due ordinamenti, si pone il meccanismo affinché quello statale si uniformi all’altro, imponendo alle autorità gli opportuni comportamenti e concedendo ai cittadini di poterne richiedere l’adeguamento alla norma internazionale.
Si
dà vita, in altri termini, ad una specie di “ordine di esecuzione in bianco”,
valido cioè per tutte le norme presenti ed avvenire, che rende quindi non
necessario l’intervento del legislatore diretto ad imporre l’esecutività interna.
L’eventuale mancato funzionamento di
tale congegno di adattamento dà
vita ad un illecito internazionale e quindi all’assunzione della correlativa
responsabilità dello stato…” [C. MORTATI,
Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, II, 1344-1345].
10.4 “…
A nostro avviso, siffatti princìpi [contenuti nelle relative
Risoluzioni/Dichiarazioni] non sono altro
che delle norme consuetudinarie sui generis, a formare le quali
concorrono, da un lato, la loro uniforme previsione ed applicazione nell'àmbito
degli ordinamenti statali e, dall'altro, la circostanza che i valori che esse perseguono siano sentiti
come internazionalmente obbligatori, corrispondano cioè a valori di cui la comunità
internazionale si faccia inequivocabilmente assertrice…” [B. CONFORTI,
cit.]. Ed al riguardo, bisogna
considerare che tali norme, alle quali l’Italia si conforma in modo automatico,
sono fonti “paracostituzionali”, cioè hanno una efficacia gerarchica superiore
alle leggi ordinarie che alle prime devono quindi cedere. Di conseguenza, rilevata
un’ipotetica antinomia tra una norma di diritto internazionale consuetudinaria ed
una norma ordinaria interna, quest’ultima dovrebbe essere dichiarata incostituzionale
per violazione dell’art. 10, comma I, Cost.
.
11. Con
riferimento specifico al GCSORM,
poi, per gli Stati membri il quadro giuridico diventerebbe di certo ancora più rigoroso.
Ed infatti, il Global Compact non si
limita semplicemente a fissare “principi”,
ma introduce per i firmatari impegni che istituiscono
veri e propri standards di
regolazione nazionale (con correlativo obbligo di adeguamento, a
tutti i livelli, delle relative strutture giuridico-amministrative), standards che spaziano in modo totale dal
campo della legislazione sulle condizioni di entrata alle condizioni di
informazione e valutazione dell'immigrazione nel Paese di arrivo, dagli obblighi
di salvataggio (obiettivo n. 8) all’obbligo di adozione di norme tese alla
inclusione ed integrazione di ogni singolo migrante economico (obiettivo
n. 16) la cui sfera giuridica, in definitiva, risulta
ampliata mediante la previsione di dettagliate “posizioni pretensive” nei confronti dello Stato di accoglienza.
11.1 Bisogna altresì
considerare che le
conseguenti norme di recepimento (o di mancato recepimento) del Global Compact - potenzialmente
censurabili all'interno degli Stati con clausole costituzionali come il citato art.10
Cost. o, all’esterno, tramite il Rule of Law
della Corte internazionale di giustizia - sarebbero altresì sindacabili
dalle nuove organizzazioni sovranazionali di Governance globale collegate all’ONU mediante ulteriori
raccomandazioni/censure di sostanziale infrazione.
E se si tiene presente, in particolare, che la miriade di soggetti sopra
elencati, in quanto partners (finanziatori)
e parti direttamente interessate al fenomeno migratorio, avranno certamente diritto
a partecipare all’International
Migration Review Forum, al Forum
globale su migrazione e sviluppo e ad altri simili consessi, ne discende che
SOGGETTI PRIVATI (si pensi per tutti proprio
alle ONG di sorosiana memoria) avranno il potere di influire sulle decisioni e/o sanzioni da imporre agli Stati membri, sottraendo
loro ulteriore sovranità in una materia di così vitale impatto
per la vita di
milioni di cittadini. Insomma, ancora una volta “siamo di fronte, oggi più che mai, a quello che Lordon
chiama diritto internazionale provatizzato”.
11.2 Siamo cioè
in presenza di quel fenomeno purtroppo ormai usuale e patologico per cui “… i soggetti privati, facendosi legislatori, possono provare a parlare
non solo in nome di interessi provati, ma anche attraverso il linguaggio degli “argomenti” e dei “diritti…”, con “procedure di governance che
[li] vedono partecipare attivamente a
decisioni pubbliche, sia all’interno degli Stati, sia in ambito internazionale”,
dando così vita ad “assetti giuridici
creati del tutto privatamente” [M.R. FERRARESE, Enciclopedia del diritto, Milano, Annali, IV, 2011, voce “Globalizzazione giuridica”, 560-562].
