HAY€K E’ TRA NOI: REDDITO DI INCLUSIONE
ED INTERPRETAZIONE PATAFISICA DELLA COSTITUZIONE
Questo post di Francesco Maimone rende conto dell'inarrestabile progresso del "vincolo €uropeista" verso un nuovo modello di società (che è in realtà quello, veterocapitalista, delle sfrenate fantasie hayekiane, che si ergono a restaurazione vincente).
L'elemento che colpisce maggiormente è il tentativo di giustificare la disattivazione delle norme più importanti della Costituzione ricorrendo a una strana tecnica ossimorica.
Si estrapolano concetti e proposizioni dei precetti costituzionali fondamentali per compiere delle "crasi" con la concettualistica europea della concorrenza e del neo-liberismo antistatuale e liberoscambista, e si offre il prodotto di questo ardito processo di commistione come un progresso: laddove, invece, esso rappresenta la definitiva liquidazione del modello economico e sociale previsto dalla Costituzione democratica della Repubblica fondata sul lavoro.
E' proprio vero che sarebbero arrivati "quelli che non credono nelle Costituzioni": solo che l'inequivocabilità dei precetti e della volontà dei Costituenti non sono stati di ostacolo alla manipolazione neo-linguistica che, noncurante della logica, spinge la cosmesi fino alle sue estreme conseguenze. Ben consapevole che sarebbe giunto un momento, quello che stiamo vivendo, in cui non ci sarebbero più state le "risorse culturali" per abbozzare una qualsiasi reazione a sostegno della legalità costituzionale.
[L'ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE: BREVE STORIA DI "QUELLI CHE NON CREDONO NELLE COSTITUZIONI"** ]
1. Il blog si è occupato di recente della vergognosa condizione di povertà in Italia, riportando la notizia secondo cui le istituzioni sarebbero state intenzionate a risolvere il problema con il varo di una sorta di reddito minimo.
Ebbene, è stata di recente approvata la legge 15 marzo 2017 n. 33 “Delega recante norme relative al contrasto
della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e
dei servizi sociali” pubblicata in G.U. 24 marzo 2017, n. 70.
Il silenzio della grancassa mediatica risulta quantomeno sospetto, forse perché non c’è propriamente da andare orgogliosi del nuovo provvedimento normativo. Il Governo avrà sei mesi di tempo per introdurre il c.d. reddito di inclusione (REI), una misura di presunto contrasto alla povertà, “intesa come impossibilità di disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso”.
Il silenzio della grancassa mediatica risulta quantomeno sospetto, forse perché non c’è propriamente da andare orgogliosi del nuovo provvedimento normativo. Il Governo avrà sei mesi di tempo per introdurre il c.d. reddito di inclusione (REI), una misura di presunto contrasto alla povertà, “intesa come impossibilità di disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso”.
2. Presupposto ovvio è che la
condizione di povertà viene considerata dall’attuale legislatore come un dato
di fatto svincolato da qualsivoglia causa, una condizione del tutto naturale
cui porre conseguente rimedio con formule che in realtà hanno lo scopo di dissimulare la resa incondizionata dello Stato ai suoi
obblighi costituzionali. L’intero iter parlamentare che ha portato all’approvazione della legge,
difatti, suffraga pienamente tale tesi, sostanziandosi però nel solito esempio
di neo-lingua i cui devastanti effetti
non tarderanno a farsi sentire nella vita dei cittadini italiani.
3. Al riguardo, si deve subito
precisare che l’immediato antecedente ideologico del nuovo reddito di
inclusione è da individuarsi tra le significative pagine della Relazione
licenziata dalla Commissione per
l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale del 28 febbraio
1997 (c.d. Commissione Onofri), documento che, con inequivocabile
grammatica neo-ordoliberista, ha posto le basi per una pioneristica
destrutturazione dello stato sociale italiano che oggi si avvia a definitivo
compimento.
3.1 Le ragioni addotte della
Commissione vent’anni fa sono ormai note, anche se presentate con qualche
“lieve” omissione in ordine alla ripercussione determinante che sulla
cancellazione dei diritti sociali ha avuto la costruzione europea.
Secondo la Commissione, infatti, sarebbero “i vincoli comuni” - rappresentati dall’allargamento della concorrenza e la crescita del commercio mondiale a seguito della liberalizzazione dei mercati - che “seleziona[no] i beneficiari di tale crescita sulla base delle capacità concorrenziali sistemiche che ciascun paese maturo è in grado di manifestare. A questo riguardo, l'onere di finanziamento della spesa sociale caricato sulla produzione di prodotti e servizi commerciabili internazionalmente dovrà, quindi, essere contenuto” (pag. 6). Cioè, la spesa sociale, misteriosamente, non è una componente positiva del PIL e diviene, in questa neo-contabilità nazionale (indubbiamente creativa) un "onere", una passività contabile da contenere!
