mercoledì 19 febbraio 2020

2- LA NEO-SOCIETA' CIVILE E LE ONG: VERSO IL "RITORNO DEL RIMOSSO"

Prosegue l'esposizione di Francesco, rigorosa e ricca di fonti inequivocabili a supporto, sulla realtà della "società civile" che emerge nel quadro neo-liberale internazionalizzato: là dove la funzione di sopprimere il ruolo solidaristico degli Stati democratici legati alle comunità politicamente rappresentate nelle istituzioni costituzionali, si proietta in un processo discendente, dall'alto verso il basso, narrato tuttavia come fluente in senso "opposto", ma che, nella sua realtà dissimulata, emerge prepotentemente nella sua scaturigine finanziaria privata.
Ed infatti, pur essendo "comunicato" come un presunto processo di partecipazione dal basso, questo sistema trasforma in istituzioni e norme, coercitive e incisive unidirezionalmente sugli interessi dei lavoratori (di ogni genere, purché legati alle realtà comunitarie nazionali), un flusso di perentorie decisioni, per lo più denominate "riforme strutturali", e provvede cosmeticamente ad apprestare risposte al disagio provocato dal disegno generale; risposte che però non ostacolino ma, anzi, agevolino, il compimento di una Grande Società desolidarizzata e dominata dalle rigide gerarchie implicite nell'antistatualismo del "mercato". 

Questa dialettica cosmetica, di pressione sulle classi subalterne simultaneamente accompagnata da risposte (parziali e apparenti) di sedazione, - che dovrebbero evitare l'esplosione della pentola a pressione della privazione di ogni mobilità sociale (insegna delle democrazie avanzate pluriclasse)-, è inoculata "in apice" dai centri di potere economico privato a crescente concentrazione, - che dominano la de-costruzione istituzionalizzata delle realtà solidaristiche statali -, passano per la creazione di una megastruttura di organizzazioni e di apparati che vengono accreditati, con priorità tendenzialmente onnivora, dalle neo-istituzioni globali, e finiscono per far apparire come risposta, o sollecitazione "dal basso", ciò che in realtà è l'esecuzione di disegni di occultamento del classismo estremizzato della società globalizzata.


Il Potere, che è organico alla società che vuol conservare, ha sempre più bisogno di consenso. Quello che serve, oggi, è quindi un processo di demistificazioni delle coscienze: cioè, una vera e propria rivoluzione culturale
[L. BASSO]
6. Sappiamo infatti che quel progetto di Ordnung contenuto nella Costituzione repubblicana (che, rammentiamo, è allo stesso tempo Ortung, cioè ordine orientato) è stato fatto oggetto di sistematico sabotaggio sin dalla sua entrata in vigore ed ha trovato solo una parzialissima attuazione. 
Quelle classi ricche che, come ricorda M.S. Giannini, in specifici contingenti storici erano state “costrette a venire a patti con i poveri”, hanno rialzato la cresta. 
Le oligarchie capitalistiche si sono internazionalizzate e, nel nome di una pace e di un benessere impalpabili - complici le elites autoctone, secondo la nota teoria della Sassen - hanno concorso con istituzioni appositamente edificate a disattivare i principi fondamentali della Carta, traghettandoci in quel meraviglioso mondo hayekiano che, nei termini che per l’Italia sono immediatamente di diritto €urounitario, equivale a sottrazione inesorabile di sovranità, competizione mercantilistica (secondo il modello tedesco) accompagnata da deindustrializzazionedeflazione perenneimpoverimento generalizzato, insicurezza esistenziale.

