giovedì 16 giugno 2016

COLONIZZAZIONE MEDIATICA "SENZA FRONTIERE": I "PUNTI DI USURA" TRA LOI TRAVAIL E BREXIT


http://www.confartigianatovicenza.it/images/categorie/estero/mercati-senza-frontiere-header.jpg

http://www.ilgiornaledellarte.com/immagini/IMG20131219192255538_900_700.jpeg

1. L'ermeneutica, cioè la teoria generale delle regole interpretative, che abbiamo già incontrato parlando di Gadamer e della pre-comprensione dei banchieri centrali, è il principale sviluppo cognitivo della fenomenologia (nelle sue correlazioni con l'intenzionalità del "conoscere").
La disponibilità di adeguati strumenti ermeneutici ci consente di arrivare alla sospensione del giudizio, neutralizzando così (per quanto possibile) un complesso di condizionamenti esogeni che ci "vincolano" (si tratta di una forma psicologica di "vincolo esterno"), a anticipare il significato di ogni fenomeno che ci si presenta nel flusso del tempo; cioè, inducendoci appunto a esprimere giudizi precostituibili in base a un pensiero "eteronomo" (cioè obbligato inconsciamente da fattori esterni alla nostra capacità intuitiva, e logico-critica, di diretta comprensione della realtà).

2. Vorrei perciò fare un sunto di alcuni strumenti interpretativi che abbiamo focalizzato nel corso degli ultimi mesi, in quanto resi rilevanti dallo svolgersi degli eventi recenti più attuali.
Il primo riguarda il concetto ufficiale di "libertà" di stampa e le relative classifiche: introduco l'argomento per primo in quanto è logicamente preliminare a quelli che andremo poi a collegarvi.
Ho parlato di "ufficialità" perché, appunto, - invece della induzione a condividere un processo ermeneutico, mostrandone passaggi logici e presupposti verificabili e, possibilmente, obiettivi, la "verità"- la libertà di stampa viene accreditata, ovviamente attraverso un accurato riverbero mediatico, con la mera suggestione di un simbolo, il cui contenuto (una graduazione che determina una certa gerarchia di "valore", nel caso relativa a "libertà" e "informazione") diviene noto solo a posteriori, come prodotto finale: appunto la "classifica". 
L'accreditamento della classifica, dunque, agisce attraverso la "certificazione", dello stesso sistema mediatico e delle "istituzioni", relativa al mero prodotto finale e non al processo che conduce ad esso. L'autenticazione di quest'ultimo è in fondo il vero obiettivo implicito (il "messaggio") dell'attestazione totemico-simbolica della "classifica": un prodotto finale inconstestabile include, in automatico, l'accettazione della indubitabilità del processo, dei suoi criteri e dei suoi contenuti valutativi. 

3. Il metodo, secondo modalità già esaminate, è dunque quello di proporre un simbolo e di consolidarne per implicito l'intero procedimento e i presupposti valoriali e contenutistici che conducono alla sua "ostensione":
"Come abbiamo visto, questo fenomeno è "agganciato alle grottesche classifiche sulla "libertà di stampa", stilate dalle consuete organizzazioni non governative, no-profit e "senza frontiere", cioè dichiaratamente internazionaliste, anzi eloquentemente premiate per questo dall'UE. Si tratta, manco a dirlo, di organizzazioni no-profit (e dunque finanziate da "privati benefattori", qualificati come imparziali e disinteressati al risultato), e sempre alla ricerca di un modello one-fits-for-all, la cui diffusione porta alla sempre inevitabile conclusione: "sentiti in colpa e vergognati", ma per ragioni, di "disfunzione" dei meccanismi dell'informazione, che non sono esattamente (tutte) quelle che razionalmente si potrebbero individuare."

4. Qualche specificazione ulteriore può risultare utile
"Reporter senza frontiere", al di là di ogni altra legittima considerazione per contestualizzarne gli scopi e l'attendibilità, ha un sistema di valutazione che abbraccia alcuni eclatanti aspetti della (mancanza di) libertà di stampa, ma sceglie di trascurarne completamente altri, e, in realtà i più insidiosi.  
Persino Wikipedia se ne accorge; naturalmente, non il Parlamento europeo, che premia la ONG perché si dedica alla "difesa dei diritti umani e delle libertà individuali".
E come li difende questi diritti "umani" e queste "libertà INDIVIDUALI"? 
Appunto Wiki (linkato), ce lo racconta: "riporta il numero di giornalisti, loro collaboratori, cyberdissidenti uccisi o imprigionati nell'anno corrente, con il dettaglio per Paese (leggi: Stato) e con la lista completa dei nomi". Uccisi e imprigionati; ma da chi? Da parte degli Stati-canaglia e, in ogni modo, "illiberali". 
E fin qui non ci sarebbe nulla di sbagliato.

5. Ma la cosa si rivela piuttosto ossessiva, in quanto ogni anno viene pubblicato, tra l'altro, "l'elenco dei paesi (cioè, Stati) che limitano l'accesso on-line e minacciano i cittadini della rete". 
"Il rapporto contiene anche "l'elenco dei paesi (leggi: Stati) che sono stati posti “sotto sorveglianza” dalla Organizzazione per aver manifestato atteggiamenti minacciosi nei confronti di Internet", nonché "l'elenco dei funzionari statali, esponenti religiosi, milizie e organizzazioni criminali che attaccano direttamente i giornalisti e per i quali la libera stampa è un nemico privilegiato" (si deve supporre religioni, "di Stato"...illiberale, milizie e organizzazioni criminali che risultino tollerate, o complici, degli Stati...illiberali).
Insomma, persino Wiki ci avverte:
"Uno degli obiettivi dichiarati da RSF è l'invio di lettere di protesta alle autorità per invitarle a fare pressione su governi che non rispettano il diritto a informare e ad essere informati". Reporter senza frontiere sostiene anche che "la libertà di espressione e di informazione sarà sempre la libertà più importante al mondo. [...] La libertà di informazione è il fondamento di ogni democrazia".
Queste dichiarazioni, insieme ai numerosi riferimenti politici presenti nel sito, rivelerebbero la presenza di una finalità politica da parte di RSF coerente con la definizione di propaganda. Esempi della propaganda svolta da RSF sul proprio sito includono l'uso di espressioni retoriche (autorità che limitano la "libertà di parola" sono definite "nemici" e "predatori") e di termini derogatori o offensivi, come la sigla "ex-URSS" usata per definire i paesi post-sovietici. Questo si unisce anche a un uso piuttosto disinvolto di fotografie esplicite o disturbanti. Tra gli altri esempi, una sezione intitolata "Predatori della libertà di informazione", che consiste in una galleria di foto di vari capi di stato con pose o espressioni autoritarie o aggressive, ha ulteriormente messo in dubbio l'imparzialità politica di RSF.
Reporter senza frontiere è attualmente monitorato da SourceWatch, una pubblicazione del Centro per i Media e la Democrazia (CMD)".

6. Siamo di fronte, dunque, a una ONG che, (auto)legittimatasi su un piano SOVRAnazionale, assume una posizione superiore agli Stati per (s)valutarli secondo un parametro "universale", quindi mondialista, che si è prima auto-prescelto (gli Stati sono violenti e oppressivi e limitano la libertà di stampa, evindentemente, per nascondere la propria corruzione e i privilegi illegali delle gerarchie statali al potere). 
Il monitoraggio su una tale neo-autorità, liberale naturalmente, mondialista, come vedete, è affidato a un'altra ONG mondialista: il "Center for Media and Democracy" che pure ha un ben più sostanzioso e arduo obiettivo, sul piano della trasparenza dei media "a liberal organization that tracks the use of public relations by corporations and politicians...CMD describes itself as a "non-profit investigative reporting group" with a "focus on exposing corporate spin and government propaganda".

Comunque sia, dalla "classifica"-totem del cattivismo degli Stati-corrotti, mal visto dalla ONG "senza frontiere", esula ogni finalità di analizzare problemi di "libertà" di stampa derivanti dal condizionamento dei poteri economici e del conflitto di interessi che si può instaurare tra il contenuto dell'informazione, il ruolo e la posizione dei giornalisti, e la "convenienza" politico-economica dei controllori finanziari e gestionali delle imprese del settore. 

