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Post di Francesco Maimone
PROLEGOMENI SULLA EPISTEMOLOGIA DELLA “LIBERTA’ COSTITUZIONALE” – SUO
FONDAMENTO E…DIREZIONE
Accolgo
di buon grado l’invito rivoltomi da Quarantotto - nell’ambito dell’amabile
discussione originata come appendice a questo recente post – anche
per cercare di ricondurre ad unità (come “consuetudine” del blog) frammenti di
riflessione sparsi soprattutto nei commenti dei vari post (per esempio qui), e per evitare, di
conseguenza, il rischio che possano disperdersi fonti e contributi. Mi
perdoneranno i lettori se, per questa esigenza metodologica di “totalità” (altra
“consuetudine” del blog), mi sono imposto di “prenderla un pò alla larga”, richiedendo
così un pò di sforzo in più nella lettura; ma il momento storico non ammette
scorciatoie di comprensione che possono, non di rado, annidarsi anche nell’esame
empirico ed isolato dei vari momenti della realtà.
1. Per quanto sopra, si prenderà le mosse da alcuni
presupposti ontologici (ontologia in senso aristotelico, come “scienza che studia l'essere-in-quanto-essere e le proprieta che
gli sono inerenti per la sua stessa natura”, così ARISTOTELE, Metafisica. Libro D, 1,
1003a-20, A. Russo, Bari, 1971] che si rinvengono nel “giovane” Marx e senza i quali,
tuttavia, non può essere letto il Marx “maturo”:
“…
L’uomo è un essere appartenente alla specie [Gattungswesen]
non solo in quanto praticamente e teoricamente fa suo oggetto la specie, tanto
la sua propria come quella delle altre cose, ma – e questa è solo
un’altra espressione per la stessa cosa – anche in quanto si rapporta
a sé stesso come alla specie presente, vivente, in quanto si rapporta a sé come
a un ESSERE UNIVERSALE e dunque LIBERO.
La vita della specie, tanto nell'uomo quanto negli animali,
consiste fisicamente anzitutto nel fatto che l'uomo (come l'animale) vive della
natura inorganica, e quanto più universale è l'uomo dell'animale, tanto più
universale è il regno della natura inorganica di cui egli vive. Le piante, gli
animali, le pietre, l'aria, la luce, ecc., come costituiscono teoricamente una
parte della coscienza umana, in parte come oggetti della scienza naturale, in
parte come oggetti dell'arte - si tratta della natura inorganica
spirituale, dei mezzi spirituali di sussistenza, che egli non ha che da
apprestare per goderne e assimilarli - , cosi costituiscono anche
praticamente una parte della vita umana e dell'umana attività.
L'uomo vive fisicamente
soltanto di questi prodotti naturali, si presentino essi nella forma di
nutrimento o di riscaldamento o di abbigliamento o di abitazione, ecc. L'universalità dell'uomo
appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura
il corpo inorganico dell'uomo, sia perché essa 1) è un mezzo
immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l'oggetto e lo
strumento della sua attività vitale.
La natura è il corpo inorganico dell'uomo, precisamente la
natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l'uomo viva della natura
vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto
per non morire. Che la vita fisica e
spirituale dell'uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la
natura è congiunta con sé stessa, perché l'uomo è una parte della natura…
… IL LAVORO, L'ATTIVITÀ VITALE, LA VITA PRODUTTIVA stessa
appaiono all'uomo in primo luogo soltanto come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno,
del bisogno di conservare l'esistenza fisica. MA LA VITA PRODUTTIVA È LA VITA
DELLA SPECIE. E’ la vita che produce la vita. In una determinata attività vitale sta interamente il carattere di una “specie”,
sta il suo carattere specifico; e L'ATTIVITÀ LIBERA E COSCIENTE È
IL CARATTERE DELL'UOMO. La vita stessa appare soltanto come
mezzo di vita. L'animale è immediatamente una cosa sola con la sua attività
vitale. Non si distingue da essa. E’ quella stessa. L'UOMO FA DELLA
SUA ATTIVITÀ VITALE L'OGGETTO STESSO DELLA SUA VOLONTÀ E DELLA SUA COSCIENZA.
HA UN'ATTIVITÀ VITALE COSCIENTE…” [K. MARX, Manoscritti
economico-filosofici del 1844, Milano, 2018, 77-79].