6.1 Sia nella utopica, per €SSI, versione liberista pura – ove lo Stato democratico dovrebbe del tutto eclissarsi per lasciar spazio al “naturale” fluire della catallassi – sia nella nella versione, più abilmente de-costruttivista, ordolib€rale dei Trattati – ove lo Stato non deve scomparire, ma deve “soltanto” gradualmente restringersi, nelle funzioni più che nell'apparente organizzazione, fino a diventare “minimo” (lo “Stato carabiniere di cui parlava Gramsci), trasformandosi parimenti in agente regolatore del mercato perché ri-orientato a fini privatistici – le elites proprietarie sono riuscite a precludere e continuano tuttora ad impedire la realizzazione dell’emancipazione umana che, ad oggi e seppur con le sue inevitabili imperfezioni, è riuscita per poco ad affermarsi storicamente solo a livello di Stati nazionali e come espressione di una solidarietà di popolo (qui, p. 4.2). 
Ebbene, se tale è lo scenario entro il quale gli italiani sono costretti a muoversi, ovvero se il governo €uro-globalista sopranazionale dei mercati è il contesto storico e socio-economico di riferimento, ad esso non può che collegarsi un altrettanto e ben diverso concetto di “società civile”.

La “società civile” alla quale la letteratura sociologica e giuridica fa ormai continuo riferimento si identifica con quella che riempie lo spazio liscio dei mercati mondiali, la “società globale” teorizzata allo scadere dei Trenta Gloriosi da J. Burton nel suo World society, tesi che già allora assumeva “… il superamento dell’identità statale come identità fondamentale ed esclusiva degli uomini del XX secolo” [F. ATTINÀ, Il sistema politico globale. Introduzione alle relazioni internazionali, Roma, 1999, 58]. 
Conosciamo anche le ragioni del superamento dell’identità e della democrazia statali: esse vengono come al solito rinvenute nella “struttura interstatuale, anzi statocentrica, del sistema politico internazionale” che, “per il fatto stesso di essere costitutivamente belligenaè dannosa, disumana, criminale” [A. PAPISCA, Democrazia internazionale, via di pace. Il rilancio della politica passa attraverso la globalizzazione della democrazia, in “Futuribili”, 1-2, 2003, 24-25]. 
E’ su tali presupposti che si sono andati affermando think tank come, per esempio, il World Order Models Project (WOMP) in cui R. Falk (uno dei membri storici) ha sostenuto che la sovranità statuale avrebbe dovuto essere ripensata nel senso di una società civile globale senza confini [si veda R. FALK, On Human Governance, Cambridge, 1995, 100]. In nome, neanche a dirlo, dei diritti umani.

7.1 Nell’elaborazione di questa teoria della democrazia internazionale, votata alla pace ed alla promozione dei genuini valori e diritti dell’uomo, ovviamente gli attori non potevano essere più individuati negli Stati nazionali, assunti a priori come incapaci “… costitutivamente di capire il discorso…” e nei confronti dei quali, anzi, avrebbe dovuto procedersi alla “castrazione dei loro attributi belligeni” (sic!) [A. Papisca, Democrazia internazionale, via di pace. Per un nuovo ordine, Milano, 1995, 29] bensì in soggetti capaci di muoversi nell’ambito di relazioni più ampie, cioè movimenti sociali transnazionali ed ONG
Il compito operativo di tali nuovi attori, portatori in campo internazionale di interessi “panumani e transnazionali” [A. PAPISCA, Democrazia internazionale, cit., 9, 29 e 55] (accanto a quelli nazionali ed intergovernativi), avrebbe quindi dovuto consistere nell’incunearsi fra gli “interstizi” delle istituzioni (ONU, OCSE, Istituzioni europee), con il fine di esercitare – attraverso appositi network di tipo settoriale e tematico (diritti umani, ecologia, etc.) - pressione sugli stessi, concorrendo alla formazione dei processi decisionali.

