martedì 25 giugno 2013

IL 25 LUGLIO, I TAGLI SALVIFICI ALLA SPESA PUBBLICA E IL "MERAVIGLIOSO MONDO DI VON HAYEK"

(Nota preliminare: questo post sarà "lungo e doloroso", ma, se vi va, almeno avrete saputo fino in fondo cosa e come pensano "ufficialmente" nonchè come si formano le distorsioni dell'informazione PUD€.
Mettetevi comodi e indugiate pure leggendo, o "rileggendo", i vari links)

1. Il 25 luglio si avvicina ma l'Italia non riesce, proprio come in quella circostanza, a esprimere nulla che non sia una miope incomprensione delle cause che l'hanno portata all'attuale disastro.
Il quadro davanti a noi è sconfortante e c'è solo da scegliere sulle voci che testimoniano la più totale incomprensione delle radici della congiuntura; se dovessimo inseguirle tutte nel loro complesso, allo sconforto si aggiungerebbe un'opera di raccolta di "prove a carico" che francamente dovrebbe essere lasciata ad altre sedi. Ci limitiamo a tratteggiare un percorso esemplificativo ma non meno eloquente.
La crisi italiana è una crisi da domanda, innescata da un vincolo monetario che tra tassi di cambio reale e dottrina della banca centrale indipendente, ha cumulato i suoi effetti per anni, portando alla attuale incapacità italiana di reggere qualsiasi crisi esterna tra quelle che un mondo, complessivamente in mano al capitalismo finanziario, avrebbe inevitabilmente prodotto. Coinvolge tutta l'UEM, e con essa il mondo, perchè l'Italia non è il paesello che il PUD€ ci propina a reti unificate, terrorizzandoci con la storiella della "liretta" e altre oscene inesattezze.
Dobbiamo ancora dimostrare che è una crisi da domanda, che deriva dall'applicazione delle teorie monetariste e neo-classiche che sulla repressione della domanda, in termini di deflazione salariale e di banca centrale volta esclusivamente al controllo della stabilità dei prezzi, impera incontrastata (ormai solo) in Europa?
Fate voi, a me parrebbe persino eccessivo ritornarci sopra.
Abbiamo più volte analizzato come della domanda aggregata non solo la spesa pubblica sia una componente fondamentale, ma addirittura "centrale", per la sua capacità, unica, di attivare il moltiplicatore in funzione anti-ciclica. Molto più dei pretesi sgravi tributari che ci riportano..ad Haveelmo.
Ma sgolarci su questi elementari principi macroeconomici non servirà a molto se non si individuano le responsabilità di chi ha sbagliato marchianamente a non tenerne conto, e non li si estromette dalla gestione della politica economica e fiscale del Paese. Avendo tra l'altro, violato la Costituzione e l'obbligo di tutelarne i principi operativi che avevano assunto nell'assumere incarichi istituzionali di governo. 
Ma tutto questo, in uno "stato di alterazione" che ha ormai del paradossale, continua a sfuggire ai protagonisti della vita politica e mediatica italiana.
2. Partiamo da questo articolo della Stampa. Dove, in variegata (nelle sue possibili motivazioni ufficiali) ottica 25 luglio, ci si interroga. "E l'intero stato maggiore berlusconiano manifesta sorpresa che un fior di tecnico come Saccomanni non sia ancora riuscito a raschiare dal fondo del barile le coperture necessarie per scongiurare l'aumento Iva (2 miliardi nel 2013, 4 miliardi a regime). Quasi una briciola, protestano scandalizzati, a fronte di una spesa pubblica monstre: possibile che non se ne venga a capo?" Aggiungendo "«Saccomanni prenda personalmente in mano le leve», lo incalzano nel Pdl, «e soprattutto punti con decisione i piedi in Europa».
Dove il cerbero occhiuto da combattere, quello che ci vieta di sforare i conti o anche solo di provarci, viene additato nel direttore generale degli Affari Economici e Finanziari della Commissione europea, l'uomo che materialmente stila le raccomandazioni ai vari Paesi, dà o leva le patenti di affidabilità finanziaria. Germanico come Frau Merkel? Niente affatto.
È Marco Buti, italianissimo. Ma, se possibile, ancora più inflessibile di un tedesco. Gli viene rimproverato da destra (e anche un po' da sinistra) di essere troppo «europeo», insomma di non muovere un dito per la Patria in pericolo, diversamente dai super-funzionari francofoni e anglofoni.
Anzi, nel timore di non apparire equanime, di trattarci con una severità che sconfinerebbe nel sadismo... Per cui Saccomanni, sempre nella visione barricadera del Pdl, dovrebbe affrettarsi a mettere in riga Buti e tutti quelli che un profetico Giorgio Gaber, nel '73, già bollava come «i tecnocrati italiani».

3. Parrebbe scontato che si debba approfondire la figura di questo Buti. Ma in realtà, dando per acquisito che il "più Europa" e l'eurotecnocrazia non possono che agire in un modo, per evidenti limiti culturali e esigenze di autodifesa irreversibili, non entreremo, per ora, salvo qualche divertente precisazione in un altro post, nel bunker dell'euro-follia.
L'idea che invece è fonte di una incomprensione profonda del quadro cognitivo scientifico, e quindi l'ostacolo pratico politico-culturale di maggior rilievo, è riassunta in questo passaggio: "Quasi una briciola, protestano scandalizzati, a fronte di una spesa pubblica monstre".
Dal fronte "non piddino" del PUD€ questa idea approssimativa è reiterata ossessivamente di questi tempi.
E' l'idea, da noi più volte denunciata come inesatta, che si possa rilanciare la crescita finanziando sgravi fiscali attraverso il taglio della spesa pubblica. E Saccomani, ennesimo paradosso, mostrandosi cauto sul punto, finisce per essere, per ora beninteso, in una posizione più attendibile e razionale di quella sostenuta da coloro i quali non hanno proprio capito, con questi ennesimi accanimenti anti-spesa, la realtà della situazione e, più che altro, il bene dell'Italia.
4. Di questo diffuso e imprudente atteggiamento abbiamo testimonianza in questo altro articolo, dove tra le altre cose si afferma, rifacendosi a un noto studio di Giarda, abbondantemente qui citato, che dei 600 miliardi di spesa pubblica, il 45,3% è costituito dai costi di produzione dei servizi pubblici...
E qui già mi "casca l'asino" perchè lo studio, con grave inesattezza giuridica, e rifacendosi a criteri contabili che questi presupposti giuridici non possono nè ignorare nè scavalcare (esiste pur sempre il principio di riserva di legge e la distinzione sostanziale delle materie regolate dalla Costituzione), accomuna i servizi pubblici all'esercizio di pubbliche funzioni (pubblica sicurezza, istruzione, vigilanza sulla tutela del lavoro, potere repressivo fiscale, programmi e controlli sull'attività economica in funzione della dignità e della sicurezza umana, tutela ambientale, paesaggistica, archeologica), costituzionalmente obbligatorie   e che, per di più - anche in uno Stato minimo di tipo hayekkiano- già in sè, sfuggono alla possibilità di comparazione con non ipotizzabili servizi "privati".
Si prosegue asserendo poi, sempre nell'articolo linkato, "l'Istat ha elaborato anche una stima: se la dinamica dei costi pubblici e privati fosse stata la stessa, lo Stato avrebbe risparmiato ben 73 miliardi di euro...Questo è il formaggio nel quale si annidano i topi grandi e piccoli". Ora questa è una solenne "imprecisione"...
Ovviamente mi attendo che, come spesso capita, esca fuori qualche "livoroso" che si aggira pieno di iperconvinzioni a origine mediatica, senza mai in interrogarsi come certe idee siano finite nella sua testolina, per dire "voi dite e cercate di dimostrare che non è vero che la spesa pubblica non è tagliabile in questa misura, (premessa in genere implicita), ma (frase fatidica) non sono d'accordo...".
Ecco, quello che segue non è scritto per codesti soggetti: anzi vi annuncio che i "non sono d'accordo", che dopo aver letto un post si trincerano dietro il luogocomunismo presuntuoso e arrogante di chi crede che, a prescindere (da dati, leggi economiche la cui validazione è tragicamente sotto gli occhi di tutti, e, come vedremo, persino dalle stesse fonti utilizzate per accreditare il "luogo comune"), continuano a ignorare le effettive dinamiche della crisi italiana, saranno bannati...perchè non abbiamo più tempo da perdere e la situazione, putroppo, è troppo seria per stare dietro a loro.