1.2 Il
Marx “maturo” ritornerà nel Capitale al famoso paragone tra l’ape e
l’architetto, in cui è riproposto l’accento sull’attività cosciente degli
uomini, attività conforme ad un télos
(scopo):
“… Innanzi tutto IL LAVORO È UN
PROCESSO CHE AVVIENE TRA L’UOMO E LA NATURA, in cui l’uomo media, regola e
controlla CON LA SUA AZIONE IL RICAMBIO ORGANICO TRA SÉ E LA NATURA. Contrappone sé
stesso, in quanto una delle potenze della natura, alla materialità di
quest’ultima. Egli pone in movimento le forze naturali che appartengono al suo
corpo, braccia e gambe, mani e testa, per far suoi i materiali della natura
dando loro una forma utile alla sua vita. Coll’agire tramite questo movimento
sulla natura esterna e col trasformarla, egli trasforma allo stesso tempo la
sua propria natura. Sviluppa le facoltà che si sono addormentate, e sottomette
al suo potere il giuoco delle loro forze…
Noi supponiamo IL LAVORO in una forma APPARTENENTE
ESCLUSIVAMENTE ALL’UOMO. Il ragno conduce azioni che somigliano a quelle del
tessitore, l’ape mette in imbarazzo molti architetti con la struttura delle sue
cellette di cera. Ma quello che sin dall’inizio
distingue il peggiore architetto dalla migliore delle api è il fatto che EGLI HA COSTRUITO LA CELLETTA
NELLA SUA TESTA PRIMA DI AVERLA COSTRUITA NELLA CERA…
AL TERMINE DEL PROCESSO
LAVORATIVO VIEN FUORI UN
RISULTATO CHE, AL SUO INIZIO, ERA GIÀ IMPLICITO NEL L'IDEA DEL LAVORATORE, che perciò era
già presente idealmente. Ed egli non opera
soltanto un mutamento di forma dell’elemento naturale; egli contemporaneamente realizza
in questo il proprio fine, DI CUI HA COSCIENZA, che determina come legge la maniera del
suo agire, e al quale deve subordinare la propria volontà. E tale
subordinazione non è atto sporadico. Durante l’intero svolgersi del lavoro
occorre, oltre la tensione degli organi che lavorano, LA VOLONTÀ CONFORME ALLO SCOPO …” [K. MARX, Il Capitale,
a cura di Eugenio Sbardella, Roma, 2016, 146].
1.3 Engels,
più tardi, riprenderà il paragone per affermare che il carattere distintivo
dell’uomo è l’attività conforme allo scopo per dominare la natura “… l’animale si limita a usufruire della
natura esterna, e apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l’uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: LA DOMINA.
Questa è l’ultima essenziale differenza tra l’uomo e gli altri animali, ed è ANCORA UNA VOLTA IL LAVORO CHE OPERA QUESTA DIFFERENZA…”
[F. ENGELS, Dialettica della natura, in Opere, Roma, 1974, 467].
2. L’uomo,
quindi, è un essere universale [Gattungswesen]
che, a differenza delle altre specie viventi, è privo di uno specifico “armamentario
biologico” che gli consenta di sopravvivere come accade per gli animali; solo sotto
tale specifico aspetto, potremmo definire l’essere umano come un Mangelwesen (un essere carente,
mancante) [A. GEHLEN, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo,
Milano, 1983, 60].
2.1 La
tesi marxiana, sul punto, risale addirittura alle origini della civiltà
occidentale, ed attraversa trasversalmente la riflessione di una lunga schiera
di pensatori i quali, in modi diversi, sono giunti alle medesime conclusioni.
Il tema, difatti, è affrontato, tra gli altri, da Platone nel Protagora, da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae, da Pico Della
Mirandola nella Oratio de hominis dignitate, da Kant in
Idea di una storia universale dal punto
di vista cosmopolitico, da Hegel nella Fenomenologia
dello Spirito e nella Scienza della
Logica, da Nietzsche in Al di là del
bene e del male e da Gehlen nell’opera citata.
György Lukács,
dal canto suo, nella sua monumentale Ontologia
dell’essere sociale, è forse il pensatore che più di tutti è giunto,
attraverso l’esame delle fondamentali categorie reali e logiche, ad un estremo
e mirabile approfondimento epistemologico sul tema. Non si può che rinviare il
lettore a dette opere, dal momento che sarebbe in questa sede impresa veramente
ardua passare in analitica rassegna filologica i citati testi.
3. Ci
giovi sapere, nell’economia del discorso, che in generale mentre l’animale, con
il suo bagaglio biologico, esiste in un mondo già preordinato ed al quale non
può che adattarsi passivamente; gli uomini, al contrario, per
sopravvivere devono attivamente costruirsi un mondo ed organizzarlo con
la loro azione cosciente.