7.2 La tesi (ed il conseguente lavoro che negli anni ’80 e ’90 è stato svolto sino ad oggi) è semplice: in un sistema di governance globale e di rapporti planetari interconnessi, le “comunità post-westphaliane [si veda A. LINKLATER, The Transformation of Political Community, Cambridge, 1998] dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nell’ottica di una “democrazia cosmopolita”, interfacciandosi – proprio in qualità di rappresentanti della società civile - con le istituzioni del sistema, sotto forma di associazioni, fondazioni, gruppi di volontariato, ONG et similia, cioè quali nuovi interpreti con la missione di democratizzare dal basso le relazioni internazionali. 
In merito, è indicativo l’approccio recettivo sull’argomento mostrato proprio ai massimi livelli dai vertici ONU, così come risulta, in particolare modo, nel Report dal titolo “Strengthening of the United Nations: An Agenda for Further Change presentato nel 2002 dall’allora presidente Kofi Annan e nell’ambito del quale l’espressione “civil society” vi ricorre per ben 26 volte.

7.3 Di seguito sono riportati alcuni stralci dell’Agenda:
… L'interazione tra le Nazioni Unite e la società civile è cresciuta in modo significativo .... Migliaia di organizzazioni non governative posseggono ora uno status consultivo formale. Il loro contributo ha arricchito i dibattiti e influenzato l'esito di molte deliberazioni intergovernative
il rapporto delle Nazioni Unite con il settore privato si è notevolmente evoluto negli ultimi annicon l'iniziativa Global Compact e l'istituzione di numerosi partenariati collaborativi con aziende e fondazioni…Le Nazioni Unite sono e rimarranno un'organizzazione intergovernativa in cui il potere decisionale è saldamente nelle mani degli Stati membri. 
Allo stesso tempo, tuttavia, viviamo in un sistema internazionale in cui l'influenza è sempre più esercitata da attori non statali, come organizzazioni della società civileagenzie di volontariato, gruppi di interesse, società privatefondazioni filantropiche, università e think tank e, ovviamente, individui creativi. Per realizzare il cambiamento oggi è necessario mobilitare il supporto e coltivare le idee di arete diversificata di attori non statali
Il nostro lavoro con organizzazioni non governative per combattere le malattie, ridurre la povertà e alleviare le sofferenze dopo i disastri è ormai così familiare che difficilmente attira commenti. L'attività delle fondazioni filantropiche…nel promuovere i nostri obiettivi comuni è sempre più vista come un valido complemento all'azione governativa. La mia iniziativa Global Compact ha coinvolto centinaia di aziende di tutto il mondo nello sforzo di promuovere la cittadinanza aziendale e i valori universali nel rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente. Oggi, un grande raduno delle Nazioni Unite senza il coinvolgimento della società civile in tutte le sue varie forme non è immaginabile”.

7.4 Delineati i principi nell’Agenda, le implementazioni di detto approccio sono stati formalizzati a tamburo battente in successivi documenti integrativi. 
Nel febbraio del 2003 si è provveduto ad istituire un “Panel of Eminent Persons on United Nations Relations with Civil Society”, nel quale sono formulate le linee guida sui modi di perfezionamento delle relazioni tra ONU e organizzazioni della società civile. 
Le linee guida hanno poi subito una evoluzione in trenta raccomandazioni facenti parte del Report “We the Peoples: civil society, the United Nations and global governance” presentato nel giugno 2004 (c.d. Rapporto Cardoso, dal nome dell’ex Presidente del Brasile). Senza addentrarci nello specifico delle raccomandazioni (che attengono a complicati meccanismi di accreditamento e consultazione istituzionali di dette organizzazioni), in questa sede è sufficiente sottolineare i concetti di fondo che animano il documento, partendo dal presupposto acritico che “il mondo è cambiato”, che esiste una “crescente porosità dei confini nazionali” così come un “crescente potere della società civile e dell'opinione pubblica” (pag. 7).