Sappiatelo tutti e, d'ora in poi, regolatevi di conseguenza: se vi erogano pensioni e sanità pubblica, la concorrenzialità sistemica ne risente: la domanda interna, alimentata dai consumi consentiti dal reddito innescato da questa spesa pubblica, non conta e va subordinata alle esigenze esportative del settore privato, con buona pace della crescita (del PIL e dei redditi pro-capite).
Secondo la Commissione, infatti, sarebbero “i vincoli comuni” - rappresentati dall’allargamento della concorrenza e la crescita del commercio mondiale a seguito della liberalizzazione dei mercati - che “seleziona[no] i beneficiari di tale crescita sulla base delle capacità concorrenziali sistemiche che ciascun paese maturo è in grado di manifestare. A questo riguardo, l'onere di finanziamento della spesa sociale caricato sulla produzione di prodotti e servizi commerciabili internazionalmente dovrà, quindi, essere contenuto” (pag. 6). Cioè, la spesa sociale, misteriosamente, non è una componente positiva del PIL e diviene, in questa neo-contabilità nazionale (indubbiamente creativa) un "onere", una passività contabile da contenere!
Sappiatelo tutti e, d'ora in poi, regolatevi di conseguenza: se vi erogano pensioni e sanità pubblica, la concorrenzialità sistemica ne risente: la domanda interna, alimentata dai consumi consentiti dal reddito innescato da questa spesa pubblica, non conta e va subordinata alle esigenze esportative del settore privato, con buona pace della crescita (del PIL e dei redditi pro-capite).
3.2 Dietro al sempreverde paravento di un necessario recupero
dell’efficienza amministrativa, la Commissione paludava le proprie
argomentazioni preannunciando, perciò, come lo Stato non potesse più assicurare
la protezione sociale prevista dalla Costituzione, ed affermando che non si
potesse escludere che “… data la scarsità delle risorse e la
domanda crescente a ritmi crescenti, si renda necessaria la concentrazione
degli sforzi della collettività su aree più delimitate di produzione
pubblica, spostando nella sfera di produzione privata, a esempio, altri
servizi, che in modo più agevole possono essere collocati sul mercato. In
altre parole, non potrà essere rinviata a lungo la scelta se sia più
opportuno conservare la sanità e la previdenza nella sfera pubblica oppure conservare
la produzione pubblica di energia, oppure la consegna pubblica della posta,
oppure ancora i trasporti pubblici e così via … Ci si dovrà domandare quale di questi diversi contesti di organizzazione della offerta
garantisce di più la coesione sociale”.
3.3 Di conseguenza, in un’ottica di “convergenza europea dei sistemi di benessere
collettivo”, l’azione
dello Stato italiano avrebbe dovuta essere diretta da un lato alla
riorganizzazione del sistema pensionistico volto “ad attenuarne la generosità” (sia questa un'affermazione veritiera o meno) e, dall’altro, al “rafforzamento della
"selettività" rispetto ai mezzi negli schemi di integrazione del
reddito ed un generale spostamento di risorse dalla tutela dei tradizionali
rischi "standard" delle assicurazioni sociali alla protezione di
nuovi bisogni (esclusione sociale, perdita dell'autosufficienza ecc.)”,
mediante il passaggio “da un approccio "passivo" ad uno
"attivo" nel disegno e
nella gestione degli schemi di inabilità al lavoro e di disoccupazione, al fine
di prevenire SINDROMI DI ECCESSIVA DIPENDENZA
DAI SISTEMI PUBBLICI DI SOSTEGNO” (sic: lo Stato sociale previsto dalla Costituzione diviene, senza mezzi termini o dubbi di liceità costituzionale, una "sindrome", cioè una grave patologia psichica collettiva).
3.4 E’ in tale contesto che ha fatto per
la prima volta irruzione nell’ordinamento italiano il c.d. MINIMO
VITALE, definito dalla Commissione come “un sussidio indirizzato agli individui maggiorenni, il cui benessere è tuttavia valutato in
base alle risorse del nucleo familiare
in cui è inserito”.
L’erogazione di un tale aiuto, uniforme per tutto il territorio nazionale, avrebbe dovuto essere ristretto ai casi di maggior bisogno, sulla scorta del concetto ossimorico di UNIVERSALISMO SELETTIVO; l’erogazione del sussidio sarebbe stata subordinata ad un rigido criterio selettivo (c.d. PROVA DEI MEZZI), “fondandosi non solo sul reddito dichiarato ai fini dell’Irpef, ma tenendo conto anche di altri elementi (redditi esclusi dall’Irpef, patrimonio immobiliare eccetera), cercando così di attenuare i problemi legati all’accertamento delle risorse dei beneficiari”.