Tale azione cosciente degli uomini è rappresentata
dal LAVORO, attività costituente un
processo il quale – mediante la modificazione e l’appropriazione
della natura – consente certamente di soddisfare un bisogno primario (la
conservazione dell’esistenza fisica), ma che, allo stesso tempo – in
quanto attività produttiva libera, cosciente e finalizzata – determina
altresì la modificazione degli esseri umani, consentendo di appropriarsi di
loro stessi, potremmo dire di “realizzarsi”: quel sentimento, come afferma
Lelio Basso, “…che l’uomo ha
dell’esser suo…”, di appartenersi [L. BASSO,
Termine di paragone, in “Conscientia”, 9 maggio 1925, n. 19, 1].
3.1 Nel “ricambio organico” continuo e dialettico
che avviene tra gli uomini (assumendo “l’umanità” come soggetto) ed il mondo esterno (“la natura” come oggetto), sarebbe interessante analizzare
funditus – per le
implicazioni politiche e giuridiche che ne discendono - il ruolo che
gioca sia la preventiva conoscenza delle leggi naturali (con il connesso tema
della “scienza”) sia lo
strumento (con il correlativo tema della “tecnica”),
quest’ultimo costituendo il medium
indispensabile che permette agli uomini di modificare ed appropriarsi della
natura, oltre che di sé stessi. Allo strumento (melius, “all’indagine sugli
strumenti”) com’è intuitivo, è infatti legato il discorso sui “mezzi di produzione” (e attorno
alla proprieta dei mezzi di produzione si incrociano, in base alla dottrina del
materialismo storico, gli avvenimenti della storia). L’aver qui sollevato la questione
funge, ancora una volta, solo da “avvertenza metodologica” preliminare, anche
se la stessa questione è rinviata di necessità ad una trattazione separata.
4. Sin
qui, in ogni caso, si è parlato di “uomini”
al plurale, e ciò per il semplice fatto che l’essere umano – contrariamente
alla persistente vulgata liberista - non è mai un individuo isolato,
ma è per sua natura (ontologicamente) un essere sociale, la cui essenza è
l’insieme dei suoi rapporti sociali i quali - come abbiamo visto - trovano
nel lavoro (come categoria reale) il loro originario principio. Marx ed
Engels tratteranno tale fondamentale profilo nell’Ideologia tedesca; noi ci
“accontenteremo” qui della spiegazione fornita al riguardo da Lelio Basso:
“…
La società non
è un dato ma un prodotto
degli uomini, una creazione storica.
Gli uomini lavorano - IL LAVORO È L’ATTIVITÀ
FONDAMENTALE DELL’UOMO - per produrre i propri mezzi di esistenza, per soddisfare i propri
bisogni elementari di vita, per
riprodursi, per perpetuare la specie. I bisogni dell’uomo si accrescono ben al di là di quelli
elementari e si deve lavorare per
soddisfare ai bisogni sempre nuovi e crescenti; si devono approntare gli strumenti che permettono di soddisfare
questi bisogni. Tutto questo insieme di lavoro, di attività umana è la storia o, se si preferisce, la
storia dell’uomo è la storia di quella
attività - Marx
la chiama PRAXIS: attività collettiva degli uomini
riuniti che producono e riproducono sé stessi e i mezzi per soddisfare ai
bisogni crescenti dell’umanità.
Questa storia è la dimensione reale dell’uomo, della società, poichè non esiste possibilità, per Marx, di intendere l’uomo e di intendere la società se non in questo processo storico, in questo divenire continuo, in questa trasformazione
continua, in questa prassi, in questo
lavoro che crea continuamente una società,
la rinnova e fa nascere i rapporti che legano gli uomini tra di loro, le istituzioni, le idee e tutte le
forme, tutte le manifestazioni della
vita umana che sono tutte manifestazioni dell’uomo.