7.5 Con una fuga nell’astratto, ci viene in particolare riferito che:
- “Per quanto riguarda la democrazia… mentre la sostanza della politica si sta rapidamente globalizzando (nelle aree del commercio, dell'economia, dell'ambiente, delle pandemie, del terrorismo, ecc.), il processo politico non lo èle sue principali istituzioni (elezioni, partiti politici e parlamentirimangono saldamente radicate a livello nazionale o localeLa debole influenza della democrazia tradizionale in materia di governance globale è uno dei motivi per cui i cittadini in gran parte del mondo stanno sollecitando una maggiore responsabilità democratica delle organizzazioni internazionali;
Per quanto riguarda i ruoli della società civile nella governance, i cittadini agiscono sempre più politicamente partecipando direttamente, attraverso meccanismi della società civile, ai dibattiti politici che li interessano particolarmente. Ciò costituisce un allargamento DALLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA A QUELLA PARTECIPATIVA. La democrazia tradizionale aggrega i cittadini per comunità di quartiere (i loro distretti elettorali), ma NELLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA I CITTADINI SI AGGREGANO IN COMUNITÀ DI INTERESSE. E, grazie alle moderne tecnologie di informazione e comunicazione, queste comunità di interesse possono essere globali tanto quanto locali” (pag. 8).

7.6 E’ inoltre importante, nell’ambito del Report, rinvenire una definizione ufficiale di “società civile”, espressione che fa riferimento:
… alle associazioni di cittadini (al di fuori delle loro famiglie, amici e imprese) che hanno aderito volontariamente per promuovere i loro interessi, idee e ideologie. Il termine non include attività a scopo di lucro (settore privato) o di governo (settore pubblico). Di particolare rilevanza per le Nazioni Unite sono le organizzazioni di massa (come le organizzazioni di contadini, donne o pensionati), i sindacati, le associazioni professionali, i movimenti sociali, le organizzazioni degli indigeni, le organizzazioni religiose e spirituali, l'accademia e le organizzazioni non governative di pubblica utilità”.
Non ci si lasci ingannare dal fatto che dalla definizione rimangano estromesse le organizzazioni senza scopo di lucro. Il Relatore, infatti, si è premurato di specificare (pag. 13) che “… non esistono definizioni corrette per termini come società civile" e che pertanto “i confini tra gli attori sono porosi(lasciando anzi intendere come nell’espressione rientri chiaramente anche il Private Sector).

8. Anche nell’Unione €uropea - filiale continentale della globalizzazione capitalistica - le istituzioni si sono mostrate “sensibili” al tema della società civile a partire dalla metà degli anni’90, soprattutto con riferimento alle sue più importanti modalità organizzative (associazioni, fondazioni ed ONG) con le quali essa opererebbe come attore nel sistema dell’Unione e come partner di un “dialogo civile” per lo sviluppo della democrazia [si vedano, in proposito, la “Comunicazione della Commissione sulla promozione del ruolo delle associazioni e delle fondazioni in Europa del 1997 e, in particolare, il “Documento di lavoro La Commissione e le organizzazioni non governative: rafforzare il partenariato” del 2000, nel quale vengono utilizzate pressochè gli stessi argomenti dei documenti ONU già citati]. Poiché è impossibile, per motivi di spazio, citare i numerosi documenti redatti in materia dalle istituzioni €uropee - compresi quelli del Consiglio dell’Unione, il quale ha posto le basi legali affinché le ONG accedessero ai finanziamenti previsti nei relativi programmi comunitari -, basta segnalare ai nostri fini il Libro Bianco su La governance europea”. Anche secondo la Commissione, tra gli elementi che caratterizzerebbero una governance democratica vi sarebbe quello concernente una partecipazione più ampia dei cittadini strutturata in “società civile organizzata” che necessita di coinvolgimento nei processi decisionali mediante la sua consultazione (pag. 35). E così:
… la società civile svolge un ruolo importante, poiché esprime le preoccupazioni dei cittadini e fornisce servizi in risposta alle esigenze di tutti….Sempre più la società civile ritiene che l’Europa costituisca una piattaforma adeguata per cambiare gli orientamenti politici e la società…Vi è la possibilità di far partecipare più attivamente i cittadini al conseguimento degli obiettivi dell’Unione e di offrire loro un canale strutturato per le loro reazioni, critiche e proteste…”.