L’erogazione di un tale aiuto, uniforme per tutto il territorio nazionale, avrebbe dovuto essere ristretto ai casi di maggior bisogno, sulla scorta del concetto ossimorico di UNIVERSALISMO SELETTIVO; l’erogazione del sussidio sarebbe stata subordinata ad un rigido criterio selettivo (c.d. PROVA DEI MEZZI), “fondandosi non solo sul reddito dichiarato ai fini dell’Irpef, ma tenendo conto anche di altri elementi (redditi esclusi dall’Irpef, patrimonio immobiliare eccetera), cercando così di attenuare i problemi legati all’accertamento delle risorse dei beneficiari”.
3.5 Il “minimo vitale” così disegnato nella Relazione avrebbe quindi dovuto
assumere le sembianze di un “reddito
minimo garantito” introdotto il quale, ovviamente, lo stesso avrebbe
comportato giocoforza la generale “razionalizzazione” del sistema di protezione
sociale a costo zero per il bilancio,
cioè – tradotto per gli impenitenti €uroinomani - l’abolizione
degli assegni familiari, dell’assegno per il nucleo familiare, della pensione e
dell’assegno sociale. Ed ancora, sempre secondo la Relazione, “al finanziamento del minimo vitale [sarebbero
state] gradualmente destinate le risorse
rese disponibili dall’interruzione dei residui istituti di redistribuzione
del reddito: integrazione al minimo, pensioni di guerra e, in genere,
pensioni e indennità per invalidità”.
4. Ebbene, il DDL n. 3594 presentato l’8
febbraio 2016 dal Ministro del Lavoro
Poletti realizza compiutamente il meraviglioso progetto della Commissione
Onofri, contenendo tutti gli ingredienti nei quali si possono scorgere le
battute finali poste in essere dall’Ordine Sovranazionale dei Mercati per
l’edificazione dell’agognata Grande Società.
Lo scopo che si propone l’attuale Ministro con la ristrutturazione di un regime di Welfare di stampo neo-ordoliberista è proprio quello di introdurre un’unica “misura nazionale per il contrasto della povertà, da considerare livello essenziale delle prestazioni” mediante “razionalizzazione della normativa in materia di prestazioni di natura assistenziale o comunque sottoposte alla prova dei mezzi”.
Lo scopo che si propone l’attuale Ministro con la ristrutturazione di un regime di Welfare di stampo neo-ordoliberista è proprio quello di introdurre un’unica “misura nazionale per il contrasto della povertà, da considerare livello essenziale delle prestazioni” mediante “razionalizzazione della normativa in materia di prestazioni di natura assistenziale o comunque sottoposte alla prova dei mezzi”.
Il reddito di inclusione, facendo leva su un ritrovato
“comportamento responsabile” dei consociati, che fino ad oggi evidentemente si
sono rivelati troppo goderecci, sarà fondato proprio “sul principio dell’inclusione
attiva, che viene attuato prevedendo per i beneficiari la predisposizione
di un progetto personalizzato di
attivazione e di inclusione sociale e lavorativa sostenuto dall’offerta di
servizi alla persona” al fine di “superare
la logica di mera assistenza passiva”.
Il Ministro ha tenuto poi a precisare che la misura sarà rivolta al contrasto
della sola povertà assoluta.
4.1 La spiegazione artefatta di
quanto appena detto rimanda direttamente alla originaria paternità ideologica
dell’intera operazione, la quale è come sempre inequivocabile, se si tiene conto
di questo aggiuntivo passaggio contenuto nel DDL: “La razionalizzazione degli strumenti esistenti è anche funzionale alla
definizione della misura di contrasto della povertà in attuazione del principio
DELL’UNIVERSALISMO SELETTIVO,
eventualmente inglobando altri strumenti
di sostegno al reddito esistenti. Al riguardo la raccomandazione n. 5 della Commissione europea
del 2 giugno 2014 sollecita “l’estensione graduale del
regime pilota di assistenza sociale, senza incidenza sul bilancio, assicurando un’assegnazione mirata, UNA CONDIZIONALITÀ RIGOROSA e
un’applicazione uniforme su tutto il territorio, rafforzandone la correlazione
con le misure di attivazione”.
4.2 In questo completo delirio di cui è
preda l’attuale maggioranza – la quale è caratterizzata, in verità, da
inossidabili affinità cromosomiche con tutte le altre forze politiche che ormai da quarant’anni
offrono libagioni ad un regime dichiaratamente liberoscambista (PUD€) – ci
tocca perciò registrare altrettanti raptus
giustificativi della nuova elemosina hayekiana anche in seno alla minoranza,
autentiche rarità argomentative a metà strada tra l’ignoranza e la distorta
interpretazione della Carta Costituzionale.
4.3 In proposito, veniamo in primo luogo informati
dai relatori di minoranza del DDL che
la proposta di un reddito di inclusione - che si sostanzierebbe in “una sorta di protezione contro il rischio
di non lavorare” e si configura “sostanzialmente
come misura redistributiva per combattere la povertà di reddito” - sarebbe
da ricondurre ad una figura insospettabile già citata a sproposito da Juncker:
“… MARX è stato, forse, il primo tra gli
economisti ad avanzare la proposta di corrispondere un reddito anche a coloro che si collocavano al di
fuori del processo produttivo in quanto disoccupati, affermando che ognuno
deve partecipare secondo le proprie capacità ed ottenere un reddito in base
agli specifici bisogni. Questa proposta è stata successivamente ripresa da
Russel e da Lange sotto forma di un “dividendo sociale” da corrispondere a
tutti coloro che cooperano all’interno di una determinata collettività”.
