mercoledì 22 giugno 2016

BELIEVE ME, ROGER: UK NEEDS DEMOCRACY IN UK AND ITALY NEEDS DEMOCRACY IN ITALY

Luigi Einaudi (a sinistra nella foto), secondo presidente della Repubblica (1948), stringe la mano al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il premier Dc aveva «candidato » al Quirinale il ministro Carlo Sforza

1. Sull'International New Yok Times di venerdì scorso (pag.7), tal Roger Cohen, giornalista britannico, ha scritto un articolo dal titolo "L'Europa ha bisogno della Gran Bretagna". 
Ovviamente si tratta di una peculiare versione del mainstream pro-Remain: il Regno Unito, dice Cohen, con la "dimensione" della sua economia, avrebbe un indispensabile ruolo di contrappeso dello strapotere economico della Germania rispetto ai deboli Stati mediterranei.

E già qui, se si fosse dei lettori dotati di un minimo di conoscenza dei dati storico-economici relativi a ciò che è accaduto, rispettivamente in Italia e in Gran Bretagna, nel secondo dopoguerra, si sarebbe portati a pensare che l'Italia non possa correttamente essere fatta rientrare in questo alveo di Stati "deboli" che UK avrebbe protetto dalla Germania (!) negli ultimi anni (ammesso che un fenomeno del genere si sia mai verificato, cosa che occorrerebbe domandare a greci, portoghesi e spagnoli e andrebbe poi spiegato con precisi dati sia economici che normativo-istituzionali...)
E invece no: il nostro buon Cohen, nel patronizzare i deboli mediterranei si riferisce principalmente all'Italia! Infatti:
"L'Italia del dopoguerra era fragile, lacerata tra l'Ovest e il comunismo, tra lo "scalare le Alpi" e il soccombere del Sud all'inerzia compenetrata di Mafia. L'essere stata membro dell'Unione Europea (sic!) è stato il magnete e l'ancora del paese, assicurandogli un posto nella famiglia occidentale libera e democratica, e attraendola verso la prosperità.
Ora questo ruolo (ndr: che la Gran Bretagna aveva svolto rispetto all'Italia nel dopoguerra) è diretto più cospicuamente verso membri più nuovi dell'Unione. Ma la sua importanza persiste". 
Si sottintende: "persiste" per la stessa debole e mafiosa Italia, altrimenti del tutto schiacciata dalla Germania e incapace, comunque di assicurarsi la democrazia, al di fuori dell'Unione Europea con "dentro" la Gran Bretagna.

2. A molti di voi sarà venuto da ridere, se non altro perché negli anni decisivi del dopoguerra non c'era nessuna Unione Europea e nemmmeno la CEE e, nonostante, ciò, l'Italia visse, in quegli stessi anni, una delle sue più felici fasi di democrazia vissuta e di ripresa economica (in qualche misura, pluriclasse); ad altri, sarà sorta una certa rabbia sconsolata. 
Di sicuro una sparata del genere, proposta a milioni di lettori anglosassoni in tutto il mondo, (per costruire un "consenso" da riversare poi in Italia come slogan tecno-pop, esterofilo e come tale accreditabile al massimo livello), costituisce piuttosto un terrificante luogocomune. Terrificante in senso proprio, cioè che suscita "metus", circa la difficoltà delle relazioni internazionali a fondarsi sulla base di lealtà e rispetto reciproci, e non solo unilateralmente addossati a chi deve obbligatoriamente, e per sempre, interpretare il ruolo servile del "debole"; o del giullare, o del guappo da operetta: sono tutte implicazioni dirette dell'atteggiamento culturale di Cohen.
Può ritenersi praticabile l'idea stessa di un'organizzazione economica internazionale, in cui la considerazione (grosso modo ufficiale) di una parte, che si proclama "incumbent", cioè in partenza più forte (politicamente ed economicamente), verso l'altra parte, che viene definita debole, è quella, acritica, di nutrire il pregiudizio che tale parte debole sia incapace di assicurarsi la democrazia e sia tendente al criminale?

Più ancora, è possibile che esista, e anzi si sia rafforzata, una superficialità così drastica e riduttiva nella concezione che gli anglosassoni hanno, ancor oggi, dell'Italia e della sua storia recente?

3. Sul pericolo comunista in Italia nel dopoguerra, a smentita della fantasiosa ricostruzione del Cohen, riportiamo poche cose essenziali.
Assemblea costituente 02/06/1946 - Italia[1]
Elettori: 28 005 449 - Votanti: 24 947 187 (89,08%)
Liste/GruppiVoti %Seggi
Democrazia Cristiana (DC)8 101 00435,21207
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP)4 758 12920,68115
Partito Comunista Italiano (PCI)4 356 68618,93104
Unione Democratica Nazionale (UDN)1 560 6386,7841
Fronte dell'Uomo Qualunque (UQ)1 211 9565,2730
Partito Repubblicano Italiano (PRI)1 003 0074,3623
Blocco Nazionale della Libertà (BNL)637 3282,7716
Partito d'Azione (Pd'A)334 7481,457
Movimento Indipendentista Siciliano (MIS)171 2010,744
Concentrazione Democratica Repubblicana97 6900,422
Partito Sardo d'Azione78 5540,342
Partito dei Contadini d'Italia102 3930,441
Movimento Unionista Italiano71 0210,311
Partito Cristiano Sociale51 0880,221
Partito Democratico del Lavoro40 6330,181
Fronte Democratico Progressista Repubblicano21 8530,091
ALTRE LISTE412 5501,790
TOTALI VOTI VALIDI23 010 479100,00556
SCHEDE NULLE1 936 708

