sabato 1 giugno 2013

VISCO, IL 1988, "L'ESORCICCIO" E LA TRADUZIONE DI KALECKY

Visco fa la Relazione.
Si accorge che l'Italia è nei guai. Non sa bene indicare perchè e non ci prova neppure veramente.
Propone come "cause" una serie concantenata, e arricchita da dati, di descrizioni di "effetti": da qui "Quella spinta perduta da un quarto di secolo".
E già sull'indicazione del periodo che risale fino al 1988, qualche altra domanda se la poteva fare, per dare magari una qualche risposta sulle cause.
Nel 1988, infatti,  si paventava un riallineamento sul marco, troppo "forte" (rispetto alla parità imposta: una cosa nuova eh?), guarda un pò, all'interno dello SME "ristretto", mentre i banchieri centrali dicevano "lo Sme non si tocca" e contemporaneamente vedevano, (indovinate? Sì, indovinato), "il pericolo di una ripresa dell'inflazione"!
In quello stesso fatidico anno in cui cade la retrodatazione di periodo di Visco, poi, sentite cosa accadeva:
"Nel giugno 1988, il
Consiglio europeo di Hannover istituì un «comitato per lo studio dell’Unione economica e monetaria», guidato dall’allora presidente della Commissione Jacques Delors, a cui partecipavano tutti i governatori delle banche centrali nazionali.

Nella relazione congiunta, presentata nell’aprile del 1989, il comitato definiva l’obiettivo dell’unione monetaria in termini di completa liberalizzazione dei movimenti di capitale, piena integrazione dei mercati fi nanziari, convertibilità irreversibile delle valute, fissazione irrevocabile dei tassi di cambio e possibilità di sostituire le monete nazionali con una valuta unica."

Questo è il descrittivo resoconto su ciò che ha detto Visco:
"I venticinque anni perduti raccontano oggi di un Paese a terra. (Ma come? Stava tanto bene e guarda cosa mi va a fare...da venticinque anni, in assenza di riforme della giustizia civile e delle "liberalizzazioni"!...Da venticinque anni?)
La Banca d'Italia (dal cui serbatoio istituzionale di competenze sono appena usciti Fabrizio Saccomanni e Daniele Franco ora alla guida del ministero dell'Economia e della Ragioneria generale dello Stato), osserva che l'aggiustamento richiesto di "portata storica" ed investe il sistema tutto.
L'Italia resta infatti, a fatica, la seconda potenza manifatturiera d'Europa alle spalle della Germania, ma la crisi degli ultimi cinque anni l'ha colpita nel suo profilo industriale più degli altri Paesi europei. Un modello fondato su aziende piccole o piccolissime, povero di capitali in un mercato dei capitali ancora poco sviluppato, dipendente dal credito bancario, assediato dal fisco e dalla burocrazia, ha davanti a sè la strada sbarrata.
Non può rischiare, innovare, competere, e non a caso l'Italia risulta essere importatrice netta di tecnologia non incorporata in beni fisici, al contrario di tutti gli altri Paesi industrializzati avanzati. Le cifre ed i confronti richiamati dalla Banca d'Italia sull'attività di ricerca e sviluppo (e sul ruolo dello Stato) sono inequivoci. Un quadro allarmante in cui anche le straordinarie storie di successo del made in Italy in giro per il mondo rischiano di trasformarsi in casi isolati e non parti integranti di una rete di sistema che punta a rinnovarsi."
Insomma 'sto aggiustamento di portata storica, Visco lo vuole proprio. Vediamo come (sembrerebbe scritto da Monti, di cui si ripercorrono le idee, per riscattarne l'assurda incomprensione da parte degli "zotici" che vivono al di sopra delle proprie possibilità):
"Il richiamo di Visco alle imprese per uno sforzo eccezionale che eviti la richiesta di sostegni pubblici è stato molto forte e il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che già mesi fa aveva proposto di tagliare tutte le agevolazioni alle imprese in cambio di robusti tagli fiscali, l'ha raccolto rispondendo "Noi siamo pronti ad investire".
Ma qui il discorso si sposta subito sull'altro braccio della sperata ripresa (gli istituti di credito) e sulla spinta che può dare la stessa banca centrale. E, più in generale, si sposta poi sulle scelte di politica economica del nuovo governo guidato da Enrico Letta in un Paese nel quale, dall'istruzione al modello di welfare e ai freni all'attività d'impresa (liberalizzazioni mancate e giustizia civile inefficiente, per fare due soli esempi) le riforme per larga parte sono ancora da attuare e sono ostacolate da un reticolo fitto di posizioni di rendita"
Insomma, le "imprese" facessero uno "sforzo eccezionale", il "richiamo" è stato "molto forte"! Mica poco!
Le imprese si sollevassero dai flutti tirandosi per i capelli, come il barone di Munchausen! Se no che "sforzo" è?
E non chiedessero sostegni pubblici, so' bravi tutti, così! Perchè, insomma, sono pur sempre spesa pubblica e insomma, "brutto, ma brutto, brutto, ma proprio brutto" Oh!.
E infatti Squinzi "raccoglie".
Tanto il problema sono le mancate "liberalizzazioni"...(ma non c'aveva già pensato Monti? Mi sa che c'è stata una congiura bolscevica per farle fallire, ancora una volta. E si sa quanto i "nipotini di Stalin" siano influenti nell'Italia di oggi).
Come pure si sa che la giustizia civile "lenta" si risolve tagliando i piccoli tribunali e la spesa per la giustizia in generale, che sporca e fa disordine. Qualche spazio bisogna pur lasciarlo ai poveri "nipotini di Von Hayek"!
Tanto, ancora, c'è anche la "sperata" ripresa degli istituti di credito cui la stessa banca centrale può dare una "spinta": però, ci dicesse bene come (visto che poco dopo Visco accenna a MPS), perchè siamo curiosi!
Mica come Squinzi che s'accontenta e raccoglie.