7. Questo specifico profilo avevamo affrontato in varie occasioni e così riassunto:
"In questo altro post, sempre Sofia, parlando del fenomeno di controllo mediatico monopolistico-oligopolistico- ma, nella sfera dei valori condivisi in apice, UN CARTELLO- ci aveva radiografato lo stato delle cose dell'informazione di ogni tipo, compresa quella prevalente sul web:
"Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione".
Alla lunga, questo perverso meccanismo, produce anemia intellettuale, passività e pigrizia inconscia.
La maggioranza dei cittadini finisce per perdere così quella capacità di analisi critica nel leggere le notizie e, quindi, farsi un’opinione personale dei fatti e degli eventi di cui viene a conoscenza.
Lo scopo del sistema al potere è quello di impedire l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive e, al loro posto, offrire un complesso sistema informativo apparentemente pluralista ma sostanzialmente monolitico. L’informazione per il consumo di massa dirige tutto il sistema e le fonti di notizie “ufficiali” sono vitali all’interno di questo processo informativo globale.
In questo contesto, la stessa libertà di informazione è in serio pericolo anche perché i media a larga a diffusione appartengono a pochi grandi gruppi di imprese, che tentano di mantenere ed estendere il controllo su gran parte delle fonti ufficiali di informazione.
La posizione politico-economica di questi stessi gruppi dipende, a sua volta, sempre più, da contenuti prestabiliti e notizie preconfezionate (conflitto di interesse).
Si crea così un rapporto simbiotico tra chi diffonde le notizie e chi le fornisce. Gli oligarchi al potere ricercano a tutti i costi il consenso e lo fanno anche attraverso l’eliminazione delle voci libere e il consolidamento della proprietà dell’informazione nelle mani di pochi gruppi dominanti.

Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.
Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.
Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali
In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.
I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali
." 


8. In sostanza, l'atteggiamento ermeneutico verso la fenomenologia dell'informazione, nel suo aspetto di proiezione e di inevitabile strumento dei poteri economici, dovrebbe, razionalmente, essere consapevole che non si può basare ogni giudizio solo sul pericolo costituito dagli Stati e dai suoi funzionari (corrotti): il fatturato e la valenza economica dell'informazione propagandistica delle dittature è sicuramente ben poca cosa in confronto con la potenza di condizionamento di chi dispone di risorse finanziarie e mezzi tecnologici nel mondo oligarchico governato dai "mercati"
E mentre l'informazione e la repressione brutale dei regimi dittatoriali, o autoritari (dal cui novero, curiosamente, vengono esclusi quelli governati dai "liberi mercati"), viene vista con totale diffidenza e intimo disprezzo dai cittadini che le subiscono (vanificandone gran parte dell'efficacia in termini di condizionamento non dettato dalla paura fisica), l'efficacia di predeterminazione dell'opinione di massa da parte del sistema "libero-mercatista" - ma strutturalmente oligopolista e portato ad una "sorprendente" omogeneità (globalista) circa il "consenso" da produrre-, è altissima e impregiudicata: cioè, quantomeno, non oggetto di altrettante attenzioni dotate di "ufficialità" da parte delle istituzioni sovranazionali di presunto "controllo" (no-profit...).

9. Chiarito questo primo approccio ermeneutico, possiamo rammentare un secondo meccanismo, strettamente connesso: quello che abbiamo definito "paradosso €uropeo" ma che può essere esteso a tutto il mondo governato dall'ordine internazionale dei mercati. 
Sintetizziamo in estremo questo paradosso che ci dà la misura di come funzioni il potere "di colonizzare le menti di moltitudini di persone che risiedono nei luoghi più disparati del pianeta":
- il sistema si fonda sulla cooperazione identificativa degli oppressi con gli oppressori...L'induzione da parte degli oppressori della proiezione identificativa, sfrutta proprio le variazioni di condizione dei soggetti oppressi; il tempo che occorre al compimento del processo viene utilizzato, dagli oppressori, per attribuire la colpa del peggioramento allo Stato
- E qui veniamo a come le premesse vengano (abilmente) rese accettabili. Si tratta in definitiva di nascondere, e censurare sistematicamente la più importante fra esse: il sistema, infatti, presuppone che gli oppressi che cooperano siano, in partenza, in condizioni di benessere relativo alla propria sfera economica e sociale. Altrimenti, l'identificazione di cui al precedente "punto" non può (non avrebbe potuto) verificarsi. Ma tale condizione di benessere socio-economico è dovuta alla precedente azione dello Stato democratico;
ergo, il sistema può funzionare proprio e soltanto sul presupposto che il benessere diffuso sia stato in precedenza raggiunto grazie all'azione dello Stato (democratico e keynesiano): tutto ciò ha il fine (dissimulato) di distruggere lo Stato costituzionale democratico medesimo, in quanto strumentalmente colpevolizzato (fine enunciato e accettabile) della sopravvenuta impossibilità di far concidere le proprie qualità e i propri interessi con quelli degli oppressori appartenenti all'oligarchia.

10. Dunque, siamo di fronte a due fenomenologie, - la classifica della libertà di stampa e il paradosso delle cooperazione degli oppressi al disegno oligarchico dei "mercati"-, accomunati dalla condivisione della negativizzazione del ruolo degli Stati e, in definitiva, della sovranità democratica, proprio in quanto fatta coincidere, mediante opportune strategie mediatiche, con quella di qualunque Stato nazionale, anche, e specialmente, "dittatoriale" e oppressivo.
Ma a questo punto, possiamo notare come esistano dei "punti di usura" di questo efficientissimo sistema di potere, esercitato dal mondialismo dei mercati mediante la predeterminazione dell'opinione di massa, giunta a livelli perfettamente analoghi a quelli previsti da Orwell.
Soccorre su questo punto un recente commento di quelli di Bazaar. Quello che di esso ci interessa di più, al riguardo, non è tanto lo "sviamento" del ruolo degli intellettuali "di sinistra" e, quindi, la vexata quaestio dell'attualità di una distinzione destra-sinistra, se osserviamo la questione all'interno degli ordinamenti statuali a economia aperta, liberoscambista, privatizzatrice e che chiama "libertà economica" il ripristino, globalizzato, del mercato del lavoro-merce: di questo abbiamo recentemente parlato proponendo la conclusione che la "destra" è propriamente identificabile proprio in chi propugni quell'insieme "ideologico", ben prima che scientifico, di politiche che, con costanza nelle varie epoche, vogliono instaurare quegli elementi strutturali di tipo economico
  
11. Quello che interessa, nel commento di Bazaar (a sua volta linkato a un'analisi di marxisti ortodossi francesi), è nell'ottica dei "punti di usura" del sistema di controllo mediatico-oligarchico:
«Bernard-Henri Lévy, André Glucksman, Alain Krivine, Bernard Kouchner, Daniel Bensaïd, Henri Weber, Pierre Lambert. Tiennoch Grumbach, Marc Kravetz e molti altri divennero i sostenitori più fanatici del capitalismo e dell’imperialismo degli Stati Uniti. 
Con De Gaulle scomparso, l’embargo sulle armi ad Israele, imposto nel 1967, venne prontamente sollevato dal presidente Pompidou e nel 1973 fu approvata la legge Rothschild che privava lo Stato francese del diritto di stampare moneta. Il risultato fu il crollo dello standard di vita e l’esplosione del debito nazionale, con 1400 miliardi di euro solo sugli interessi da pagare, soprattutto, a banchieri privati stranieri.
L’ibridismo della rivolta del 1968 è una lezione attuale
Mentre i lavoratori francesi intraprendono azioni concrete, occupando raffinerie di petrolio, centrali nucleari e fermando i mezzi pubblici, il regime di Hollande affronta la prospettiva di una rivolta popolare incontrollabile. Non sorprende quindi che gli oligarchi responsabili della primavera araba assolutamente reazionaria e controrivoluzionaria promuovano ‘nuit debout’. L’élite dominante ha capito da tempo come manipolare la piccola borghesia, che Lenin descrisse come classe oscillante, utilizzata nel mondo dal capitalismo finanziario come un ariete contro ciò che resta dello stato sociale. 
Gli intellettuali di sinistra di ‘Nuit debout’ cercano di controllare il movimento dei lavoratori. A ciò si deve resistere con pugno di ferro! 
Alcun slogan è più specioso di ‘repubbliche sociali’ e ‘un altro mondo è possibile!’ E’ tempo per i lavoratori francesi di controllare le aziende pubbliche e private. 
Il movimento operaio deve capire la connessione tra fasulla guerra al terrore, guerre infinite e oppressione di classe. Gli attentati terroristici che richiedono più militarizzazione e sospensione delle libertà civili saranno utilizzati dallo Stato per schiacciare la solidarietà di classe dei lavoratori, incitando al razzismo e alla xenofobia. 
L’emigrazione coercitiva ingegnerizzata, con cui gli oligarchi come George Soros finanziano la sostituzione dei lavoratori europei con i migranti, sarà usata anche per schiacciare l’unità della classe operaia. Pertanto, la prima tappa dell’emancipazione sociale richiede l’affermazione della sovranità nazionale, la fine degli slogan dell’ultra-sinistra infantile su ‘senza confini’, che ha sempre significato ‘capitalismo senza frontiere’. Se questo movimento è guidato dai lavoratori, allora la rivoluzione nazionale può diventare socialista, diffondendosi in Europa e nel mondo.» 