5. Dunque Giarda.
Vediamo cosa ha veramente detto il suo studio sulla presunta possibilità di tagliare la spesa pubblica per "ben 73 miliardi", messi lì un pò genericamente senza riferimenti al periodo in cui ciò si è prodotto e senza attenzione alle parole utilizzate nello studio stesso:

"I tassi di crescita della spesa reale al netto degli interessi si presentano, nei sei decenni a partire dal 1951, su un trend fortemente decrescente. Il tasso di crescita medio di decennio è stato dell’8% negli anni Cinquanta e si gradatamente ridotto a poco più dell’1% all’anno negli ultimi venti anni.
La regolarità della correlazione tra crescita della spesa e crescita del PIL rilevata sui tassi di crescita decennali non ha immediato riscontro negli andamenti della crescita di breve periodo, anno su anno. Gli andamenti annuali nella crescita della spesa in termini reali sono influenzati da una serie di fattori, tra i quali i rinnovi dei contratti del pubblico impiego, il quadro economico internazionale, le calamità naturali, il ruolo della politica anti-ciclica e degli stabilizzatori automatici e, forse, anche i cicli elettorali
Per una prima verifica sulla questione se la relazione tra crescita della spesa e crescita del reddito possa considerarsi una relazione stabile nel tempo, sono costruite le figure 2 e 3 che mettono in relazione il tasso di crescita medio triennale della spesa pubblica in termini reali con l’analogo tasso di crescita del reddito, separatamente per i due periodi dal 1954 al 1989 e dal 1990 al 2010.
Dall’ispezione delle due figure e da semplici indicatori statistici si rileva che nel primo periodo la relazione tra crescita della spesa e crescita del reddito è più precisa e più forte dell’analoga relazione per il secondo periodo. Nel primo periodo prevale un trend autonomo, non spiegato, di crescita della spesa pari al 3,14% all’anno che prescinde dall’andamento del reddito, mentre nel secondo periodo tale trend autonomo è pari solo all’1,16% all’anno
."


6. In realtà ciò che viene descritto è che, proprio perchè c'è il moltiplicatore, il taglio dei volumi assoluti della spesa, registrato nella seconda fase (era post divorzio&Maastricht)  determina una crescita minore del PIL: si entra nell'era degli avanzi primari e dell'output-gap, la crescita si indebolisce e diviene sempre più difficile che la sua percentuale in relazione al PIL sia decrescente nonostante i tagli, dato che, come per il debito, il denominatore del rapporto cala nella sua tendenza o cala in termini assoluti, cioè si ha recessione.
Ciò che è confermato, anche se Giarda tralascia del tutto questa analisi (e c'era da aspettarselo!), dai passaggi successivi:

"Inoltre, nel primo periodo è più forte il collegamento tra crescita del reddito e crescita della spesa rispetto al secondo: il coefficiente che lega le due variabili nel primo periodo indica che per ogni punto percentuale di crescita del reddito reale si ha una crescita della spesa pari allo 0,75%; nel secondo periodo tale risposta è pari solo allo 0,34%. In entrambi i periodi la spesa pubblica cresce più rapidamente del reddito, sia per la componente autonoma che per la componente di dipendenza funzionale.
L’evidente correlazione tra i tassi di crescita della spesa pubblica e del PIL, pone la grande questione se si possa definire un rapporto di causalità o di dipendenza funzionale del primo rispetto al secondo e se, e in che misura, l’andamento dei due tassi di crescita possa essere analizzato in congiunzione con i fatti e le idee che hanno caratterizzato la storia del nostro paese...
I tentativi di definire i fattori che influenzano la crescita della spesa pubblica nel tempo – e quindi spiegarne le ragioni – non hanno mai avuto troppo successo. Le spiegazioni originarie – riconducibili alle proposizioni di un famoso economista della scuola storica tedesca del 19° secolo (A. Wagner, 1882) – fanno riferimento alla relazione spesa pubblica-reddito, argomentando le ragioni per le quali la spesa pubblica sarebbe destinata, per sua natura, a crescere più rapidamente del reddito prodotto.
Le ragioni per questo esito si ritrovano nelle due ipotesi di un’elasticità della domanda di beni pubblici superiore all’unità e di una crescente costosità relativa dei beni destinati a costituire i consumi collettivi rispetto ai beni di consumo privato.

Sul primo aspetto, si osserva che la spesa complessiva, variamente classificata nelle sue componenti, può dipendere dall’andamento di variabili economiche, demografiche e sociali (e quindi da variabili che coinvolgono la diminuzione della domanda stessa, vincolata sotto il profilo valutario e...della spesa pubblica, e conseguentemente aumento della disoccupazione-sottoccupazione, ma anche di invecchiamento della popolazione e introduzione di diversi standards ambientali, dovuta al congestionamento e alla pressione antropica-produttiva, ndr.) che possono presentare, in determinati periodi storici, dinamiche più accelerate della dinamica del reddito reale.
A ciò si aggiunga che la crescita della spesa è strettamente legata all’andamento del gettito: la struttura del sistema tributario può generare, per esempio via di progressività, una dinamica di gettito pure superiore alla crescita dell’economia. Un’elasticità della spesa pubblica rispetto al reddito superiore all’unità non è sempre necessariamente il risultato di preferenze orientate a favorire i consumi collettivi"
Ma guarda un pò! E dire che dopo parlano pure degli stabilizzatori automatici e della crescita della durata della vita, correlata al sistema pensionistico e alla "sanità"...a tutto detrimento dell'istruzione, ma non per un motivo ineluttabile, no certo, quanto per l'irrompere dei vincoli di bilancio, all'indebitamento e al debito complessivo, affidati alla efficiente solerzia dei mercati alla ricerca di rendimenti, niente meno!NDR.

"Sul secondo aspetto, sono note le proposizioni di W.Baumol (1965), che sottolineano il carattere peculiare dei processi di produzione pubblica, la loro forte dipendenza dal fattore lavoro e l’associato basso grado di progresso tecnico; in unione con politiche retributive nel pubblico impiego che legano le retribuzioni pubbliche all’andamento delle retribuzioni del settore privato, ne deriva un bias strutturale per costi di produzione nel settore pubblico che crescono strutturalmente più rapidamente dei costi di produzione dei beni privati..."
Qui si travalica in una affermazione un pò paradossale, dato che la presunta "innovazione tecnologica" e gli investimenti sull'organizzazione pubblica risultano piuttosto...azzerati - come viene ammesso in altra parte dello studio stesso-, e non esiste alcuna riprova empirica di quanto potesse essere ancora attuale la tesi di Baumol formulata in era pre-digitale e, certamente, senza considerare che uno Stao potesse per decenni bloccare le assunzioni di nuove professionalità necessarie!