E qui si esalta quanto "c'aveva raggggione" Kalecky.
Lo so tra me e Flavio lo abbiamo citato un sacco di volte, proprio su questo geniale passaggio (here below), ma qui ci sta così bene che riesce a spiegare tutto, Visco, Squinzi e l'interrogativo stesso: "Ma cosa veramente volevano dire con questa descrizione di effetti e queste aspirazioni un pò vaghe e generiche?"
Volevano dire: "attenzione abbiamo messo su il giocattolo SME-Maastricht-euro-pareggio di bilancio e ci siamo ripresi il potere: ma sarebbe meglio aggiustare un "pochino" le cose, se no ci salta tutto! Come?
Beh, facendo vedere che, anche per noi, la spesa pubblica viene tagliata, che preferiamo sgravi fiscali, e che insomma, teniamo duro, almeno finchè gli "zotici" non si saranno abituati ai nuovi stabili livelli di (dis)occupazione e di salario".

E quindi vi mando in replica Kalecky e vedrete come tutto quello che appare così vago diviene molto ben chiaro, (anche alla luce dei fatti pertinenti del 1988). Non so a voi, ma a me rileggere questo brano non mi stanca mai e anzi mi arreca sempre un effetto di "sollievo resistenziale":

"L’avversione degli uomini d’affari [business leaders] contro una politica di spesa del Governo diventa ancora più acuta quando giungono a considerare gli obiettivi per i quali il denaro dovrebbe essere speso: investimenti pubblici e sostegno al consumo di massa.
I principi economici dell’intervento del Governo richiedono che gli investimenti pubblici siano confinati a oggetti che non competono con i mezzi di produzione delle imprese private (ad esempio ospedali, scuole, autostrade, etc.).
Altrimenti la profittabilità degli investimenti privati potrebbe essere diminuita e l’effetto positivo degli investimenti pubblici sull’occupazione controbilanciato dall’effetto negativo del declino degli investimenti privati.
Questa concezione si adatta molto bene alle richieste degli uomini d’affari.
Ma l’ambito di investimenti pubblici di questo tipo è piuttosto ristretto, e c’è il pericolo che il Governo, nel perseguire questa politica, possa alla fine essere tentato di nazionalizzare i trasporti o i servizi idrici ed elettrici [public utilities] così da acquisire una nuova sfera di intervento nella quale poter investire.
Ci si potrebbe quindi aspettare che gli uomini d’affari e i loro esperti preferiscano un sostegno dei consumi di massa  (per mezzo di assegni familiari, sussidi per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità, etc.) agli investimenti pubblici; dal momento che sussidiando i consumi il Governo non si imbarcherebbe in nessun tipo di “impresa”.
In pratica, tuttavia, questo non accade.
Al contrario, sussidi ai consumi di massa sono avversati molto più violentemente da questi “esperti” che non gli investimenti pubblici.
Perché qui è in gioco un principio “morale” della massima importanza.
I principi fondamentali dell’etica capitalista richiedono che “tu ti guadagnerai il tuo pane con il sudore” -  a meno che non capiti che tu sia ricco.
Abbiamo considerato le ragioni politiche dell’opposizione contro la politica di creare occupazione con la spesa del Governo. Ma anche se questa opposizione fosse superata -  come potrebbe benissimo essere superata sotto la pressione delle masse - il mantenimento del pieno impiego causerebbe cambiamenti sociali e politici che darebbero un nuovo impulso all’opposizione degli uomini d’affari.
Certamente, in un regime di permanente pieno impiego, il licenziamento cesserebbe di giocare il suo ruolo come strumento di disciplina [disciplinary measure].
La posizione sociale dal capo sarebbe minata e la fiducia in se stessa e la coscienza di classe della classe operaia aumenterebbero.