12. E’
certo, in conclusione, che la mancata adozione del GCSORM costituirebbe veramente un
segnale forte di discontinuità (anche se del tutto in controtendenza rispetto alla
prassi purtroppo seguita sino ad oggi dall’Italia nella materia de quo), soprattutto se si considerano i
devastanti effetti che l’attuazione di tale Global
Compact è in grado di riverberare sul nostro Ordine costituzionale.
In un Ordinamento a
Costituzione “rigida” come il nostro, ed in cui anche le “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” in ogni
caso non possono mai travalicare i principi fondamentalissimi
(fungendo questi ultimi da “limite all’ingresso” delle prime),
gli effetti dell’eventuale (ed insipiente) adozione anche del GCSORM potrebbero essere facilmente sterilizzati
da una Corte Costituzionale che operasse a doverosa tutela della democrazia
sostanziale per mezzo del paramentro di cui all’art. 10 e, si ritiene - nel
caso specifico - anche di quello fissato all’art. 11 Cost..
Tuttavia, l’antica incomprensione del fenomeno globale in salsa €uropeista
da parte della nostra Corte Costituzionale non lascerebbe ben sperare.
Pertanto: se fino ad oggi i
rappresentanti istituzionali dell’Italia hanno “errato” nell’adottare quanto di
meglio le oligarchie internazionali hanno saputo apparecchiare nel loro
interesse ed a danno della sovranità dei Popoli, al di là degli effetti che già
dispiegano l’Agenda 2030 e la Dichiarazione di New York, l’adozione del GCSORM non si rivelerebbe forse come
un diabolico perseverare?
Sarebbe un diabolico perseverare senza dubbio... ma faccio una considerazione politica.. se c’è un partito di maggioranza che ha già espresso piena contrarietà e che ha fatto in modo che il Governo non si recasse a Marrakech, la scelta di “passare la palla” al Parlamento è stato un modo raffinato per dire che il Global Compact non verrà firmato rimanendo ancora ufficialmente sul “ni”. A meno che non si considerino possibili due cose: che il parlamento sia effettivamente indipendente dalle decisioni dei leader politici che si trovano al governo, e così non è, e forse mai lo è stato; che il m5s consideri così fondamentale dire di sì a tale trattato da rischiare di mettere in crisi la continuazione del governo stesso... perché non credo proprio che su un tema così importante, che vincolerebbe l’Italia in modo così stringente, possa esserci disaccordo tra le forze della maggioranza senza compromettere la continuazione dell’alleanza e quindi del governo. Salvini non potrebbe prenderne atto in silenzio e andare avanti.. Credo che la volontà di proseguire per realizzare il “contratto” da parte delle due forze di maggioranza dovrebbe prevalere su tutto il resto.. considerando anche le conseguenze di una eventuale crisi e caduta del governo.. e finora la linea seguita quando c’è stato disaccordo su un tema è stata quella di “non fare”. Direi quindi che al massimo potremo assistere a qualche “migrazione” parlamentare, per restare in tema, di alcuni dissidenti del m5s che già hanno espresso di essere favorevoli al GC a cui non andrà giù il definitivo No dell'Italia.
RispondiEliminaNell’immediato il problema è quello della deportazione in massa di essere umani secondo l’analisi della legge capitalistica della popolazione fatta da Marx. Che i nostri organi istituzionali ne siano TUTTI più o meno consapevoli.
EliminaSi tratta, tuttavia, di un tassello del mosaico, il viatico per innumerevoli altri Global Compact per una regolazione dettagliata, privata e totalitaria di ogni aspetto della vita di milioni di persone.
Le oligarchie ultranazionali ci hanno sbattuto in faccia in modo chiaro il loro progetto di distruzione, dal momento che i 17 “obiettivi” dell’Agenda sono orwellianamente altrettanti “comandamenti” che ESSI tenteranno di realizzare bypassando, nelle decisioni, rigorosamente gli Stati nazionali i quali avranno semmai una mera funzione autorizzativa/esecutiva. Sempre in nome del politicamente corretto “diritti umani” (i loro).
Si può solo immaginare cosa diavolo ESSI potranno inventarsi nell’attuare il 4° obiettivo “istruzione di qualità”, il 3° “salute e benessere, il 5° “uguaglianza di genere” o il 13° “agire per il clima” e così via. Non si tratta solo di privatizzazione, ma di controllo generalizzato di ogni dimensione della vita umana secondo i desiderata di un manipolo di sociopatici. Non abbiamo quindi a che fare con la fumosa e generica “globalizzazione”, ma abbiamo di fronte un piano giuridico d’attacco elaborato sin nei minimi dettagli.