DI CUI BIANCHE643 067

TOTALE VOTANTI24 947 187

"Visto che s’è menzionato De Gasperi, parto col suo celebre discorso del maggio ’47, quando annunciò la crisi del governo di unità nazionale: il discorso del “quarto partito” (in Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pag. 40):
i voti non sono tutto (...). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo (...) i rappresentanti di questo quarto partito
Prosegue Graziani (pag. 41): 
Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d'Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell'Industria andarono rispettivamente a Pela e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947.
Una testimonianza che esclude qualsiasi ombra legata ad un pericolo di passaggio dell'Italia nel Comunismo e, considerando la forte caratterizzazione della democrazia italiana nell'esperienza Costituente, esclude pure che il pericolo per il rispetto delle procedure e dei valori democratici affermati in Costituzione, arrivasse da movimenti popolari, meno che mai "comunisti":
"Varrebbe certamente la pena di ricostruire più attentamente di quanto non si sia ancora fatto, il dibattito in Assemblea Costituente e i contributi di Einaudi, che peraltro abbracciarono campi importanti di interesse generale al di là dei "rapporti economici" (titolo III della prima parte della Carta) e del pur cruciale articolo 81. Interessante, e suggestiva, è l'interpretazione che in Cinquant’anni di vita italiana ci ha lasciato Guido Carli: secondo il quale «la parte economica della Costituzione risultò sbilanciata a favore delle due culture dominanti, cattolica e marxista», MA NELLO STESSO TEMPO, TRA IL 1946 E IL 1947, «DE GASPERI ED EINAUDI AVEVANO COSTRUITO IN POCHI MESI UNA SORTA DI "COSTITUZIONE ECONOMICA" CHE AVEVANO POSTO PERÒ AL SICURO, AL DI FUORI DELLA DISCUSSIONE IN SEDE DI ASSEMBLEA COSTITUENTE». SI TRATTÒ DI UNA STRATEGIA «NATA E GESTITA TRA LA BANCA D'ITALIA E IL GOVERNO», MIRATA ALLA STABILIZZAZIONE, ANCORATA A UNA VISIONE DI "STATO MINIMO", E APERTA ALLE REGOLE E ALLE ISTITUZIONI MONETARIE INTERNAZIONALI."
3.3.1.) In termini di legalità e democrazia costituzionali, secondo la stessa testimonianza, i pericoli sono semmai arrivati dal processo comunitario e europeo:
In effetti, benché, per usare le espressioni di Carli, quel che accomunava in Assemblea Costituente la concezione cattolica e la concezione marxista fosse «il disconoscimento del mercato», l'azione di governo fu già nei primi anni della Repubblica segnata da scelte di demolizione dell'autarchia, di liberalizzazione degli scambi e infine di collocazione dell'Italia nel processo di integrazione europea. 
E con i Trattati di Roma del 1957 e la nascita del Mercato Comune, furono riconosciuti e assunti dall'Italia i fondamenti dell'economia di mercato, i principi della libera circolazione (merci, persone, servizi e capitali), LE REGOLE DELLA CONCORRENZA; QUELLE CHE ANCOR OGGI VENGONO DENUNCIATE COME OMISSIONI O COME CHIUSURE SCHEMATICHE PROPRIE DELLA TRATTAZIONE DEI "RAPPORTI ECONOMICI" NELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA, VENNERO SUPERATE NEL CROGIUOLO DELLA COSTRUZIONE COMUNITARIA e del diritto comunitario. NELL'ACCOGLIMENTO E NELLO SVILUPPO DI QUELLA COSTRUZIONE, SI RICONOBBE VIA VIA ANCHE LA SINISTRA, PRIMA QUELLA SOCIALISTA E POI QUELLA COMUNISTA.
4. Sulla mafiosità antropologica degli italiani del Sud e, in generale degli italiani, secondo gli anglosassoni (che conducendo il mainstream dell'informazione, hanno trasmesso al resto del mondo questo bel preconcetto sugli italiani, condito di folclore cinematografico), il discorso sarebbe (inutilmente) lungo: mi basti richiamare il principio che la criminalità organizzata è un effetto non una causa della mancanza di democrazia economica e di piena attuazione del modello interventista dello Stato (tanto detestato da Einaudi), improntato alla eguaglianza sostanziale
Dove infatti c'è riequilibrio delle opportunità sociali, - quindi investimenti in infrastrutture coordinati a politiche industriali territoriali, nei modi che la Costituzione avrebbe imposto (cioè quelli di cui parlava Caffè, qui p.9,  e non quelle messe in pratica fuori dal quadro effettivo della costituzione economica)- le mafie perdono di senso e non si differenziano molto dalla diffusa criminalità che, su tipici affari illeciti "internazionali", contraddistingue oggi il Regno Unito forse più dell'Italia:
"Questo è un dibattito che può incartarsi facilmente: la verità è che, come dimostra più di un intervento, i dati su cui ragionare significativamente partono dal 1871 (e quindi già sono falsati da elementi politici determinanti) o tutt'al più aggregano dal 1861 (il che non consente di cogliere i trend di espansione pregressi, che pure sono determinanti).
Ma il punto è un altro ancora: condizioni concrete di sviluppo industriale del sud, autonomo dall'Unità d'Italia, c'erano o no?
La risposta è, in termini ragionevoli e prudenti, "sì".
Condizioni geo-politiche perchè questo avvenisse a lungo termine, come in effetti era necessario, invece, altrettanto ragionevolmente, "no".
Ora: supponendo una certa affidabilità di questa aporia (apparente, si tratta di fatti riconoscibili a posteriori), l'unità ha portato certamente più giovamento al nord che al sud.
 
Era tutto ciò rimediabile con il raggiungimento della piena democrazia (pluriclasse e redistributiva)?
Anche qui la risposta potrebbe essere positiva (v.qui p.4)
: ma al tempo stesso, dobbiamo ammettere che nel secondo dopoguerra, - la golden age dello Stato interventista, non ancora "disciolto" nella irresistibile vena neo-liberista globale-, lo stesso Stato fu costretto ad agire in modo rapido e imperfetto.
Qualsiasi serio discorso ora è stato interrotto sotto l'imperio dell'euro-modello
Chi avesse dubbi su ciò, fermandosi ad una presunta realtà antropologica, si troverebbe nella stessa posizione attuale dei tedeschi verso i Med.

Insomma, alla fine dei giochi, anche il riprendere un cammino risulta difficile per il profondo radicamente "autoctono" della vulgata neo-liberista. E l'ordoliberismo, cioè la capture delle istituzioni democratiche da parte delle forze liberoscambiste, costituisce uno schermo molto più insidioso a qualsiasi soluzione operativa di quanto non si creda.
Contrariamente a quanto, con disappunto rabbioso o disperato, si creda nel senso comune, le forme di corruzione e di criminalità territoriale meridionali sono molto più effetti che cause del problema
Personalmente, ritengo che non ci sia una formula "ideale" di accumulazione capitalista che sia compatibile con la legalità "pro tempore": e ciò vale a maggior ragione per l'altissimo livello di legalità in senso sostanziale richiesto dalla realizzazione del programma costituzionale post 48. 
Ciò implica che repressione (della criminalità) e risanamento economico-sociale non possano che andare di pari passo mediante un intenso programma di intervento pubblico; che cioè agisca strutturalmente, e in modo sostenuto, nel rafforzamento dell'apparato di garanzia della legalità INSIEME con politiche industriali COORDINATE col primo aspetto.
In apparenza la via intrapresa negli anni '80, assomigliava a questa tenaglia; ma aveva il semplice inconveniente di essere "emergenziale", cioè finanziata a tempo, e, al tempo stesso, anche insufficiente nel volume, una volta intrapresa la via della banca centrale indipendente "pura".
E torniamo sempre allo stesso punto: l'espansione del mercato interno, l'adeguamento infrastrutturale, esigevano un riequilibrio fiscale dal lavoro alle attività "autonome", per rendere ciò finanziariamente praticabile (cioè sostenibile senza danni per l'equilibrio dei conti con l'estero)