8.1 A livello continentale - così come già in ambito ONU - la Commissione a sua volta ha espressamente assunto la definizione di “organizzazione della società civile” trasfusa in un documento successivo dal titolo Comunicazione della Commissione. Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo”. Nel documento, e in un’ottica ampiamente inclusiva comunque già manifestata nel Libro Bianco, essa ha ampliato senza alcuna reticenza il significato di “civile”, facendovi rientrare tutto ciò che per antonomasia non è governativo:
“……Le "organizzazioni della società civilesono quindi le principali strutture della società AL DI FUORI DEGLI ORGANI GOVERNATIVI E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, COMPRESI GLI OPERATORI ECONOMICI che generalmente non sono considerati come facenti parte del cosiddetto terzo settore o delle ONG…” (pag. 6).

9. Orbene, la ricostruzione semantica di “società civile” (e delle relative forme di organizzazione) e delle idee ad essa associate attraverso l’esame di documenti ufficiali, ci consente a questo punto di dipanare con buona approssimazione le trame orwelliane del consueto discorso sconosciuto, posto “a giustificazione della prospettiva di una mai nata, e neppure seriamente ipotizzata, democrazia "internazionalista". La traduzione dal bis-linguaggio potrebbe pressappoco essere sintetizzato nel modo seguente:
svuotati i Popoli della loro la sovranità (ovvero dell’unico strumento in grado di decretarne l’esistenza politica e l’autodeterminazione finalizzata al benessere pluriclasse diffuso), la società civile può essere metaforicamente raffigurata come un “mondo di mezzo, abitato da masse di esseri umani confinate da un lato tra le elitarie istituzioni della globalizzazione, ossia di quanti presiedono alla reale governance dei processi, ad uso e consumo di potentati economici (e con la quale viene esercitata una pura ed anomica postestas in mancanza di auctoritas); e, dall’altro, tra quel che resta degli Stati nazionali, sempre più un coagulo spettrale di strutture buro-tecnocratiche che ha la funzione di eseguire fedelmente a livello locale gli imputs che provengono dalle centrali sovranazionali.

9.1 All’interno di quel “mondo di mezzo” (che si caratterizza per il transito dalla “democrazia rappresentativa” dello Stato sovrano ad una vaga quanto ornamentale “democrazia partecipativa”), ove con retorica sono elargiti a piene mani “diritti umani” e nel quale si assiste quotidianamente alla moltiplicazione di “Carte”, di “Corti e di improbabili trame tutorie multilevel, continuano tuttavia a perpetuarsi bisogni vitali (materiali e non) e ad emergere interessi antagonistici che tendono vieppiù ad esprimersi secondo una rigorosa logica di classe:
“… Viviamo in società di classe dove le disuguaglianze socio-economiche sono più acute di quanto non fossero negli ultimi tre decenni del XX secolo. La “società civile” include banchieri ed investitori miliardari che accumulano fortune comprando e vendendo imprese, chiudendo e licenziando migliaia di lavoratori, ma include anche lavoratori precari e sottopagati privi dei diritti elementari del lavoroLe disuguaglianze socio-economiche e i rapporti di sfuttamento nella “società civile contraddistinguono in modo inequivocabile le concezioni dei diritti del cittadino e dell’azione politica. Per i ricchi manager delle elite aziendali, i diritti del cittadino consistono nell’influenzare le decisioni macroeconomiche; per i lavoratori la cittadinanza sta nell’adattarsi a quelle decisioni o impegnarsi in una politica di classe per opporvi una resistenza.
Il problema è che il concetto di “società civile” è troppo generale e onnicomprensivo per spiegare che le politiche economiche creano divisione, generate come sono da una classe che si contrappone a un’altra in seno alla società
L’esercizio della cittadinanza sostanziale è strettamente associato con una politica di classe che riconosca i peculiari e discriminatori rapporti nella società civile e i rapporti incrociati tra le classi dominanti nella società civile e lo Stato. La cittadinanza sostanziale è in profondo conflitto con i comportamenti coercitivi delle multinazionali. Le minacce palesi e recondite delle multinazionali di trasferire capitali, di chiudere fabbriche e di licenziare lavoratori indeboliscono in modo rilevante il libero dibattito ed il processo legislativo democratico. La pistola aziendale puntata alla testa dei lavoratori e dei parlamentari impedisce la politica democratica…” [J. PETRAS - H. VELTMEVER, La globalizzazione smascherata. L’imperialismo nel XXI secolo, Milano, 2002, 103-104].