E’ ovvio che, al di là delle alchimie politiche delle forze di maggioranza attuali, se non si va in Marocco è tutto di guadagnato (e potrebbe anche non bastare, viste le scellerate scelte del pregresso piddume). E’ tuttavia del quadro generale e concreto di cui sopra che la nostra classe politica deve dimostrare di avere consapevolezza in modo da poterlo apertamente denunciare.
In caso contrario, sarà sempre uno stillicidio di discussioni estemporanee e divisive ad ogni Global Compact prossimo venturo. Ed i cittadini, Popolo sovrano, di quel quadro dovrebbero essere rigorosamente informati. Ma da chi?
Voi sicuramente già lo sapevate..
RispondiEliminaA me però fa effetto scoprire che Von Mises è stato consulente di Kalergi nel cercare di ideare una valuta unica.
<<..ah! ma allora non era tutta una bufala!...>>
Già, a quanto pare no, moneta unica e immigrazione non vanno assieme a caso
L'ONU è l'erede della 'Società delle Nazioni' che, nei 26 anni che vanno dal 1920 al 1946, fallì miseramente la sua missione (mantenere la pace).
RispondiEliminaL'ONU esiste dall'Ottobre 1945 e per giudicare circa la sua efficacia nei 73 anni abbondanti di storia propongo una applicazione diretta del metodo forense. Nel metodo forense si prende ciò che un soggetto dichiara e si controlla semplicemente se la dichiarazione stessa contiene contraddizioni. Per esempio se dico "questa frase contiene mille parole" vi è una evidente contraddizione, perchè risulta invece costituita da sole cinque parole.
Andando sul sito istituzionale ( http://www.un.org/en/sections/what-we-do/ ) si legge che l'ONU:
1) Mantiene la pace e la sicurezza;
2) Protegge i diritti umani;
3) Fornisce aiuti umanitari;
4) Promuove lo sviluppo sostenibile;
5) Mantiene/Conferma/Supporta (uphold) il diritto internazionale.
Ora se esiste un solo lettore che non nota le evidenti contraddizioni tra quello che l'ONU dice di fare nei primi quattro punti e quello che ha fatto effettivamente in 73 anni (!) mi arrendo.
Ma siccome credo sia lapalissiano che esistono contraddizioni tra ciò che l'ONU dice di fare nei primi quattro punti e ciò che fa nella pratica (con un minimo di efficienza intendo) vuol dire che o fa un'altra cosa (e quell'altra cosa non viene specificata apertamente) oppure fa solo l'ultimo punto, il 5).
Come mostra chiaramente il post fare il punto 5 coincide per l'ONU con il fare in modo che "…soggetti privati, facendosi legislatori, possano provare a parlare non solo in nome di interessi provati, ma anche attraverso il linguaggio degli “argomenti” e dei “diritti”".
Sono dell'opinione che la permanenza dell'Italia nell'ONU, dal punto di vista della attuazione della Costituzione, porti più svantaggi che vantaggi e che quindi andrebbe seriamente riconsiderata.
Caro Luca,
EliminaEvidenzi delle contraddizioni palesi. Le tue considerazioni mi ricordano il discorso che Lelio Basso tenne all’Istituto Stensen nel 1978 in occasione del 30° anniversario della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” dove spiegò la differenza tra questa e la Dichiarazione d’Algeri del 1976 di cui lui stesso si fece promotore:
“La ragione per cui siamo qui riuniti è la celebrazione del 30° anniversario della Carta della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite; vorrei soffermarmi un momento su questo documento, per metterne in rilievo soprattutto i limiti e poi passare al diritto dei popoli, come è stato formulato in una dichiarazione di 30 articoli nella Conferenza internazionale di Algeri nel l976….