Ma tutto ciò NON FU FATTO PROPRIO PERCHE' SI SCELSE LA VIA DEL VINCOLO ESTERNO E DELLA BC INDIPENDENTE: l'interesse nazionale unitario era già minato da tutto ciò.
La stessa via del trasferimento fiscale ne risultò alterata concettualmente: si legava, per sempre, a uno standard "morale" che anche le discussioni qui in parte registrate confermano. Ma nella eradicazione delle differenze strutturali non c'è alcuna indulgenza morale alla presunta debolezza (morale) di alcuno: si tratta solo di capire o meno in che consista la proiezione fiscale, INEVITABILE, della EGUAGLIANZA SOSTANZIALE (quella cui fa variamente riferimento Rawls)".
 

34 commenti:

  1. Risposte
    1. Comunque questa è una buona occasione per ribadire come anche uscire dall'UE sia condizione necessaria, ma non sufficiente per applicare le misure previste dalla nostra Costituzione nel senso di uno "Stato sociale" che veda nell'uguaglianza sostanziale dei suoi cittadini la causa prima e il fine ultimo della propria legittimità ed esistenza ("E’ forse utile ricordare che con ‘stato sociale’, nella fase socialdemocratica dell'accumulazione
      capitalistica, non ci si riferiva all’accezione anglosassone del termine oggi in voga – aiuto alle fasce marginali della popolazione finalizzato a garantire le forme più elementari di stabilità sociale – quanto piuttosto alla socializzazione di una quota del monte salari"): in una parola, la sua essenza.

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    2. Fai bene a rammentare ciò che è stato detto fin dagli inizi di questo blog.
      Il welfare connesso allo Stato democratico pluriclasse, basato sull'eguaglianza sostanziale, non coincide con il welfare liberal-liberista proprio della maggior parte della storia capitalistica anglosassone: un welfare, quest'ultimo, basato sull'idea "compassionevole" di soccorrere per mano pubblica, in via surrogatoria e residuale (rispetto alla carità privata), il bisognoso e l'indigente per evitare che i loro atti di disperazione sconvolgano l'ordine sociale (propizio allo svolgersi delle forze del mercato).

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    3. E anche questo i costituzionalisti lo sapevano e lo dicevano: “Giacché il principio della pubblica assistenza, pur rappresentando certamente un passo avanti rispetto alla beneficenza privata, si inquadra peraltro nel clima umanitaristico dell’epoca; era, in pratica, l’unico mezzo per alleviare il disagio dei meno abbienti senza venir meno ai principi fondamentali del nuovo ordinamento liberale borghese realizzato o confermato e consacrato da quelle Costituzioni. Tra tutte le possibili forme di intervento statale nella sfera dei rapporti economico-sociali, era ed è dunque, indubbiamente, il meno penetrante, il più consono alle ideologie allora imperanti, il meno compromettente.”

      Nella Costituzione del '48, invece, non si tratta più del “concetto, vago e genericamente umanitaristico, dell’assistenza dovuta dalla collettività ai cittadini bisognosi, del rimedio al pauperismo, come nei primi accenni contenuti nelle vecchie Costituzioni che abbiamo rapidamente richiamato al par. precedente; ma è proprio l’affermazione di principio del diritto dei cittadini, ed in modo speciale dei cittadini in quanto lavoratori, a certe determinate prestazioni, in largo senso, assistenziali; diritto che, di solito, si configura sistematicamente come integrativo del fondamentale diritto al lavoro e all’attuazione del quale vengono chiamate a corrispondere, almeno in larga parte, le leggi e le istituzioni « previdenziali »”. (V. Crisafulli, Costituzione e prevenzione sociale, Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 1950, n. 1 (gennaio-febbraio), ora in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffè, Milano, 1952, pagg. 122 e 125).


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    4. Il socialista moderato (sempre più nel tempo) Crisafulli - e, va detto, allievo di Santi Romano- viene considerato, a sua volta, maestro di Livio Paladin e Lorenza Carlassarre.
      Quando parlava della Costituzione ne intendeva il testo secondo canoni intepretativi "normali": cioè tecnicamente conformi all'alto livello del diritto italiano di quel '900 "dommatico" che, pure, ebbe un ruolo determinante nel conservare la cultura dello Stato di diritto proprio durante il fascismo, consegnandola agli italiani "liberati" come una tradizione viva.

      A sua volta, non tutti rammentano, ad esempio, che anche Einaudi era laureato in legge (nel 1895), sia pure seguendo la scuola di economia di Salvatore Cognetti de Martiis, di ispirazione socialista; come socialista era il suo iniziale riferimento politico, cioè lo stesso Turati.
      Poi seguì un distacco drastico e Nitti lo fa nominare senatore del Regno nel 1919. A ciò seguì la vicinanza alle politiche di De Stefani, l'opposizione al fascismo post delitto Matteotti, la perdita di due cattedre su tre, e via fino alla "reinterpretazione", extra lavori dell'Assemblea, della Costituzione del 1948, quale indicataci da Francesco in un recento commento..
      https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Einaudi