GLI UOMINI, INFATTI, LAVORANDO PER SODDISFARE I PROPRI
BISOGNI, NON LAVORANO SOLTANTO SULLA NATURA,
MA ANCHE SU SE STESSI perché lavorano collettivamente, collaborano, scambiano tra
di loro le cose che sono necessarie a
soddisfare i bisogni, entrano tra
loro in rapporti, in relazioni determinate dalle situazioni in cui si trovano; in questo lavoro, in
questa prassi collettiva nasce tutta una serie di rapporti tra gli uomini, di
rapporti sociali, di rapporti di produzione, cioè rapporti diretti alla produzione
dei beni necessari, degli oggetti necessari, delle idee che son necessarie agli
uomini. È l’insieme di questi rapporti, che in un determinato momento della
storia, formano l’insieme della società; LA SOCIETÀ NON È ALTRO CHE QUESTA SERIE DI RAPPORTI SOCIALI CHE
LEGANO GLI UOMINI E CHE È IL PRODOTTO DEL LAVORO… DELLO SFORZO RECIPROCO DEGLI UOMINI,
DEGLI UNI VERSO GLI ALTRI. Questa
società si modifica attraverso il
processo storico a seconda che si modificano i rapporti tra gli uomini, dando
vita, di volta in volta, a delle formazioni
sociali diverse che si differenziano l’una dall’altra, che si
caratterizzano a seconda del modo come è organizzato questo sforzo collettivo
per produrre, per lavorare, per creare.
Nel corso della storia Marx ha
individuato diverse formazioni economico-sociali:
quella asiatica, quella antica, quella feudale,
quella borghese; ma si è, naturalmente, soffermato in modo
particolare a studiare quella che gli era contemporanea, cioè la società capitalistica
….” [L. BASSO,
La sociologia marxista, sviluppo in Italia e attuali
problemi, Roma, Istituto per gli studi di servizio sociale, 1966, 85-104].
4.1 Il
lavoro, di conseguenza, come attività conforme ad uno scopo, come costruzione
cosciente del futuro, come “progetto collettivo”
(Castoriadis), non è altro che la storia, trasformazione della natura ad opera
degli uomini e insieme autocreazione degli uomini e della società. La storia, in sintesi, “… non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi
fini …” [K. MARX,
la Sacra famiglia, in Opere, IV, Roma, 1972, 103].
E la ragione di ciò è evidente: “… in quanto ente naturale generico, l’uomo non è geneticamente prefissato a dar luogo a una e una sola forma
di oggettivazione sociale… L’ente naturale generico, cioè
la Gattungswesen, che costituisce l’uomo come essere inscindibilmente naturale
e sociale, permette all’uomo la
storicità, che non è soltanto l’infinita produzione di configurazioni
storiche e sociologiche diverse, ma è anche il luogo della perdita e del
ritrovamento di se stesso…” [C. PREVE, Marx inattuale. Eredità e prospettiva, Torino, 2004,
160]. Da questo punto di vista, gli animali, a differenza degli uomini, non
hanno e non fanno “una storia”.
4.2 Quanto
sin qui detto ci è servito da collegamento retrospettivo/integrativo con il
fine di ribadire e mettere ulteriormente in risalto che, quando si parla di “alienazione”, ciò che quella società “borghese-capitalistica” studiata da Marx
ha alienato – attraverso la moderna divisione del lavoro -
è l’essenza umana generica da intendersi come “potenza creatrice”,
intervenendo sul lavoro per mercificarlo e, in definitiva, riducendo a
merce l’intera vita sociale che nel lavoro trova il suo principio originario.
Il tema è stato di recente sviscerato da Bazaar ed Arturo in precedenti post su
alienazione e feticismo, con relativa appendice, ai quali integralmente
si rinvia.
4.2 Ci
basti qui rammentare che gli “effetti estranianti”
aventi ad oggetto l’attività lavorativa ed oggigiorno accettati acriticamente
come “naturali”, possono così essere sintetizzati:
“… Poiché il lavoro estraniato
rende estranea all'uomo 1) la
natura e 2) l'uomo stesso, la sua propria funzione attiva, LA SUA ATTIVITÀ VITALE,
rende estranea all'uomo la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale.
In primo luogo il lavoro rende estranea la vita della specie e la vita
individuale, in secondo luogo fa di quest'ultima nella sua astrazione uno scopo
della prima, ugualmente nella sua forma astratta ed estraniata…” [K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844,
cit., 78].
Se agli uomini viene
estraniata la loro “attività vitale”,
quanto li caratterizza in senso ontologico, cioè “… la manifestazione della [loro] propria vita…”, se, con le parole di Hegel, il loro spirito diviene altro da sé
nell’oggettività, poiché lo scopo del loro agire è esterno e soltanto barattabile
con una certa quantità di denaro, se l’unica cosa che gli uomini producono per
loro è il salario (peraltro, fissato a livelli sempre più infimi), se il loro è
in definitiva un lavoro “astratto”, non si può più dire che gli
uomini “si appartengono”.
