"...Ed infatti, per i teorici del costituzionalismo politico non esistono i “diritti”, tanto meno fondamentali:
“… “i diritti non sono briscole che mettono sotto scacco il bene comune perché essi hanno senso solo nella misura in cui contribuiscono ad esso e forniscono un ampio ventaglio di opportunità individuali per tutti i membri della comunità” … In quanto intrinsecamente politici, i diritti hanno bisogno di essere costantemente vigilati e protetti da processi politici.
Inoltre, questa condizione rimanda al fatto che il dibattito pubblico sui diritti non può accettare una loro qualificazione come beni assoluti, poiché ciò contrasterebbe con l’idea che l’agire politico sia anzitutto mosso dalla volontà di trovare una conciliazione, per quanto temporanea, al conflitto fra diverse interpretazioni. Una cultura dei diritti eccessivamente legalistica rischia di ammantare le rivendicazioni personali di un atteggiamento fortemente atomistico, poco incline al compromesso…” [8].
1. Mi permetto di rivolgere gli auguri di in Felice Anno Nuovo a tutti gli italiani.
Non parlerò di "sfide" che ci attendono: perché le "sfide" sono una categoria utilizzata nel linguaggio delle organizzazioni economiche internazionali, e che aspirano a essere sovranazionali, per significare la creazione di regole sovranazionali che limitano, impoveriscono e ostacolano il benessere dei cittadini, e, allo stesso tempo, per indurli ad accettare questi oneri e queste difficoltà come inevitabili, TINA.
"Sfide" è quindi un termine, apparentemente accattivante, che induce, e spesso costringe, a sopportare nuove regole vessatorie e incomprensibili al senso comune, in nome di vantaggi futuri che sono e saranno acquisiti solo da coloro che "dominano" i mercati.
Il meccanismo (psicologico di massa) implicito è che se non raccogli la "sfida", al di là di qualsiasi calcolo elementare sulla convenienza nel farlo, non sei all'altezza, o sei un codardo, o un retrivo, che si oppone a un imprecisato "progresso", calato dalle alte sfere dell'insindacabile tecnocrazia dei mercati, e che, come tale, non si è (ma più) abilitati a porre in discussione.
Le "sfide", - come può constatare chiunque legga un documento programmatico, od un qualsiasi testo che racchiude la presunta "ragion d'essere" di una proposta o di una fonte normativa proprie di un'organizzazione economica internazionale (laddove tale termine è utilizzato ad ogni piè sospinto) -, sono dunque l'artificio retorico per attivare la richiesta di una sottomissione a un peso, a un malessere, a un sacrificio, che normalmente non ha alcuna contropartita e che, più in generale, non trova alcuna base giustificativa nei principi fondamentali della nostra Costituzione democratica.
2. Né parlerò di altri concetti apparentemente accattivanti ma che dissimulano il proprio contrario: come l'identità nazionale, laddove accoppiata all'idea di un'irreversibile ed accelerata privazione della sovranità nazionale. I due concetti, identità e privazione, ovverosia "cessione", della sovranità, nazionali, sono in evidente ed insanabile contrasto.
Si tratta di un eloquente esempio (qui, p.2, infine) di "proposizioni usate come se fossero complementari, - ad es. “libero mercato” e “giustizia sociale”, “stabilità monetaria” e “piena occupazione”[8] – mentre, per motivi strutturali, qualsiasi sovrastruttura giuridica non potrà obbligare gli organi di governo ad eseguire entrambi gli obiettivi, essendo per motivi “tecnici” mutuamente esclusivi. Poiché il capitale è naturalmente più forte del lavoro, la spoliticizzazione del governo delle comunità sociali permette di relativizzare l'ordine giuridico in funzione degli interessi del capitale del Paese dominante".
3. Non parlerò, ancora, della coesione nazionale invocata come atteggiamento in qualche modo "dovuto", da parte dei cittadini e dei popoli, quale risposta o reazione collettive, alle "sfide": cioè all'imposizione di sacrifici, privi di contropartita e di legittimazione costituzionale, e alla cessione di sovranità nazionale.
In un simile contesto, quale indubbiamente si profila oggi per tutti gli italiani, questa coesione nazionale, questo dover essere uniti e criticamente passivi nell'accettazione di "vincoli esterni", si risolve in un imperativo morale al "subire" la privazione del benessere e dei diritti e delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione democratica del 1948.