9.2 Occultato lo Stato democratico e sovrano del compromesso keynesiano sul piano materiale e quindi simbolico sul piano politico, sarebbe davvero stravagante sostenere che quella parte di “società civile” che si identifica con le classi lavoratrici (parte preponderante del tessuto sociale), in uno con le “organizzazioni” che ne dovrebbero rappresentare le legittime istanze, abbiano lo stesso presunto “peso” decisionale e la stessa speranza di veder soddisfatti i propri interessi di quanto ne abbiano le imprese oligopolistiche transnazionali e rispettive organizzazioni di categoria, ovunque globalmente siano esse dislocate. 
Il discorso potrebbe estendersi praticamente a qualsiasi altra organizzazione (si pensi alla tutela dei consumatori) che sia costituita di persone comuni alle quali sia stata imposta la “durezza del vivere”. 
La fenomenologia che si squaderna sotto i nostri occhi (si pensi, ancora, alle condizioni di disoccupazione di massa cui sono destinati i lavoratori italiani per via dei Trattatiagli altrettanti livelli di precarizzazione connessa alla deflazione salariale aventi la medesima causa, unite alla insignificanza, colpevole, cui si sono votati gli attuali movimenti sindacali nelle relative vertenze) stride quindi vistosamente con la narrazione di quanti si arrischiano a ritenere che:
“… Ciò che noi chiamiamo oggi società civile non include più l’economia regolata dai mercati del lavoro, dai mercati dei capitali e dai beni costituiti dal diritto privato, ma al contrario “il suo cuore tradizionale è ormai formato da quei gruppi e associazioni non statali e non economici a base volontaria che uniscono le strutture comunicative dello spazio pubblico alla componente “società” del mondo vissutoLa società civile si compone di quelle associazioni, organizzazioni e movimenti che allo stesso tempo accolgono, condensano e ripercuotono, amplificandola nello spazio pubblico politico, la risonanza che i problemi sociali hanno nelle sfere della vita privata” [così J. HABERMAS, Droit et démocratie, Parigi, 1997, 394].

10. In questo contesto spiccano le Organizzazioni Non Governative di cui ci siamo già occupati (qui e qui). 
Perché esse operano e che ruolo svolgono all’interno della “società civile” globale? Come mai sono divenute partners così privilegiati delle istituzioni cosmopolite? Veramente portano in modo volontario solidarietà, aiuto e misericordia dove c’è bisogno? 
Questo protagonismo delle ONG, dispiegatosi sin dall’inizio degli anni ’80, è tratteggiata bene da J. Petras - H. Veltmever nell’opera sopra citata e che merita perciò di essere ripresa.