Per rendere in modo icastico il concetto, possiamo dire con Marx che “… Se il baco da seta dovesse tessere per campare la sua
esistenza come bruco, sarebbe un perfetto salariato…”.
5. Ora,
abbiamo delineato in modo molto sommario la struttura teleologica della
categoria reale “lavoro”, ovvero la
sua triadicità tra scopo posto, indagine
sui mezzi e scopo realizzato.
Resta però da definire, come sopra anticipato, qual è lo scopo che conferiscono
(o debbano conferire) gli uomini alla loro attività. L’interrogativo non è fine
a sé stesso e non costituisce una mera esercitazione speculativa, ma è
strettamente collegato all’indagine concreta sul modo in cui, da un certo momento
storico in poi, una data comunità (nella fattispecie, quella italiana) ha
inteso organizzare in forma giuridica (vincolante) la propria convivenza come
società, ossia ha deciso di fare la propria “storia”.
Il
fatto che, sull’argomento, l’analisi marxiana – giova dirlo
subito – coincida con l’indirizzo fondamentale e necessitato contenuto
nella Costituzione italiana, non fa che accrescere i meriti in capo ai nostri
Costituenti i quali avevano in mente un concetto di “LIBERTÀ”
(perché di questo in fondo si tratta) affatto diversa da quella sbandierata nei
secoli dal rozzo liberalismo.
5.1 Possiamo
dire che Marx vede lo scopo generale, o più propriamente, questa tendenza
generale dell’attività degli uomini, nel LIBERO SVILUPPO DELLA
PERSONALITÀ DI TUTTI E DI CIASCUNO, ovvero nella realizzazione della
potenzialità (dynamei on, con
Aristotele) contenuta nell’essere umano, tanto che non è eccessivo affermare – supportati
dalla seguente analisi filologica - che il pieno sviluppo della
personalità è il motivo costante di tutta la sua esistenza e della sua opera: “…
Un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”, affermava Marx nel Manifesto.
5.2. Nei Grundrisse lo stesso scriveva
altresì che “… LA LIBERA individualità, fondata sullo sviluppo universale degli
individui e sulla subordinazione della loro produttività collettiva, sociale,
quale loro patrimonio sociale, costituisce il terzo stadio…”, ovvero la
società post borghese (post €uropeista e post globalista). Nel Capitale si preannunciava “… una forma superiore di società il cui
principio fondamentale sia lo sviluppo
pieno e LIBERO
di ogni individuo…”, una “… educazione
dell’avvenire…per produrre uomini di pieno e armonico sviluppo…”.
Ancora nel Capitale Marx ha sostenuto
che “la libertà può consistere
soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati,
regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura…eseguono il
loro compito… nelle condizioni più adeguate alla loro natura
umana e più DEGNE DI ESSA. Ma questo
rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, CHE È FINE A SÉ STESSO, IL
VERO REGNO DELLA LIBERTÀ…”.
5.3 Un
vero e proprio inno, infine, è contenuto sempre nei Grundrisse, il cui passo è utile riportare:
“…
una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non
l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti delle forze produttive,
ecc, degli individui, creata nello scambio universale? Che cosa è se non il pieno
sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria
natura? Che cosa è se non L’ESTRINSECAZIONE ASSOLUTA DELLE
SUE DOTI CREATIVE, senza altro presupposto che il precedente sviluppo
storico, che rende fine a sé stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello
sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già
dato?
Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, MA PRODUCE LA PROPRIA TOTALITÀ? Dove non cerca di rimanere
qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire? Nell’economia politica borghese — nella
fase storica di produzione cui essa corrisponde - questa completa estrinsecazione della
natura interna dell’uomo si presenta come un completo svuotamento, questa universale oggettivazione come ALIENAZIONE TOTALE, E LA ELIMINAZIONE
DI TUTTI GLI SCOPI DETERMINATI UNILATERALI COME SACRIFICIO DELLO SCOPO AUTONOMO
a uno scopo completamente esterno…”.
5.4 Perciò
R. Rosdolsky ha potuto sostenere che il Capitale (come in fondo tutta
l’opera di Marx):
“…
nacque dallo sforzo sia di indagare la struttura interna e le leggi di
movimento del modo di produzione capitalistico, sia di fornire la prova della
possibilità e necessità del grande “salto quantitativo” destinato a sopprimere “l’autoalienazione” umana e a rendere gli uomini “coscienti
ed effettivi padroni della natura, perché e in quanto PADRONI DELLA PROPRIA
ORGANIZZAZIONE SOCIALE” (Engels) …” [R. ROSDOLKY,
Genesi e struttura del “Capitale” di Marx, Bari, 1971, 478].