11.1. E il cerchio della validazione mediatica del nuovo ordine mondiale dei mercati e del paradosso della cooperazione degli oppressi con gli oppressori si chiude. Ci voleva un'analisi marxista della struttura (fenomenologica e decontestualizzata dalla precomprensione orwelliana del pensiero indotto da ESSI)
A volerlo capire.
Diffidiamo quindi di qualunque sigla che si definisca "senza frontiere": è sempre in gioco una minaccia alla democrazia possibile degli Stati costituzionali sovrani.
La qual cosa, abbiamo visto, compone anche (p.1), in parte, la spinta alla Brexit. Speriamo si rafforzi:


31 commenti:

  1. “L’élite dominante ha capito da tempo come manipolare la piccola borghesia, che Lenin descrisse come classe oscillante, utilizzata nel mondo dal capitalismo finanziario come un ariete contro ciò che resta dello stato sociale”.

    In occasione della rivolta dei contadini di Andria del 2-3 dicembre 1919, con la lucidità che lo ha sempre contraddistinto, Antonio Gramsci faceva innanzi tutto notare come quella lotta “… non fu tra proletari e capitalisti (questa lotta si svolge ORGANICAMENTE, come lotta per i salari e per gli orari e come lavorìo tenace e paziente per la creazione di un apparecchio di governo della produzione e delle masse di uomini che sostituisca l'attuale apparecchio di Stato borghese); fu tra proletari e piccoli e medi borghesi. La lotta è stata, in ultima analisi, per la difesa dello Stato liberale democratico dalle strettoie in cui lo tiene prigioniero UNA PARTE DELLA CLASSE BORGHESE, la peggiore, la più vile, la più inutile, la più parassitaria: LA PICCOLA E MEDIA BORGHESIA, LA BORGHESIA "INTELLETTUALE" … la borghesia dei funzionari pubblici padre-figlio, dei bottegai, dei piccoli proprietari industriali e agricoli, commercianti in città usurai nelle campagne. … Ma questa lotta, indirettamente sia pure, era connessa all'altra lotta, alla superiore lotta di classi tra proletari e capitalisti: LA PICCOLA E MEDIA BORGHESIA È INFATTI LA BARRIERA DI UMANITÀ CORROTTA, DISSOLUTA, PUTRESCENTE CON CUI IL CAPITALISMO DIFENDE IL SUO POTERE ECONOMICO E POLITICO, UMANITÀ SERVILE, ABIETTA, UMANITÀ DI SICARI E DI LACCHÉ, divenuta oggi la "SERVA PADRONA"… espellerla dal campo sociale, come si espelle una volata di locuste da un campo semidistrutto, col ferro e col fuoco, significa alleggerire l'apparato nazionale di produzione e di scambio da una plumbea bardatura che lo soffoca e gli impedisce di funzionare, significa purificare l'ambiente sociale e trovarsi contro l'avversario specifico: la classe dei capitalisti proprietari dei mezzi di produzione e di scambio. La guerra ha messo in valore la piccola e media borghesia”.

    E ancora: “Nella guerra e per la guerra, l'apparecchio capitalistico di governo economico e di governo politico si è militarizzato: la fabbrica è diventata una caserma, la città è diventata una caserma, la nazione è diventata una caserma. Tutte le attività di interesse generale sono state nazionalizzate, burocratizzate, militarizzate. Per attuare questa mostruosa costruzione lo Stato e le minori associazioni capitalistiche fecero la mobilitazione in massa della piccola e media borghesia. Senza che avessero una preparazione culturale e spirituale, decine e decine di migliaia di individui furono fatti affluire dal fondo dei villaggi e delle borgate meridionali, dai retrobottega degli esercizi paterni, dai banchi invano scaldati delle scuole medie e superiori, DALLE REDAZIONI DEI GIORNALI DI RICATTO, dalle rigatterie dei sobborghi cittadini, da tutti i ghetti dove marcisce e si decompone la poltroneria, la vigliaccheria, la boria dei frantumi e dei detriti sociali depositati da secoli di servilismo e di dominio degli stranieri e dei preti sulla nazione italiana; e fu loro dato uno stipendio da indispensabili e insostituibili, E FU LORO AFFIDATO IL GOVERNO DELLE MASSE DI UOMINI, NELLE FABBRICHE, NELLE CITTÀ, NELLE CASERME, NELLE TRINCEE DEL FRONTE” (A. GRAMSCI, Sugli avvenimenti del 2-3 dicembre 1919, L'Ordine Nuovo, 6-13 dicembre 1919, il testo integrale anche su https://www.marxists.org/italiano/gramsci/19/piccolaborghesia.htm). (segue)

    RispondiElimina
  2. Quella borghesia allora nemica più o meno visibile e combattuta come epifenomeno, mandataria del capitale, oggi (a causa delle sciagure del ’68 e del’‘89) è perfettamente mimetica, sotto copertura, infiltrata (oltre che nelle istituzioni) anche nei sindacati flaccidi, elemosinanti e nel movimento operaio (in Francia come in Italia). Il monito contenuto nel post è perciò quantomai fondamentale: che stiano attenti i nostri fratelli e lavoratori francesi a chi hanno a fianco in quella “guerra di posizione” o “d’assedio” per la conquista dell’egemonia e mirino soprattutto al bersaglio grosso.
    Consapevoli anche gli italiani che “l’invocata comprensione”, affinché diventi quel “movimento storico” di popolo finalizzato alla riappropriazione effettiva della sovranità costituzionale, avrà dei gradi di sviluppo: “Il primo e più elementare è quello economico corporativo: un commerciante sente di dovere essere solidale con un altro commerciante, ma il commerciante non si sente ancora solidale col fabbricante; è cioè sentita l’unità omogenea e il dovere di organnizzarla…ma non ancora del gruppo sociale più vasto. Un secondo momento è quello in cui si raggiunge la coscienza della solidarietà di interessi fra tutti i membri del gruppo sociale, ma ancora nel campo meramente economico. Già in questo momento si pone la quistione dello Stato…Un terzo momento è quello in cui si raggiunge la coscienza che i propri interessi corporativi, nel loro sviluppo attuale e avvenire, superano la cerchia corporativa, di gruppo meramente economico, e possono e debbono divenire interessi di altri gruppi subordinati. Questa è la fase più schiettamente politica, che segna il netto passaggio dalla struttura alla sfera delle superstrutture complesse” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, Gerratana, 1975, Quaderno 13, par. 17]. Si spera avvenga nel minor tempo possibile

    RispondiElimina
  3. La gestione della disinformazione per l'affermazione della spoliazione legale[modifica | modifica wikitesto]
    I meccanismi di spoliazione legale vengono attuati in un lungo periodo di tempo o in tempi rapidissimi.

    Nel caso di meccanismi di lungo periodo, le élite tendono, oltre che ad organizzare la normativa di spoliazione, anche a gestire la disinformazione per permettere la sopravvivenza del sistema.