7. "Nei tempi più recenti si è evidenziato il condizionamento della dinamica dei tassi d’interesse sulla spesa per interessi, legato all’accumularsi dei disavanzi nel tempo e alla separazione della sovranità monetaria dalla sovranità fiscale. Si è anche sottolineato il ruolo principale-agente, ovvero il peso che nelle decisioni politiche sulla spesa pubblica è venuta ad assumere la lettura che gli organi politici danno delle preferenze dei loro elettori. Si aggiunga infine il peso crescente che gli obiettivi redistributivi – spesso mal posti – sono venuti ad assumere nella coscienza collettiva e nella lettura che di essi viene data dal sistema politico.
In altre parole, le spiegazioni della crescita della spesa pubblica sono una sorta di
nightmare
dal punto di vista teorico e, forse peggio ancora, dal punto di vista della verifica empirica....La struttura demografica, economica e sociale dell’Italia è profondamente mutata nel corso degli ultimi 60 anni.
Ci si può interrogare se i mutamenti intercorsi nel periodo siano sufficienti per giustificare la triplicazione della quota della spesa pensionistica nella spesa complessiva. La dinamica dei numeri indurrebbe a qualche riflessione da farsi in altra sede. La spesa per le pensioni è stata ripetutamente influenzata da decisioni politiche nel corso dei sessant’anni che consideriamo: in una prima fase con l’estensione dei benefici a categorie che non avevano mai contribuito al prelievo previdenziale, con età di pensionamento molto basse e con la definizione di regole molto generose di crescita delle prestazioni; in una fase successiva, con interventi diretti a rimuovere gli istituti più aggressivi e anomali che determinavano la crescita della spesa, infine con la riforma del 1995 e le successive sue integrazioni. Nel corso degli anni Ottanta l’incidenza della spesa per consumi pubblici sul totale della spesa – che era stata in progressiva riduzione nel periodo dal 1951 al 1980 – è rimasta sostanzialmente invariata. Nello stesso periodo, si sono però verificati importanti cambiamenti nella sua struttura interna: alcune delle funzioni di spesa hanno visto aumentare in modo significativo il loro peso e altre lo hanno visto ridursi in misura corrispondente.
La Tabella 4 evidenzia i principali cambiamenti occorsi nel periodo: Spiccano per l’entità delle variazioni l’aumento della quota della spesa sanitaria e delle spese per servizi generali, che passano dal 42,0% nel 1980 al 44,8% nel 2000, al 47,6% del totale nel 2009 e, d’altro lato, la riduzione della quota della spesa per l’istruzione che scende dal 25,7% nel 1980 al 22,5% nel 2000, al 20,0% del totale nel 2009.
Per le altre funzioni, si osserva un aumento della quota delle spese per la protezione dell’ambiente che accompagna la riduzione delle quote delle spese per la difesa (dal 7,1% al 6,9%, peraltro in ripresa dal 2000 anno nel quale era scesa fino al 5,9% del totale), per l’ordine pubblico, sicurezza e giustizia (che mostrano un andamento in crescita passando dal 9,0% al 10,3% nel 2000, per poi scendere all’8,7% nel 2009) e per gli affari economici (in lenta e graduale discesa dal 7,3% nel 1980 al 6,7% nel 2009). Il cambiamento nella struttura della spesa per consumi collettivi, con la crescita della quota della spesa sanitaria e la corrispondente riduzione della quota della spesa per l’istruzione, è stato molto significativo
."
8. MA ECCO IL PASSAGIO CRUCIALE CHE GLI "ITALIAN TEA PARTY" NON HANNO BEN "INTERIORIZZATO":
"C’è qualche evidenza di questi fenomeni nella storia della spesa pubblica italiana? Misurare la costosità relativa dei consumi collettivi rispetto ai consumi privati è ambizione di tutti i sistemi statistici, anche se si tratta di una ambizione non facile da realizzare perché dei servizi collettivi si conoscono le spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche, ma si hanno solo informazioni limitate sul volume fisico dei beni prodotti con quelle spese: nell’istruzione si conosce il numero degli studenti, ma non quanto è aumentato il valore del capitale umano; nella sanità si conosce il numero degli assistiti, ma non il valore della vita salvata; nella giustizia e nella sicurezza si conosce il numero dei giudicati o dei tutelati, ma poco di più.
Difficoltà di computo a parte, l’ISTAT annualmente rileva l’importo dei consumi collettivi a prezzi correnti e stima i loro valori a prezzi costanti; il rapporto tra le due serie definisce il deflatore, ovvero l’indice di prezzo dei beni di consumo collettivo, che trasforma i valori di spesa monetaria in valori di produzione. Tale indice di prezzo può essere messo a confronto, nella sua dinamica, con l’indice dei prezzi dei beni di consumo privati. Il rapporto tra le due grandezze definisce l’indice di costosità relativa
.
E POI,  ECCO CHE ARRIVA LA PRECISAZIONE DEL VALORE OPERATIVO, CONSEQUENZIALE A QUANTO EVIDENZIATO DALLO STESSO STUDIO NEL PASSO APPENA RIPORTATO, DEL FAMOSO CALCOLO ISTAT DI COMPARAZIONE:
"Ponendoci una domanda che non ha un grande contenuto operativo, ma che stimola qualche riflessione per la Parte II di questo lavoro, ci si può interrogare: "se i prezzi dei beni di consumo collettivo (i deflatori costruiti dall’ISTAT ai fini della costruzione dei quadri di contabilità nazionale a prezzi costanti) fossero cresciuti negli ultimi 40 anni con la stessa velocità dei prezzi dei beni di consumo privati (come rilevati dall’ISTAT), quale sarebbe stata la spesa per i beni di consumo collettivo prodotti nel 2010 ?" La risposta a questa domanda è molto agevole dal punto di vista numerico ed è la seguente: "la spesa per consumi collettivi nel 2010 sarebbe risultata pari a 236,5 miliardi di euro, contro l’importo di 328,6 miliardi rilevato per le spese effettivamente sostenute, con una differenza in meno di 92,1 miliardi di euro". L’esercizio ha natura forse paradossale, però aiuta a riflettere sulle condizioni di offerta dei beni di consumo collettivo che il settore pubblico produce o acquista per metterli a disposizione del cittadino.
I processi produttivi di oggi sono non radicalmente dissimili da quelli di 60 anni fa: si caratterizzano per assenza di innovazione, per essere regolati, nel bene e nel male, soprattutto dal diritto amministrativo e per la presenza di politiche retributive che, in quanto legate soprattutto, se non esclusivamente, alla dinamica dei salari nel settore privato, sono svincolate da ogni considerazione dei risultati ottenuti e dei guadagni di efficienza e produttività."
ATTENZIONE: LO STUDIO SA CHE QUELLI INDICATI NON SONO NECESSARIAMENTE DELLE CAUSE "RIMUOVIBILI" E IN SE' "INSANE", NE' FATTORI CHE "NON" SIANO CONFORMI AL DETTATO COSTITUZIONALE: PER QUESTO ESCLUDE ESPLICITAMENTE CHE QUESTE INDICAZIONI ABBIANO CARATTERE OPERATIVO! Cioè che possano servire da "guida" per procedere utilmente e vantaggiosamente a tagli della spesa in quela misura. Ovviamente questa essenziale e non equivoca precisazione metodologica non è recepita dai "tagliatori" tea-party. Per loro è scritta una certa cosa, la fonte è quella, e non ci sono esitazioni a procedere alla estrapolazione. ALTRETTANTO OVVIAMENTE "L'ESERCIZIO PARADOSSALE" POTREBBE ESSERE COMPIUTO NEL VALUTARE LA PRODUTTIVITA' DELLA SPESA PUBBLICA IN OGNI PARTE DEL MONDO, cosa che non dovrebbe sfuggire a un lettore "razionale".

9. MA VEDIAMO COME TUTTO CIO' SIA RI-PRECISATO NELLA "SECONDA PARTE" DELLO STUDIO (che ovviamente andrebbe letto tutto e confermerebbe ancora di più i commenti che andiamo qui sviluppando):
"Nella fasi di recessione, come definite dalla riduzione del PIL e degli investimenti fissi lordi in termini reali, ovvero nelle fasi di significativo rallentamento della crescita del PIL e/o degli investimenti fissi lordi, la spesa pubblica al netto degli interessi, pure misurata in termini reali, tende ad accelerare il proprio tasso di crescita. Ci sono due ordini di ragioni per questo risultato. Le prime sono legate alla presenza, nelle leggi che regolano i flussi di spesa, dei cosiddetti "stabilizzatori automatici", ovvero di disposizioni legislative che dispongono l’aumento delle erogazioni o che consentono l’aumento del numero dei beneficiari messi in condizioni di difficoltà dalla recessione o dal rallentamento della crescita economica.
Questa caratteristica della spesa pubblica – meglio, di quella parte dei programmi di spesa pubblica che reagiscono automaticamente al ciclo economico – è presente in quasi tutti i paesi. Una seconda ragione discende dagli orientamenti – pure comuni a molti paesi – per i quali il potere politico, nelle fasi di recessione o di rallentamento significativo della crescita economica, è portato normalmente ad assumere provvedimenti per contrastarne le conseguenze negative sull’occupazione o sull’attività di tutti o alcuni settori produttivi.
Gli istituti di contrasto sistematico al ciclo economico presenti nel nostro ordinamento, quali la Cassa Integrazione Guadagni, prevedono l’esaurimento dei programmi quando le condizioni economiche tornano verso la normalità o la crescita. Essi rispondono in modo simmetrico alle riduzioni prima e ai successivi aumenti del reddito o dell’attività economica: la spesa aumenta quando l’economia rallenta e si riduce quando l’economia si riprende.
La politica anti-ciclica si basa però anche su interventi che vengono adottati con specifici interventi legislativi nei momenti in cui la difficoltà economica viene percepita. Per questo tipo di interventi si verifica spesso che essi permangono in vita anche dopo che le condizioni economiche sono mutate. Sono ampiamente noti casi di programmi di nuove spese di natura permanente che, proposti o studiati nel passato ma poi accantonati, vengono attuati in periodi di difficoltà economica. L’aumento di spesa originato da una esigenza anti-ciclica (un fatto positivo) si trasforma in un aumento permanente del livello di spesa. Gli effetti di una nuova legge tendono a permanere nel tempo anche dopo che è venuta meno l’occasione ce ne aveva giustificato l’introduzione. Per questa ragione, gli aumenti di spesa originati da esigenze cicliche assumono carattere asimmetrico: la spesa aumenta in periodi di recessione ma non si riduce quando l’economia riprende.
Il succedersi di periodi avversi nello sviluppo economico di un paese introduce una distorsione a favore di tassi di crescita della spesa più accelerati di quelli che si sarebbero avuti in presenza di un andamento regolare dello sviluppo dell’economia e quindi, indirettamente, una distorsione che favorisce la crescita permanente del rapporto spesa pubblica/PIL."