Lelio Basso, a chiarimento, aggiungeva
che “… quel che interessa principalmente
Marx e chiunque voglia camminare sulle sue orme, nello studio di questo
processo di disumanizzazione… è IL GIOCO DI PROCESSI SOCIALI E
PSICOLOGICI CHE METTONO L’UOMO IN CONDIZIONI DI NON POTER PADRONEGGIARE
COSCIENTEMENTE IL PROCESSO LAVORATIVO, perché gli
mistificano la coscienza, e gli capovolgono l’immagine della realtà,
impedendogli di afferrare i nessi reali, i rapporti umani, la natura effettiva
dei processi che gli rimangono misteriosi nel loro contenuto reale, mentre le
loro manifestazioni fenomeniche sembrano naturali ma indipendenti dalla sua
volontà e pertanto sottratte a qualsiasi possibilità di suo controllo: leggi che dominano la sua vita…” [L. BASSO,
Socialismo e rivoluzione, cit., 61].
5.5 Per
fugare interpretazioni fantasiose e dogmatiche, deve perciò rimarcarsi che lo
specifico proposito dell’analisi scientifica di Marx è quello di “… scoprire e spiegare un meccanismo
economico e i suoi limiti che perpetuano un rapporto disumano, un rapporto di universale mistificazione,
e di indicare i modi che ne consentano
il superamento al fine di istituire UN RAPPORTO SOCIALE NUOVO E PIÙ
UMANO …”
[P. VRANICKI, Storia del marxismo, I, Roma, 1971, 177]. Pertanto, il
marxismo, come chiarito da Basso, “… non
è una filippica morale contro la società capitalistica…” [L. BASSO, La
sociologia marxista, cit.], ma– come abbiamo evidenziato altrove (v. commenti) - “…
“lo smascheramento di questa mistificazione ideologica e la
dimostrazione del carattere “storico e transitorio” delle strutture e
sovrastrutture in genere, e in particolare di quelle del capitalismo” per una completa “riumanizzazione” intesa da Basso come “controllo cosciente condotto secondo un
piano, la relizzazione del progetto, la finalizzazione della prassi”.
Il recupero cosciente e pragmatico dell’essenza umana generica (alienata): solo
in questo quadro possono assumere significato espressioni oramai desuete e tuttora
incomprese (proprio nell’ambito della nutrita schiera dei “marxisti” della
domenica) come “coscienza di classe”
e “lotta di classe” nel significato
fatto proprio dal pensatore di Treviri.
5.6 Il
problema fondamentale, allora, si risolve nel dominio delle forze produttive, nella
costruzione libera e cosciente del futuro da parte della collettività umana,
nel controllo cosciente dei processi sociali, tanto da farci affermare che “… la RIVOLUZIONE esprime … il bisogno radicale
di SOTTOMETTERE LE CONDIZIONI DI VITA AL
POTERE CONSCIO DELL’UOMO CHE LE AVEVA DETERMINATE…” [S. AVINERI,
Il pensiero politico e sociale di Marx, Bologna 1972, 189].
Demistificazione ideologica delle
strutture e delle sovrastrutture, presa di coscienza della cosificazione dell’essere
umano e della sua potenza creativa, riappropriazione di sé, pieno sviluppo
della personalità dell’uomo: ecco la sequenza che porta al “REGNO DELLA LIBERTÀ”. E, si badi, in sintonia
con il pensiero di Federico Caffè, questa “…
non è semplicemente una visione di abbondanza economica o di sicurezza
sociale…Alla fine della sua vita, attraverso il “sudiciume economico” in cui
sguazzò così coscienziosamente e malvolentieri, Marx rimase il filosofo,
l’apostolo e il predicatore della libertà … Dominare la natura
e vincere l’alienazione umana, in questi
traguardi vi è la chiave della libertà dell’uomo…” [E. KAMENKA, L’umanesimo marxista e la crisi dell’etica
socialista, in E. FROMM, L’umanesimo socialista, Milano, 1975, 141-143].
6. Basterà
brevemente aggiungere a questo punto che il significato del termine “libertà” sopra delineato è del tutto antitetico
rispetto a quello che ha sempre avuto ed ha per i “liberali”, ove
esso – per tutti, da Locke ad Hayek, passando per i loro attuali epigoni
€uro-globalisti – si identifica esclusivamente con la libertà dei
proprietari (quindi di una ristretta oligarchia) e con la
corrispondente sfera di attività riconosciuta all’individuo, come tale inviolabile
da parte dello Stato il quale, in quella sfera di attività, deve intromettersi
il meno possibile (c.d. libertà negativa, quindi associata
ad un “regime autoritario” che “si
connota come Stato minimo monoclasse”, cfr p. 2).