    In questo caso vanno distinte le diverse posizioni che occupano le élite all'interno del meccanismo di spoliazione legale:

    i soggetti che occupano posizioni ufficiali che si occupano di ostacolare la trasparenza delle istituzioni;
    i soggetti esperti che hanno spazio sui giornali sia di interesse nazionale che di settore;
    i soggetti non esperti che hanno spazio sui giornali sia di interesse nazionale che di settore;
    i soggetti che sono organizzatori della finta opposizione al sistema.
    La trasparenza delle istituzioni[modifica | modifica wikitesto]
    Le istituzioni che praticano la spoliazione legale, se adottassero una amministrazione trasparente, ossia se facessero capire il meccanismo di spoliazione legale che attuano, sarebbero rovesciate immediatamente dai saccheggiati.

    Per questo motivo, le élite che occupano le posizioni di gestione di queste istituzioni, sono "obbligate" a non essere trasparenti.

    Immaginate un presidente di Inarcassa che dovesse affermare che l'aumento della pressione fiscale deliberato serve per pagare le pensioni paghi uno e prendi otto, oppure che un aumento tariffario serve per aumentare gli utili di un monopolista.

    I rapporti con la stampa[modifica | modifica wikitesto]
    Si distinguono in base al coinvolgimento o meno della stampa nel meccanismo di spoliazione legale:

    testate organicamente legate alla spoliazione legale ossia ove la linea editoriale supporta tali meccanismi in quanto espressione delle élite;
    testate non coinvolte con i meccanismi di spoliazione legale.
    Nel primo caso c'è poco da dire in quanto la stampa è di fatto uno strumento delle élite.

    Nel secondo caso, si possono manifestare casi dove i giornalisti lasciano semplicemente lo spazio per la disinformazione senza porre questioni e quindi chiarire come fanno disinformazione ossia, come spiegato da Papa Francesco, dire le cose a metà, solo quella che conviene in modo che chi legge non possa farsi una idea complessiva della realtà.

    I sistemi educativi nella spoliazione legale[modifica | modifica wikitesto]
    Un caso particolare di disinformazione è quello legato ai sistemi educativi.

    Il sistema educativo pubblico può essere carente di risorse oppure totalmente mancante in un particolare settore come l'educazione finanziaria.

    In Italia gli indici di educazione finanziaria sono particolarmente scadenti nella graduatoria internazionale.

    In questo caso manca da parte della scuola pubblica uno specifico programma di alfabetizzazione finanziaria.

    Ancora più carente è quindi la critica alle istituzioni finanziarie.

    Numerosi sono i tentativi di istituzioni private legate alle banche ed alle casse di previdenza che si propongono come educatori fino ad arrivare ad assegnare patenti di educatore previdenziale.

    Questi sistemi di educazione sono chiaramente una forma di disinformazione quando con essa si intende far conoscere solo una parte della realtà.

    Parlare a vanvera[modifica | modifica wikitesto]
    Parlare a vanvera è la diretta conseguenza della [[Il conflitto pensionistico/Costruzione della verità|costruzione della verità.

    Quando nel pubblico dibattito si sono affermate le verità costruite, parlare a vanvera è una diretta conseguenza e la disinformazione è totale in quanto non si fa altro che diffondere falsità.

    https://it.wikibooks.org/wiki/Il_conflitto_pensionistico/Tecnica_della_spoliazione_legale#La_gestione_della_disinformazione_per_l.27affermazione_della_spoliazione_legale

    RispondiElimina
  4. sulla costruzione della verità invece ...

    https://it.wikibooks.org/wiki/Il_conflitto_pensionistico/Costruzione_della_verit%C3%A0

    RispondiElimina
  5. "Sogno un'Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l'essere umano. Oggi ci urge poter realizzare 'coalizioni' non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall'essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell'incontro. Desidero ribadire la mia intenzione di offrire il prestigioso Premio di cui vengo onorato, per l'Europa: non compiamo infatti un gesto celebrativo; cogliamo piuttosto l'occasione per auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente…. Nel secolo scorso essa ha testimoniato all'umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia. Le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell'altro, che arsero nel cuore dei Padri fondatori del progetto europeo. Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi. L'Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa” (http://www.ansa.it/giubileo/notizie/i_temi_del_giubileo/2016/05/05/papapremio-carlo-magnoappello-a-europa_7f5b5b9c-54a1-49a9-813c-300a8321d2cc.html).

    Paolo, con il massimo rispetto, uno che afferma queste cose davanti al codazzo €urista plaudente, tu da che parte pensi che stia? Io credo che quel personaggio sia la persona meno indicata per insegnarci cosa sia la verità o anche solo una mezza verità. Se le parole sopra pronunciate sono la verità che ci renderà liberi, stiamo freschi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una ricostruzione astorica e volutamente scissa da ogni consapevolezza del senso del globalismo economico, cui vale la pena, ancora una volta contrapporre le parole di Rosa Luxembburg citate da Bazaar:
      «Il carattere utopico della posizione che prospetta un’era di pace e ridimensionamento del militarismo nell’attuale ordine sociale, è chiaramente rivelato dalla sua necessità di ricorrere all’elaborazione di un progetto. Poiché è tipico delle aspirazioni utopiche delineare ricette “pratiche” nel modo più dettagliato possibile, al fine di dimostrare la loro realizzabilità. A questa tipologia appartiene anche il progetto degli “Stati Uniti d’Europa” come mezzo per la riduzione del militarismo internazionale. [...]

      L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...]

      In quanto seguaci della concezione materialistica della storia, noi abbiamo sempre sostenuto l’idea che i moderni stati, al pari delle altre strutture politiche, non siano prodotti artificiali di una fantasia creativa [...] ma prodotti storici dello sviluppo economico. Ma qual è il fondamento economico alla base dell’idea di una federazione di stati europei? L’Europa, questo è vero, è una geografica e, entro certi limiti, storica concezione culturale. Ma l’idea dell’Europa come unione economica, contraddice lo sviluppo capitalista per due ragioni. Innanzitutto perché esistono lotte concorrenziali e antagonismi estremamente violenti all’interno dell’Europa, fra gli stati capitalistici, e così sarà fino a quando questi ultimi continueranno ad esistere; in secondo luogo perché gli stati europei non potrebbero svilupparsi economicamente senza i paesi non europei. Come fornitori di derrate alimentari, materie prime e prodotti finiti, oltre che come consumatori degli stessi, le altre parti del mondo sono legate in migliaia di modi all’Europa. Nell’attuale scenario dello sviluppo del mercato mondiale e dell’economia mondiale, la concezione di un’Europa come un’unità economica isolata è uno sterile prodotto della mente umana..»

      Elimina
    2. E ancora, a segnare, l'incolmabile distanza tra l'Utopi -a che esercita la "doppia verità" liberista (che dissimula la sua disumanità nel suo opposto verbale)-, e l'inclinazione prioritariamente democratica di chi ha veramente a cuore gli altri esseri umani:
      «E se l’unificazione europea è un’idea ormai ["ormai" nel 1911!!!, ndr] superata da un punto di vista economico, lo è in egual misura anche da quello politico.

      Solo distogliendo lo sguardo da tutti questi sviluppi, e immaginando di essere ancora ai tempi del concerto delle potenze europee, si può affermare, per esempio, di aver vissuto quarant’anni consecutivi di pace. Questa concezione, che considera solo gli avvenimenti sul suolo del continente europeo, non vede che la principale ragione per cui da decenni non abbiamo guerre in Europa sta nel fatto che gli antagonismi internazionali si sono infinitamente accresciuti, oltrepassando gli angusti confini del continente europeo, e che le questioni e gli interessi europei si riversano ora all’esterno, nelle periferie dell’Europa e sui mari di tutto il mondo.

      Dunque quella degli “Stati Uniti d’Europa” è un’idea che si scontra direttamente con il corso dello sviluppo sia economico che politico [...].

      Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.