Scioperi per ottenere incrementi salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro creerebbero tensioni politiche.
E’ vero che i profitti sarebbero più elevati in un regime di pieno impiego di quanto sono in media in una condizione di laisser-faire; e anche l’incremento dei salari risultante da un più forte potere contrattuale dei lavoratori è più probabile che incrementi i prezzi anziché ridurre i profitti, e danneggi così solo gli interessi dei rentier.
Ma la “disciplina nelle fabbriche” e la “stabilità politica” sono più apprezzate dagli uomini d’affari dei profitti.
Il loro istinto di classe gli dice che un durevole pieno impiego non è sano dal loro punto di vista e che la disoccupazione è una parte integrante di un normale sistema capitalista"

19 commenti:

  1. Ma giusto un pensiero: abbiamo una costituzione repubblicana stupendamente "keynesiana", al netto della modifica suicida sul pareggio di bilancio in costituzione, e ci facciamo guidare/governare/comandare da venti anni da una istituzione che + monetarista non si può.

    Contenti noi...

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    1. Il bello è che ormai, a parte questioni "cosmetiche",che hanno la funzione che hanno, la Costituzione è diventata un racconto mitologico, assunto come un residuo di un passato da guardare con nostalgica ma cinica sufficienza. E' bello sapere quanto è bella, ma in pratica non
      "serve" veramente a guidare le decisioni di governo. Serve per vaghi discorsi altisonanti(e colpevolizzatori), ma poi è come se non esistesse..

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  2. E che una fluttuante e ampia disoccupazione sia la norma del capitalismo deregolato, lo dimostra chiaramente il caso inglese negli anni d'oro del laisser-faire.

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    1. Perchè invece oggi? Neanche la BOI con gli acquisti selvaggi di debito li smuove, se l'intervento pubblico non sblocca la domanda mentre invece va di pari passo coi salari: lo tagliano

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  3. "le riforme per larga parte sono ancora da attuare e sono ostacolate da un reticolo fitto di posizioni di rendita"

    [citazione dalla relazione di Visco]

    Ma, dico io. Siamo ormai in mondo talmente "orwelliano" che riteniamo normali che queste parole vengano dette da un banchiere centrale.

    Ora; che ruolo ha una banca centrale ("indipendente" cioè solamente dipendente dagli interessi dei "risparmiatori" avulsi dal contesto sociale , ovvero, dei RENDITIERI)?

    Ora, come puo', insomma, il "capo dei renditieri" moralisteggiare e "scagliarsi" contro le "rendite di posizione", durante un suo pubblico discorso, senza che nella sala esploda una fragorosa risata??

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    Inoltre:

    Ma 'ste salvifiche "riforme" che non avremmo fatto, non le abbiamo forse già abbondantemente fatte?
    Non abbiamo già abbattuto le "rendite di posizione" dei lavortori (iperprotetti, ipergarantiti, pigri, ecc.)?
    Non abbiamo già fatto piu' e piu' "riforme" delle pensioni??
    Non abbiamo fatto le liberalizzzzaioni? Ipermercati che spuntano come funghi, aperi a tutte le ore, ormai, e 360/365 gg. l' anno?
    Ormai posiao comprare i bulloni in farmacia e l' aspirina dall' ortolano....
    L' Unione europea, non io, dice che il mercato del' energia e del gas è stato liberalizzato molto piu' in Italia che in altri paesi UE (tipo Francia e Germania). Peccato che le bollette siano aumentate in Italia molto piu' che altrove (....ma non si collegasse le due cose....non sia mai!)

