giovedì 20 giugno 2013

ISTRUZIONE, OPINIONE PUBBLICA E CONTROLLO DEMOCRATICO. LA COSTITUZIONE DIMENTICATA



Questo post di Sofia, vibrante di passione civile, si colloca nel solco di molte cose che abbiamo già detto su questo blog. In particolare dà continuità al discorso contenuto nel post di Cesare Pozzi, laddove si accenna al problema che pone la funzione di produttività comunemente accettata e che diviene il perno centrale della pressione dei decidenti a far accettare le attuali politiche:
"Infatti, se non ci sono distorsioni nei prezzi ed è quindi verificata l’ipotesi di mercati dei fattori produttivi perfettamente concorrenziali, (essa funzione, ndr.) descrive la capacità di sfruttare il trasferimento delle conoscenze, che si generano esogenamente nel mondo, in modo da produrre un miglioramento. È solo se si diffonde una percezione collettiva di una modificazione vantaggiosa che il sapere che si accumula esogenamente rispetto al sistema economico si traduce in un cambiamento effettivo che modifica la precedente configurazione di equilibrio".
Questo ordine di problemi, come vedrete, nel post è trattato nella sua necessaria proiezione pre-economica, cioè di modello sociale-normativo antecedente alla capacità descrittiva di ogni funzione econometrica.
Tale insopprimibile realtà, come ci indica lo stesso Cesare, è una precondizione del tutto trascurata nel discorso neo-classico liberistico, e ciò ci rinvia alla ormai difficilissima proposizione del tema nei suoi termini corretti (nel contesto ormai dominante del "più Europa"):
"Ipotizzando un indicatore che misuri il rapporto tra competenze e costo della vita, se esistono aree produttive con rapporti più alti si genera una forte pressione sul costo del lavoro per unità prodotta che viene spacciata erroneamente per innovazione di processo, mentre nulla si è in concreto in grado di dire in questo senso in quanto due modelli culturali diversi, che esprimono due diverse “aree di “offerta” non consentono confronti perché tra loro sono incommensurabili...
...La rappresentazione neoclassica della produttività alimenta facilmente l’equivoco consentendo di proporre confronti tra valori diversi di produttività del lavoro sulle “aree comuni di mercato” anziché sulle “aree comuni di offerta” che prescindono da un’analisi delle conseguenze effettive dei percorsi normativi che se ne ricavano."
E "l'area comune di offerta" coincide inevitabilmente con lo Stato nazionale, unico luogo storicamente possibile di effettività dei diritti fondamentali, la cui caratterizzazione come modello normativo risale al "patto fondamentale" contenuto nelle Costituzioni, che, a loro volta, costituiscono, o almeno dovrebbero costituire, il punto di condensazione della base e dell'evoluzione culturali volute compattamente dalla comunità. Almeno finchè non gli viene sottratta persino la memoria di questa volontà popolare sovrana.


Diritto costituzionale all’istruzione: violazione ed effetti sul controllo democratico e sulla funzione dell'opinione pubblica.