      E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia. Le cose hanno una loro propria logica oggettiva. E oggettivamente lo slogan dell’unificazione europea, nell’ambito dell’ordine sociale capitalistico, può significare soltanto una guerra doganale con l’America, dal punto di vista economico, e una guerra coloniale, da quello politico. »
      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/pmi-ari-sveglia-il-libro-delle-profezie.html?showComment=1465470452655#c3875844904466852818

      Elimina
    3. Inutile dire che, mutatis mutandis, in un Occidente in cui gli USA controllano il continente europeo tramite la promozione, il finanziamento "genetico" e l'influenzamento politico-economico della "costruzione europea", e in cui dunque, la situazione è di un'UE (mero) strumento di un blocco capitalistico occidentale ampliato all'intera area Nato, "lo slogan dell’unificazione europea, nell’ambito dell’ordine sociale capitalistico, può significare soltanto una guerra doganale" con gli avversari de "l’America, dal punto di vista economico, e una guerra coloniale, da quello politico", svolta nelle nuove forme globali di un'oligrchia ancora più ristretta e spietata.

      Elimina
  6. Grazie, Paolo. Riflettevo proprio sul parlare a vanvera, o sugli argomenti da rinfaccio fazioso al banco dei formaggi, ad esempio di una Maria Elena "Cartesia" Boschi recentemente in grande spolvero.

    Il blaterare è la forma più insidiosa perché più demagogicamente pervasiva, a grado zero di elaborazione concettuale e grado massimo di pretesa veritativa - col ricatto emotivo dell'appartenenza, in una humus di generale partigianeria (sovrastrutturale, certo, ma pesante!).

    Due i casi, peraltro neutri in rapporto all'effetto: Cartesia sa quel che fa, oppure è ingenua. Nel primo caso è finissima techné, nel secondo efficacissima bêtise.

    Presidente, un giorno, quando le questioni primarie avranno attenuato la propria urgenza (cioè mai) ci si dovrà pure occupare di certi casi umani, delle ragioni psicologiche di una così desolante mancanza d'amor proprio.

    Un'ipotesi ce l'avrei - e così torniamo a Gramsci: soldatini, pretini (con la P), o qualsiasi cosa col diminutivo.

    In ogni caso, la potenza di fuoco dell'imbecillità fa più danni di uno house organ ad altissima diffusione.

    RispondiElimina
  7. Credo che Bazaar debba chiarire quale sia la sua posizione riguardo alla "auspicata" rivoluzione comunista portata avanti da una certa classe di ideologhi comunisti, ai quali lui fa spesso riferimento. A mio parere, se pur tali ideologhi ci avevano azzeccato in alcune analisi della società borghese capitalista, costoro erano comunque fuori strada per quanto riguarda le soluzioni. E il Comunismo a mio avviso non è nient'altro che il falso opposto del liberismo. Il comunismo è un'ideologia estrema che non prevede un giusto bilanciamento tra libertà personale e giustizia sociale, come avviene invece nelle socialdemocrazie keynesiane. E' un'ideologia che non consente compromessi, ma prevede un forte “rigore morale”. E' quella ideologia che prevede magari di non far morire di fame la gente (facendola però vivere magari di pane e cipolla tutta la vita), ma impone anche a tutti di vivere allo stesso modo, controllando minuziosamente ogni aspetto della vita, spacciandolo come un controllo “dal basso” all'interno di un paese controllato in realtà in modo ferreo da una élite che dispensa il Verbo e non tollera la libera espressione. Questi intellettuali comunisti, nostalgici della rivoluzione mancata, hanno iniziato poi a denigrare la classe operaia che stava acquisendo sempre maggior benessere all'interno delle socialdemocrazie keynesiane. Essi videro queste conquiste sociali come un tradimento. Il loro disprezzo per la classe operaia emancipata all'interno del capitalismo socialdemocratico portò quindi alla formulazione di epiteti denigratori come quello di "consumisti" riferito agli operai che arrivarono ad ottenere una più equa distribuzione del reddito e capacità di consumo. Da lì in poi sono nate tutte correnti "rivoluzionarie" comuniste austeriane di sinistra, denigranti il maggior benessere degli operai, interpretato da questi intellettuali come debolezza, lavaggio del cervello capitalista, e mancanza di rigore morale nel perseguimento dei Sommi Ideali della Rivoluzione Comunista, tradita, per costoro, con il “crogiolarsi” della classe operaia nel benessere dovuto ad una maggiore capacità di consumo, consumo rietichettato da costoro come "consumismo".

    RispondiElimina
  8. Questi tromboni di intellettuali, che non avevano capito nulla dei risultati perseguiti dalle classi subalterne all'interno delle democrazie costituzionali, in seguito si allearono anche con alcuni esponenti della Scuola di Francoforte e avvallarono ideologie malthusiane portate avanti da istituzioni sovranazionali elitarie come il Club di Roma, che predicavano catastrofi a causa del maggior benessere raggiunto dagli operai. Questi intellettuali Comunusti, nostalgici della rivoluzione, pur di portare avanti le loro utopie, hanno tradito gli ideali socialdemocratici keynesiani e si sono in sostanza trovati dalla stessa parte insieme con la peggior feccia austeriana neoliberista, quella rappresentata da un'élite sterminazionista e neofeudale che se ne frega assai del benessere dei subalterni e dei profitti derivanti da un maggior consumo di merci, perché questa élite è già ricca di nascita per via ereditaria; alleandosi con costoro i nostri “comunisti rivoluzionari” forse sperarono che le ridotte condizioni di benessere e le privazioni austeriane facessero "rinsavire" la, per loro, imbolsita massa operaia, che sarebbe stata così ricondotta per le vie della rivoluzione. E qui si vede la reale mentalità di questi intellettuali, che pur di perseguire con “rigore morale” i loro “ideali” al di là della storia, sarebbero disposti a sacrificare milioni di vite umane per il Bene Ultimo della Società Senza Classi. La parola "consumismo" a mio avviso è una parola che vuota di significato, oppure vuol dire tutto e niente, è un po come la parola statalismo, anch'essa coniata per denigrare una forma di stato interventista. Bisogna che Bazaar chiarisca da che parte sta, perché non si può essere keynesiani e poi sparare a più non posso contro il consumismo. O si è per la democrazia keynesiana del benessere e della redistribuzione del reddito, e quindi dei consumi, con i suoi pregi e difetti, con le sue imperfezioni al di qua della storia, oppure si è per l'austerità e l'"anticapitalista" decrescita felice e il perseguimento di perfettissimi e incorrotti ideali al di là della Storia. Ce lo chiarisca una volta per tutte Bazaar da che parte sta, perché mi sembra di vederla spesso oscillare un po' di qua e un po di là, un po' per il benessere keynesiano e un po' contro il consum-ismo derivante dal benessere keynesiano. Se sta per la Rivoluzione lasci perdere i keynesiani e la democrazia del benessere, perché mi sa che alla fine le classi subalterne saranno più felici di vivere in questo tipo di società piuttosto che in un "utopico" comunismo senza classi moralmente "rigoroso" e "spirituale".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non mi risulta che il pensiero di Bazaar sia ambiguo, anche se può difendersi benissimo da solo: il punto però è che aprire una polemica chiaramente OT, già cercata nei commenti in un precedente post, mi indurrebbe a non pubblicare commenti di questo tenore.

      Ma lo faccio per un richiamo all'ordine: Bazaar condivide, con profondità e senza slogan semplificatori, il pensiero di Keynes, Basso, Luxemburg, Kalecky e molti altri che, liberamente, individua nella sua approfondita ricerca come "spunti" di arricchimento.
      Che personalmente trovo interessante e che fornisce concetti e armamentario logico-critico utili per molti: al punto che lei utilizza, per criticarlo, la stessa struttura logico-analitica che lui ha utilizzato in questa sede.

      Apprezzare il pensiero di Lenin non significa essere un acritico sostenitore del socialismo "reale" sovietico: e, d'altra parte, lei mostra di non aver sufficientemente seguito e compreso il discorso portato avanti in questa sede circa la trasformazione subita dagli "intellettuali comunisti". Tanto che è agevole dire che questi NON HANNO MAI TRADITO GLI IDEALI DELLA SOCIAL-DEMOCRAZIA KEYNESIANA (seppure definibile così, per convenzione) PERCHE' NON LI HANNO MAI CONDIVISI.