10. MA, ATTENZIONE, ENUNCIATI QUESTI DUBBI SUL MALFUNZIONAMENTO DELLA POLITICA ANTICLICA PORTATA OLTRE IL SUO ARCO TEMPORALE..."CICLICO", NON VIENE POI AFFATTO INDIVIDUATA L'INCIDENZA DEL FENOMENO. FORSE SEMPLICEMENTE PERCHE' SAREBBE MOLTO DIFFICILE DA PROSPETTARE DOPO 20 ANNI DI MANOVRA TARGATE MAASTRICHT E SI TRATTA DI UNA MITOLOGIA RIPETUTA OSSESSIVAMENTE E SENZA ALCUN FONDAMENTO REALE NEI DATI?
PERCHE' ENUNCIARE IL "PROBLEMA" QUANDO NON SI HA LA PROVA CHE SIA "IL PROBLEMA" TROVANDOCISI IN UNA SITUAZIONE CHE DIPENDE DA ALTRI FATTORI, CHE NON VENGONO POI INDICATI, PER SEGUIRE LA PISTA DEL "CLIENTELISMO"? TANTO CHE POI, AMMETTONO:
"E’ difficile dire quanta della spesa pubblica attuale sia il frutto di decisioni occasionate, oltre dal merito intrinseco della decisione, dal possibile contributo da esse date, nel passato, all’aumento della domanda aggregata e quindi alla ripresa dell’economia da qualche ciclo avverso del passato.
La storia della spesa pubblica italiana negli ultimi sessanta anni mostra la presenza di tutte le possibili situazione di cui si è fatto cenno. Nelle otto fasi di recessione o significativo rallentamento della crescita che si sono succedute a partire dalla prima, quella del 1964-65, la spesa pubblica in termini reali è sempre cresciuta più rapidamente del reddito, con l’eccezione degli anni 1982-83 e 1993-94: in entrambi questi periodi la spesa pubblica si è ridotta rispetto ai valori rilevati nel 1981 e 1992 pure in presenza di un significativo rallentamento dello sviluppo del reddito."
CERTO, MA NELLA PRECEDENTE ANALISI, CON LE RELATIVE TABELLE, I DATI PORTATI NELLO STUDIO, DIMOSTRANO CHE QUALCOSA E' SUBENTRATO E LE DINAMICHE DELLA SPESA PUBBLICA NON SONO PIU' AFFATTO LEGGIBILI NEI TERMINI COSI' SUGGERITI E SI CONTINUA A IGNORARE COME LA FRATTURA TRA LA FASE ANTE-ANNI '90 E LA SUCCESSIVA SIANO COSI' EVIDENTI E CLAMOROSE DA DOVER INDURRE A DIVERSE SPIEGAZIONI: cioè effetto negativo del moltiplicatore dei tagli pregressi della spesa pubblica e dei saldi primari, in concomitanza con il venire meno, progressivo, della domanda estera dovuto a vincolo valutario, variamente innescato su un'economia che, in assenza di esso, se l'era cavata egregiamente, pur con tutti i suoi deficit e, prima del "divorzio", senza neanche far esplodere il debito su PIL!
11. FATTE QUESTE PRECISAZIONI, ALQUANTO OVVIE, SE NON ALTRO PERCHE', COME CI DICE LO STESSO STUDIO, SONO RISCONTRABILI IN OGNI PARTE DEL MONDO, SI VIENE ALLA DOMANDA:
"1.13 Quanta é veramente la spesa aggredibile da misure correttive ? Come premessa alla discussione delle azioni che si possono intraprendere in materia di spesa pubblica è utile riconsiderare la spesa delle amministrazioni pubbliche per quantificarne le diverse componenti, anche in relazione alle opzioni generali di governo e controllo che possono esercitarsi su di essa. (cfr; figura 16 a pag.30). 

La struttura della spesa pubblica al netto degli interessi che si rileva dai conti ISTAT è riportata nella Tabella 16 nella colonna "spesa al costo". La tabella evidenzia che i consumi pubblici assorbono quasi la metà, il 45,2%, della spesa complessiva al netto degli interessi, contro il 32,3% delle pensioni e rendite, il 11,7% delle altre spese correnti, l’ 1,8% per trasferimenti alla UE e il 9,0% delle spese in conto capitale.
Questa rappresentazione della struttura della spesa è però in parte ingannevole perché la spesa per consumi pubblici – che nel 2009 risulta pari, nelle statistiche Istat, a 327,8 miliardi di euro – include importi che non hanno rilievo per il computo del saldo di bilancio e nessun rilievo per la valutazione delle eventuali misure di contenimento della spesa. Questi importi svolgono solo la funzione statistica di consentire il computo del valore aggiunto del settore pubblico compatibile con le regole utilizzate per il computo del valore aggiunto del settore privato, da utilizzare nella costruzione della contabilità nazionale.
Le somme che vengono registrate, per pari importo, nella spesa per consumi collettivi e nelle entrate delle pubbliche amministrazioni, senza effetto sui saldi del conto delle amministrazioni pubbliche, riguardano, per l’anno 2009:
- ammortamenti 29,7 mld.
- contributi sociali figurativi 50,0 mld.
- imposte indirette 18,0 mld.
- per un totale di 97,7 mld.
Ora vale considerare che nessuno di questi importi, il cui totale è pari a circa il 6% del PIL, appartiene all’ambito decisionale del governo o del parlamento.
Deducendo l’importo di 97,7 miliardi di euro dal totale dei consumi pubblici di contabilità nazionale, risulta che la "spesa per consumi collettivi finanziata nelle decisioni bilancio" è pari a 230,1 miliardi di euro. I costi imputati fanno aumentare la spesa da finanziare e tendono a distorcere –almeno in prima lettura – il peso dei diversi comparti di spesa.
La struttura della spesa pubblica che si ottiene considerando la spesa da finanziare, su cui governo e parlamento decidono, è quindi significativamente diversa dalla spesa definita per i fini della contabilità nazionale. Con riferimento alla spesa complessiva al netto degli interessi risulta infatti che i consumi pubblici non assorbono il 45,2% ma solo il 36,5% del totale; con riferimento alle spese correnti al netto degli interessi, i consumi pubblici assorbono solo il 40,7% e non il 50% del totale.
Sulla spesa complessiva, la quota più rilevante è costituita dalla spesa per pensioni che assorbe il 37,3% del totale, percentuale alla quale deve aggiungersi l’8,9% della spesa per assistenza e altre forme di previdenza, per un totale pari al 46,2% della spesa complessiva e al 52% della spesa corrente.
Se dal totale della spesa corrente si detraggono le spese per aiuti internazionali e i trasferimenti all’Unione europea, risulta che circa il 53% della spesa è destinato a pensioni e ad altri interventi di protezione sociale e il 47% a consumi pubblici e programmi tradizionali di sostegno di attività di interesse pubblico.
Le note statistiche di questo paragrafo non modificano per nulla i problemi dell’elevato deficit di bilancio e dell’elevato rapporto debito-PIL. Tuttavia, se valgono le proposizioni a favore della tesi che il settore previdenziale ha raggiunto un proprio accettabile equilibrio di lungo periodo, mette in evidenza che gli eventuali interventi di contenimento della dinamica della spesa si dovrebbero tutti concentrare su una quota della spesa complessiva al netto degli interessi non superiore al 50 per cento.

12. Una breve sintesi
...Su natura e finalità della spesa pubblica vale la considerazione che essa può assimilarsi ai costi di un’azienda multi prodotto, (qui si coprende la "precomprensione che caratterizza, con esplicita ammissione, l'intero studio, ndr.), ciascuno con i propri modi di produzione e i propri mercati di sbocco.
Si raggruppa in spese finalizzate alla produzione di beni di consumo collettivo e di infrastrutture pubbliche che assorbono circa il 45,2% del totale della spesa complessiva, al pagamento degli interessi sul debito per l’8,8%, al sostegno degli investimenti di aziende produttive (di proprietà pubbliche e privata) con il 4,4%, alle pensioni per il 30,2%, a interventi redistributivi per il 11,4% del totale.
La frazione più rilevante della spesa pubblica, la produzione dei beni di consumo collettivo, è caratterizzata da una dinamica dei costi di produzione strutturalmente superiore alla dinamica dei costi di produzione dei beni di consumo privati. Questo sovra-costo è pagato, a seconda delle circostanze e nei diversi periodi, con il contenimento della produzione, con l’aumento della tassazione, con l’assorbimento di parte dei benefici della crescita economica, con la riduzione di altri categorie di spesa, o con l’aumento del deficit. Nell’esperienza più recente, la crescita della spesa per i beni di consumo collettivo, è trainata dalla spesa sanitaria, dalla spesa per l’amministrazione generale e dalle spese di rilievo ambientale. Il costo della crescita sopra-media di questi settori è pagata soprattutto dalla spesa per l’istruzione pubblica (!) che si presenta con una continua perdita di quota nel totale della spesa per consumi pubblici.

13. POI PER GLI "ITALIAN TEA PARTY":
"Sui consumi pubblici è da rilevare che la loro quota nel totale della spesa pubblica è fortemente influenzata dalla presenza, nelle statistiche comunemente utilizzate a livello europeo per la verifica del rispetto delle regole del patto di stabilità, dalla presenza di poste imputate che le fanno apparire molto più elevate di quanto non siano in realtà.
La categoria di spesa che segue i consumi collettivi nella graduatoria dell’incidenza percentuale è costituita dalla spesa per pensioni che si caratterizza per avere mostrato, negli ultimi sessant’anni, la più elevata velocità di crescita rispetto a tutte le altre categorie di spesa. La spesa per pensioni coinvolge circa venti milioni di persone e, nella sua struttura, si caratterizza per essere ancora oggi coerente con il titolo di un libro del professor Castellino di trent’anni fa: "la giungla delle pensioni". Rispetto a quel tempo, sono cambiate le prospettive di crescita futura, ma restano le straordinarie disparità di trattamento di individui non dissimili tra di loro. L’importo della pensione è influenzato dalla carriera retributiva dell’individuo, dalla continuità dell’occupazione, dalle possibilità di ricostruzione della carriera ai fini pensionistici, dalla diversità degli ordinamenti soprattutto rilevante tra individui provenienti dal settore pubblico rispetto a quelli provenienti dal settore privato. Considerando il settore di provenienza (pubblico o privato) e il genere (maschi e femmine), le differenze riguardano sia i valori medi delle pensioni, sia la loro dispersione: le pensioni pubbliche sono più elevate e più uniformemente distribuite rispetto a quelle private, le pensioni delle donne sono più basse e più uniformemente distribuite rispetto a quelle degli uomini. 34
Nel lungo periodo i tassi di crescita della spesa pubblica al netto degli interessi sono andati progressivamente riducendosi accompagnando la riduzione dei tassi di crescita dell’economia (QED: ANCORA UNA VOLTA LA PISTA DEL "MOLTIPLICATORE" E' "INSPIEGABILMENTE" ABBANDONATA, ndr.).
Il rallentamento della crescita si è concentrato nella spesa per l’istruzione, per la sicurezza, giustizia e difesa e nella spesa per investimenti."