4. Neppure parlerò, infine, del "bene comune", come obiettivo, altrettanto ambiguamente imprecisato e volutamente sfumato, - in quanto privo di ogni ancoraggio al testo della Costituzione repubblicana -, a cui va asservito ogni diritto e ogni dialettica politica all'interno del popolo sovrano (art.1 Cost.).
"Bene comune" è un concetto extra-costituzionale e, a rigore, estraneo al diritto positivo nazionale, e quindi extra-giuridico, che legittima come valore, prevalente su ogni altro, quello dell'ordine del mercato temperato dalla volontaristica e spontanea "fraternità", consistente nell'animo caritatevole dei percettori di profitti ed interessi; spontaneo ma, in quanto tale, incoercibile e non esigibile da parte delle norme degli Stati democratici.
(Cfr; qui, pp. 5-10: "Questo insieme di lodevoli propositi, che certamente presuppongono una sforzo ideale e etico, costantemente ritrovabile nell'intera comunità sociale, (dato che la stessa teoria postula che se anche uno solo se ne tira fuori, rischia di azzerarsi il vantaggio di ogni possibile "bene comune"), viene dunque contrapposto all'interesse pubblico incarnato dalle norme dello Stato: inevitabilmente, se lo Stato limita il "libero mercato", da un lato nega la precondizione di diffusione del bene comune, dato che gli individui non potranno più liberamente esercitare la loro spinta solidaristica coessenziale all'iniziativa economica (secondo questa visione, ovviamente), dall'altro, disconosce il carattere esclusivamente privato, e funzionale al bene comune, della stessa illimitata disponibilità e trasmissione della proprietà mediante il "mercato" (se non altro lo Stato vorrà tassare e appropriarsi di una parte della proprietà delle ricchezza prodotta e deciderà di intestarsi alcuni beni per ragioni di interesse statale, stabilite da norme pubblicistiche).
...
Riteniamo che siano ora chiarite origini e portata del concetto di "bene comune", e che quindi risulti verificato, nella coerenza del relativo pensiero, come esso sia alternativo e, in termini molto pratici, oppositivo a quello di interesse pubblico generale incarnato dallo Stato costituzionale democratico". )
5. Parlerò invece, dell'augurio più sentito, per tutti gli italiani, che è quello di ritrovare la democrazia sostanziale, che è in definitiva, nelle intenzioni dei nostri Costituenti, un sinonimo di sovranità democratica.
Riporterò perciò (ancora una volta, perché ce n'è bisogno), le parole di Lelio Basso su questi temi:
(qui, p.4) “…penso che la battaglia per la democrazia nei singoli paesi debba essere prioritaria rispetto ai fini federalisti…ci sono cose che vanno, secondo me, profondamente meditate. A me, se così posso dire, la sovranità nazionale non interessa; però c’è una cosa che mi interessa: è la sovranità democratica... Nella Costituzione abbiamo scritto, nel primo articolo: “L’Italia è una Repubblica democratica”; poi abbiamo aggiunto quelle parole forse sovrabbondanti “fondata sul lavoro”; e poi abbiamo ancora affermato il concetto che la “sovranità appartiene al popolo”.
Sembra una frase di stile e non lo è. Le costituzioni in genere hanno sempre detto “la sovranità emana dal popolo” “risiede nel popolo”; ma un’affermazione così rigorosa, come “la sovranità appartiene al popolo che la esercita” era una novità arditissima. Contro la concezione tedesca della “sovranità statale”, di quella francese della “sovranità nazionale”, noi abbiamo affermato la “sovranità popolare” quindi democratica. A questo tipo di sovranità io tengo…” [37]. La sovranità costituzionale è tutto. (L. BASSO, Consensi e riserve sul federalismo, L’Europa, 15-30 giugno 1973, n. 10/11, 109.118).