10.1 Si può asserire, al riguardo, che allorché l’ideologia neoliberista cominciava a farsi strada, facendo sentire con la relativa politica economica gli effetti madornali dei piani di aggiustamento strutturale sui lavoratori, generando malcontento nazionale e popolare, tali organizzazioni sono entrate in scena:
… per mistificare e distogliere quel malcontento da attacchi diretti contro le strutture di potere di banche e imprese e contro i loro profitti, dirottando verso microprogetti, autosfruttamento politico della base …che evit[asse] un’analisi di classe dell’imperialismo e delle plusvalenze capitalistiche… C’È UN RAPPORTO DIRETTO TRA LA CRESCITA DELLE ONG E IL DECLINO DEI LIVELLI DI VITA: la proliferazione delle ONG non ha ridotto la disoccupazione strutturale…né ha procurato livelli salariali minimamente adeguati al costo della vita per il crescente esercito di lavoratori informali…Ciò che hanno fatto le ONG è stato fornire un sottile strato di professionisti con reddito in valuta forte in grado di eludere i disastri dell’economia neoliberista che colpiscono i loro Paesi e il loro popolo
Secondo i loro [dei manager a capo delle ONG] comunicati stampa e i loro discorsi in pubblico, essi rappresentano una “terza via” fra “statalismo autoritario” e “selvaggio capitalismo del mercato”, descrivono se stessi come l’avanguardia della società civile” che opera negli interstizi dell’economia globale. L’obiettivo comune che risuona di più nelle conferenze delle ONG è “sviluppo alternativo”
Il tormentone sulla società civile” è un esercizio nel vuoto
LA SOCIETÀ CIVILE NON È ENTITÀ UNITARIA VIRTUOSA: È FATTA DI CLASSI…La maggior parte delle ingiutizie contro i lavoratori è commessa da ricchi banchieri della “società civile” che spremono pagamenti di interessi esorbitanti sul debito pubblico interno…e da capitalisti industriali che stremano i lavoratori a salari da fame…Parlando di “società civile”, quelli delle ONG nascondono la profonda divisione di classe, lo sfruttamento di classe e la lotta di classe che polarizza la società civile contemporanea. 
Per quanto analiticamente inutile e offuscante, il concetto di società civile facilita la collaborazione delle ONG con i capitalisti che finanziano i loro istituti e permettono loro di orientare progetti e seguaci in rapporti subordinati con i grandi interessi affaristici che dirigono le economie neoliberiste…” [J. PETRAS - H. VELTMEVER, La globalizzazione smascherata. Cit., 183-188].

10.2 Lungi dal rappresentare delle asettiche “formazioni ” o “palestre di democrazia associativa” in seno alla novella società civile, la stragrande maggioranza delle ONG – sicuramente quelle alle quali è stato aperto un canale privilegiato di interazione con le istituzioni sovranazionali – sono anzi il prodotto più genuino dell’ideologia neo-marginalista che nutre quelle stesse istituzioni e delle quali le ONG si premurano a curare gli interessi. Quanto alle funzioni delle ONG, esse possono essere invero riassunte schematicamente nel modo seguente:
10.2.1 Opposizione allo “statalismo”: “… i regimi neoliberali, la Banca Mondiale e le fondazioni occidentali… coopta[no] e usa[no] le ONG per sottrarre allo Stato nazionale le funzioni di protezione e servizi sociali tese a compensare le vittime degli effetti delle corporazioni multinazionali…mentre dall’alto i regimi neoliberali devasta[no] le popolazioni inondando i rispettivi paesi con importazioni a basso prezzo estraendo il pagamento del debito estero, abolendo la legislazione lavorativa …e creando una massa crescente di operai a basso salario o disoccupati, le ONG [sono] finanziate per provvedere a progetti di “auto-aiuto”, di “educazione popolare” e di “qualificazione lavorativa” tese ad assorbire temporaneamente gruppi di bisognosi, a cooptare i leader locali e per sottrarli alla lotta contro il sistema. L’antistatalismo è stato il libretto ideologico di transito da una politica di classe a una politica di “sviluppo comunitario”;