      Sulla trasformazione organicistica del malinteso internazionalismo proletario in internazionalismo mercatista, e quindi sulla cosmesi della sinistra che diviene funzionale alla restaurazione neo-liberista, semmai Lenin ci fornisce giuste e acute risposte: citarle, da parte di Bazaar, mi pare corretto ed anzi necessario.
      Il riconoscimento della grandezza del pensiero di Lenin, contestualizzato nelle condizioni storico-sociali in cui si trovò a formularlo, non giustifica alcuna accusa di condividere il centralismo burocratico stalinista e le sue degenerazioni violente e disumane.

      Lenin non voleva un'Utopia, portatrice di una doppia verità, cercando di legittimarla a posteriori con "valori" ipocriti (e dissimulatori): programmava l'attuazione di una "prassi" conseguente a un'analisi che consentisse una rivoluzione, al tempo necessaria in quel contesto.

      Bazaar è il primo a evidenziare aspetti del genere: quanto al "consumismo senza senso", è sufficiente richiamare Rawls e l'idea di distruzione dei popoli attraverso il "mercato senza frontiere", portatore di un benessere apparente e distruttivo dei valori comunitari che misurano il vero valore del benessere, umanamente concreto e possibile, secondo una realtà antropologica che l'Utopia neo-liberista senza frontiere si ostina a negare: con l'avallo di una Chiesa sempre più solidale con questa folle Utopia.
      L'apologo della nonna e della stufa era indicativo di questa conflittualità indotta, di questa tensione oppressiva che viene attuata dai sistemi di controllo sociale moralistico, propugnato, strategicamente e per precisi interessi materiali e di appartenenza comune "di classe", dai detentori della "doppia verità".
      E d'altra parte Bazaar ha chiaramente detto che sono i banchieri i primi, e forse gli unici, ad aver veramente capito il materialismo storico e l'importanza della struttura dei rapporti di produzione; come pure condivide che, siamo noi, in Occidente, quelli che più ci siamo avvantaggiati dei "carri armati di Stalin".

      Elimina
    2. Aspettando Bazaar ... ti dico che sono d'accordo su alcune cose che hai scritto, in particolare sulla coincidenza tra liberali e "euro-comunisti". La religione è la stessa: l'austerità, la durezza del vivere, la sofferenza indotta come metodo per educare la plebaglia.

      Non concordo invece sul consumismo, che non c'entra niente col keynesismo e che è stato invece un modo assai efficace di corrompere le menti dei cittadini per portarle a ragionare nel modo voluto da LORO.
      Come compreso a suo tempo da Marx. Copio da Wikipedia: "Il filosofo Karl Marx già aveva individuato nel capitalismo una tendenza al consumo che aveva chiamato «feticismo della merce». Nella teoria marxiana del valore le merci, da pure e semplici cose, prodotto del lavoro umano, assurgono al ruolo di rapporto sociale, e in modo simmetrico, i rapporti sociali fra gli uomini assumono l'aspetto, nello scambio, di rapporti tra cose.".
      Insomma, il lavoro-merce, l'uomo-merce...

      Elimina
    3. Le dico che ho apprezzato anchio alcune analisi di Bazaar, e ho detto che questi comunisti ”ci avevano azzeccato in alcune analisi”. Quello che peró a volte percepisco é una totale cobtraddizione tra le analisi acutissime dette in una frase e i pensieri contraddittori detti nella frase successiva. Le ripeto, il “consumismo“ c'é stato perché c‘é stata la redistribuzione dei redditi all'interno del compromesso keynesiano. Altrimenti ci sarebbe stata la società feudale dei servi straccioni e dei padroni feudatari. Quello a cui lei si riferisce etichettandolo come "consumismo senza senso" ha piuttosto a che vedere con la qualità dei consumi e non con la quantità. E' logico che anche io preferisco mangiare in un ristorante di qualità italiano pittosto che al McDonalds, ma il mangiare al McDonalds non é la conseguenza dei mali del consumismo, ma piuttosto quella del neolibrrismo feudale e distruttore dei redditi e del benessere delle classi subalterne. Il mangiare al McDonalds é la conseguenza del fatto che non si hanno soldi da spendere in consumi di qualità. L'etichetta "consumismo" é per tale motivo essa stessa senza senso, e a maggior ragione lo é quella di "consumismo senza senso". Propongo allora queste nuove definizioni: lo statalismo senza senso, il keynesismo senza senso, la socialdemocrazia senza senso, tutti termini privi di alcun senso.

      Elimina
    4. Vabbè no! Cerchiamo di non venire a spiegare a me ciò che ho scritto per anni e di non fare i pierini con le distinzioni tra "consumo", -(e sua propensione all'interno della variazioni del reddito) come spesa che è componente del PIL-, e effetti del marketing, incentivato da apposita legislazione di fonte sovranazionale, in economie aperte dominate da oligopoli transnazionali.

      Della differente valenza istituzionale dell'una e dell'altra cosa, tra Keynes e il liberoscambismo desovranizzante qui si è parlato in lungo e in largo.

      Se però ritiene di venire qui e ridefinire il "senso" di Rawls, Keynes, e del termine neo-liberista "statalismo", facendo paradossi che prescindono dalle fonti e dalle loro analisi compiute su questo blog, il dibattito diventa sterile perché egocentristicamente polemico.
      E non risulta né interessante né tantomeno culturalmente serio.

      Elimina
    5. Grazie mille, non mi sarei potuto spiegare meglio; anche perché, poi, non è la mia opinione, ma è il risultato di una ricerca collettiva condotta democraticamente da chi già fa divulgazione e si avvale, al limite, di eterogenei contibuti e reperimento di fonti, funzionali alla cognizione di quei fenomeni complessi che sono quelli sociali.

      In definitiva, una ricerca che trova nella genetica della Costituzione, l'orientameto delle indagini nelle diverse discipline:

      a) da una parte c'è una ricerca volta alle varie "correnti di Pensiero" che hanno avuto una convergenza nel nostro ordinamento democratico;

      b) dall'altra, simmetricamente, c'è una una ricerca volta alle "varie correnti di pensiero" che stanno portando alla disattivazione dell'ordine costituzionale del '48.

      Queste "correnti di pensiero", sono politologicamente inquadrabili dall'estrema sininistra alla destra, da generici "riformismisti" ad altrettanto generici "rivoluzionari".

      In ogni corrente di pensiero ci sono "sotto-correnti", istanze, che hanno dato, e danno, una spinta opposta o meno relativamente all'Ordine attuale.

      La linea discriminante, è stata individuata nella contrapposizione del pensiero social-socialista con quello liberal-liberista, dove il puro "nominalismo" della propaganda ideologica - quella che piace ai polemici da Bar dello Sport - viene epistemologicamente scartato in favore dell'analisi delle strutture sociali e della loro relazioni con le soprastrutture istituzionali, del costume e della coscienza.

      Keynes era un economista liberale che, nel corso della sua evoluzione intellettuale finisce per proporre una forma di socialismo: infatti la politologia lo classifica come liberale sociale, inserendolo nella tradizione di J.S.Mill.

      Mentre il liberalismo classico è rimasto sostanzialmente immutato nel Continente, il liberalismo anglosassone è stato - col neoliberismo non più - di fatto social-democratico. Con la "confluenza" di laburisti e liberali sociali in UK, e con Roosevelt in USA.

      I liberali classici, riscoprendo la tradizione elitista e clericale di cui condividono l'etica, hanno trovato sinergia, conciliandosi, con i pensieri dei Burke e dei de Maistre.

      La scuola austriaca è un interessante laboratorio in cui certi movimenti di pensiero si sono sviluppati.

      (Una figura archetipica di elitista cristiano, nobile e liberale, impegnata nel "mondialismo", fu quella di Coudenhove-Kalergi)

      L'analisi economica istituzionalista è quindi il fondamento di qualsiasi ricerca: da quella storico-filosofica, a quella economico-giuridica.

      Il metodo scientifico è rigorosamente di carattere fenomenologico.

      Elimina
    6. La fenomenologia permette di conciliare tanto aspetti cognitivo-ermeneutici della ricerca, con aspetti di tipo essenzialista che caratterizzano il metalivello di indagine che ci interessa: quello storico che è influenzabile dall'arbitrio delle varie comunità sociali umane. Quelle dell' homo politicus.