4.3.1 In verità, nel suo “Salario, prezzo e profitto” del
1865, Marx (in maniera che dovrebbe risultare a dir poco ovvia) ha affermato concetti
affatto diversi, e cioè che “… Invece
della parola d'ordine conservatrice: "Un equo salario per un'equa giornata
di lavoro", gli operai devono scrivere
sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: "Soppressione del sistema del lavoro salariato…"
(pag. 39).
4.3.2 La posizione sarebbe stata
ribadita in una
lettera all’amico Friedrich Sorge del 5 novembre 1880 con
riferimento alla redazione di un programma elettorale del leader
operaio francese Jules Guesde. In quell’occasione, Marx ebbe a scrivere che “… Nonostante
la nostra protesta, Guesde ritenne necessario imporre alcune
inezie ai lavoratori francesi, come
il salario minimo
stabilito per legge, ecc. (Gli ho detto: se il proletariato francese è ancora
così infantile da aver bisogno di tali lusinghe, non vale neppure la pena di
formulare un qualsiasi programma)…”.
In ogni caso, il termine “salario minimo”, inteso come reddito, è pur
sempre legato allo svolgimento di un’attività lavorativa e non ha nulla a che
fare con una misura come quella recentemente approvata, del tutto avulsa dal
contesto del lavoro.
4.4 In secondo luogo, i medesimi personaggi
sono riusciti nell’impresa di ancorare il fondamento di misure come quelle in
commento nella stessa Costituzione italiana:
“Da un punto di vista
legislativo, il diritto individuale ad
un reddito minimo è evidenziato anche all’articolo 36, primo comma della Costituzione
italiana: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente
ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”. Il
concetto di “esistenza dignitosa” è ripreso anche dal terzo comma dell’articolo
34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Emerge quindi che sia la Costituzione
italiana, sia l’Onu e, infine, l’Unione europea concepiscono come fondamentali, gli strumenti in grado di “garantire libertà e dignità” a
tutti coloro che non hanno i mezzi sufficienti per poter avere tali diritti…”.
4.5 Si è ancora costretti ad appurare,
quindi, ed in modo sempre più assurdo, come l’antica incomprensione dell’€uropa,
consentendo la
“prevalenza selettiva del diritto comunitario sulle fonti
di livello costituzionale nazionali”, stia causando
non solo l’inesorabile cancellazione di 150 anni di lotte per la conquista dei
diritti fondamentali sociali, ma altresì l’elevazione degli esiti di quelle
lotte (di cui la nostra Costituzione del
lavoro rappresenta la più progredita sintesi) a categoria giustificativa
per un’annunciata autodistruzione.
5. Anche il dibattito in Aula
sui contenuti del provvedimento di iniziativa governativa non manca di offrire riscontri
sconfortanti. Ogni residuo di coscienza democratica-costituzionale sembra difatti
essere stato inghiottito dalle sabbie mobili del paradigma euro-deflazionista, se – come
emerge - l’auspicio rimane quello di poter “ricostruire il senso delle nostre comunità verso quella visione solidale (???) e fondativa del modello
sociale europeo” di cui una delle relatrici di maggioranza va a suo modo tanto fiera (v. pag. 49).
E non è mancato chi, partendo dalla stupefacente scoperta che
nel nostro Paese esiste un problema di “disuguaglanza”
(“tra una classe sociale che dispone di
mezzi di sussistenza, direi, tutto sommato, non buoni, ma in molti casi anche
molto buoni, e quello che invece riguarda una fascia ampia della popolazione,
che versa in condizioni ai limiti della povertà o addirittura veramente povera”),
ha persino intravisto nel reddito di inclusione “un’applicazione coerente e positiva rispetto all’articolo
3 della Costituzione” (v. pag. 10).
ADDENDUM: sicché non possiamo, a questo punto, non rammentare il famoso "brocardo" di Milton Friedman:
ADDENDUM: sicché non possiamo, a questo punto, non rammentare il famoso "brocardo" di Milton Friedman:
5.1 In questo tourbillon di opinioni a ruota libera sembra non esservi più spazio
per il dettato costituzionale e per il programma economico necessitato diretto
ad assicurare a tutti il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), strumento
principe di vera inclusione ed
emancipazione sociale della persona (art. 3, comma II, e 36 Cost.). Gli
architetti della desovranizzazione €urocratica (e della colonizzazione
cerebrale) non si sono limitati a rendere impraticabile, tramite vincolo esterno, l’obiettivo
indeclinabile della piena occupazione, ma hanno in
maniera radicale dato vita ad una manomissione interpretativa delle norme
costituzionali, a tal punto patafisica da inglobarvi ogni più impensabile
surrogato.