14. MA GUARDA UN PO'. E CIO' DOVREBBE ESSERE SENZA EFFETTO SUL PIL, E AUTORIZZARE, CON L'INVERSIONE DEI MECCANISMI ACCREDITATI PERSINO DAL FMI, LA ESCOGITAZIONE DELLA "SPESA PUBBLICA IMPRODUTTIVA" E LA DIMENTICANZA DI COME VALORI REALI ASSOLUTI, CORRETTAMENTE CALCOLATI (CIOE' CONTEGGIANDO NELL'OUTPUT LA PARTE NON CONTABILIZZATA DELLE UTILITA' PUBBLICHE EROGATE v.supra), PUR DIMINUENDO, NEI LIMITI DI QUELLO CHE CONSENTONO STABILIZZATORI AUTOMATICI SEMPRE PIU' VISTI CON INSOFFERENZA, CONTINUINO A RAPPRESENTARE UNA PERCENTUALE TIMIDAMENTE CRESCENTE DEL PIL...TANTO CHE: 

"Particolarmente rilevante è stato il calo relativo della spesa in conto capitale nelle due sue componenti di spesa diretta per investimenti delle amministrazioni pubbliche e spesa per contributi a sostegno degli investimenti privati. Attualmente, queste ultime spese sono concentrate soprattutto nel pagamento di annualità per finanziamenti divenuti operativi nel passato.
La spesa si è progressivamente spostata verso le amministrazioni locali, riducendo il peso occupato in passato dall’amministrazione centrale. Lo spostamento è stato particolarmente rilevante per i consumi collettivi. Le spese di amministrazione generale (incluse quelle sul funzionamento delle istituzioni della politica) sono aumentate più rapidamente delle altre, soprattutto nel settore dell’amministrazione locale.
L’amministrazione locale gestisce circa il 50% della spesa pubblica complessiva diversa da pensioni e interessi sul debito. Il finanziamento di tale spesa è basato in parte maggioritaria su trasferimenti dallo stato e compartecipazioni, essendo basso, circa il 40%, il peso dei tributi propri includendo tra questi l’IRAP il cui gettito svolge, in larga parte, solo funzione di "acconto" sul finanziamento della spesa sanitaria.
Nel considerare la dinamica complessiva della spesa pubblica vale rilevare il drastico cambiamento occorso a partire dalla fine degli anni Ottanta. Il tasso di crescita della spesa pubblica in termini reali nel periodo fino al 1989-90 si presentava decrescente seguendo la progressiva riduzione del tasso di crescita del reddito nazionale; nei due decenni successivi la relazione tra le due grandezze si è progressivamente allentata e la crescita della spesa sembra essere, più di quanto non avvenisse in passato, il risultato di esplicite politiche di governo da parte delle autorità di governo.
La spesa pubblica è stata quasi sempre, a partire dall’inizio degli anni sessanta, strumento di contrasto alle fluttuazioni nello sviluppo del reddito, sia attraverso i meccanismi incorporati nelle leggi di spesa (gli stabilizzatori automatici), sia per effetto di esplicite decisioni politiche assunte nel durante delle fasi di recessione. C’è qualche evidenza che una parte di queste decisioni, operando su componenti permanenti della spesa, abbia comportato un innalzamento permanente dei livelli di spesa pubblica e quindi dei suoi tassi di crescita di lungo periodo"

15. TUTTA LA II PARTE DELLO STUDIO E' POI TESA AD INDIVIDUARE I MODI DELL'INTERVENTO DI "TAGLIO" DELLA SPESA PUBBLICA, SEMPRE PRECISANDOSI QUELLO CHE SI E' APPENA VISTO COME CONTENUTO NELLO STUDIO: CIOE' CHE QUALUNQUE TIPO DI SPESA E' CONTEGGIATO COME PARTE DEL PRODOTTO NAZIONALE. IN NESSUNA PARTE DELLO STUDIO E' QUANTIFICATA UNA SPESA TAGLIABILE, MENO CHE MAI IN 73 MILIARDI, E MENO CHE MAI COME RIFLESSO DELLA COMPARAZONE DEI PRESUNTI COSTI DI PRESUNTI ANALOGHI BENI E SERVIZI PRODOTTI DAL SETTORE PRIVATO. oltretutto l'esercizio di comparazione, definito nello studio come "paradossale" e privo di "valore operativo" quantifica il maggior costo comparato COME PRODOTTOSI IN 40 ANNI E NELLA DIVERSA CIFRA DI OLTRE 92 MILIARDI.

Inoltre, lungi dal dare cifre e quantificazioni precisamente riferibili a questo o quel settore, le soluzioni indicate dallo studio si incentrano su diversi livelli di possibile privatizzazione della produzione delle utilità pubbliche, che si tratti di funzioni (ad es; comprese giustizia e pubblica sicurezza, non escluse dal carattere delimitato delle esemplificazioni compiute) che di meri servizi pubblici.
Privatizzazioni più o meno accompagante da un livello molto più limitato di sussidi e erogazioni pubbliche per limitati settori sociali deboli - che come per il "reddito di cittadinanza", sarebbero determinati da transeunti valutazioni, mutevoli e cedevoli con le esigenze del pareggio di bilancio- , appunto per consentire il risparmio, e i cui effetti si sono abbondantemente visti nel campo delle privatizzazioni dei servizi pubblici finora compiute (innalzamento di rendite private da monopolio, dei livelli tariffari ben oltre le dinamiche inflattive e riduzione dell'efficienza e della stessa capacità di investimenti innovativi tecnologici).
E QUESTO SENZA CHE SIA NEPPURE MENZIONATO L'AMBITO DELLE NORME COSTITUZIONALI CHE IMPONGONO IN CERTI SETTORI, COME, SU TUTTI, ISTRUZIONE E SANITA', L'INTERVENTO A CARICO DELLO STATO: QUESTO COME UNICA GARANZIA DI EROGAZIONE UNIVERSALE E TESA A GARANTIRE, FUORI DALLE LOGICHE DEL PROFITTO E DELLA EFFICIENZA D'IMPRESA, CHE NULLA HANNO A CHE VEDERE CON L'EFFICACIA DEL SERVIZIO EROGATO DAL PUNTO DI VISTA DEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI COSTITUZIONALI.
QUESTE LE CONCLUSIONI DELLO STUDIO SUL PUNTO:

"Nelle politiche di intervento strutturale sulla spesa, gli elementi da considerare sono almeno quattro:
A - I compiti allocativi, ovvero il controllo dell’offerta (quali beni di consumo collettivo o quali programmi di spesa possono essere affidati in gestione a soggetti di diritto privato, con il settore pubblico che mantiene di essi una proprietà piena o parziale, o addirittura trasformando da soggetto proprietario e gestore in soggetto solo regolatore).
B - I compiti di produzione (se la produzione dei beni di consumo collettivo e delle infrastrutture debba essere mantenuta all’interno del settore pubblico o possa affidata a soggetti di diritto privato e poi acquistata dall’operatore pubblico).
C - I mezzi finanziamento (se sia possibile portare avanti in modo sistematico la sostituzione di tariffe e prezzi quali mezzi di finanziamento al posto di prelievi coattivi di natura tributaria).
D - La differenziazione di prezzi e tariffe tra individui (in via diretta o attraverso la spesa di sussidi o borse di studio).
La considerazione di tutte le possibili opzioni su esternalizzazione delle scelte e del governo allocativo delle funzioni pubbliche, con spostamento all’esterno delle responsabilità di gestione e sui mezzi di finanziamento soprattutto nelle attività affidate alla competenza degli enti territoriali, configura quindi una varietà di possibili interventi, in relazione ai diversi possibili utilizzi delle azioni indicate ai punti da A a D. precedenza.

Opzione 0. Mantenere il controllo pubblico dell’offerta, decentrando in parte la produzione su strutture pubbliche di diritto privato. E’ questo il caso, a cui si è già fatto riferimento in più occasioni, di esternalizzazione di segmenti di attività e dei corrispondenti mezzi di finanziamento, verso società di diritto privato, di proprietà pubblica. Ci sono una varietà di esempi, tutti finalizzati ad ottenere accesso a modalità di gestione non più vincolate dalle regole del diritto amministrativo e quindi potenzialmente più flessibili e più efficienti. L’utilizzo di questa opzione non sposta i confini dell’intervento pubblico fin tanto che le fonti di finanziamento dell’attività sono le stesse che prima dell’esternalizzazione affluivano direttamente al bilancio dell’ente.