Il diritto all’istruzione viene garantito dalla costituzione sotto diversi aspetti:
— la libertà di insegnamento (art. 33, comma 1 Cost.);
— la presenza di scuole statali per tutti i tipi, ordini e gradi di istruzione (art. 33, comma 2 Cost.);
— il libero accesso all’istruzione scolastica, senza alcuna discriminazione (art. 34, comma 1 Cost.);
— l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione dell’obbligo (art. 34, comma 2 Cost.);
— il riconoscimento del diritto allo studio anche a coloro che sono privi di mezzi, purché capaci e meritevoli mediante borse di studio, assegni ed altre provvidenze da attribuirsi per concorso (art. 34, comma 3 Cost.);
— l’ammissione, per esami, ai vari gradi dell’istruzione scolastica e dell’abilitazione professionale (art. 33, comma 5 Cost.);
— la libera istituzione di scuole da parte di enti o privati (art. 33, comma 3 Cost.);
— la parificazione delle scuole private a quelle statali, quanto agli effetti legali e al riconoscimento professionale del titolo di studio (art. 33, comma 4 Cost.).
E sotto gli occhi di tutti come la crisi economico-finanziaria, attraverso tagli alla spesa pubblica, abbia influito in maniera incisiva proprio sul settore scolastico.
Ovviamente i tagli sono sempre stati giustificati dalla necessità di dover ridurre l’inefficienza dello Stato, gli sprechi e quindi il debito pubblico, migliorare il sistema scolastico con l’introduzione di regole meritocratiche. Ma alla prova dei fatti emerge che si tratta solo di slogan di facciata.
Sembrerebbe non essere un caso che i tagli più importanti siano stati fatti nel settore scolastico: per verificare la "non casualità" limitiamoci ad analizzare gli effetti di questi tagli.
Innanzitutto vediamo, come sempre, prima i numeri.
Ma la stessa politica è stata seguita dal governo Monti con 300 milioni di euro di tagli nell'ultima legge di stabilità che ha messo a rischio la sopravvivenza di 20 atenei.
Tra il 2007 e il 2011, in Italia, il solo personale docente tagliato nelle scuole è stato di 87.000 unità, a cui si aggiungono 35.000 di personale ATA.
Il numero degli insegnanti è calato dell'11,1%, mentre in Germania è aumentato del 13%, in Finlandia del 12,9%, in Svezia del 21,9%. Le loro retribuzioni sono state congelate o ridotte in 11 paesi, e il nostro paese mantiene un solido primato negativo. Peggio hanno fatto solo la Grecia (dove il taglio all'istruzione è stato del 20%) e la Slovacchia (15%). Il taglio degli insegnanti, e quello ai bilanci, ha prodotto la chiusura o l'accorpamento di scuole, come dei corsi di laurea per ragioni meramente di bilancio, non per l'efficienza propagandata. 
A confermarlo è un recentissimo studio della Commissione europea che rivela che tra i 27 il nostro è il Paese che ha ridotto di più i bilanci del settore: -10,4% tra il 2010 e il 2012.
Sarà per lo scalpore prodotto da questo studio che, forse, il governo italiano ha cancellato tagli all'Istruzione, all'Università e alla Ricerca che sarebbero partiti fra due anni, nel 2015.
Secondo quanto emerge da uno studio pubblicato da Eurostat che compara la spesa pubblica nel 2011, l'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% dell'Ue a 27) e al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale di spesa in istruzione (l'8,5% a fronte del 10,9% dell'Ue a 27).
Non è difficile immaginare gli effetti di questi tagli sui diritti elencati dalla Costituzione (su visti): che peso può avere la libertà di insegnamento a fronte di eserciti di insegnanti sempre più precarizzati e demotivati (in base alle rilevazioni del Miur i precari sono trecentomila, continuamente si discute di tagli/blocchi degli stipendi e da ultimo del blocco degli scatti di anzianità)? Quando hanno provveduto a nuovi tagli di risorse che hanno comportato la chiusura di molti istituti (o il doversi rivolgere a istituti privati), i nostri politici si sono forse ricordati che la Costituzione garantisce il libero accesso all’istruzione scolastica? La presenza di scuole statali per tutti i tipi, ordini e gradi di istruzione? E che l’istruzione dell’obbligo è, appunto, obbligatoria e gratuita?
I tagli che hanno comportato la impossibilità di corrispondere le borse di studio come si conciliano con il diritto costituzionale (di cui all’art. 34 comma 3) allo studio anche per coloro che sono privi di mezzi  (nel 2012 145.000 studenti non si sono visti corrispondere le borse di studio). Il concorso tenutosi quest’anno per l’assunzione di insegnanti è avvenuto a dieci anni di distanza dall’ultimo; come si concilia questa modalità di impiego a fronte del diritto di cui all’art. 33, comma 5 Cost. e dell’utilizzo degli insegnanti prevalentemente con l’istituto delle supplenze?
Come se non bastasse, da Bruxelles, il commissario europeo responsabile per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, Androulla Vassiliou, ha affermato, alludendo all’Italia, che un paese che non investe nella modernizzazione dell’istruzione e delle abilità, che non rende i giovani competitivi rispetto ai più agguerriti concorrenti stranieri, è incapace di risolvere i problemi legati alla disoccupazione giovanile e quindi di promuovere la crescita economica nazionale (e ce lo doveva dire lui! Oltre al danno pure la beffa!). 
Il fatto è che, per quanto sia ridicolo sentire la predica proprio da Bruxelles, Vassiliou ha ragione.