    La realtà è, come sappiamo, che sono proprio loro (Ciampi/Draghi/Visco in accordo con i loro colleghi europei) che hanno creato questi 25 anni di non crescita. Ma per loro sono "25 anni di ritardo"....Quelle "riforme" giammai sono "SBAGLIATE", sono sempre "TROPPO POCO"...

    Mi ricordano quei vecchi comunisti che dicevano, a proposito della crisi del modello sovietico: "il problema in URSS non è il comunismo, è che in URSS c'è troppo poco comunismo"...

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    1. E' ovvio che per rendita intendono riferirsi a quella concessa a soggetti legalmente protetti dal cadere nelle mani di monopoli e oligopoli (i tassisti e i notai; cioè dei cartelli tariffari residui di PMI e microimprese).
      Ovviamente non è una soluzione di sistema che incida minimamente sulle cause della crisi. Ma propagandisticamente si attaccano a queste (ignorando la logica dei veri oligopoli e dei veri cartelli, bancario e assicurativo in testa).
      Ma cosa altro potrebbero dire?
      Il sistema si regge sul senso di colpa e sulla simmetrica creazione di una nuova morale, in cui il privilegiato imputa al danneggiato ogni possibile responsabilità...e finchè dicono queste cose e non incontrano reazioni di massa, grazie a un'accurata disinformazione, vanno avanti così

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    2. Rentiers ?
      Almeno un tassista,un farmacista ed un notaio offrono un servizio utile alla società
      Le grandi banche di affari che si fanno imprestare dalla BCE denaro al 1.5% e lo usano per comprare titoli di debito pubblico guadagnandoci non poco e con il guadagno effettuano speculazioni finanziarie, che servizio utile offrono alla società ?
      E per quelle belle mega aziende che vendono servizi in regime di monopolio o oligopolio dove sta il libero mercato della concorrenza ?
      Fanno piu danni alla società i primi soggetti citati o la marea di taxisti,farmacisti o notai che vivono in regime di oligopolio ?
      Credo che chiunque possa dare una ragionevole risposta


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  4. Grande 48!
    Una gentile risciesta, visto che molti (Liberisti, Austriaci o semplici disinformati) considerano le politiche economiche Keynesiane come l'intervento statale nell'economia sempre e comunque ed in modo selvaggio, non potresti scrivere (magari lo hai fatto e non l'ho visto) un post deve spiegare bene le modalità, i motivi e le peculiarità precise delle manovre Keynesiane?
    Giusto per eliminare i soliti luogocomunismi sullo stato che sperpera i soldi pubblici indiscriminatamente, regalandogli alla gente per non fare niente e drogando così il mercato.
    Grazie e complimenti ancora per il blog.

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  5. Caro Leo,
    sulle politiche economiche keynesiane goofynomics rimane una fonte insostituibile ed eloquente :-)
    Qui abbiamo piuttosto evidenziato come le teorie keynesiane non siano "migliori", ma siano le uniche...scientificamente validabili.
    E come la teoria monetarista e quella neo-neo-classica (NMC) siano frutto di ideologie politiche e non di costruzioni basate sull'osservazione dei dati della realtà.
    Si tratta della scelta di applicare a equilibri generali teorie microeconomiche, in modo da ignorare ogni controindicazione fattuale relativa al "fallimento del mercato", da cui muove keynes (cioè dalla realtà storicamente accertata) e in modo da predicare il trasferimento del costo delle crisi (di cui si finge la natura fisiologica di riequilibrio naturale imputabile sempre a squilibri del mercato del lavoro) solo sull'occupazione.
    Queste teorie non funzionano perchè non producono mai gli effetti cui mirano, partendo appunto da premesse arbitrarie e intenzionalmente parziali.
    http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/la-dottrina-delle-banche-centrali.html
    http://orizzonte48.blogspot.it/2013/01/aso-e-abela-politica-fiscale-creativa.html
    http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/ccostituzionalita-delle-manovre.html