6. Per riassumere in sintesi i tratti
essenziali della futura “mancia di inclusione” venduta - in coerenza
con tutto quanto detto sopra - come improbabile succedaneo che si
propone di contribuire “a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano
la libertà e l'eguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona…in
attuazione dell'articolo 3 della Costituzione” (così art. 1,
comma I, della legge delega!), si segnala che:
- i potenziali fruitori del sussidio dovranno essere poveri
assoluti e la loro condizione verrà accertata con serietà (c.d. prova dei mezzi) sulla base
dell'indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE);
- il sussidio da corrispondere a coloro che avranno “la
fortuna” di essere selezionati si articolerà in un
beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati
dalla rete dei servizi e degli interventi sociali;
- le “sindromi di
eccessiva dipendenza dal sistema pubblico di sostegno” saranno però stroncate
sul nascere, imponendo ai beneficiari di aderire a un
progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa “finalizzato all'affrancamento dalla condizione
di povertà”. In termini concreti, verrà presumibilmente richiesto di
svolgere lavori o attività di pubblica utilità debitamente sottopagati, per un
progressivo e definitivo riavvicinamento alla
dignitosa “durezza del vivere”.
7. E’
evidente che nell’ormai surreale scenario post-costituzionale, la beffa del reddito
di inclusione non si prefigge certamente di assurgere a dispositivo di
correzione del ciclo economico né tanto meno di lotta alla povertà.
Esso, teleologicamente progettato per elevare la condizione del povero assoluto a quella “privilegiata” del povero relativo - secondo i canoni del modello sociale europeo a mobilità sociale rigorosamente azzerata - approderà solo all’ulteriore ed inevitabile deflazione del costo del lavoro e ad altri tagli alla “spesapubblicabrutta”, in un infinito circolo vizioso che, alla fine, farà abituare il maggior numero possibile di rozzi ed oziosi cittadini alla sopravvivenza con redditi da fame.
Esso, teleologicamente progettato per elevare la condizione del povero assoluto a quella “privilegiata” del povero relativo - secondo i canoni del modello sociale europeo a mobilità sociale rigorosamente azzerata - approderà solo all’ulteriore ed inevitabile deflazione del costo del lavoro e ad altri tagli alla “spesapubblicabrutta”, in un infinito circolo vizioso che, alla fine, farà abituare il maggior numero possibile di rozzi ed oziosi cittadini alla sopravvivenza con redditi da fame.
8. Quanto agli estremi esiti a valle, in
conclusione, non è difficile prevedere l’innesco dell’ennesimo sub-conflitto sezionale a
caratterizzazione areddituale tra categorie di genere, ovvero tra poveri di classe A (quelli assoluti) e poveri di classe B (quelli relativi),
in coerenza con l’elitario disegno di una completa “riplebeizzazione di tipo neufeudale” (così Diego Fusaro) del nostro
Paese e dell’intero Vecchio Continente.
Non c’è nulla di cui stupirsi: in fondo, non è ciò che hanno
sempre voluto, per cui continuano a battersi e per cui €SSI vivono?
TO A MOUSE
RispondiEliminaR Burns (1785)
Wee, sleekit, cow'rin, tim'rous beastie,
O, what a panic's in thy breastie!
Thou need na start awa sae hasty,
Wi' bickering brattle!
I wad be laith to rin an' chase thee,
Wi' murd'ring pattle!
I'm truly sorry man's dominion,
Has broken nature's social union,
An' justifies that ill opinion,
Which makes thee startle
At me, thy poor, earth-born companion,
An' fellow-mortal!
I doubt na, whiles, but thou may thieve;
What then? poor beastie, thou maun live!
A daimen icker in a thrave
'S a sma' request;
I'll get a blessin wi' the lave,
An' never miss't!
Thy wee bit housie, too, in ruin!
It's silly wa's the win's are strewin!
An' naething, now, to big a new ane,
O' foggage green!
An' bleak December's winds ensuin,
Baith snell an' keen!
Thou saw the fields laid bare an' waste,
An' weary winter comin fast,
An' cozie here, beneath the blast,
Thou thought to dwell-
Till crash! the cruel coulter past
Out thro' thy cell.
Thy wee bit heap o' leaves an' stibble,
Has cost thee mony a weary nibble!
Now thou's turn'd out, for a' thy trouble,
But house or hald,
To thole the winter's sleety dribble,
An' cranreuch cauld!
But, Mousie, thou art no thy lane,
In proving foresight may be vain;
The best-laid schemes o' mice an' men
Gang aft agley,
An' lea'e us nought but grief an' pain,
For promis'd joy!
Still thou art blest, compar'd wi' me
The present only toucheth thee:
But, Och! I backward cast my e'e.
On prospects drear!