Gli effetti immediati su bambini, adolescenti e uomini (oltre agli effetti economici sulle famiglie), di una scuola che non è più in grado di offrire un servizio (il più importante di tutti, forse, insieme alla sanità) di qualità, sono sotto gli occhi di tutti: bambini e ragazzi che da giugno (periodo in cui le scuole pubbliche chiudono perché non hanno soldi per prolungare attività aggiuntive per il periodo estivo) sono riversati dai nonni o dalle baby-sitter, attività pomeridiane pressoché inesistenti per tutto l’anno, mancanza o scarsità di corsi di musica, o d’arte, o sportivi che riversano i ragazzi nelle strade e nelle piazze; insegnanti sempre più demotivati, programmi scolastici orientati a trasmettere le cognizioni minime necessarie anziché a formare uomini con una capacità critica e di ragionamento che, partendo dal contesto storico di provenienza è capace di proiettarsi alla realtà economico-politico-sociale del momento.
A dirla tutta, gli effetti sono molto più gravi di quanto si tende a pensare, toccano molteplici aspetti dello sviluppo formativo e culturale dell’individuo e finiscono per avere ripercussioni sulla sfera sociale, politica, economica degli stessi e dell’intera comunità a cui quell’individuo appartiene. E ci vogliono decenni per rimuovere le conseguenze negative dovute ad una istruzione di carente qualità.
Sono stati, ad esempio, evidenziati gli inevitabili effetti dell’istruzione (o piuttosto della mancanza di istruzione) sulla formazione o sullo sviluppo dell’opinione pubblica (effetti che erano già noti a partire dall’età moderna, epoca in tutti gli stati nazionali decisero di mettere in campo grandi risorse per finanziare la scuola). 
Opinione pubblica intesa come insieme di attitudini, convinzioni, giudizi, conoscenze, nozioni della popolazione e la cui importanza diventa cruciale in modo particolare quando tutto questo bagaglio di conoscenze serve ad esercitare i propri diritti (tra cui quello di voto), a farli rispettare (soprattutto quelli fondamentali).
Una interessante analisi è stata condotta, tra gli altri, da Maurizio Lichtner ("Soggetti, percorsi, complessitá sociale", La Nuova Italia 1990) che a sua volta richiama teorie di Habermas, Dewey ed Heller i quali partivano proprio dall'evidenza che è l’ignoranza la causa della inefficacia dell’opinione pubblica nella sua essenziale funzione di controllo democratico sull'operato dei governi.
Dewey sosteneva che mediante l'educazione si può promuovere e sviluppare una intelligenza sociale (non l'intelligenza come possesso individuale, quindi), la capacità di confronto, di discussione, di proposta, capace di dirigere il cambiamento. Questa opinione pubblica illuminata va costruita e ci vuole, quindi, un impegno educativo continuativo.
Perché al problema dell’istruzione se ne aggiungono altri, che comunque non sono altro che una ulteriore e diretta conseguenza della mancanza di istruzione stessa.
Ad esempio manca lo spazio pubblico di discussione sui problemi generali (non solo nelle scuole, quindi), perché  l'opinione pubblica é diventata (anch’essa) una finzione giuridica, una facciata del tutto formale di legittimazione di poteri di fatto oligarchici e sempre più autorefenziali, con i quali, quindi, è difficile pensare di partecipare e fornire competenza, conoscenza, metodo.
Fuori dal quadro istituzionale politico, l'opinione pubblica si trasforma nell'opinione di massa e ciò che si pensa in questi ambiti é irrilevante politicamente o non ha incidenza politica proprio perché è la realtà di opinioni che non sono frutto di riflessione e discussione. Ma se non hanno la pretesa di valere razionalmente, se non rinviano a un retroterra di riflessioni informate, le opinioni non hanno neppure un riferimento all'individuo; non ci sono più opinioni individuali e l'opinione pubblica quindi non é più concepibile come "insieme di opinioni individuali", svincolata come è da un livello minimo di cultura critica autonomamente esercitabile.
Sono assumibili come reali solo i processi di gruppo, é reale solo l'opinione che all'interno di un gruppo, senza che i singoli ne siano neppure consapevoli, si afferma come opinione dominante.
La formazione dell’opinione pubblica nel bar, nella strada, nella piazza, o anche nei meet-up telematici o nei social network, anziché all'interno di un sistema di istruzione e formazione pubblica, vincolato alla imparzialità (art.97 Cost.) ed alla libertà (art.33 Cost.) sancite dalla Costituzione (art.97 Cost.), ha maggiori probabilità di portare a questo: a opinioni informali, luoghi comuni indiscussi, espressione di una cultura inconsciamente condivisa e  frutto di un processo di apprendimento passivamente riassunto in slogan, totalmente privo di autonoma riflessione razionale, basata cioè sulla diretta capacità di conoscere e valutare i fatti assunti nella loro effettiva rilevanza: un processo, come tale, artificiale,  che dipende dai gruppi di cui si é parte, dalla staticità del loro livello di formazione-informazione, con opinioni formulate in serie, e corollari incapaci di evolvere i postulati, data la chiusura, abilmente indotta dal sistema mediatico, alla inoculazione di nuove informazioni che alterino il rassicurante quadro semplificato che li ispira.