Chiedo scusa ai giuristi se farò un apprezzamento del diritto forse non da tutti condiviso; io sono marxista e considero il diritto una sovrastruttura sociale che tende a riflettere e fondamentalmente a garantire, a mantenere e condizioni esistenti. Tuttavia, siccome è la espressione di una società contraddittoria, anche il diritto è contraddittorio…
lo Stato, le leggi dello Stato, in questo caso anche la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamano una serie di diritti che in realtà non esistono, non sono applicativi. In questo senso credo che il diritto assolva veramente alla funzione ideologica in senso negativo, cioè mistificatrice, quella di far credere alla massa dei cittadini, che gode di una infinità di diritti di cui in realtà non gode Quando nell’aula di giustizia è scritto “La legge è uguale per tutti”, il povero cittadino è ingannato, perché in realtà basta aprire un giornale ogni giorno per vedere che nella pratica la legge è disuguale, non è affatto uguale per tutti; questo si può applicare in generale a qualsiasi diritto, anche a quelli enunciati nella nostra Carta Costituzionale…
Tutti questi diritti in realtà sulla Carta ci sono, ma non è che siano proprio rispettati; quindi in questo senso il diritto ha una funzione mistificatrice. Però al tempo stesso, affermando questi diritti, mette in moto un processo nella coscienza dell’uomo; così ad un certo momento egli si accorge che ogni giorno è frodato dei diritti che gli sono riconosciuti. Ora questo suscita uno sviluppo di coscienza democratico, una richiesta di vedere applicati questi diritti e quindi da arma delle classi dominanti per ingannare il popolo, diventa viceversa un’arma nelle mani del popolo che vuole vedere realizzati questi diritti che gli sono proclamati e garantiti.
Questa contraddizione la possiamo vedere anche nell’evoluzione nell’applicazione di questi diritti dal ‘48 ad oggi. Non è a caso che nel movimento attuale siamo entrati in una fase in cui i diritti dell’uomo sono calpestati come non mai in tutti i paesi del mondo o quasi in tutti i paesi del mondo. Nessuno li rispetta interamente…Dall’800 in poi gli stati occidentali europei sono sorti con delle costituzioni prevalentemente ispirate a principi liberali, alla difesa dei diritti dei cittadini contro eventuali aggressioni dello Stato, senza fornire ai cittadini delle vere e proprie armi di difesa; in fondo una corrente dottrinale molto importante considerava che la libertà del cittadino non è altro che un’autolimitazione che lo Stato si impone, perché lo Stato è detentore della sovranità e potrebbe fare quello che vuole…In che modo i cittadini, i popoli, hanno tentato di difendersi contro questo pericolo? Passando da una fase democratica, cioè cercando di diventare essi stessi, attraverso lo sviluppo delle forme democratiche, i detentori del potere. (segue)
In una società democratica i detentori del potere dovrebbero essere i cittadini; la nostra Costituzione addirittura comincia con l’affermare che la “sovranità appartiene al popolo che la esercita”, quindi se è il popolo che esercita la sovranità, si deve presumere che la eserciti in modo da rispettare i diritti del popolo. Viceversa, in uno Stato che non sia ancora democratico, questa possibilità non c’è. Così si è verificata una evoluzione nell’interno dei paesi, dei singoli Stati; da un regime liberale, dove c’era il monarca costituzionale e c’era il popolo un po’ con la qualifica di suddito e un po’ con i diritti di cittadino, si è arrivati a delle società almeno fondamentalmente democratiche, in cui i detentori del potere sono i cittadini sovrani.
EliminaEBBENE LA STESSA EVOLUZIONE PENSO CHE CI DEBBA ESSERE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE, se si vuole sul serio arrivare a veder rispettati in diritto internazionale questi principi. Cioè ad un certo momento bisogna rendersi conto che il potere costituito di uno stato, quello ufficialmente riconosciuto dal diritto internazionale e dall’onu, NON RAPPRESENTA AFFATTO LA VOLONTÀ DEI SUOI CITTADINI; io credo che la maggior parte degli Stati oggi non riflettono la volontà del loro popolo. Ma di fronte al diritto internazionale, di fronte all’ONU, si presume una funzione giuridica cioè che lo Stato rappresenti il suo popolo. Questa finzione giuridica è un po’ una ipocrisia e se l’ipocrisia è considerata un omaggio che il vizio rende la virtù, anche la finzione giuridica è un omaggio che la prepotenza del potere rende viceversa alla giustizia dei cittadini.