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  6. Da alcuni anni la consueta Relazione del governatore di Bankitalia provoca in chi vi scrive uno stato di febbrile e incontrollabile eccitazione.
    Per questo motivo, anche alla luce degli ultimissimi dati sull'occupazione (assolutamente imprevedibili, eh?), la nuova creatura analitica partorita dal centro studi di BI risultava particolarmente attesa.
    Diciamoci la verità: se il momento non fosse tragico, quello che il nuovo tenutario di Bordello Italia Spa ci racconta sarebbe meritevole di una sonora risata in faccia con il corollario di un'altrettanto sonora pernacchia.
    Nel documento viene inserito di tutto: dati oggettivi, effetti spacciati per cause, richiami pro-forma agli evergreen "innovazione" e "competitività".
    Il modello che ha reso grande l'Italia, quel modello che - nonostante tutto - consente ancora al Paese di fare paura alla Germania, si chiama piccola e media impresa artigiana.
    E' proprio da un quarto di secolo, con le "prove tecniche di moneta unica", che il tessuto artigianale italiano è stato scientemente e inesorabilmente portato ad una progressiva depauperizzazione, con distretti produttivi famosi in tutto il mondo - quello del mobile a Cantù, quello tessile a Prato, quello orafo a Vicenza per citarne solo alcuni - gettati nel frullatore globalista secondo il motto " il mondo sta cambiando " , che fa il paio con quello di James Bond a cui " uno non basta ".
    Era evidente che realtà piccole ancorché di successo, calate nella dimensione macroeconomica continentale che si andava delineando - cucita su misura per i nostri " fratelli " alemanni, batavi ecc. - avrebbero avuto i problemi che conosciamo e quindi risultava oltremodo azzardato aderirvi.
    Tuttavia questo modello, che a leggere tra le righe a Lei e Confindustria rompe un po' le palle, così poco competitivo e refrattario all'innovazione non sembra proprio esserlo se, ce lo dice Lei, riesce ancora a mordere le chiappe dell'avvenente Angelona.
    Questo è in realtà il vostro rodimento: imprenditori medio-piccoli ( sovente nuclei familiari) radicati sul territorio che creano ricchezza reale e occupazione, spesso instaurando con i propri dipendenti forti legami affettivi che travalicano i rapporti di lavoro, che considerano gli stessi esseri umani e non spersonalizzate unità produttive.
    Comprendiamo bene la stizza e il fastidio per questi parvenu che si ostinano a non darvela vinta: eh sì, caro Visco, nonostante la nota " filantropia " che vi contraddistingue non ci riuscite proprio simpatici; a Lei e il suo sodale imbrattamuri sfugge troppo spesso una malcelata ammirazione per il miracolo nord-europeo ( che miracolo non è ), una vera cuccagna per banchieri e tycoon.
    Non desta quindi nessuna sorpresa che la risposta all'accorato appello sia giunta dall'inquilino di Viale dell'Astronomia, desideroso egli stesso di un fronte operaio reso arrendevole, disciplinato e poco invogliato alle rivendicazioni.
    In realtà è proprio la Grande Industria italiana, adesso come allora, a soffrire di una cronica carenza di capitali, legata da sempre a filo doppio con i salotti buoni della finanza nostrana (Mediobanca), sempre abituata a vivacchiare alla giornata e a drenare risorse pubbliche (chissà perché mi viene in mente Fiat!?), insomma il capitalismo italiano a rischio zero, quello che con le liberalizzazioni dal 1992 in poi fece qualche "discreto" affare (chissà perché mi viene in mente De Benedetti) che ne ha consentito proprio quel "reticolo fitto di posizioni di rendita" che Lei stigmatizza.
    A quando l'autocritica dott. Visco?