Opinioni che conseguentemente e difficilmente si trasformano in volontà di intervento aderente alla realtà effettuale, e non danno luogo ad alcuna soggettività politica capace di correggere problemi che non sono, in concreto, neppure percepiti nella loro dimensione reale. Quanto piuttosto costantemente "virtualizzati" , se non contraffatti, da sintesi mediatiche, offerte sulla base di condizionamenti che non si è in grado di riconoscere, e la cui creazione e portata suggestiva sfugge alla massa di coloro che li assimilano.
Anzi, tali opinioni, proprio perché maturate senza la necessaria conoscenza delle reali ragioni che hanno determinato gli avvenimenti, finiscono per essere un ulteriore strumento di distorsione del sistema:  di queste opinioni si tiene conto mediante i sondaggi diventando, in un processo di ulteriore sintesi preorientata dal potere stesso di formulare i quesitioggetto di analisi manipolatorie.

Proprio perché non vi é alcuna discussione pubblica svolgibile sulla base di adeguate capacità cognitive e ricognitive della selezione e della rilevanza razionale dei fatti proposti al pubblico, con i sondaggi si fa emergere quel che si vuole e se ne fa l'uso che si vuole; atteggiamenti, preferenze, opinioni, sono certamente politici ma solo in quanto abbiano qualche rilievo per l'esercizio delle funzioni amministrative e di governo.
Solo che tale "rilievo" si risolve in una legittimazione che finisce per ratificare inevitabilmente l'assetto preorientato e pianificato da coloro che controllano l'assetto mediatico e, in definitiva, i suoi riflessi sul consenso di cui possono godere i governanti.