10.2.2 Azione “depoliticizzante“… Il punto politico importante è che le ONG depolicitizzano settori della popolazione, liquidano il compromesso con gli impiegati pubblici e cooptano i leader locali in piccoli progetti. Le ONG appoggiano raramente…gli scioperi e le proteste contro i bassi salari e i tagli ai bilanci pubblici. In pratica, l’essere “non governativi” si traduce in una attività contro le spese pubbliche… Le ONG non possono avanzare programmi universali e completi di largo respiro come invece può fare lo Stato sociale…la ideologia delle ONG basata sulla “attività privata volontaria” indebolisce il senso del “pubblico ovvero l’idea che il governo abbia i suoi obblighi verso i suoi cittadini e provveda alla loro vita, felicità, l’idea che lo Stato è essenziale per il benessere dei suoi cittadini… Contro questa nozione di responsabilità pubblica, le ONG fomentano l’idea neoliberale di responsabilità privata per i problemi sociali e l’importanza delle risorse private per risolvere questi problemi La pratica e la ideologia delle ONG devia l’attenzione dalle origini e dalle soluzioni alla povertà…”.
Tale ultimo profilo – si badi bene - è intimamente legato, ai vari livelli normativi, con il c.d. principio di “sussidiarietà orizzontale” [inserito persino in Costituzione all’art. 118], cioè all’esaltazione “… delle autonomie funzionali dei privati rispetto alla titolarità dei poteri pubblici, in netto contrasto con il modello di democrazia sociale che è segnato nei rapporti tra i principi fondamentali e la prima parte della Costituzione” [S. D’ALBERGO, Diritto, Stato tra scienza giuridica e marxismo, Roma, 2004, 325]. Nulla di nuovo, dal momento che si tratta del modello regolatorio tanto auspicato dalla teoria della Public Choice che proprio delle associazioni della società civile offre un’immagine di organizzazioni per natura più dinamiche ed efficienti rispetto a quelle statali, considerate antiquate e fonte di comportamenti rent-seeking.

10.2.3 Agevolazione di nuova dipendenza economico-culturale: “… Le Ong fomentano un nuovo tipo di dipendenza e di colonialismo economico e culturale. I progetti sono disegnati, o almeno approvati, sulla base dei lineamenti e delle priorità dei centri imperiali e delle loro istituzioni. Le valutazioni vengono fatte da queste e per queste. I nuovi viceré supervisionano e assicurano la conformità degli obiettivi, dei valori e dell’ideologia dei donatori così come l’uso appropriato dei fondi. Lì dove ci sono i “risultati”, questi sono fortemente dipendenti dal continuo appoggio esterno senza il quale fallirebbero…” [J. PETRAS, Progetti di solidarietà o “neoliberalismo dal basso”? Le pesanti ambiguità dell’azione delle Organizzazioni Non Governativecit., in Contropiano n. 3giugno 1997, il cui testo è integralmente consultabile qui]. 
Possono spiegarsi così le frequenti “consultazioni” alle quali le ONG sono invitate e le decisioni alle quali partecipano per la definizione delle agende globali (qui, p. 4.4), nonché l’organizzazione dei vari Forum collegati ad infinite “piattaforme”. Ed appaiono anche chiare le ragioni della legittimazione assoluta di cui godono le ONG ormai in grado di sfidare apertamente gli Stati nella certezza dell’assoluta impunità (lo scandaloso commercio di migranti e le vicende che continuano a coinvolgere l’Italia ne sono la testimonianza).

11. Nel quadro di riferimento descritto, è evidente che il significato di “società civile” nulla abbia più da spartire con la dimensione comunitaria delineata dalla Costituzione, ritornando piuttosto ad assomigliare – seppur abbellita istericamente di ornamenti e vesti fittizie - a quel bellum omnium contra omnes descritto nelle pagine hegelo-marxiane già citate. Prendere coscienza di questa sorta di “ritorno del rimosso” è il solido punto di inizio in vista delle ulteriori e conclusive argomentazioni che seguiranno.

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