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    5. La solida lezione romaniana è il fondamento dell'elaborazione di Crisafulli.
      Adesso invece va l'interpretazione "per valori": “All’emersione dei valori corrisponde un parallelo declino dei principi. I quali, o vengono trascurati, o, più semplicemente, vengono identificati con i valori. Nella letteratura più recente è, infatti, frequente l’equazione tra le due entità. Con la conseguenza che la ricorrente formula «principi e valori costituzionali» viene sempre più spesso intesa come un’endiadi.
      Tali orientamenti denunciano una progressiva perdita di percezione del senso dei principi, la quale è confermata dal fatto che di questi ultimi vengano sovente date definizioni che sono ben lontane dalla nozione giuridicamente più rigorosa. In una ricognizione della metà degli anni ’80
      [guarda, guarda...il momento sarà casuale?], ad esempio, Riccardo Guastini individuava, nell’uso dei giuristi italiani, alcune accezioni del termine prive di qualsiasi legame con la configurazione tradizionale. Si pensi - in particolare - all’identificazione dei principi con le norme costituzionali o con le regole sull’interpretazione e l’applicazione delle norme. E, più di recente, Gustavo Zagrebelsky ha sostenuto che vada reciso ogni legame tra i principi e le norme (o regole), poiché i primi, a differenza delle seconde, mancherebbero di fattispecie. Onde la drastica conclusione che, mentre alle regole «si obbedisce», ai principi «si aderisce».
      Queste impostazioni, o dilatano eccessivamente il concetto di cui fanno uso, privandolo, così, di ogni capacità definitoria, o, attraendo i principi nell’orbita dei valori, si lasciano sfuggire il proprium dei principi stessi. I quali - come risulta da un’elaborazione più che cinquantennale, avviata, tra i costituzionalisti italiani, soprattutto da Vezio Crisafulli -, qualificando la realtà in termini di dover essere, si configurano - a tutti gli effetti - come strutture prescrittive.”
      (A. D'Atena, Lezioni di diritto costituzionale, Giappichelli, 2012, Torino, pagg. 15-16).

      Certo, per rendere altisonanti e pensosi omaggi a un testo che si intende ignorare nella sua effettiva portata prescrittiva è una tecnica piuttosto efficace.

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    6. È evidente che l'attacco alla Costituzione è avvenuto in primis in senso pregiuridico, in modo da manipolare a favore del potere dominante la precomprensione nell'analisi dei testi normativi.

      A livello tecnico-giuridico sono in mezzo a fuoriclasse: mi limito a considerare genericamente che, tramite le leve strutturali del potere reale, il capitale finanziario e liberista - nella sua essenza fenomenica di ingiustizia [sociale] assoluta, non può che assolutamente destrutturare - relativizzando - l'etica sociale.

      Ciò che viene attaccato, manipolando le deboli menti del giurista internazionalista-fognatore o di coloro che hanno evidenti problemi di relazione con la parte Yin dell'esistenza - tipo Bognetti - che pensa che sia "virile" lo Stato minimo liberista, è la dimensione etica sostanziale dello Stato costituzionale di diritto.

      (La Costituzione come ipostatizzazione dell'etica sociale)

      La dimensioe etica assume nelle costituzioni del dopoguerra un ruolo soverchiante: l'attualizzazione dello Stato etico hegeliano?

      Bene: ma i princìpi sono già il risultato sintetico di una scelta valoriale; una scelta che presuppone che i valori siano confliggenti e si sia arrivati ad un compromesso.

      Questo "compromesso" è quello su cui si fonda la comunità sociale e si manifesta come insieme di principi prescrittivi, da cui hanno origine le norme vere e proprie.

      Ma cosa materialmente definisce il rapporto tra i principi fondamentali e la struttura giuridica? la struttura economica e i rapporti di produzione che implica.

      Si puà far della filosofia morale, politica e del diritto in un contesto epistemologicamente avulso dalla teoria economica? Ha senso parlare di economia senza parlar di filosofia morale o di etica sociale senza parlar di economia?

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    7. A quanto pare sì:

      «Questa concezione del bilanciamento, e in generale della dimensione etica sostanziale dello Stato costituzionale di diritto, è solidale con una forma radicale di pluralismo etico (riconducibile alle idee di I. Berlin, e prima ancora di M.Weber e F.Nietzsche [leggi "relativismo morale" da contrapporre allo Stato etico hegeliano, ndr]): i valori, le ragioni d’azione (e, dunque, i diritti, i principi, ecc.) sono molteplici, confliggenti, incommensurabili, indeterminati. Il mondo dei valori, delle ragioni d’azione, e degli ideali sociali e politici è un pantheon politeista: l’universo etico è un universo irriducibilmente plurale, popolato da una molteplicità di valori, e ideali, che inevitabilmente entrano in conflitto gli uni con gli altri. Nulla garantisce che questi valori indichino, concordemente, un’unica direzione alle nostre scelte e alle nostre azioni: che essi, di volta in volta, vengano a comporre un tutto coerente, armonizzandosi gli uni con gli altri. Al contrario: gran parte delle scelte umane – alcune fra le scelte più significative – sono scelte tragiche, in situazioni nelle quali non si può far altro che sacrificare, in tutto o in parte, alcuni valori, in vista della promozione di altri (assumendosi, per di più, la responsabilità di tali scelte, e rassegnandosi all’ineluttabilità del rimpianto).
      Ciò non vuol dire, si badi bene, che non vi siano soluzioni corrette, o non vi siano soluzioni migliori di altre. Questa concezione, particolarista, del bilanciamento è compatibile, in primo luogo, con l’assunto che vi siano casi paradigmatici (sebbene anch’essi possano, talvolta, essere sovvertiti). E, in secondo luogo, è compatibile con la possibilità e la sensatezza dell’indagine etica sostanziale – specificamente, con una concezione olistica e coerentista dell’argomentazione etica sostanziale. Una concezione particolarista del bilanciamento, insomma, non esclude la possibilità, e la legittimità, di generalizzazioni: proiezioni, o estrapolazioni, da casi passati (o attuali) a casi futuri (o possibili). Ma nulla garantisce che le nostre generalizzazioni colgano nel segno – che non si rivelino, inaspettatamente, bisognose di revisione.
      »

      Insomma, dopo aver scartato Nozick, finisce per rottamare quello che Lelio Basso definiva "l'equilibrio armonico della Costituzione": se i principi confliggono significa che confliggono anche le norme: e lo stato minimo liberista di Nozick, fondato sul relativismo morale atomizzante, ti rientra dalla finestra... e che deflazione, crescita zero e ingiustizia sociale sia.