Il processo di preorientamento, consentito dalla mancanza di difese cognitive e critiche di un'opinione pubblica depauperata del livello essenziale della prestazione "formativa" (artt.33 e 117, comma 2, lett. m) Cost.), svincola in ultima analisi i "decidenti" dallo stesso senso profondo del vincolo elettorale, espressione principale della democrazia.
A tutto ciò aggiungiamo la collaborazione non ufficiale tra i vari livelli di governo (nonchè i rami dell'amministrazione che ne costituirebbe l'apparato imparziale e votato alla buona amministrazione) e associazioni e "formazioni"private, a origine e legittimazione incontrollate e, in definitiva incontrollabili, con il regolare trasferimento di compiti della prima alla competenza della seconda.
Tutto ciò, in omaggio alla cultura (...?) "europea" della inefficienza-inidoneità dello Stato, sancita a livello istituzionale nell'art.5 del trattato UE , viene denominato "sussidiarietà orizzontale": che è ispirata al principio che la stessa legittimazione di ogni forma di cura dell'interesse generale da parte dell'organizzazione pubblica, cioè comune a tutti i cittadini, è "limitata a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati", che,i n un irresistibile processo riduzionistico, sono ormai esclusivametne sovrastati da "forte competizione" sul mercato e stabilità dei prezzi.
Una compenetrazione che richiede, ad entrambi, un grosso lavoro quanto ad iniziative propagandistiche, pubblicitarie, pubblicistiche, di cattura del consenso e di manipolazione intenzionale dell'opinione pubblica.

Non esiste più, in questa alterazione del dettato costituzionale, soggetto ad una tacita e inavvertita abrogazione, una sfera pubblica come luogo di confronto razionale, dove possono essere attuate forme ragionevoli di deliberazione, ma la conciliazione degli interessi é frutto di mera contrattazione e continua negoziazione informalizzate e sotterranee, in cui le posizioni di forza contrattuale sfuggono ai più.

Anche i partiti, che si mostrano come la rappresentanza di interessi di gruppi sociali, in realtà, di fronte ad una opinione pubblica sempre meno consapevole e matura, quando si rivolgono al pubblico hanno solo lo scopo di influenzare il comportamento elettorale, confidando nella precostituzione mediatica, e quindi da parte dei gruppi di interesse economicamente dominanti, dei termini di ogni questione che si decida di proporre come pubblica priorità; quindi  non sollecitano in effetti una discussione, non tentano di costruire una opinione razionale, accelerando e sfruttando l'onda di un mainstream di pensiero concepito e diffuso al di fuori di ogni processo democratico di base. Quello che chiedono non é un consenso razionale ma una "acclamazione" o una "benevola passivitá", un consenso che si incaricano di gestire trasformandolo in "pressione politica".
Da qui il ruolo fondamentale dell’istruzione.
Occorre uno spazio specifico pre-politico, che non può essere neppure il privato individuale dove l'autonomia é apparente e dove é prevalente il peso degli interessi fuori di ogni confronto e possibilità di superamento.
Questo spazio é l'educazione (intesa come attività educativa e auto educativa), dove si indirizzano i singoli cittadini ad essere capaci di opinioni critiche, a formare autonomamente, "intenzionalmente" sul piano della conquista individuale, la loro opinione, a ricevere le necessarie nozioni, le competenze, le capacita di elaborazione e che hanno adeguate occasioni di "lavoro su di se", di confronto, di discussione e, partendo da punti di vista unilaterali diventano capaci gradualmente di elaborare ed esprimere una opinione razionale. Perché solo in questo modo vi saranno maggiori possibilità che le opinioni di massa, manipolative, che circolano sulla stampa, nei media, negli apparati di partito, non prendano il sopravvento sull’opinione pubblica, quella dei  cittadini consapevoli del loro status sociale, dei loro diritti e dei loro doveri, dotati di coscienza civile e partecipi, anche se soltanto come spettatori, del dibattito politico in corso.
I tagli all’istruzione, quindi, non solo hanno come effetto immediato il mancato o l’incompleto godimento dei diritti fondamentali che si sono visti, ma determinano un profondo cambiamento culturale per cui all’opinione pubblica (che, comunque, nelle sue radici di confronto all'interno della polìs, dovrebbe tendere all’argomentazione razionale) si sostituisce sempre di più l’opinione di massa che si alimenta della suggestione, della demagogia, dell’esteriorità, dell’irrazionalità, un’opinione disgregata, assente dalla sfera pubblica, prigioniera del suo particolare, spesso non in grado neanche di esprimere istanze corporative e tanto meno di far valere le sue ragioni mobilitandosi, capace di manifestare la sua esistenza solo come forza passiva solo nei sondaggi e nei rilevamenti dell’audience, strumenti peraltro manipolabili.
Questo è, appunto, uno degli effetti prodotti dalla politica iniziata con l’adesione allo SME: l’asservimento dello Stato alla Comunità Europea e poi all'UE, limitazioni ingiustificate della sovranità, impoverimento dei propri cittadini, limitazione soppressione di diritti fondamentali.
Più di tutti la disseminazione di un'ostilità preconcetta verso lo Stato e le sue funzioni pubbliche, rimuovendone l'origine costituzionale e il processo di sofferta conquista del potere decisionale del popolo sovrano che ne è alla base.  