6.2 La
libertà in senso socialista corrisponde, al contrario, alla “… partecipazione cosciente e
libera al dominio collettivo sul processo di costruzione del futuro comune, in
una società necessariamente libera dal dominio di classe …” [L. BASSO,
Socialismo e rivoluzione, cit., 98]
e, quindi, in senso stretto alla libertà in senso costituzionale così come consacrata nel
principio fondamentale di cui all’art. 3, comma II, Cost.: “… La libertà
non è data dal fatto che la collettività non si interessi di me e mi lasci
fare. La libertà
è che io possa vivere nella collettività esplicando il massimo della mia
personalità. È una concezione completamente diversa che porta a
tutta una serie di conseguenze anche in sede pratica, politica, legislativa
circa la posizione dell’uomo nel mondo e
risponde, a mio parere, a una visione più profonda
dell’uomo…” [L. BASSO, La sociologia marxista, cit.].
6.3 E la
“Libertà” come tutela del diritto eguale di tutti all’affermazione della
propria personalità (cioè l’esigenza del socialismo come della nostra
Costituzione) implica “… innanzi tutto la
libertà dalla miseria, la libertà dall’ignoranza, la libertà dallo sfruttamento
altrui, in una parola il godimento delle massime condizioni di benessere materiale e spirituale compatibili con
la possibilità di un analogo
godimento da parte degli altri...”, ovvero l’uguaglianza sostanziale che “… non consiste
nell’essere tutti simili.
Al contrario.
L’eguaglianza per tutti gli uomini è di avere ciascuno a propria disposizione
tutte le cose che essi possono desiderare per svilupparsi. Ciascuno ne
profitterà secondo la sua propria misura. L’eguaglianza sarà realizzata il
giorno in cui nessuno sarà più limitato nei suoi bisogni di espansione. Quel
giorno, con l’eguaglianza, vi sarà del pari la libertà, poiché ciascuno sarà
invitato ad essere liberamente tutto ciò che vuole, tutto ciò che può essere…” [L. BASSO, Socialismo e libertà, in
Esperienze e studi socialisti. Scritti in onore di Guido Mondolfo, Firenze,
1957, 137-144].
7. Una Libertà,
quella costituzionale, la cui realizzazione - come sanno i lettori
del blog - è palesemente disattesa e frustrata da decenni inseguendo
il sogno della pac€, tanto da far
affermare con toni amari a Lelio Basso già negli anni ’70 (e non a caso)
“… Noi abbiamo scritto - in modo particolare io, che fui relatore all’Assemblea Costituente sulla prima parte della Costituzione - un articolo 3, secondo il quale ogni lavoratore deve diventare partecipe cosciente e responsabile della gestione della vita collettiva. Io sapevo però che scrivevamo una cosa che non era vera, e il fatto di averla inserita nella Costituzione italiana porta a dire che la nostra Costituzione è basata essenzialmente su una menzogna, in quanto afferma che l’Italia è un paese democratico, mentre non lo è, perché non consente che si realizzino le condizioni all’uomo necessarie, PERCHÉ CIOÈ NON DÀ AGLI UOMINI LA POSSIBILITÀ DI ESSERE COSCIENTI E RESPONSABILI, perché ripeto, lascia sopravvivere un sistema che sottopone gli uomini a questi poteri impersonali e lontani, potremmo ormai dire kafkiani…” [L. BASSO, Intervento in Il marxismo come strumento di autoliberazione delle masse (Roma 31 maggio 1972), in “Idoc Internazionale”, 15 giugno-1 luglio 1972, n. 12/13, 50-54];
8. Da tutto
quanto detto sin qui alla comprensione profonda del perché Basso fosse così geloso della sovranità popolare
(almeno quanto dovrebbe esserlo tutto il Popolo italiano) il passo è veramente breve: rivendicare
la sovranità (art. 1 Cost.) significa rivendicare quella “Libertà”, cioè quella
possibilità per tutti i cittadini e ciascuno di “esplicare il massimo della
propria personalità” partecipando in modo “cosciente e responsabile alla
gestione della vita collettiva”.