Opzione 1. Mantenere il controllo pubblico dell’offerta, decentrando in parte la produzione su società di diritto privato, di proprietà privata. E’ questo il caso delle numerose società che, in alcune regioni, vendono prestazioni sanitarie alla Azienda sanitaria locale o direttamente alla Regione. In qualche caso con specifico scopo di lucro. In altri casi all’interno di strutture non profit. La presenza di strutture di questo tipo é molto utile perché fornisce dei paradigmi di riferimento anche per le struttura di produzione pubblica. Pone, così come ha posto, il rischio o l’inconveniente che i prezzi di acquisto di qualche bene o servizio definiti dalle strutture di governo dell’offerta pubblica siano "sbagliati" (troppo elevati) o non aggiustati tempestivamente o non sottoposti al criterio della libertà di entrata, per esempio generando situazioni permanenti di profitto quasi monopolistico.


Opzione 2. Mantenere il carattere pubblico della produzione incentivando aumenti del contributo diretto dell’utente per l’accesso al servizio. Strutture di offerta pubbliche siano autorizzate a praticare politiche autonome di prezzi per l’accesso ai servizi da loro forniti. Si può citare a questo riguardo le politiche che, gradualmente, sono venute affermandosi nel sistema universitario statale, all’interno del quale le tasse universitarie, sotto diversi nomi e causali, si sono progressivamente differenziate. E’ evidente che nell’università ci sono ampi spazi per una liberalizzazione dei prezzi di accesso.

Opzione 3. Mantenere il solo controllo pubblico dell’offerta, decentrare la produzione su strutture private e aumentare il contributo diretto dell’utilizzatore. E’ questo il caso di strutture di offerta private, regolate nelle modalità di offerta dei servizi, alle quali è attribuito un potere limitato di fissazione dei prezzi d’uso o di limitazione dell’accesso ai servizi, come è il caso dei trasporti extra-urbani in concessione.

Opzione 4. Come l’opzione 3, fino al full financing accompagnato da interventi di sostegno a favore dei redditi più bassi. Esempio la privatizzazione delle parti non essenziali dell’assistenza sanitaria.

Opzione 5. Riportare l’intervento pubblico all’ambito esclusivo delle decisioni di soggetti privati. Ovvero la privatizzazione tout cour. Accompagnata da misure di sostegno monetario dei redditi dei soggetti a più basso reddito.
2.5 In sintesi.
Il linguaggio comune spesso tende a ricondurre i possibili interventi capaci di ridurre o di rallentare la crescita della spesa pubblica a un singolo unificante fattore, definito con il terme di "riduzione degli sprechi". Il contenuto di questa seconda parte della relazione e la sua enfasi sulla tassonomia dell’inefficienze sono diretti a mostrare che la nozione di efficienza ha una varietà e complessità di dimensioni che, se pure tra di loro imparentati, hanno ciascuno una loro autonomia e meritano di essere trattate in modo separato ed autonomo.
Gli sprechi e le inefficienze produttive e gestionali che si rilevano nell’organizzazione di grandi servizi pubblici sono cosa diversa dal mantenimento in vita di programmi disegnati qualche decennio fa per rispondere a una situazione economica e sociale che oggi ha cambiato completamente faccia. Interventi ridistributivi a favore di soggetti, aziende o settori produttivi oggi non più non meritevoli di particolare tutele sono cosa diversa da nuovi investimenti pubblici giustificati da analisi di convenienza economica costruite sulla base di pregiudizi immotivati o palesemente infondati.
A sostegno dell’offerta dei servizi pubblici e dietro l’organizzazione dell’intervento pubblico c’è quasi il 20% dell’occupazione e del lavoro dipendente che vanno a comporre il più grande settore produttivo del paese. La mancanza di valutazioni marginali se e in che misura il paese debba gestire aumenti (o riduzioni) della spesa sanitaria piuttosto che aumenti (o riduzioni) della spesa per la scuola è un problema serio, ma diverso da una decisione di ridurre la spesa in un qualche settore perché la corrispondente riduzione del prelievo tributario può aiutare le imprese e la crescita economica.
La tassonomia sulle ragioni e sulle manifestazioni dell’inefficienza proposta in questa seconda parte potrà forse essere considerata un po’ troppo pedante; il suo obiettivo è quello di portare il lettore che, prima o poi, potrebbe essere chiamato ad esprimersi sulla spesa pubblica italiana a una più attenta considerazione della semantica della spesa pubblica ed anche a meglio classificare e valutare le proposte che potranno essere effettuate.


16. Come si può vedere la conclusione di Giarda è la "solita", MA SICURAMENTE DIVERGE DA QUELLA COMPIUTA DAI MEDIA CHE INVOCANO IN QUESTI GIORNI IL TAGLIO SALVIFICO DELLA SPESA PUBBLICA...per 73 miliardi:
- esisterebbe una spesa "tagliabile" - sempre che si ignori la intrinseca pro-ciclicità di ciò e il moltiplicatore, beninteso-, ma in un modo molto più limitato e incerto, non mai riferibile ai 600 miliardi di "base di riferimento" sbandierati oggi a ogni piè sospinto;
- e non certo quantificabile in alcuna cifra, in base alle metodologie suggerite dallo stesso studio; mentre la quantificazione dei famosi 73 miliardi procede da una comparazione puramente descrittiva di potenziali problematiche, tutte da risolvere se non indecifrabili, nella misurazione effettiva dell'ouput pubblico; secondo "ipotesi" "non operative" che non conducono a misure/quantità precisabili, una volta inserite nei metodi descritti nella seconda parte.
Il presupposto di questo "taglio" sarebbe quello di pervenire alla riduzione del prelievo tributario, postulandosi la "solita" indifferenza, a rilievo meramente contabile, del taglio stesso della spesa pubblica, che inciderebbe solo sulle poste del bilancio e di cui non viene indicato, in modo nè generale nè analitico (essendo mancata la stessa indicazione quantitativa di concreti tagli in specifici settori), il "moltiplicatore".
La mentalità è quella "europea": riduzione del bilancio e dell'azione pubblica perchè il relativo intervento è considerato sacrificabile, ignorato il moltiplicatore, e, assunta a "bene supremo", la riduzione del deficit per contentare i "mercati" e assecondare semmai riduzioni fiscali per politiche di aiuto sul lato dell'offerta ("aiutare le imprese), ma sempre a costo di riduzioni della spesa pubblica, assunte con leggerezza come alternative "per" la crescita stessa, nonchè indifferenti nei loro effetti sul tessuto sociale e sull'occupazione (trattandosi pur sempre di un fattore ulteriormente riduttivo della domanda).
Il tutto attraverso metodologie che privilegiano la privatizzazione progressiva e praticamente illimitata di quasi tutte le utilità, quand'anche siano oggetto di vere e proprie "pubbliche funzioni" previste e disciplinate come compiti obbligatori della Repubblica dalla Costituzione, in attuazione programmatica dei suoi principi generali.
Insomma, "il meraviglioso mondo di Von Hayek".

29 commenti:

  1. Esiste una versione VIDEO o quantomeno AUDIO di questo post ? :-)
    Se già per lavori passi le giornate al computer, è davvero dura, se non impossibile, leggere tanto.
    Sarebbe invece fantastico trasformare questi post così lunghi in video da assaporare piacevolmente: altro che TV !

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A chi lo dici che passare per lavoro le giornate al computer si aggiunge alla fatica del blog!
      Un video? Alla fine un post come questo, potrebbe essere una serie a puntate; di quelle, di informazione, che in TV non potresti mai vedere.

      Elimina
    2. "L’Europa, meno influenzata dall’organizzazione visiva tipica dell’industrialismo, fu più influenzata dalla radio rispetto all’America. Questo medium coinvolge in profondità le persone e la TV l’ha trasformata da medium di svago in una specie di sistema nervoso d’informazioni (bollettini meteo, notiziari, ecc.) sfruttando il suo aspetto di esperienza privata.
      La radio fornì la prima grande esperienza di implosione elettrica, ma solo nelle società alfabetizzate. L’alfabetismo originò un estremo individualismo ma la radio fece il contrario rievocando l’esperienza del profondo coinvolgimento tribale: è un’estensione del sistema nervoso centrale alla quale può essere accostato soltanto il discorso umano. Se vediamo senza parlare notiamo che l’occhio è neutro ma se parliamo al buio le parole assumono una nuova sostanza, un’aura magica, re-tribalizzante. Un potere che è passato inosservato a molti studiosi dei media, poiché la natura del medium è stata fraintesa (es. la censura si applica solo ai contenuti, ai programmi, ma gli effetti della radio ne sono
      indipendenti). Gli interessi commerciali, per rendere accettabili i media, si orientano al divertimento e
      così ottengono grande velocità e impatto sulla vita psico-sociale. La radio è una forza pluralistica e decentrante, contraria al nazionalismo, come l’energia elettrica. Si forniscono programmi diversi in base alla fascia oraria, agli ascoltatori, alla comunità, in svariate e capillari emittenti locali" (Marshal McLuhan, Gli Strumenti del Comunicare 1964).