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    8. Tento di legare le sempre interessanti riflessioni di Arturo e Bazaar. In fondo si tratta del relativismo assiologico strisciante anche in campo giuridico: “… c’è o non c’è verità e falsità in materia assiologica e pratica? Possono i giudizi di valore essere veri o falsi, e mostrati fino a prova contraria, quindi giustificati? E le norme, che palesemente a giudizi di valori rinviano, possono sulla base della verità o falsità di questi, essere a loro volta mostrate adeguate in qualche modo e quindi giustificate? …l’idea più corrente tra filosofi e giuristi è ancora che non ci sia verità e falsità in materia di valori e di norme, anche i migliori maestri - …come Bobbio – sono arrivati a conclusioni scettiche, mai smentite nonostante aggiustamenti vari, riguardo al problema del fondamento dei diritti umani. Con una certa tendenza a fare di necessità virtù, Bobbio aggiunge alla tesi che non è possibile fondazione razionale dei diritti umani la tesi – davvero sorprendente – che una tale fondazione non sia neppure auspicabile. …Il relativismo si presenta come bandiera di tolleranza e laicità, e come la sola posizione coerente con il pluralismo culturale e valoriale delle nostre società…Ci si può rendere conto di quanto pesi questa eredità scettica quando se ne ritrovano le tracce là dove non ce la si aspetterebbe mai: nel cuore della sapienza giuridica più sensibile alle derive autoritarie contro le quali è stata scritta la nostra Costituzione…”; e dopo aver citato G. Zagrebelsky come studioso che ha rigettato la tesi giuspositivista secondo la quale l’ordinamento legittimo è quello effettivo, l’Autrice continua affermando “…cominciamo già a provare molto stupore leggendo dello stesso autore che “l’etica dei valori è quella della potenza”, perché il valore deve valere e perciò contiene l’autorizzazione all’azione o al giudizio. …Non contiene un preventivo criterio di legittimità dell’azione o del giudizio”. Infatti “i valori sono fini”, e il fine “giustifica i mezzi”; e allora “il più nobile valore può giustificare la più abietta delle azioni” (in nota, G. Zagrebelsky, La legge e la giustizia, cit. pp. 206 ss). Ma come, ci viene spontaneo chiederci, la giustizia non era un valore? E non è un valore la dignità della persona che giustifica il principio della sua intangibilità, e il diritto all’eguale considerazione e rispetto? Che altro è un valore se non la qualità che rende buono un bene, e come mai dovrebbe essere questa qualità, e non determinati comportamenti, del tutto inadeguati al contenuto dello stesso valore, ad aver colpa della violenza o dell’irresponsabilità delle azioni?” [R. DE MONTINCELLI, La questione morale, Cortina Editore,2010, pagg. 102-125].

      Tutti gli atti “fondativi” sono radicali in materia assiologica, che se ne abbia coscienza o meno, e la Costituzione non fa eccezione. Semplicemente perché l’essenziale – razionalmente e non per opinione - è assoluto e non è relativo. Tra l’altro, come atto fondativo, la Costituzione ha un quid pluris tipico del fenomeno giuridico, ovvero normatività e precettività (non c’è relativismo che tenga). Ogni operazione intellettuale (in buona o in mala fede) tendente a “decaffeinare” un atto fondativo, privandolo della sua assolutezza assiologica, lo sterilizza e porta sempre al peggio di cui il classismo menzionato da Bazaar (con tutte le sue proiezioni evidenziate) è il risultato più evidente

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    9. E sì, non ha neppure senso parlare di filosofia morale senza parlare di economia.
      Infatti, come ci siamo detti tante volte, Smith era considerato un filosofo morale.
      E troppi laureati in legge sono divenuti economisti per poter interpretare "eticamente" le norme in base a crociate moralistiche che ricalcavano gli interessi economici dei più forti.

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    10. Come sapete vi vojo molto bene: ma non trasformiamo questo blog in un luogo di discussione su filosofi che vogliono fare i giuristi e giuristi che vogliono fare i filosofi.

      Rischiamo con ciò di fare da cassa di risonanza a teorie la cui contraddittorietà e illogicità sono ripetitivamente palesi e che andrebbero qui evidenziate secondo un criterio di "rilevanza": cioè se realmente indispensabili a spiegare il tema di cui ci stiamo di volta in volta occupando.

      Altrimenti, diamo per acquisito che, nella società di massa, tecno-pop, anche l'accademia non può che produrre una mole sterminata di lavori che sono esattamente funzionali al linguaggio e agli scopi politici impliciti del neo-liberismo dilagante. E questo in quanto ciò influise sul sistema dell'assegnazione di ricerche, abilitazioni, cattedre e valutazione scientifica.
      Com'è tristemente ovvio.

      Per dire, aprendo un qualsiasi libro, anche di scienza delle costruzioni o di storia antica, nel periodo del fascismo, era inevitabile imbattersi in un qualche panegirico del Duce e del progresso legato al sistema corporativo, proiettato verso gli Alti destini dell'Impero, etc. etc...

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  2. Ma certo, se non ci fossimo aggrappati all’€uropa, saremmo alla mercè di qualche padrino con la coppola. Da siciliano e figlio di un operaio emigrante, certe banalità mi lasciano senza parole. Cosa ne sa questo sconosciuto di cosa fosse l’Italia nel dopoguerra e soprattutto al sud? E che gravi pericoli correremmo se oggi uscissimo dall’€uro: “… Il pericolo di un nuovo “golpe” (ndr., mafioso), quindi, non è per nulla scongiurato. Tutt’altro. POTREBBE RIPRESENTARSI IN TUTTA LA SUA DEVASTANTE POTENZA PROPRIO SE IL NOSTRO PAESE DECIDESSE DI ABBANDONARE L’EUROPA E L’EURO. La superpotenza della Mafia Spa, nel caso di un ritorno alla lira, aumenterebbe infatti in modo esponenziale. Il potere d’acquisto delle immense disponibilità liquide in suo possesso - che sono in euro e in dollari e che si trovano fuori dal nostro Paese - si triplicherebbe. …Che questa Europa sia da riformare non vi è alcun dubbio. Ma se è vero questo, vero è anche che l’Europa, allo stato attuale delle cose, è l’unica nostra ancora di salvezza. IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE EUROPEO HA COSTRETTO E COSTRINGE I SISTEMI DI POTERE NOSTRANI A FARE I CONTI CON LE CLASSI DIRIGENTI DEGLI ALTRI STATI MEMBRI, CHE SONO ANTROPOLOGICAMENTE DIVERSI DAL NOSTRO (!) E CHE CI IMPONGONO DI ADEGUARE LA NOSTRA LEGISLAZIONE A QUELLA COMUNITARIA. Ed è un fatto, solo per citare un esempio, che le uniche norme serie contro la corruzione sono quelle approvate dal nostro Parlamento solo ed esclusivamente perché costretto dagli obblighi assunti con il Parlamento Europeo…” (http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/35321-uscire-dalleuro-significa-sostenere-la-mafia.html.).
    Se sono gli stessi italiani a dipingersi antropologicamente inferiori, qualsiasi Cohen di turno – nell’assoluta ignoranza – sarà sempre legittimato a riproporre certi stereotipi ben radicati nei cervelli tecno-pop i quali, anzi, in certe supercazzole trovano conferma della loro debolezza. Tutti questi tromboni rileggano e studino Gramsci e le sue riflessioni sulla Questione meridionale. (segue)

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    1. Che poi, dai, la questione mafiosa in Italia ha due milestones: la riorganizzazione nel dopoguerra in funzione anti-comunista da parte di OSS, CIA e vari english speaking... e quella legata all'esplosione del traffico internazionale di stupefacenti dopo la grande controrivoluzione neoliberale.