      La fenomenologia, permette anche di studiare anche altri metalivelli. Molto interessanti a livello cognitivo e culturale, meno nella manifestazioni materiali che ci opprimono e per cui vi è la possibilità di agire.

      La tradizione marxiana è interessante per due motivi: da una parte ha ovviamente contribuito, insieme a tutte le altre correnti di pensiero, alla formulazione del nostro Dettato; dall'altra è la "tradizione continentale" che converge verso il "materialismo empirista e positivista" della tradizione filosofica anglosassone. Quella dominante.

      A questa fornisce tutte quelle Categorie per la riduzione e la fruibilità del pensiero complesso tipiche della nostra classicità.

      Quasi tutti i maggiori post-keynesiani hanno contribuito in qualche modo. Tra tutte ricordo la "teoria del circuito monetario".

      La moneta diventa fondamentale, in quanto è un'istituzione che regola i rapporti di produzione: ovvero è la sovrastruttura che - più di tutte - influenza la struttura economico-sociale.

      Comunque: per Rivoluzione si intende la ristrutturazione dei rapporti sociali in modo da realizzare giustizia sociale. Il secondo comma del nostro terzo articolo.

      Vuol dire "reddito di cittadinanza a nessuno", "lavoro a tutti".

      Vuol dire uguaglianza sostanziale: cioè liberare ogni individuo da ogni ostacolo materiale che impedisca lo sviluppo di ogni sua potenzialità.

      Potrei andare avanti per ore: volevo scrivere un commento di tipo esistenzialista... ma (a quanto pare) devo far l'impossibile riassunto di Orizzonte48.


      No, comunque, caro Federico T: non stiamo dalla stessa parte.

      Come sto dicendo a tutti i polemici che ho conosciuto (tutti) in quel blog reazionario in un paio di interventi l'anno scorso, ciò che ci divide è la morale: "meglio fuori strada con Platone, che condividere opinioni veritiere con questa gente".

      (L'erudizione senza un fondamento etico che organizzi le categorie del Pensiero, è strumentale, consapevolmente o meno, agli oppressori: questa è la differenza tra chi prova a seguire la strada indicata dai fenomenologi, a chi invece rimarrà un livoroso, deriso dal primo Umberto Eco di passaggio come "complottista")

      (Se leggessi Marx, scopriresti che quando doveva fare "spin" usava tranquillamente le maschere dei cospirazionisti, tra cui proprio quella dei gesuiti: quando, però, si trattava di non fare giornalismo, ma seria ricerca scientifica e divulgazione, le maschere scomparivano, e rimanevano lunghe analisi della nuda e meno romantica struttura del capitalismo... sicuramente più noiosa e meno avvincente della storia dei Cavalieri di Malta: d'altronde, anche l'econometria è piuttosto noiosa...)

      Elimina
    7. E pensa che pure io non volevo fare un riassunto di orizzonte48: ma perché chi vuole fare polemica viene a qui a pontificare usando gli strumenti cognitivi, e il lessico, divulgati in anni di lavoro da questo blog, senza nemmeno rendersene conto?

      Comprendendo le difficoltà, per chi, pur con spirito indagatore (cioè non "già sapendo"), non abbia (comprensibilmente) il tempo di rileggere tutto, - e il tutto include la "parte collettiva" costituita dai più importanti commenti che non sono riuscito a incorporare nei post- ho infatti intrapreso l'esperimento che avrai visto nel post successivo.

      Elimina
    8. Mi dispiace se Bazaar ha percepito il mio come un commento di un livoroso cospirazionista, anche se mi par di capire che condividiamo molto. Dal canto mio era solo una richesta di chiarimento non certo citando i Cavalieri di Malta, che pure esistono, cosí come esistono i capitalisti e i feudatari. Poi, sinceramente, dire che io sia una persona senza fondamento etico mi sembra fin troppo esagerato. Sicuramente immagino che non sia una colpa il non aver letto tutto il blog, perché anche io vivo al di qua della storia, e non ho intere settimane di libertà per leggermi 3000000 di pagine e commenti, non mi sento moralmente riprovevole per non aver fatto cio, anche se vorrei avere avuto piú tempo per leggere di piú. Comunque secondo me, oltre alla storia dei capitalisti, che cerco con i miei limiti di approfondire ogni giorno, c'é una storia ancora piú lunga, quella della Chiesa, la quale cerco anch'essa di approfondire, e che riserva delle sorprese non affatto cospirazioniste, perché tratta della sottomissione di uomini nei confronti di altri uomini, che continua tuttora. Per il resto ringrazio 48 per il riassunto che ha deciso di fare per chi, come noi comuni e "immorali" mortali non ha il tempo di leggere blog 24 su 24.

      Elimina
    9. Per "fondamento etico" mi riferivo a ben altro, legato a certi pensieri ideologici che circolano nel blog in cui ti ho conosciuto e che generano confusione livorosa e reazionaria, pericolosa a livello cognitivo e coscienziale.

      In chiosa, se non hai tempo di studiare, credo tu debba essere un po' più discreto e rispettare quel minimo di codice comportamentale che si chiama netiquette.

      Buona domenica.

      Elimina
  9. Si, mi ricordo, nel blog di lameduck, ma io non condivido ugualmente certi argomenti portati da quel blog, che non prendono nella giusta considerazione la coscienza di classe, quella sí, guista analisi dei marxisti, nell'analisi degli eventi geopolitici. Per il resto la mia era solo una richiesta di chiarimento perché continuo a non condividere la soluzione rivoluzionaria e perché penso che Keynes sia stato molto piú saggio e pragmatico nel trovare soluzioni. Per il resto penso comunque che capitalismo e Vaticano siano strettamente intrecciati. Tu dici di no? Beh, ti chiedo di trovare il tempo anche tu di approfondire. Cordiali saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Senti, non so di che "soluzione rivoluzionaria" parli. Non solo non hai letto i libri pubblicati che riassumono i temi trattati nel blog, non solo non comprendi il metodo d'indagine applicato ai fenomeni sociali, ma non leggi neanche le risposte che ti vengono fornite.

      La nostra Costituzione è keynesiana, quindi Keynes è sia punto di partenza che punto d'arrivo.

      Keynes esaurisce quindi la storia del pensiero?

      Ed il riformismo rivoluzionario di Lelio Basso come lo collochi?

      Non è che il blog che hai nominato faccia più al caso tuo?

      Elimina
    2. Al di là del tuo interessantissimo permeismo: chi non condivide una profonda aspirazione alla Rivoluzione, non condivide l'aspirazione alla giustizia sociale; chi non condivide l'aspirazione alla giustizia sociale, semplicemente democratico non è.

      La Costituzione, senza quella passione civile, morale ed ideale, che porta a rendere lettera viva la carta morta, non può più garantire l'ordine giuridico auspicato dai Padri costituenti e dal popolo italiano che questi rappresentavano.

      Questa è la linea del Piave a cui si riferisce la massima morale di Cicerone: o la giustizia sociale la vuoi con la più radicale intenzione, o non la vuoi.

      Elimina
    3. Bazaar, non voglio continuare con sterili e inutili polemiche. É chiaro, dal mio punto di vista, che io aspiro con Radicale Intenzione alla socialdemocrazia keynesiana e non alla Rivoluzione Comunista Internazionalista, perché quest'ultima la considero un rimedio ugualmente dannoso per la razza umana, sono qui per informarmi sui rimedi keynesiani nazionali, con i miei limiti di tempo, e non su quelli fuori dal tempo Internazionalisti comunisti. Saluti

      Elimina
    4. Comunque, un'ultimissima nota, leggendo, su questo blog, i contributi dello stesso 48 sommati a quelli di altri commentatori, come Francesco, direi che ho ritrovato quasi replicate le mie idee su Vaticano, gesuiti ecc., quindi ringrazio questo blog per essersi portato cosi avanti nell'analisi di quelli che sono sempre stati, nella storia, i poteri reazionari, poteri che esistono tutt'ora, e non stiamo parlando di rettiliani, ma stiamo parlando di poteri che hanno fatto la storia, sono ducumentati in migliaia di libri e opere di ogni tipo. Complimenti quindi a tutti coloro che hanno portato contributi in tal senso, per amore della verità. Le polemiche sterili preferirei lasciarle da parte, e, ripeto, se non sono un Comunista Rivoluzionario Internazionalista non per questo significa che non abbia ideali e non persegua la lotta per un mondo un po migliore, o mi debba sentire etichettato come livoroso o cospirazionista, perché queste sono accuse disoneste che sinceramente rispedisco alla fonte con molta serenità e senza alcun livore.