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    1. O si ripristina la consapevolezza democratica, l'operatività della Costituzione, e la sovranità intesa come tutela costituzionale dei diritti fondamentali, (pare un'utopia ma dovrebbe essere la normalità) o questa autocritica non arriverà mai.
      Notare che a Visco potrebbe succedere, in una concatenazione infinita, un altro esattamente uguale a lui, che potrebbe tranquillamente assurgere a qualsiasi soglio ministeriale e suscitare le stesse aspettative di rassicurata ammirazione che, "con un tecnico come queto, le cose si aggiusteranno". E media compatti in adorazione.
      Il sistema, dunque, in assenza di consapevolezza (siamo troppo pochi a leggerci...a vicenda :-)), può perpetuarsi all'infinito. L'unico limite è che le loro teorie sono talmente sballate che divengono via via, nella loro ripetitività ultradecennale, sempre meno spendibili, se non a costo di crescenti omissioni e falsificazioni nella lettura dei dati (da essi indotti).
      Ma mi domando: quando lo smascheramento sarà inevitabile, ci sarà ancora un sistema industriale e culturale capace di recupero?
      Il brutto di questa follia non è solo il tradimento dell'interesse comunitario nazionale, ma la sua irreversibilità di effetti perseguiti con accanimento incomprensibile (i "loro" figli vorranno solo e sempre lavorare per G&S o Morgan Stanley e divenire cloni sbiaditi e senza un retroterra umano?).
      Pare che ci godano a farci precipitare nel nuovo terzo mondo

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  7. OT....Si apre uno spazio che può essere importante

    http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/1254114/Euro--dieci-buoni-motivi-per-uscire-dalla-moneta-unica.html

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    1. L'avevo visto.
      E' affetto da alcuni grossolani errori economici e anche giuridici. Dei meccanismi che rendono l'euro insostenibile neppure una parola e la questione che la banca d'Italia decideva se svalutare è addirittura grottesca. La BOJ ha forse mai una sola volta comunicato una svalutazione dello yen?
      Qunato alla questione delle procedure: beh, ci sono perle tali da condurre nel finale alla conclusione opposta a quella da cui paiono partire...Diciamo che informazione ad adjuvandum così è meglio non averla...
      Però politicamente può voler dire che il badoglismo, com'è naturale, si stia avvicinando a grandi passi (nella direzione sbagliata) :-)

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  8. “I principi economici dell’intervento del Governo richiedono che gli investimenti pubblici siano confinati a oggetti che non competono con i mezzi di produzione delle imprese private (ad esempio ospedali, scuole, autostrade, etc.). […] Ma l’ambito di investimenti pubblici di questo tipo è piuttosto ristretto, e c’è il pericolo che il Governo, nel perseguire questa politica, possa alla fine essere tentato di nazionalizzare i trasporti o i servizi idrici ed elettrici [public utilities] così da acquisire una nuova sfera di intervento nella quale poter investire. “

    Uno legge questo passaggio e gli viene in mente il documento di fine 2011 targato Dbank contenente 'i consigli per gli acquisti' per i 'facoltosi' clienti dell'istituto di credito tedesco: nero su bianco, diviso per paese e con valutazione dello 'stato di avanzamento dei lavori', la metto così.

    Dal mio punto di vista, è come se i business leaders (come li definisce Kalecki, bl) si fossero stancati/annoiati, da qualche anno, di fare quello che hanno fatto, e che li ha resi business leaders (by the way, non so perchè ma non riesco a non pensare ai 'colori uniti' che hanno spremuto la provincia per poi ingaggiare i managers col compito scaricare l'esercito dei terzisti, e mettersi a fare i gabellieri sulle autovie e gli speculatori immobiliari nel regno delle rotaie). Questi capitani dell'intrapresa annoiati dalla routine milionaria che evidentemente è diventata piccola, hanno voluto una 'sfida più grande': così come all'inizio degli anni ottanta si diceva che il Banana si fosse scelto un 'nemico' davvero big da sfidare sul terreno della televisione commerciale, così adesso il piano è appunto 'metti nel mirino la riserva di legge dello Stato' (sono consapevole che non è formalmente corretto l'uso dell'espressione 'riserva di legge', mi scuso; la utilizzo in termini metaforici): infrastrutture, sanità, welfare, ecc. ecc.
    E per aumentare le possibilità di conseguire l'obiettivo, i business leader devono fare quello che stanno facendo, e utilizzare la struttura teorica del monetarismo/friedmanismo come strumento che razionalizzi/giustifichi le azioni necessarie.