      Ricordando che è arcinoto che i Servizi - in primis quelli angloamericani - sono da decenni sui giornali per gli scandali connessi al narcotraffico, e, per motivi strutturali, il contante prima o poi va ad ingrassare i banchieri: inutile dire quali sono le più grandi banche che possono godere di codesto denaro che - come ricordavano i nostri Padri - non olet.

      Ora: la struttura familistica e amorale ("familismo amorale" che, ricordo, è brand che nasce in ambienti neoliberisti e nella propaganda britannica ritagliata per la colonia Italia, prima ancora che in USA) della mafia italiana, ricalca - per filo e per segno - quelle che noi, avvalorando la tesi di Trasimaco, chiamiamo "élite".

      Sì, perché sia quella capitalistico finanziaria che quella storica nobiliare-terriera, non solo è antropologicamente organizzata similmente, ma ne adotta i medesimi valori.

      Ma quali "valori"? La familistica Mafia è... amorale!

      O no?

      O una morale, magari meno marcata rispetto all'archetipo nobiliare-finanziario, ce l'ha?

      Mi ricordo nell'interrogatorio di un picciotto lo stupore che provai quando descrisse la crudeltà di Totò Riina: mentre progettavano un attentato dinamitardo in una spiaggia, il picciotto fece notare al capo di Cosa Nostra che ci sarebbero potuti essere "dei bambini".

      (Be', sappiamo che, essendo la Mafia una volta legata al territorio, doveva essere un poco populista...)

      Be', il picciotto asserisce di essere rimasto sconvolto perché Riina rispose: «secondo te cosa pensi che sta succedendo ai bambini della Bosnia?»

      All'epoca rabbrividii.

      Ora capisco che, semplicemente, Riina aveva ragione, e se era diventato così potente era perché aveva capito nel profondo come funziona il mondo.

      Cosa è l'esercito di Cosa Nostra rispetto a quello della NATO? A chi risponde l'esercito della NATO a guida angloamericana? Al popolo?

      Quanti morti hanno fatto eserciti e politiche deflattive negli ultimi secoli?

      Qual è la ligua della Cupola di tutte le cupole?

      Forse il siciliano?

      Che differenza c'è tra l'etica del Landlord e quella del misero apprendista mafioso con la quinta elementare?

      Lo dico io, con le parole di Platone:

      «A coloro che, ciascuno nel proprio àmbito, si rendono colpevoli di simili misfatti contro giustizia si dà il nome di sacrileghi, di schiavisti, di sfondamuri, di rapinatori, di ladri.

      [O di mafiosi]

      Ma quando uno, oltre che delle sostanze dei cittadini, s'impadronisce delle loro persone e se ne serve come di schiavi, anziché ricevere questi turpi titoli, ecco che è chiamato felice e beato non soltanto dai concittadini, ma anche quanti vengono a sapere che ha realizzato l'ingiustizia assoluta.
      »

      Ovvero: coloro che realizzano "l'ingiustizia assoluta" vengono chiamati "élite".

      E questa élite notoriamente non parla italiano.



      (Sarebbe ora di iniziare a chiameremo le classi dominanti con il loro nome.... perché, come san particolarmente bene gli ebrei oltre i Goebbels anglosassoni, anche il nome è sostanza)

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    2. E il bello è che, a dispetto del nostro cronista di mafie altrui, enl link, inserito nel post, relativo alla colossale organizzazione inglese per il traffico della droga, "The Cartel", si è coscienti della precisa relazione tra disoccupazione giovanile, politiche economiche neo-liberiste di austerità, e inesauribile base di manovalanza per tali attività di traffico illecito. In Inghilterra...Dentro l'UE

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  3. Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia del 2011 (http://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/commissioni/bicamerali/antimafiaXVI/STENOGRAFICI/Reso.steno.%20n.%2078%20del%2031.5.2011.pdf): solo uno dei commissari affermava “…Credo che non sia sbagliato sottolineare l'importanza di avviare una serie di riforme sociali che possano contrastare alla radice la devianza criminale che si annida nell'anomia sociale e in regole di comportamenti che hanno purtroppo una lunga storia nel nostro Paese. C'è bisogno di riforme sociali, di riconoscimento dei diritti fondamentali, di diritto al lavoro; ... Non è pleonastico ricordare in questa sede che i primi omicidi di mafia nel dopoguerra furono compiuti contro dirigenti del sindacato della CGIL. Se si facesse un'attenta analisi di tali omicidi, si constaterebbe come decine e decine di militanti e dirigenti della CGIL furono uccisi proprio per contrastare alcune riforme sociali fondamentali. Mi vengono alla mente le battaglie dei contadini che rivendicavano la terra, le jacquerie con in mano la Costituzione della Repubblica per rivendicare il diritto al lavoro e la lotta al latifondo. Non v'è dubbio alcuno che le radici di quel male antico ed oscuro risiedano in radicate ingiustizie sociali…Sarei molto attento ad enfatizzare che l'Italia al Nord, al Centro e al Sud non abbia aree che non siano state infestate da organizzazioni mafiose…. L'Italia non è questa: l'Italia è un Paese di persone perbene, di lavoratori che, sconfitti da una guerra (la seconda guerra mondiale), hanno saputo ricostruire con il lavoro, l'intelligenza e la costanza un Paese che è una delle potenze più industrializzate del mondo”. Basta solo richiamare in questa sede l’analisi gramsciana sulla questione meridionale per capire che è sempre un problema di lotta di classe.
    Per il resto, di Costituzione e di uguaglianza sostanziale nemmeno l’ombra, completamente rimossa.

    (Erano gli anni ’90 e sentivo mio padre – con la sua quinta elementare - lamentarsi del fatto che non si riusciva a mettere più da parte una lira. Io studiavo diritto costituzionale e non capivo una cippa. Sono certo che la pagheranno tutti, se non in questa in un’altra vita)

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    1. Ma hai notato che la "singolare" teoria sul "golpe della mafia" in caso di euro-exit, presuppone che, durante l'applicazione di tale paradigma monetario, la capacità di guadagno, e quella di esportazione di capitali riciclati, della stessa mafia, siano enormemente aumentati, cioè necessariamente divenute maggiori che in precedenza?