An' forward, tho' I canna see,
I guess an' fear!
Ps: riferimento al romanzo breve UOMINI E TOPI ( J Steinbeck, 1937) che senza Basi per Altezza è difficile ricavare Area .. (B x H =A)
@Francesco
grazie ancora, t'avremmo desiderato al posto dell' .. altro :-)
Grazie a te, caro Poggio:
RispondiElimina“…Mi duole assai che l'Uomo abbia spezzato
ogni legame che Natura fa,
sicché di lui tu pensi tanto male
che da me scappi via,
benché pur nato dalla terra io sia
e, come te, mortale…”.
Il topo aveva almeno capito da dove arrivava il male. Da noi quando si prenderà generale coscienza del “vomere spi€tato”?
Ma che argomentazioni originali presso la Commissione Onofri!
RispondiEliminaSiamo nel 1848 (da un ’48 all’altro, verrebbe da dire…) in Francia; il 26 febbraio “questo perentorio ed impegnativo decreto” “veniva affisso sui muri di Parigi”: “il governo provvisorio della Repubblica francese s’impegna a garantire l’esistenza dell’operaio attraverso il lavoro e a fornire un’occupazione a tutti i cittadini” (A. Cantaro, Il diritto dimenticato, Giappichelli, Torino, 2007, pag. 99).
Come osserva Giovanna Procacci (Governare la povertà, Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 215) “il sostegno degli operai alla repubblica è legato essenzialmente alla sovranità del lavoro e al diritto al lavoro”.
Non a tutti la novità risultava gradita, ovviamente. “Il Governo provvisorio decise di aprire un'inchiesta sulle condizioni della classe operaia parigina, che avrebbe offerto l'occasione di rivedere la questione sociale alla luce dei nuovi dati prodotti dalla scossa rivoluzionaria del febbraio 1848, nel tentativo di aggirare l'effetto di politicizzazione che vi si era prodotto. L'inchiesta venne affidata all'Accademia delle Scienze morali e politiche, di cui si chiedeva «il concorso in favore del ripristino dell'ordine morale, profondamente turbato nel nostro paese»” “[…]bisognava da una parte dissipare quelle «strane illusioni» che si erano diffuse grazie alla Rivoluzione, dall’altra individuare con precisione gli errori di cui si erano nutrite. L’errore era consistito nel trattare insieme i due aspetti della miseria, l’economico e il morale, tentando di trarre dal campo morale una soluzione ai problemi economici. Questo aveva prodotto false idee e offerto un terreno fertile alle teorie rivoluzionarie. In particolare, si era ottenuto l’effetto di dissimulare il fatto che la produzione economica è retta da «leggi eterne» che nessuno, nemmeno lo stato, può impunemente modificare”. (Ibidem., pag. 240). Paese che vai, Commissione Onofri che trovi.
“[…] per il fatto stesso di insistere sulla necessità della riforma, si era coltivata l'illusione che l'organizzazione politica potesse piegare in un modo o nell'altro il corso naturale dell’economia, finendo così per gettare il discredito sulle istituzioni politiche, quasi fossero onnipotenti. Invece «la ricchezza pubblica obbedisce a leggi del tutto indipendenti dalla costituzione politica degli stati. La politica non esercita che un'azione secondaria sul mercato naturale della produzione, sottomessa a leggi provvidenziali da cui le società non si affrancano mai impunemente»”. (Ibidem., pag. 242).
“Alla fine dell’anno di grazia 1848, la soluzione del problema della miseria passa insomma per delle misure che mettano fine a quei comportamenti asociali prodotti dall’ignoranza delle leggi economiche, la quale rafforza l’inclinazione del popolo ad attendersi dal politico e dallo stato una trasformazione della propria condizione.” (Ibidem., pag. 244). Un solco da ripercorrere: c’è la competizione internazionale, no? E quindi TINA. Però, guarda un po’, lo strumento più rapido, indolore ed efficiente per recuperare competitività, ossia la flessibilità del cambio, no, non si può usare. Anche questa non mi è del tutto nuova, però…
“Il controllo della domanda di tipo keynesiano tende ad assicurare una pressione costante della domanda tale da garantire la piena utilizzazione delle risorse ma, al tempo stesso, attenta a non causare inflazione per un eccesso di domanda. Il governo attuale usa questi strumenti non per raggiungere il pieno impiego, ma per creare una disoccupazione sufficiente a mettere in ginocchio le organizzazioni sindacali, e in tal modo far sì che il livello degli accordi salariali sia al di sotto del tasso corrente di inflazione dei prezzi quanto basta per causare un abbattimento uniforme e graduale dell’inflazione da costi. Una sterlina fortemente sopravvalutata, restringendo in patria e all’estero il mercato dei prodotti inglesi, è un elemento cruciale in questo processo, quantitativamente forse molto più importante di quanto lo sia il disincentivo diretto degli alti tassi di interesse nei confronti degli investimenti a breve e a lungo termine. La politica di bilancio (espressa in termini di obiettivi per il fabbisogno del settore pubblico) serve allo stesso scopo.” (N. Kaldor, Il flagello del monetarismo, Loescher, Torino, 1984, pag. 113. Aureo libretto che restistuisce fiducia nell'idea di onestà intellettuale).