      Radio Orizzonte48 è un brand con un notevole appeal, suona melodiosamente, fa presa immediata. Condotta per 'scaldare' gli ascoltatori, ovunque essi si trovano (nella modalità WebRadio).

      Elimina
    3. Sarebbe una grande possibilità (non fosse che è un mercato con barriere d'accesso ormai cristallizzate...verso la poca qualità) :-)

      Elimina
  2. Eh....
    te lo ricordi?
    "dobbiamo fare austerità perchè il rapporto debbbbito/pil è insostenibile"

    -"evviva Monti il salvatore della patria"
    Quindi: dobbiamo tagliare il reddito nazionale (noto anche come pil) per migliorare il rapporto debito/pil....dipende che si intende per "migliorare"....

    un anno dopo...."Mah...Monti ha fallito; gurda un po' il rapporto debbbbito/pil è peggiorato"...e chi lo avrebbe mai detto.....?

    Ah, no aspetta, "è stata fatta una austerità sbagliata tutta sul lato delle tasse; DOBBIAMO TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA IMPRODUTTIVA".

    Ah, ecco, ammesso che esista sta mitologica "spesapubblicaimproduttiva"...Diciamo che se proprio vogliamo, la piu' improduttiva spesa pubblica sono gli interessi sul debito (non per un banchiere o un rentier, pero')?

    e quale sarà il "bel" risultato di sti tagli alla spesa pubblica primaria improduttiva?
    Che la percentuale di spesa pubblica destinata agli interessi sul debito (manco fosse poca già oggi) AUMENTERA'.

    insomma, per diminuire la spesa pubblica improduttiva bisogna "riallocarla" verso.....la spesa pubblica piu' improduttiva (ma non per i banchieri miopi)...

    Fila il discorso no?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Austero, sobrio, credibile, autorevole.
      Ecco come una serie di aggettivi possono essere sputtanati per sempre...Chi lo avrebbe mai detto?

      Elimina
    2. Ciao Knight,
      con piacere, sento crescere "ombrosità" rossiniane legittime, meno legittimate che nel "quadro" stonerebbero, .. e "va bene così" per l'incontro del 25 di luglio.
      Ancòre distratte le moine dei "giri", sono tanti o solo l'algoritmo del "replicante"?
      Meglio andare a sentire i Pozzi, coinvolti e efficaci, che parlano dei paradossi "ginetici" dei nuovi orizzonti e, come l'aritmetrica insegna, uno meno da una parte equivale ad uno di più dall'altra.
      ;-)

      Elimina
    3. Ciao grande Poggio!
      La situazione è un pò "interlocutoria" se non confusa...Quando ti va scrivimi le tue impressioni senza rete (via mail).
      In realtà ho l'impressione che ci sia più terra fertile e frutti di quanti non si sappia cogliere :-)

      Elimina
  3. "Quanta sabbia nei (miei) sandali, quanta n'avrà fatta Bartali" .. poi, senza sandali, "sabbia" e "sassi" erano solo in quelli di Bortoli.
    Come i frutti delle fertilità dissodate sono prodotto di coltivatori che conoscono e diffondo la tecnica del "diserbo" che, come in questi terreni, di"vulga"no sapere consapevole mentre al consorzio "consortile" s'arrappa di "vulve" p(r)ezzate.
    Thanks, keep in touch ..
    ;-)

    RispondiElimina
  4. L'uscita dall'euro, a mio giudizio inimmaginabile, provocherebbe una perdita immediata del 50% del PIL e una svalutazione tra il 40 e il 50 % dei nostri stipendi, pensioni e risparmi. Nella migliore delle ipotesi. Così si è espresso qui.

    Quasi da campagna elettorale 'costituente': il sostrato è la perdita, regalo della gestione della crisi sull'asse Brussels-Berlin. Il PUD€ rappresenta la sua offerta e quella concorrente: quest'ultima "provocherebbe una perdita immediata del 50% del PIL e una svalutazione tra il 40 e il 50 % dei nostri stipendi, pensioni e risparmi". Invece, la migliore delle ipotesi, lo statusquo "costerebbe" solo un taglio del 25/35% ma la ripresa è dietro l'angolo".

    Mi domando se il PUD€ non abbia ristrutturato così la situazione attuale con un framing di natura elettorale, nel contesto del momento decisivo delle riforme istituzionali e mentre la seconda Repubblica stasera vedeva celebrato il suo addio con l'omelia funebre recitata nel salotto di Milly Bartiromo.

    Se la seconda Repubblica se ne va allora la terza addavenì, col governo che dopo meno di due mesi ha perso la spinta del ragazzo di Drò e che può farsi da parte fino allo sprint vincente.

    Una bella doppietta con l'elezione della qui e lì.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E certo come no! Poteva sparare qualsiasi cifra tanto l'intervistatore avrebbe incassato e pubblicato senza battere ciglio, incapace di fare un qualsiasi commento che non fosse una pura registrazione acritica e implicitamente ammirata ("lui sì che se ne intende! Ascoltiamolo tutti! Parola del Signore degli Anelli").
      In realtà portare in 20 anni il debito a una diminuzione di oltre (ormai) 60 punti di PIL costituirà un impoverimento ben oltre il 25-35%. E anche oltre il 50%. Ma il problema in fondo sono le proprietà e i finanziatori dei giornali...

      Elimina
    2. onestamente il 50% del PIL perso immediatamente è davvero troppo. non penso che qualcuno che sappia minimamente cos'è il PIL (neanche come si calcola) possa crederci.
      Pare davvero una sparata da Bar e penso che anche per i più ignoranti sembri un esagerazione.

      Il fatto che le sparino così gigantesche fa capire che se la fanno davvero sotto all'idea di perdere la posizione di potere...del resto quelli del PD sono espostissimi.

      Elimina
    3. Ma prima di tutto: perchè il PIL dovrebbe diminuire?
      (rammento che il risparmio non convertito in investimento, classificato come tale ai fini industriali, non figura nel PIL e che il risparmio convertito 1:1 avrebbe un minor valore solo fuori dall'Italia, ove si volesse consumarlo in valuta che si fosse sostanzialmente rivalutata rispetto a quella italiana)

      Elimina
    4. Tutto il PUDE appare compatto almeno su due 'fronti': rappresentare la realtà e il suo futuro 'a c...o di cane' (cit.) E contestualmente considerare il cittadino solo come elettore, che deve scegliere (imprigionato in una illusione di alternative) ma non capire, comprendere.

      Da qui, il resto.

      Elimina
    5. Ed perciò che il PUDE è agli sgoccioli e sta per scindersi, coi badogliani non più convinti di sopportare il costo di politiche dettare da ignoranza suicida (ovviamente pensano solo che siano "suicide" :-))

      Elimina
    6. Lo credo anch'io.
      La loro miopia, che si rivelerà distribuita non uniformemente, con piddini accecati dal fogno stile 'finché morte non ci separi'.
      Loro certamente non considerano l'affermazione del Saccomanni olandese secondo cui il tempo in Europa per uns maggiore integrazione è alle spalle.

      Mi domando, quindi, se questa apparente uniformità, favorita dall'affaire B., resista il tempo sufficiente allo spread di arrivare a 450, alzare bandiera OMT e firmare sotto la scritta 'Von Hayek per sempre'.

      Elimina
    7. Eh beh, se governano gli europiddini è praticamente inevitabile. Ma siccome sarebbe un evidente suicidio per quelli che almeno si rendono conto della euroinsostenibilità, compresi i piddini "nel-med" (su cui ne vedremo di novità), la lotta si aggirerà intorno a questo snodo. Da notare che gli USA potrebbero accettare l'euro-break se sovviene prontamente una (con)federazione, una sorta du UE-med (confederazione magari incentrata da difesa e politica estera comuni "med", dettaglio essenziale), che stabilizzi l'area, li sollevi da ulteriori impegni che non vogliono più sostenere strategicamente, risolvendo le loro perplessità sulle conseguenze e neo-isolando la Germania

      Elimina
  5. diciamo che la prosa e concetti espressi da giarda sono qualcosa di respingente...(ma davvvero respingente...)

    guardate che perla ho trovato (tratta dal primo quotidiano regionale in italiano per vendite , so per certo che ha grossa inflenza sull'opinione pubblica locale...) da non credere (per non crede che non sia un 'complotto'...)