      Se così non fosse, stando a una tale confusa tesi, le mafie avrebbero avuto, già prima della moneta unica, una siffatta capacità di esportazione e di accumulo all'estero in valuta pregiata dotata di attitudine a rivalutarsi sulla lira e ad aumentare la sua capacità di "acquisto". Non ci sarebbe motivo, infatti, secondo questa singolare tesi, per cui, in precedenza, tale accumulo estero di valuta pregiata da riciclaggio avrebbe dovuto essere minore, ignorandosi gli effetti del regime di repressione finanziaria.

      Ma se, in coerenza integrale di tale tesi, si dovesse affermare che la valuta nazionale favorisce sempre e comunque le mafie, ne discenderebbe che queste avrebbero esercitato il loro potere (indisturbato per decenni) per conquistarsi una preminenza economico-politica.
      Il che dovrebbe, per necessaria, anzi inevitabile, conseguenza logica, portare a dire che la mafia abbia spinto, in forza di tale "enorme" potere (appunto legato alla circolazione della lira), ad adottare le più importanti decisioni politico-economiche in effetti prese prima di "entrare in €uropa": tra cui, oggettivamente, per importanza prioritaria, quelle di aderire all'UE e alla moneta unica

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    2. Grazie. La Sua analisi non fa una piega e, onestamente, non avevo colto subito tutta la confusione logica - tendente all'assurdo- insita in quell'articolo. A dimostrazione che l'errore rimane sempre un errore (come l'€uro), comunque lo si voglia abbellire. Quando si dice professionisti dell'antimafia

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    3. Molti anni fa, quando esisteva ancora la Finsider (che all'epoca perdeva, e anche parecchio) l'ing. De Benedetti disse all'avv. Sette, allora presidente dell'Iri: «Ma non si rende conto che alla Finsider avete 10 mila occupati di troppo?». Sette si limitò a scuotere la testa. Dopo la privatizzazione, la siderurgia ha perso più di 10 mila occupati; e lo spazio rimasto vuoto a Bagnoli e a Taranto è stato riempito dalla camorra e dalla Sacra corona unita. Con quale vantaggio per il paese, non si sa.

      E questo ci permette di toccare l'ultimo punto: ammettiamo che un sistema altamente competitivo, completamente privatizzato, dominato da una selezione di tipo darwiniano, porti alla massimizzazione della crescita del Pil. Ma è questo un fine in sé, o stiamo confondendo un fine con un mezzo? Bene la crescita del Pil, se questo porta a un diffuso miglioramento delle condizioni di reddito e di vita della maggioranza dei cittadini; male se un ristretto numero di privilegiati vede accrescersi di molto i propri redditi, e la maggioranza assiste impotente a una crescente precarietà, alla riduzione del suo tenore di vita, all'ampliarsi delle disparità sociali.

      Alla luce di quanto stiamo vedendo, e di quel che si è detto, in Italia abbiamo privatizzato abbastanza, e probabilmente troppo. Adesso, per favore, basta.

      Duccio Valori è ex condirettore centrale dell'Iri Da il manifesto del 24 aprile 2007 http://archivio.eddyburg.it/article/articleview/8847/0/19/

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    4. @Guido...

      "Bene la crescita del Pil, se questo porta a un diffuso miglioramento delle condizioni di reddito e di vita della maggioranza dei cittadini; male se un ristretto numero di privilegiati vede accrescersi di molto i propri redditi, e la maggioranza assiste impotente a una crescente precarietà, alla riduzione del suo tenore di vita, all'ampliarsi delle disparità sociali".

      Per quanto utilizzate in un'argomentazione per semi-assurdo, certe tesi sono sempre fonte di potenziale confusione e inquinamento del discorso: lasciar passare anche solo indirettamente e come possibilità puramente teorica che la stagnazione o regressione del PIL possano accompagnarsi o addirittura favorire "un diffuso miglioramento delle condizioni di reddito e di vita della maggioranza dei cittadini" è già concedere troppo al campo di chi, guarda caso da una prospettiva liberista, predica austerità e 'risanamento' a ogni costo. Non ci si può poi stupire se qualcuno di quelli che ne capiscono (di come si inquina il pubblico dibattito) se ne esce dicendo che "siccome c'è la deflazione, non può esserci un calo del potere d'acquisto". Le tesi (cripto-)decresciste lasciamole a chi, per condizione socio-economica ereditata o 'meritoriamente' acquisita, se le può permettere.

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    5. Good point.
      In realtà, il modello attuale(anglosassone) di crescita CON redistribuzione della ricchezza verso l'alto dipende essenzialmente dall'assetto del mercato del lavoro, e quindi dalla finalità complessiva dello Stato e dei suoi poteri "sovrani".

      Ed è un modello in cui si ha connaturata quella instabilità finanziaria -e la debt deflation- che conduce poi a crisi finanziarie devastanti, che si rimangiano tutta la crescita, in precedenza sostenuta, infatti, da consumi crescenti finanziati da debiti delle famiglie che divengono progressivamente insostenibili.

      Insomma senza crescita effettiva ed equilibrata (rispetto ai conti esteri) della produzione nazionale e conseguente crescita di VERA occupazione, e quindi dei livelli salariali, la crescita del PIL è compatibile con suoi successivi cicli recessivi in cui la crescita precedente è "rimangiata" e, ovviamente, si acutizza il trend, comunque immanente, della redistribuzione regressiva verso il settore finanziario.

      E questo persino se hai il dollaro e il relativo signoraggio delle portaerei "nucleari"
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/12/luem-il-petrolio-e-la-locomotiva-usa.html p.4

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    6. Scusate non voglio fare il difensore di Valori. Ma vorrei che teneste conto che l'intervento era del 2007, ante crisi, e post privatizzazioni 1996 e cercava di aprire gli occhi ai communisti (che dalla svolta della questione morale berlingueriana erano stati geneticamente mutati e sospinti a deprecare il pubblico e a ritenere ogni ente come l'IRI solo un carrozzone acquista consenso pro CAF e dunque da liquidare). Il senso del discorso (che proviene comunque da un cd boisardo di Stato) è che se si vuole valutare il beneficio dell'intervento pubblico in economia si deve tenere conto anche dei salatissimi costi sociali della sua soppressione. In fondo, a me avevavo insegnato che le famose municipalizzate di giolittiana memoria furono concepite un pò perchè il nostro capitalismo straccione non era in grado di sobbarcarsi l'organizzazione di certi servizi ed erogare il prodotto ad un prezzo accessibile, un pò perchè i "costi sociali" del capitalismo selvaggio non li si riusciva più contenere nemmeno ricorrendo alle cannonate alla Bava Beccaris.