Il punto per me fondamentale nell’evoluzione del diritto internazionale è quello di riuscire a superare questa situazione che GLI STATI OGGI NON RAPPRESENTANO I CITTADINI, CHE I POPOLI NON SONO VERAMENTE PRESENTI ALL’ONU. In realtà lo Stato è una costruzione giuridica, mentre la vera realtà sociale sono gli uomini, cioè sono i popoli, si tratta di ridare a questi popoli il peso anche giuridico che effettivamente hanno. Il protagonista della storia è il popolo, non è lo Stato, che è una creazione degli uomini e quindi questi popoli devono aver la possibilità di parlare, di far valere i loro diritti, anche contro lo Stato di cui fanno parte che formalmente, ufficialmente li rappresenta. Questo è il senso un po’ del tentativo che abbiamo fatto di introdurre questo diritto dei popoli nel campo del diritto internazionale…
Dopo una serie di riunioni a Ginevra e altrove, ci trovammo ad Algeri scegliendo come data per la proclamazione di questa dichiarazione universale dei diritti dei popoli, il 4 luglio del 1976…Richiamo la vostra attenzione solo su un punto o due di questa carta. Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo si ispirano soprattutto a principi individualistici; nei patti successivi troviamo dei concetti più vasti, però l’uomo è sempre in fondo considerato come essere individuale, mentre non è solo individuale. Io sono marxista e credo molto a quello che Marx ha insegnato; l’uomo è soprattutto un essere sociale, cioè la società non è la somma di tanti individui, ma l’uomo stesso è essere sociale, non può non esserlo, non può ridursi solo al suo essere individuale…La vita comunitaria fa parte della vita dell’uomo. L’uomo è contemporaneamente essere individuale, perché ha una sua individualità, ma anche essere sociale, perché non potrebbe vivere come individuo chiuso, non sarebbe un uomo se fosse un individuo che non ha rapporti con altri. (segue)
L’importanza di questo momento comunitario, associativo ci è parso fondamentale e nella quarta sezione della nostra dichiarazione abbiamo espresso il diritto alla cultura, asserendo che: “ogni popolo ha il diritto di parlare la sua lingua, di preservare e sviluppare la sua cultura, contribuendo così all’arricchimento della cultura dell’umanità” . Questa affermazione è molto più importante di quanto forse passa apparire a una prima lettura. La vita sociale dell’uomo si svolge all’interno di una cultura, cioè perché gli uomini comunichino tra di loro ci deve essere un linguaggio comune; ma la parola linguaggio non designa soltanto la lingua, ma anche tutte le forme espressive, cioè una tradizione culturale in cui ci si inserisce, una medesima religione, probabilmente le medesime reazioni di fronte ai medesimi fatti, ecc. Vita culturale, è il nostro modo di vivere, il nostro modo di esprimerci, sono i valori in cui crediamo, sono i nostri modelli di vita…
EliminaQuindi, quando noi parliamo dei diritti dei popoli e diciamo che essi costituiscono un notevole passo in avanti intendiamo anche questo: l’uomo per essere inteso nella sua totalità, deve essere considerato sempre nel suo popolo, in quanto fa parte di un popolo. Non si può parlare in astratto dell’uomo come se gli uomini fossero tutti uguali, con una stessa cultura e così con gli stessi diritti. CIASCUNO INVECE HA IL DIRITTO DI VIVERE IN UNA SUA CULTURA, IN UN SUO MONDO. Noi difendiamo le culture come sono e non neghiamo l’utilità e l’influenza degli scambi culturali, anzi vogliamo gli scambi culturali; però pensiamo che lo scambio culturale dovrebbe arricchire le due parti…” [L. BASSO, Diritti dell’uomo e diritti dei popoli, in “Il futuro dell’uomo”, gennaio-marzo 1979, 3-16].
All’ONU non sono presenti i Popoli; coloro che hanno firmato o firmeranno il Global Compact o qualsiasi altra diavoleria non sono i Popoli, che non hanno la benché minima coscienza di quello che sta loro succedendo. E questo accade quando la sovranità democratica è in mano all’Antisovrano.
Basso oggi sarebbe considerato un pericoloso xenofobo
Il presidente Trump ha decretato che l'accordo «semplicemente non è compatibile con la sovranità».
RispondiEliminaOT
RispondiEliminaMentre le autorita' coccolano i figli degli immigrati irregolari i figli degli italiani in famiglie normali sono trattati come pacchi postali :
http://www.larena.it/territori/citt%C3%A0/a-3-anni-tolto-a-chi-l-ha-cresciuto-cos%C3%AC-si-abitua-all-adozione-1.6982950
Questo bambino (il cui vero nome non e' Marco) giocava con mia figlia ed era un bimbo sano , bello , normale , e molto sveglio che aveva una famiglia normale ancorche' non quella genetica .
Adesso devo spiegare a mia figlia di 5 anni perche' se lo sono portato via e non e' piu' nella scuola materna .
Qui trattate gli argomenti a livello molto elevato ed astratto , ma quello che si vive sul campo e' che tutta la pubblica Amministrazione ha valori e si muove in logiche diverse dal sentire della gente .
Ritengo che l'utilita' sociale di molti apparati della P.A. (cioe' dello stato) abbia bisogno di una ridefinizione dei valori in quanto tali apparati sono divenuti simili alla nobilta' francese nel 1788 a Parigi .
L'attuale assetto della P.A. non puo' piu' portare al cittadino la voce della costituzione senza metterla in pericolo.