RispondiEliminaSchiantato il lavoro, il welfare può così tornare ad essere modellato attorno a quel vago umanitarismo, come diceva Crisafulli, quando non al puro e semplice ordine pubblico, à la Hayek. E la “modernizzazione” è servita.
Appunto: l'alibi, che denunzia immediatamente l'ideologia del giurista impegnato nella difesa dei rapporti di forza economica dominanti, è che "non si può creare lavoro per decreto: è un compito che spetta alle imprese".
EliminaLo sentiremo ripetere fino alla nausea (se già non l'abbiamo raggiunta).
Il "controllo della domanda" (cioè del suo "eccesso", come dice ancora oggi Boccia!) diviene un viatico per limitare l'inflazione e nulla più: per questo un costituzionalista che non conosce l'economia finisce per sentirsi autorizzato a fantasiose teorie interpretative (prima quella della desuetudine o, peggio, della inoperatività pratica, attribuita ex post, ma con efficacia ex tunc, alle "formule meramente enfatiche" utilizzate dal Costituente).
Questo blog tenterebbe di limitare i danni di questa irresistibile deriva ermeneutica (di cui parlava Barcellona). Almeno ci proviamo...
Ermeneutica:
RispondiElimina« L’errore era consistito nel trattare insieme i due aspetti della miseria, l’economico e il morale, tentando di trarre dal campo morale una soluzione ai problemi economici. »
...
Comunque, rimango dell'idea del fatto che il complesso militare ed industriale, non solo è indisgiungibile da quello finanziario, ma ne è, al contrario, sua ovvia e diretta manifestazione. Questo è tanto più vero quanto le "strutture" delle varie articolazioni delle forze armate sono catturate.
Quindi non posso che continuare a considerare il motivo politico per cui gli USA, come espressione di interessi dell'elite cosmopolita dominante, mantengono in vita il nazismo-europeista a discapito dell'apparente costo economico.
Non è un semplice "costo", è un investimento economico-politico.
Ormai l'immigrazione ha permesso e realizzerà sempre più la sostituzione etnica delle classi subalterne che - prima di essere un esercito industriale di riserva - sono un esercito.
I crucchi dovranno darsi da fare a produrre l'alta tecnologia necessaria per lo sforzo bellico, mentre i paesi del grossraum alemanno dovranno fornire i giovani senza futuro come carne da cannone: far crepare milioni di persone per suicidio è effettivamente un po' inefficiente.
A chi non ha da mangiare verrà fornito un rancio sicuro.
Caro Francesco, semplicemente viene data una interpretazione malthusiana alla Costituzione.
Dal reddito di inclusione al reddito di reclusione il passo è breve.
Con un buon filosofo moderno si possono trovare negli articoli della Carta sufficiente supporto per cercare sicurezza sociale nelle caserme e magari nei campi di concentramento.
Appare chiaro che la riuscita dell'evidente tendenza evolutiva della società (mondializzata) che stanno promuovendo, dipenda dalla graduazione nel tempo dei vari step destinati a incastrarsi in modo tale da non suscitare eccessive resistenze.
EliminaHai focalizzato l'aspetto delle tecnologie: il modello mondialista presuppone, almeno all'interno del blocco "occidentale" (geograficamente non più, in proiezione, in senso etnico), una crescita economica molto limitata e a costante bassa inflazione. Il che implica anche una redistribuzione verso l'alto del maggior prodotto e una coerente limitazione della componente demografica: il trend che, per la reazione organizzata della manodopera, non si riuscì a stabilizzate al tempo della "grande depressione" 1873-1895.
L'unico motivo ammissibile di crescita è, e sempre più sarà, quello legato all'applicazione di nuove tecnologie. E, almeno nelle intenzioni, ciò, stavolta, si realizzerà prevenendo qualsiasi chance di riorganizzazione delle masse colpite.
Politicamente, la codificazione di questo drive di (pseudo) crescita viene sempre più consolidata grazie ai "nuovi" partiti e a "nuove" leve politiche.
Risultato, che appare inevitabile: se oggi viene detto "conflitto a bassa intensità" quello che non mobilita l'intera economia e base demografica del paese "attaccante" (e l'attacco bellico, unilterale, diviene nuovamente un evento internazionalmente lecito, il che porterà a dover modificare formalmente anche la Carta ONU...semmai necessario), e che al tempo stesso ha obiettivi selettivi nel paese attaccato (di cui non si predica la debellatio ma solo il mutamento di regime politico o la modifica di atteggiamenti considerati censurabili), con l'ulteriore evoluzione tecnologica, muterà il concetto di "bassa intensità" in quello di "conflitto ad alta distanza e ad alta tecnologia".