8 commenti:

  1. Hai detto bene 48, questo post e' "vibrante di passione".
    Lode , lode , lode a Sofia.
    Gli spunti sono innumerevoli.
    Mi limitiro' a uno:
    Un popolo, una comunita', per quanto povera, con la cultura (si badi bene, puo' essere anche cultura popolare, cultura contadina, ma e' pur sempre cultura, CIOE' SENSO DI APPARTENENZA A UNA COMUNITA', ai suoi valori ai suoi principi, alle sue radici) non sara' mai misera!

    Anzi, un altra piccola considerazione la voglio fare, forse esula dal post, ma forse no!
    Mi sono rotto della retorica sulle scuole specialistico-professionali, e lo dico da metalmeccanico, sulle universita' tecnico-specialistiche, ecc.
    Abbiamo tanti iperspecifici espertissime nelle piu' disparate materie tecniche.
    Ma il "disegno di insieme....chi lo guarda?
    Tu, 48, oltre ad avere conoscienze tecniche specifiche e super specifiche, hai una visione di insieme. Per questo, ti leggo con grande ammirazione e stima.

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    1. Hai colto as usual un punto fondamentale: togliendoci un decente livello culturale di base ci possono imbonire con le scuole "tecniche" per emarginare politicamente gli "zotici" ancor di più. E non le fanno funzionare neanche, potendo poi colpevolizzarci anche sul gap di competenze...
      Come se "loro" oltre a "biscottare" a 90° con Angela e Olli avessero dato dimostrazione di grandi competenze...

      Da quanto ho capito di vediamo a Viareggio :-)

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  2. Certamente.
    Sara' un vero onore, per me, stringerti le mano.

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  3. Questo è il mio primo commento nel blog, nonostante lo segua da mesi, ma mai tema mi fu più caro!
    Condivido totalmente l'analisi di Sofia. Sono figlia di un'insegnante che ama il suo lavoro e che per questo negli ultimi anni ha sofferto non poco per le "continue lievi" modifiche al sistema dell'istruzione. Da anni mi occupo del tema CONOSCENZA (e ultimamente partecipo ad un progetto di divulgazione scientifica).
    Mi pare ovvio che l'obiettivo comune, non solo della politica, sia quello di tenere il livello di conoscenza basso per evitare che ci si renda conto della gravità delle decisioni, ma anche solo delle singole parole pronunciate da esponenti delle classi dominanti, e si ribalti un sistema contorto che ha portato ad uno smantellamento dei diritti sanciti dalla Carta Costituzionale senza che nessuno (o quasi) se ne accorgesse. Come dar torto a Androulla Vassiliou: come si fa ad investire sull'occupazione dei giovani, quando fino al giorno prima gli hai ridotto al minimo gli strumenti di crescita? Scusate il paragone, ma è come avere una piantina di basilico che a stento innaffi, a cui a stento fai vedere il sole e poi decidi bene di utilizzarla per fare il pesto di alta qualità.
    Avrei decine e decine di cose da dire sul tema, ma rischio di dilungarmi troppo. Giambattista Vico ci dice che "La storia è fatta di corsi e di ricorsi" e dunque chi la ignora è destinata a riviverla; chiudo con una domanda: è secondo voi un caso che OGNI riforma della conoscenza ha fra le righe una cancellazione, dai programmi, di pezzi di storia o riduzione delle ore di insegnamento della materia? Domani sarò a Viareggio, e chissà che non sia un'ottima occasione per confrontarci ancora sul tema!