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    7. Si era compreso: ma era anche da sottolineare che la tesi puntava a evidenziare, benevolmente, e probabilmente per meglio convincere l'interlocutore, solo un versante della questione.

      I "costi sociali" non sono che gli effetti, sul piano appunto del disagio sociale, di una crescita non solo squilibrata nella distribuzione, ma anche minore rispetto al pieno impiego dei fattori (cioè non c'è massimizzazione possibile ma solo "eqiulibrio della sotto-occupazione).

      Ciò perchè, come abbiamo visto:
      - o la crescita è (transitoriamente) drogata dalla finanziarizzazione dei consumi e dalla connessa speculazione sui derivati del debito privato (cioè si ha una crescita di consumi insostenibile nell'economia reale) e dunque porta all'esplosione di bolle devastanti;
      - oppure determina un inevitabile output-gap, cioè la strutturazione di una maggior disoccupazione, di un minor diffuso reddito disponibile e, in definitiva, si vanifica irreversibilmente proprio l'ipotesi di "massimizzazione del PIL" (che diviene una pura ipotesi di scuola o, piuttosto, argomento di propaganda).
      I dati del modello supercompetitivo e anti-interventista €uropeo ci attestano massicciamente proprio questo.

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    8. "I 'costi sociali' non sono che gli effetti, sul piano appunto del disagio sociale, di una crescita [...] minore rispetto al pieno impiego dei fattori"

      Posto quindi che la distribuzione diffusa di ricchezza presuppone una adeguata creazione di valore, si potrebbe sostenere che quest'ultima può essere conseguita, se non a condizione di limitare, quanto meno prescindendo dalla prima (-> società molto ricca ma molto iniqua). Ma siccome la creazione di valore dipende non solo dall'offerta (disponibilità, efficienza e pienezza di impiego dei fattori di produzione), ma anche dal livello di domanda aggregata (la quale, alla faccia di Say e dei suoi epigoni, è limitata ma non automaticamente creata dall'offerta), e siccome un elevato livello di domanda è esso stesso espressione di un'ampia diffusione della ricchezza, ne consegue che la massimizzazione del valore creato (corrispondente, alla minimizzazione dell'output-gap, ovvero al pieno impiego e al più rapido sviluppo dei fattori di produzione) non solo "è", ma "ha" anche come condizione la sua più ampia diffusione. Per cui è altrettanto un controsenso parlare, anche solo in astratto e per concessione dialettica, di una possibile massimizzazione della creazione di valore a fronte di una minore diffusione dello stesso: creazione e diffusione di valore vanno sempre necessariamente di pari passo.

      Corollario: se negli ultimi 40 anni chi controlla il fattore capitale fosse stato meno avido, oggi sarebbe ugualmente (se non più) ricco, anche se meno soverchiamente rispetto alla massa dei fornitori del fattore manodopera. Ma si sa, l'avidità è solo un aspetto del problema: più che la ricchezza assoluta, quello che conta è lo status (relativo) che essa conferisce, e il potere di condizionamento preventivo rispetto a possibili 'fughe in avanti' di chi, ottenuta la mano, inevitabilmente passerebbe a pretendere il braccio (nell'illusione di non dover fare a sua volta i conti anche e soprattutto con il limite strutturale dell'equilibrio esterno). Da questo punto di vista, l'apparente autolesionismo della classe dominante ha una sua indubbia razionalità (guerre mondiali permettendo).

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  4. In breve:

    «Il razzismo è naturale sovrastruttura del liberismo»

    Poiché il razzismo è proiezione del classismo, non è un caso che gli anglosassoni - figli della patria del liberismo - siano campioni nell'uno e nell'altro.

    E, come al solito, danno il buon esempio ai loro cuginetti crucchi....


    (Razzismo e classismo da unire insieme all'analfabetismo: «C'è la deflazione, come fa ad esserci un calo del potere d'acquisto?»

    Ma nella morale liberale einaudiana non esiste quella cosa chiamata "deontologia"? può il direttore del maggior quotidiano economico nazionale dire queste cose in TV?

    Forse sì: nella visione moralistica del liberismo, poiché l'Üntermensch è quella famosa corda sottesa tra la bestia e l'animale domestico, per gli Üntermenschen effettivamente la deflazione è il Bengodi: il potere d'acquisto per ESSI aumenta effettivamente contestualmente alla fetta di torta del PIL che si restringe...

    Hanno ragione le suore che mi dicono che mi devo convertire al cattolicesimo ... ma a quello einaudiano!)

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    1. Allevati da "suore" comuniste e da "padri" gesuiti, considera il dissidio einaudiano ..

      Grazie per quello che contribuisci a '48,the knight

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    2. Grazie a te Poggio.

      È che siamo un po' meneghini....

      (Il problema con le religioni, le "migrazioni" e le brutte canzoni pop, è che sono irreversibili: una volta che diventano parte della tua storia e delle tua cultura, diventa impossibile liberartene senza amputarsi una parte di sè... almeno che non fai il maoista.

      E ti assicuro che mi girano le scatole mischiare il piacevole ricordo di quella bionda emiliana sulla costa romagnola - che riemerge alla musica del tormentone estivo del tempo - con l'ultima pubblicità di un noto servizio finanziario....)

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  5. Provo malessere fisico (FISICO, ok?) al pensare a un tizio con un cognome così che fa del razzismo.

    In ogni caso, sottoscrivo: non sarebbe nella perdita di QUEL welfare, la tragedia.

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  6. https://it.wikibooks.org/wiki/Il_conflitto_pensionistico/La_dignit%C3%A0_al_di_sopra_di_tutto

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  7. Risposte
    1. C'è da fare chiarezza su questo punto, un po' controverso, come ho cercato di illustrare.
      Intanto il colpo di scena rispetto alla feroce propaganda di ESSI e dei nostri media orwelliani, è stata obiettivamente una "bella storia" :-)

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    2. Non c'e' dubbio. Adesso ESSI reagiranno e la propaganda sara' ancora piu' feroce. Gia' si parla di spread. Ho sentito delle cose incredibili. Ma il segnale e' importante!

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  8. Che botta! Aprendo il computer, la prima cosa che ho guardato era il prezzo della -per i banchieri- reliquia barbarica: da 35 e. il grammo di ieri, a 39! Qualcosa era accaduto in Gb!

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    1. stanno impazzando.
      http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/consultazione_stata_errore-1816573.html

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    2. In effetti, se vai al prossimo post, ne ho riportato un "brani saliente"...

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