    Ora, se questa descrizione-ricostruzione ha un qualche fondamento di plausibilità (spero vogliate 'vagliarla' alla luce della vostre conoscenze) allora da qui discendono un paio di considerazioni:
    1) Il gruppo (bl) nel momento in cui deve 'sciegliere' la struttura teorica che razionalizzi ex-post le proprie aspirazioni ad ingrassare ulteriormente il patrimonio (che è leggittimo e daltronde si sa, se non cresci da un anno all'altro, per sempre, non sei 'al top', ed immaginatevi Briatore nella versione Crozza mentre lo dice, 'al top') non ha molta scelta, perchè sul piatto sono due le piattaforme teoriche disponibili e una (Keynesiana) è perfettamente opposta, non va bene. “L'altra può andare. Fa al caso nostro”. Tanto, ragionano i vari bl (che anche la letteratura economica ha ripetutamente descritto come soggetti che devono essere più scaltri che intelligenti, più furbi che lungimiranti, no?) siamo maggiormente interessati al risultato finale, il come lo lasciamo a tutti coloro che sono sul nostro libro-paga. A loro spetta giustificare le scelte, le strategie le decisioni. Noi abbiamo potere e denaro, tanto denaro e lo usiamo per assicurarci che il lavoro venga portato a compimento. Non chiediamo molto, ma siamo disposti a pagare molto per quello che chiediamo: si tratta di far indossare alla realtà l'abito teorico più presentabile (presentabile in senso relativo, cioè rispetto a quello alternativo, keynesiano; e non presentabile in senso assoluto).
    2) Questo è un piano. E nessun piano è infallibile. Nessuno vince sempre.

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    1. Il concetto è che lo Stato da spolpare mediante privatizzazione è certamente una bella prospettiva per chi sia a caccia di rendite e non abbia più grandi prospettive di competere (e il cambio dell'euro non aiuta, mentre le delocalizzazioni presuppongono investimenti continui in innovazione, altrimenti sono una vicolo cieco, dato che i PIGS non sono fermi...).

      Il difettuccio di tutta l'impostazione è che quand'anche privatizzi tutto tutto, la domanda-occupazione cala, i "loro" prezzi-tariffe salgono e l'efficienza diminuisce.
      Non saranno "loro", incapaci ormai di fare non solo i "business leaders" ma proprio il business, a fruire dei vantaggi di ciò che stanno cercando di costruire: ma tanti "investitori-colonizzatori", che stanno ridendo per quanto sono cretini.
      Notare che i banchieri lo sanno benissimo del loro futuro destino: si preparano, più che mai, a diventare bancari...salvando il salvabile

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    2. Scusami per l'OT: ho letto in alcuni commenti precedenti di un incontro a Viareggio il 22 pv; abito molto vicino e mi piacerebbe esserci. Grazie e a presto.

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    3. "Il difettuccio di tutta l'impostazione è che quand'anche privatizzi tutto tutto, la domanda-occupazione cala, i "loro" prezzi-tariffe salgono e l'efficienza diminuisce."

      Eh già. Immaginare 'un paio' di mosse avanti per comprendere la portata dell'azione qui-ed-ora (o guardare avanti e ragionare retrospettivamente) è più da giocatori schacchi che da business leaders la cui capacità di visione è fortemente compressa dalle spinte dell'avidità. Imho, non ce lo vedo l'imprenditore-gagà col foulard intonato a giostarsi con le astrazioni del pensiero critico. Si adatta di più la 'descrizione' dei loro tratti che si ottiene dal colloquio 'Menzogna e Verità' di Erasmo da Rotterdam.

      In generale, penso, l'embolo è 'scoppiato' e si aspettano i bollettini dei caduti e dei feriti.

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    4. @El Svissero: sarebbe bastato che non avessero scartato "a priori" Keynes, come tu ben evidenzi, e magari un minimo di cultura critica, per fini molto pragmatici (non sputare nel piatto dove mangi e pure bene), ce l'avrebbero avuta....La verità è che la classe dirigente italiana - ed europea in genere- è di livello più basso di quanto può esprimere la base (per lo meno in alcune minoranze spontanee, non anestetizzate)

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    5. @Riccardo Seremedi: yes, but non è una "mia" iniziativa, cioè non nascente su questo blog.
      Prova a scrivere direttamente a sil-viar@virgilio.it, che ti metterà a parte...:-)

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