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  4. Premesso che concordo in tutto e per tutto con il post di Sofia e che, ovviamente, ridurre le risorse per l'istruzione non la migliora, vorrei osservare due cose.
    A) Che l'istruzione "di fascia alta" che pure ho ricevuto a suo tempo NON mi ha messo in grado di capire in alcun modo il cammino politico economico intrapreso. Ci sono arrivato da neppure un anno e mezzo, e con molto aiuto.
    B) Che purtroppo non si tratta solo di un problema personale, ma generale SIA in Italia CHE in tutta Europa. Non vedo UN paese europeo in cui le "riforme" legate alla moneta unica abbiano portato un qualche vantaggio assoluto a quella stessa maggioranza che ha eletto i vari governi (limitare un danno EVITABILE non è un vantaggio).

    Penso quindi che l'istruzione andrebbe fortemente migliorata, a tutti i livelli. Potrebbe essere utile, a suo tempo, un po' di analisi sul tema "come hanno fatto a fregarci". E intendo analisi scientifica per non finire ancora invischiati in una melassa di alate parole ed enunciati sapienziali.

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    1. Frank, il come hanno fatto a fregarci si sintetizza in una parola: "divorzio". Da lì, (punto in cui in termini di comprensione, la massa degli italiani non ha fatto grandi progressi), il resto è stato imposto come acqua fresca...un "fogno" (e ci hanno persino venduto il "dividendo" dell'euro coi tassi che sarebbero scesi comunque...solo in un primo tempo).
      Quanto alla trattazione scientifica; c'è il post (anche più d'uno) sulla dottrina delle banche centrali indipendenti, il post di Flavio sul sistema bancario, il post su Banche, sovranità e modello costituzionale, che, tra l'altro, è praticamente uno dei temi usciti alla maturità...povere creature (e volevo vede' se qualcuno gliela cantava giusta se lo bocciavano pure)

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    2. Mi sono espresso male.
      Come sia stata condotta l'operazione economico - politica oramai lo so bene; quello che ancora mi meraviglia è come sia stata fatta digerire facilmente a tutti, quelli di destra e quelli di sinistra, quelli più ignoranti e quelli meno, cementisti ed ecologisti... mi metto in prima fila tra i babbioni.
      Dato che non credo al Grande Complotto (lungo trent'anni, poi: ma non scherziamo) penso che prima o poi varrà la pena di capire bene come abbiamo fatto a farci portare in giro tanto facilmente.
      Naturalmente ORA è emergenza e le priorità sono chiaramente altre, anche se qualche spunto potrebbe servire per la lotta per l'informazione che stiamo conducendo.

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    3. Non posso che essere daccordo. Come diplomato 2008-2009 so cos'ha significato la Moratti, e con mia sorella "inferiore" LOL vedo cosa ha significato Mariastella (Quella che è riuscita a farsi cacciare dal PdL locale per incompetenza). Una volta ai maestri si davano le medaglie, ai miei ancora ancora si portava il rispetto del didaskalos, ora se danno una nota devono stare zitti perché da impiegatipubbbbblicifannnnullonibrutto non hanno diritto a dire nulla. Non è qualunquismo, è che prima ti prendono la dignità poi la materialità: a dalla Chiesa prima hanno fatto vuoto intorno, e mi trattengo sennò rischio il delirio lirico.
      Poi come dicevo lo stesso accade pure nelle Università terra del dialogo, mi limito a ricordare che il divorzio economia-diritto parte da lì e dai miei professori che se dici EAL se la legano al dito (devo pure dire con cenere in testa che uno di loro fa il Saggio a Roma...ho tanto da farmi perdonare).
      Però voglio dissentire dal passaggio: perfino come fonte di reddito d'emergenza per precari e muratori la Squola è fondamentale, anche solo per toglierle la Q. Citandoa ncora il vecchio Nino Gramsci, se non si parte dall'egemonia resta tutto un sol dell'avvenire.

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