      Elimina
    5. Senti: mi hai scocciato. Mi metti in bocca ciò che non dico e soprattutto ciò che non scrivo.

      Ti sembra che il problema del potere ierocratico, la sua relazione con il moralismo monoteista e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo sia trattato come lo affronti te stile Protocolli dei Savi di Sion? Pur scontata l'influenza indiretta del lavoro fatto in questo blog di cui non appari essere cosciente?

      Dimostri lo stesso, preciso, identico, analfabetismo funzionale di quell'accozzaglia di complottisti reazionari che si ritrova dove ho letto i tuoi deliri.

      E non te lo dico per offenderti: te lo dico in senso tecnico.

      Il comportamento, il costume, la netiquette, sono in relazione con la psicologia e la salute mentale.

      Patologie come il disturbo paranoide e la sua fenomenologia anancastica, possono essere alleviati da sforzi di natura comportamentale.

      Dove ho potuto conoscere la tua compulsione nel commentare, da cui emergono forti tratti di disturbo narcisistico ed il riproporsi di una tipica dinamica relazionale "profetico-messianica-voi-stolti-che-non-mi-ascoltate", si nota una patente coazione a ripetere.

      Proprio non ce la fai: sono due giorni che cerchi di comunicare in un modo in cui non potrai mai ricevere buona disposizione al dialogo: questi tipi di disturbi relazionali si dovrebbero risolvere con la maturità. Quando ciò non avviene, è patologico.

      Forse hai ragione: non è una semplice questione di educazione; potrebbe essere un problema più rispettabile ma, purtroppo, più grave.

      (Ma tanto non ce la fai a star lontano da quella tastiera...)

      Elimina
  10. Ah, adesso mi scopro pure replicante di qualcuno. Uno cerca di salvare la pelle e scopre che per altri e' solo un problema di primazia intellettuale. Federico, non e' una gara a chi la spara piu' grossa, ma semmai a chi prende coscienza il prima possibile. E basta. Coscienza di che cosa? Di quello che dice (veramente) la Costituzione per pretenderne l'applicazione dovuta e necessitata. Questo comporta studio e confronto continuo, estrema umilta' nel riconoscere chi ne sa piu' di noi e riconoscerlo (Aristotele la chiamava megalopsychia), non supponenza e presunzione, dia-logos e non polemos. Partendo da principi irrinunciabili. Se anche fossi un tuo replicante su certi argomenti, come tu ritieni, ti assicuro che il mio ego non ne risentirebbe. In caso contrario, rammentalo, facciamo il gioco di ESSI . Buona fortuna

    RispondiElimina
  11. Buon giorno. Spero che chi viene qui solo per far polemica si ravveda, non metta il suo ego sopra tutto il resto, e continui a svolgere la sua ricerca in modo umile e documentato. Per mio conto vorrei fare un commento su Diego Fusaro, citato nell'articolo. Dal mio punto di vista Fusaro ha svolto delle ottime analisi filosofico-politiche sul potere, sul capitalismo, sull'euro e la dittatura europea; ma per quanto riguarda Bergoglio penso che sia stato molto ingenuo, visto anche le analisi documentate che qui su orizzonte48 si sono svolte in precedenza; estraggo dal fatto quotidiano un articolo di Fusaro:
    "Nel desolante panorama odierno, dominato dalla teologia del mercato e dall’indecorosa riconversione delle sinistre al credo mercatistico, individuare in Papa Francesco l’ultimo marxista superstite è ben più che un semplice paradosso o una mera provocazione. Sembra che Bergoglio sia rimasto il solo a pronunziare, contro il sistema dominante, parole come dignità dell’uomo e del lavoro, diritti sociali, sfruttamento"
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/26/papa-francesco-lultimo-marxista/1814166/
    Bergoglio è a capo di una multinazionale immobiliar-finanziaria capitalista, e fautore della globalizzazione caritatevole come qui espota nel blog, strano che Fusaro non prenda in considerazione questa analisi.
    continua...

    RispondiElimina
  12. Se non conoscete il sito globalsolution.org vi invito a visitarlo; qui troverete molti articoli sulle "soluzioni globali" proposte dalla nostra elite.
    Tra di esse vi è proprio la soluzione Bergogliana, ecco qualche estratto:
    "On June 18, 2015, Pope Francis published his second encyclical titled Laudato Si (Praise be to you). On behalf of Christianity, the Pope urged responsibility in dealing with humanity’s “common home,” the earth.

    The statement elaborates in detail on critical economic, social, and ecological grievances in the world. In view of these, the Pope calls on all human beings--Christians as well as followers of other religions and disbelievers--to “bring the whole human family together to seek a sustainable and integral development.” This is supposed to lead to a more humane world society that ensures a dignified existence not only of all alive today, but also of future generations, as well as of “Sister Earth” itself.

    In addition to discussing ethical norms and possible political measures, the Pope also addresses the underlying conditions of the global political system. Referencing his predecessor Benedict XVI, he calls for the creation of a “true political world authority” that is able to cope with global challenges. To explain this more fully, Francis quotes a passage from Benedict XVI’s 2009 encyclical Caritas in Veritate (Charity in Truth):

    To manage the global economy; to revive economies hit by the crisis; to avoid any deterioration of the present crisis and the greater imbalances that would result; to bring about integral and timely disarmament, food security and peace; to guarantee the protection of the environment and to regulate migration: for all this, there is urgent need of a true world political authority, as my predecessor Blessed John XXIII indicated some years ago.
    Since the Second World War, this perspective of political unification was continuously endorsed and developed in the tradition of papal teaching. It is more than merely a conclusion that the globalized and interdependent hazards of the technological age require common world institutions that ensure peace and implement supra-nationally coordinated actions and strategies.

    Rather, this aspiration is deeply rooted in the societal model of Catholic social doctrine itself, which is cosmopolitan in principle. In a systematic context, it can be used to derive the decisive normative guidelines on which a future political world order would have to be based on from the perspective of the Catholic Church.

    In the full version of the paper, a closer look at this notion of world political order will show that its general outline is identical with the model of a world federation based on the rule of law and subsidiarity that has long been advocated by the world federalist movement.

    In this context we will also look into the question of how the goal of democratic global structures--and the possible creation of a world parliament in particular--would have to be judged from the perspective of papal teaching."
    http://globalsolutions.org/blog/2016/01/Catholic-Social-Doctrine-and-World-Parliament#.V2esCu2fGio
    Sempre le solite citazioni, già ampiamente documentate, sulla World Political Authority che, immaginiamo, guiderà i popoli con "Rigore Morale", e poi c'è la riaffermazione del cosmopolitismo caritatevole e la identità di vedute tra il world federalist movement e le encicliche papali:
    "In the full version of the paper, a closer look at this notion of world political order will show that its general outline is identical with the model of a world federation based on the rule of law and subsidiarity that has long been advocated by the world federalist movement."
    Che questa "vision" globalista vaticana sia sulla stessa falsariga del marxismo inteso nel senso più nobile del termine, cioè come emancipazione reale dei popoli, io avrei i miei dubbi, ma sono disposto a rivederli se Fusaro mi dimostra il contrario.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma se uno buttta là, totalmente indimostrata e, SOPRATTUTTO, INSINUANTE, l'idea che se la crisi economica è globale, per il rilancio economico, ci voglia questa misteriora autorità mondiale, legittimata da suo RIGORE MORALE, piuttosto che da non identificabili sistemi di rappresentatività democratica, c'è ben poco da dimostrare.
      La conclusione è autodimostrativa è self-evident: "volemose bene perchè l'oligarchia, ve lo dico io (l'amico più buono e autorevole del mondo), alla fine è buona e si preoccupa di voi"

      Elimina
    2. ho sbagliato a postare il commento, il post dove era citato Fusaro è il seguente: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/riflessioni-varie-sul-calcolo-di-essi-1.html

      Elimina