Il che porterà ad nuove e mirabili applicazioni dell'arte bellica.
Insomma, come per gli atri settori di produzione, - e in ciò Germania, Giappone e Israele, sono naturalmente "versati"- si dovrebbe logicamente verificare il superamento degli arsenali della maggior parte dei paesi e, comunque, di tutti quelli non inclusi nel "blocco-guida" del mondialismo.
Dal che deriverà il potenziale, e auspicato, uso selettivo (ma ad effetti "di massa") delle tecnologie belliche in qualsiasi parte della terra globalizzata: anche, e non secondariamente, al fine di attuare direttamente la selezione demografica, sulla inevitabile massa divenuta irrecuperabile come "forza lavoro".
E ciò in quanto il surplus di forza lavoro dovuto alla promossa robotizzazione e digitalizzazione dei processi produttivi potrà essere gestita direttamente tramite:
a) provocazione di stati di eccezione diffusi a seguito di disordini etnico-religiosi e politico-sociali portati opportunamente fino al punto da rendere altamente "etico" un intervento di salute pubblica "mondiale";
b) uso di armi robotizzate e azionabili a grande distanza per "risanare" ogni enclave di rivolta o disfunzionalità e per portare efficientemente il livello demografico al numero e alla "qualità" ritenute efficienti.
Dunque, gli eserciti industriali di riserva, col tempo, non dovranno essere più gestiti, ma, eliminando (come sempre sostenuto) il concetto di ciclo economico e di crisi, saranno eticamente soppressiuna volta per tutte.
Dagli tempo...
Siamo arrivati alla completa follia, che ho del resto pregustato in prima persona.
RispondiEliminaDecidono di darti l'elemosina se non hai un lavoro facendoti capire che è colpa tua se non lo trovi, perché quasi certamente sei uno scansafatiche o un incapace; da qui tutta la retorica della tua "attivazione" e di tutti i controlli "rigorosi" sulla tua persona. Nello stesso momento verrà vista come un'azione malsana e deresponsabilizzante verso il singolo quella dello Stato che riduce la disoccupazione creando lavoro attraverso la spesa pubblica. Il progetto di inclusione (o REclusione) è personalizzato proprio perché si affianca ad una deresponsabilizzazione del collettivo e alla scomparsa della società del pieno impiego. Nella società del controllo-colpa adesso esisti solo tu e il tuo coach-carceriere; se non riesci a trovare lavoro o non riesci a creartelo da te è perché non sei stato abbastanza imprenditore di te stesso e/o non ti sei saputo vendere bene e/o non ti sei assunto le tue responsabilità; ad ogni modo LA COLPA È LA TUA, SE FALLISCI NELLA RICERCA DI LAVORO DEVI PRENDERTELA SOLO ED ESCLUSIVAMENTE CON TE STESSO; d'altronde Steve Jobs ce l'ha fatta, se tu non ce la fai allora sei un fallito! Se è rimasta una responsabilità collettiva questa è la tua di percettore del reddito di Reclusione Attiva nei confronti del collettivo formato dai livorosi pagatori di tasse; lo Stato, che non gestirà più nessun servizio pubblico, sarà ridotto ad esattore e dispensatore di elemosine a subumani che saranno ritenuti degni solo dopo i dovuti controlli polizieschi e psichiatrici sui loro corpi e le loro menti; infatti, i livorosi pagatori di sempre più tasse, in regime di pareggio di bilancio, dello Stato come una famiglia, non ti permetteranno mai di percepire un reddito per sopravvivere senza fare un cazzo dalla mattina alla sera mentre loro si spezzano la schiena onestamente chissà quante ore al giorno e per quale paga; piuttosto ti faranno fare i lavori socialmente utili per pochi euro al mese, cioè tutti quei lavori di pubblica utilità che prima lo Stato pagava con stipendi normali a impiegati con contratti a tempo indeterminato. Si, perché CI VUOLE ONESTÀ, BASTA CORROTTI, BABY PENSIONATI, LADRI DELLE NOSTRE TASSE!!
Senza più istruzione, senza più sanità, senza più lavoro garantito, senza più una responsabilità collettiva di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana, verrà plasmato il subumano del futuro, un rozzo plebeo cafone ed ignorante che sarà perennemente controllato con tecnologie sempre più sofisticate e che sarà quindi costantemente giudicato incapace dal club dei "degni", una categoria, quella dei "degni" che, comunque, andrà restringendosi sempre di più; costui, il "non degno", quando non lavorerà, vivrà di elemosine che tanto "magnanimamente" i "degni" gli elargiranno, se non alzerà troppo il gomito, oppure di lavoretti saltuari, orti urbani, ed altri espedienti "imprenditoriali" illegali (magari spaccio di droghe, prostituzione ecc.) pur di poter racimolare qualcosa per sopravvivere. Ma poi arriverà la Guerra, vera igiene malthusiana dei popoli.