    aro direttore, l'altro giorno ascoltando Rai Radio3 la rubrica «Primapagina» il conduttore ha risposto ad un ascoltatore dicendo che l'attacco alla Costituzione è già stato portato con la legge di pareggio di bilancio, perche consente di ridurre il welfare per ottenere il pareggio stesso, pareggio peraltro auspicabile. Nessun cenno al fatto che il pareggio è la prima misura necessaria a fermare la crescita del debito che si è formato durante decenni di spese maggiori delle entrate. E nessun cenno al costo annuale del debito pubblico, sul quale i media italiani, tutti, si limitano a parlare dello spread, dei rapporti deficit/pil e debito/pil, concetti chiari solo ai contabili. Gli interessi sul debito ci costano 90 miliardi all'anno, il 20% sul totale delle entrate, quattro volte il costo della difesa - più di giustizia, difesa, istruzione messe insieme - quattro volte l'Imu dell'anno scorso, tanto per dare qualche dimensione di riferimento. Per questo andrebbero rottamati i D'Alema i Casini i Fini e tutti coloro che per decenni hanno votato finanziarie in perdita che hanno prodotto i 2000 miliardi di debito. Da notare che, essendo la metà del debito in mani straniere, ogni anno, 40-50 mld di interessi escono dal sistema Italia e poi ci lamentiamo che mancano soldi per le imprese... Come è pensabile in tale situazione debitoria opporsi al pareggio di bilancio, chiedendo invece di aumentare la spesa?

    continua sotto

    RispondiElimina
  6. La risposta del Direttore

    Se in Italia avessimo avuto l'obbligo di pareggio di bilancio fin dagli anni Settanta, oggi non avremmo debito pubblico da pagare, tasse che gravano sulle famiglie e sulle imprese fino e oltre il 50% del reddito, miliardi di euro sottratti ogni anno a finalità sociali e ai più deboli, che dobbiamo invece destinare agli interessi sul debito allegramente e sconsideratamente lasciato crescere.
    Purtroppo la classe politica italiana ha preferito giocare negli anni in maniera cinica scaricando la propria irresponsabilità (pensioni dopo soli 14 anni sei mesi e un giorno, servizi gratis a tutti, dilatazione abnorme dei dipendenti pubblici, privilegi assurdi e costi della politica insostenibili) sulle generazioni successive.
    Senza il freno dell'obbligo di bilancio, il Parlamento e gli Enti locali hanno dilapidato la ricchezza del Paese, sperperandola per lo più in leggi clientelari e insostenibili economicamente, lasciando il conto da pagare ai giovani, che ora devono fare rinunce e sacrifici per sanare le follie dei padri.
    Con l'approvazione in Parlamento del nuovo articolo 81 della Costituzione, finalmente si è tornati a ridare valore all'articolo 3 della Carta fondamentale dove si afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Anche i giovani e chi viene dopo. Prima di questo, infatti, in assenza del pareggio di bilancio, è stato facile spartirsi tutte le risorse, anche quelle future, ritenendo che i giovani e i precari fossero meno uguali degli altri, e fossero quindi tenuti a pagare i privilegi dei garantiti venuti prima di loro.
    Il Parlamento italiano, in uno dei suoi pochi momenti di resipiscenza di fronte alla drammatica crisi in atto, ha saputo realizzare a stragrande maggioranza il sogno che un trentino, Beniamino Andreatta, aveva già dagli anni Settanta cercato (invano) di far diventare realtà, a tutela dei più deboli e dei meno garantiti. Purtroppo la follia ideologica di quegli anni, quando si riteneva il salario una variabile indipendente e si pensava che per creare posti di lavoro bisognasse moltiplicare i posti pubblici, ha portato a far abortire un progetto, che ci avrebbe salvato dalla bancarotta che rischiamo oggi.
    Grazie al pareggio di bilancio stabilito nella Costituzione, ai nostri figli e ai nostri nipoti sarà scongiurato il dramma di dover pagare i debiti dei propri padri, come tocca fare invece oggi a noi.

    Pierangelo Giovanetti

    http://www.ladige.it/lettere/l-obbligo-bilancio-giovani-debito

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Meraviglioso! Non ne ha azzeccata una neanche per sbaglio! :-)
      Ma se uno non ha studiato e non capisce di economia politica, come potrebbe mai fuoriuscire da un criterio puramente ragionieristico, avulso dalla funzione economica e costituzionale del deficit?
      Ci dovrebbe spiegare come mai gli USA non avrebbero dilapidato la ricchezza del paese pur avendo un costante deficit, debito altissimo in mani estere e proseguendo in deficit spending ora più che mai; o perchè il Giappone per uscire dalla crisi abbia tolto il deficit cap e intrapreso la fase 2 dell'Abenomics con spesa pubblica...? Tutte vittime del sindacato per cui il salario è la variabile indipendente?
      Ma sarebbe inutile...

      Elimina
    2. '....' comunque questa è pura propagna PUDE non è solo ignoranza...questo 'direttore' sara' anche un crasso ignorante ma fa parte del giro 'tito boeri' festival dell'economia e fa parte evidentemente di quella cerchia della 'finanza bianca' che parte da andreatta (notare la difesa e il capovolgimento del ruolo di andreatta) passa da prodi e arriva a bazoli e alla note banche di sistema ...

      lo specifico perchè -a mio interpretazione (ma non è solo uninterpretazione...)- loro sanno che usciremo dall'euro -nel medio termine- ma hanno la necessita' di giustificare
      le politiche imposte dall'euro e hanno la necessita' anche di confermarle come 'buone e giuste' di fronte agli elettori e all'opinione pubblica...e scaricare gli eventuali errori sulla spesa pubblica il debbbito..(grillo style se ci pensiamo bene... ps:notato come corrierone e lastampa trattino con guanti di velluto grillo...)

      purtroppo questa gente (boeri giovanetti) ha un forte ascendente ,hanno un influenza molto forte , specialmente in zone 'provinciali' come il nord est dove la gente 'crede' ai giornali e alla tv..è ingegnua e non ha il disincanto tipico delle grandi citta'...

      Elimina
  7. Finalmente è pronta la bozza per il decreto sugli incentivi al lavoro giovanile!!

    " Gli sgravi per gli under 29 prevedono che i soggetti siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, vivano soli con una o più persone a carico."

    Tra i requisiti che i soggetti dovranno avere, per usufruire degli incentivi, hanno dimenticato di contemplare il gruppo sanguigno.
    Mica si possono mettere sullo stesso piano gli 0 Rh+ con gli AB Rh-,
    ...dilettanti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non dimentichiamoci che a metà giugno i Ministri del Lavoro e delle Finanze di Italia, Francia, Germania e Spagna si sono riuniti a Roma per discutere delle politiche del lavoro e chissà cosa sono riusciti a escogitare.
      Certo è difficile immaginare che abbiano veramente pensato a politiche di rilancio dell’occupazione visto che per loro, la curva di Philips è come un vangelo.
      E d’altra parte come potrebbero mai porre in essere atti contrari alle politiche attuate sino a ieri?
      Ricordiamoci i 7 milioni di tedeschi che hanno il mini-job da 400 euro al mese (che tra gli altri effetti, ha anche quello di sgonfiare le statistiche sulla disoccupazione), o i patti da poco conclusi dalla Francia in base ai quali le imprese possono ricorrere alla mobilità dei loro dipendenti e, in caso di rifiuto, al licenziamento, in situazione di crisi le aziende potranno ridurre le retribuzioni e aumentare gli orari di lavoro a cui si aggiunge l’accordo Renault che ha espressamente aumentato le ore lavorate del 6,5% senza alcuna variazione dei salari.
      Anche il decreto italiano sul lavoro, quindi, difficilmente avrà lo scopo di rilanciare veramente l’occupazione al di là dei soliti proclami, ma sarà, un po’ come il decreto legge per il pagamento dei crediti alle imprese (anch’esso, per come strutturato, praticamente impraticabile o irrealizzabile nei suoi scopi), una operazione di facciata, tanto per dire che qualcosa stanno facendo

      Elimina
    2. Questi stanno innescando una bomba sociale di dimensioni continentali. Se il trigger non verrà dalle masse di disoccupati e sottoccupati che lentamente vanno accumulandosi in Europa, ci penseranno senz'altro le politiche pensionistiche dei prossimi anni.
      Quand'anche volessero cambiare totalmente direzione politico-economica, spinti dalle proteste della popolazione, si ritroveranno a non avere neppure le risorse "reali" per poterlo fare.






      Elimina
  8. Un altro esempio del fatto che la confusione regna sovrana ?
    questo interessante articolo pubblicato su Voci dall’Estero che attiene alla connessione tra politica monetaria e fiscale e ai rischi per i contribuenti del programma OMT della BCE (http://vocidallestero.blogspot.it/2013/06/de-grauwe-e-yuemei-ji-conseguenze.html#more)

    RispondiElimina
  9. sorry, 48, ho visto solo ora che il post lo hai anche commentato!

    RispondiElimina
  10. Quarantotto, te possino, ma perché non attivi i feed Rss sul tuo blog come fanno tutti? Con tutte le cose che - fortunatamente - ci sono da seguire questo rende a me ma non credo solo a me difficile seguirti tempestivamente, cosa di cui francamente mi dispiace.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credevo di aver attivato tutto l'attivabile.
      In ogni modo: sii gentile e descrivimi la relativa procedura di attivazione (da blogspot suppongo). So' terziario arretrato, bisogna capimme

      Elimina