Ed ancora (qui, p.7):
...a) innanzi tutto le limitazioni di sovranità sono consentite solo ai fini di assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni, e sì riferiscono quindi a organismi tipo ONU, tribunali internazionali e simili, ma non ad un organismo, la Comunità, il cui fine precisato dall’art. 2 del Trattato, è quello “DI PROMUOVERE UNO SVILUPPO ARMONIOSO DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE”;
b) in secondo luogo altro è una “limitazione” di sovranità (come può essere la rinuncia alla guerra, la limitazione del diritto di armarsi e anche l’accettazione di controlli reciproci al riguardo, e simili) e altro è invece il trasferimento della propria sovranità ad organi esterni, come il consiglio o la commissione, la quale ultima, come previsto dall’art. 157, avrebbe potuto non comprendere neppure un italiano (ndQ: e sull'art.11 rammenterei ancora le profetiche precisazioni di Meuccio Ruini);
b) in secondo luogo altro è una “limitazione” di sovranità (come può essere la rinuncia alla guerra, la limitazione del diritto di armarsi e anche l’accettazione di controlli reciproci al riguardo, e simili) e altro è invece il trasferimento della propria sovranità ad organi esterni, come il consiglio o la commissione, la quale ultima, come previsto dall’art. 157, avrebbe potuto non comprendere neppure un italiano (ndQ: e sull'art.11 rammenterei ancora le profetiche precisazioni di Meuccio Ruini);
c) in terzo luogo va osservato che la parola “sovranità” ha un duplice significato: uno riguarda la personalità internazionale dello Stato e significa il diritto di ciascuno Stato alla piena indipendenza nei confronti di ciascun altro; il secondo riguarda invece il modo come ciascuno Stato esercita nel proprio interno il potere sovrano…
Ora pare a me che la “limitazione” di cui parla l’art. 11 si riferisce ai rapporti fra Stati, ma non può intaccare il principio fondamentale della nostra costituzione, secondo cui (art. 1) l’Italia è una repubblica democratica e “la sovranità appartiene al popolo che la esercita”.
Ora pare a me che la “limitazione” di cui parla l’art. 11 si riferisce ai rapporti fra Stati, ma non può intaccare il principio fondamentale della nostra costituzione, secondo cui (art. 1) l’Italia è una repubblica democratica e “la sovranità appartiene al popolo che la esercita”.
Attribuire poteri legislativi, senza il concorso e anche contro la volontà del Parlamento italiano, a un consiglio composto da un rappresentante di ciascun governo, o addirittura a una commissione nominata collegialmente dai governi membri, SIGNIFICA SPOGLIARE IL POPOLO DELL’ESERCIZIO DELLA SOVRANITÀ in materia di estrema importanza e, quindi, sovvertire l’ordinamento costituzionale italiano.
Dell’esistenza di questo grave problema l’opposizione è stata cosciente: chi scrive…ha personalmente sostenuto una lunga battaglia in seno alla commissione degli esteri della Camera fino al 1969, ma governo e maggioranza si sono sempre mostrati sordi.
Ora attendiamo la decisione della Corte, ma se anch’essa si pronunciasse in senso contrario a quanto qui sostenuto, il problema sarebbe risolto solo sul piano formale. Si tratta infatti di vedere se un popolo, che vuol essere democratico, può essere governato da norme, che invadono campi sempre più vasti, e che sfuggono a qualsiasi decisione preventiva o controllo successivo di organi elettivi, cioè al controllo della rappresentanza dei cittadini interessati” [L. BASSO, È incostituzionale l’adesione al MEC ?, Corriere della Sera, 27 maggio 1973].
Dell’esistenza di questo grave problema l’opposizione è stata cosciente: chi scrive…ha personalmente sostenuto una lunga battaglia in seno alla commissione degli esteri della Camera fino al 1969, ma governo e maggioranza si sono sempre mostrati sordi.
Ora attendiamo la decisione della Corte, ma se anch’essa si pronunciasse in senso contrario a quanto qui sostenuto, il problema sarebbe risolto solo sul piano formale. Si tratta infatti di vedere se un popolo, che vuol essere democratico, può essere governato da norme, che invadono campi sempre più vasti, e che sfuggono a qualsiasi decisione preventiva o controllo successivo di organi elettivi, cioè al controllo della rappresentanza dei cittadini interessati” [L. BASSO, È incostituzionale l’adesione al MEC ?, Corriere della Sera, 27 maggio 1973].
In nome di questa memoria, di questa limpida versione della legalità costituzionale, mi permetto perciò di dare un senso ai miei auguri a tutti gli italiani.