Questa è quella che noi definiamo (e che è
affermata dalla Costituzione) “DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE”, una democrazia nella
quale non ci sia opposizione individuo-collettività (come nelle farneticazioni
dei liberali), ma nella quale vi sia una compresenza, una compenetrazione, un
rapporto dialettico permanente, una democrazia che permetta di dire finalmente,
con Piero Calamandrei, che “Lo Stato
siamo noi”.
9. Orbene, è
certamente vero, a questo punto, che il libero sviluppo delle forze umane, secondo
i principi richiamati, è una tendenza immanente alla storia, e ne costituisce
una spinta interna che deve continuamente vincere gli ostacoli rinascenti che
lo stesso processo storico oppone sotto forma di disumanizzazione; ma è altresì
vero – come opportunamente avvertito da Quarantotto – che
esso:
“… rimane comunque un esito che
dipende da una conquista necessaria: quella
coscienziale, storica, sì, ma da questa base inevitabile, diretta a una riflessione trascendente”
(qui nei commenti).
In quella sede, difatti,
veniva ricordato come Basso evidenziasse che l’idea di libertà “sia alcunché di interiore all’uomo” e che “la
coscienza umana sia la sola fonte …”, configurandosi in fondo la vera
libertà come una “esigenza spirituale”. Affermazioni apparentemente
scandalose, queste, che farebbero di sicuro strabuzzare gli occhi dei “liberali”
con il loro individualismo metodologico e con il loro ordine spontaneo, sempre
pronti ad etichettare i citati principi marxiani (e costituzionali) ora come
“realismo ingenuo” e “storicismo”, ora come “scientismo positivista” [si veda
in tal senso HAYEK in L’abuso della ragione, Roma 2008], perennemente incapaci - nella
loro innata (ed interessata) superficialità – di distinguere tra metodo
e merito.
9.1 Su
quest’ultimo punto bisogna fare chiarezza. Come sotenuto da Lukàcs “… il marxismo non significa una accettazione
acritica dei risultati della ricerca marxiana, non significa un “atto di fede”
in questa o in quella tesi di Marx, e neppure l’esegesi di un libro “sacro”.
Per ciò che concerne il marxismo, l’ortodossia si riferisce
esclusivamente al METODO. Essa è la convinzione scientifica che
nel marxismo dialettico si sia scoperto il
corretto metodo della ricerca”, metodo che ci proibisce di guardare i fatti
frazionati, atomizzati, non connessi in una totalità; “… solo operando questa connessione, nella quale i fatti singoli
della vita sociale vengono integrati in una totalità come momenti dello
sviluppo storico, diventa possibile una conoscenza dei fatti come
conoscenza della realtà…come processo unitario…”
[G. LUKÀCS, Storia e coscienza di classe,
Milano, 1967, 1-12].
9.2 Il
“merito”, e quindi “la direzione”
cui sopra si è fatto riferimento, è invece tutt’altra faccenda e lo si ricava
ancora in modo inequivocabile dalle parole di Basso:
“… Ov’è dunque la vera realtà del socialismo? Forse nelle previsioni scientifiche del suo ineluttabile
trionfo? Forse nelle leggi dell’immiserimento crescente, del concentramento
crescente e via discorrendo? Ovvero nella vivacità, che pur dura, dei contrasti
economici? O piuttosto nella fatalità del progresso che mena diritto alla
realizzazione dell’assoluta Eguaglianza, della perfetta Giustizia? Nulla di tutto questo. La realtà del socialismo è NELLA COSCIENZA dei proletari che sentano nell’interiorità propria l’antitesi
fondamentale che divide la società e in cui oggi s’incarna
l’immanente tragicità della storia, ed abbiano la volontà di superare quest’antitesi per
salire più in alto. Ora questa volontà è un atto di fede, è la religiosità del
socialismo…
...il socialismo è coscienza dell’antitesi che
lacera la società presente e volontà di superarla. E NULLA PIÙ. Solo se inteso così, il socialismo cesserà
di essere, come presso gli utopisti, una bella idea di filantropi che vogliono
aiutare i poveri, ma diverrà sforzo di proletari che si aiutano da sé; solo se
inteso così il socialismo potrà
sbugiardare la sfrontata
ipocrisia della beneficenza borghese e proclamare che la prima conquista morale è la
conquista della dignità umana; solo se inteso così, il socialismo
potrà essere strumento di ELEVAZIONE SPIRITUALE
delle masse che trovò bestie e farà degli uomini, in quanto li animerà dell’alito
divino della fede…” [L. BASSO, Socialismo e idealismo, in Quarto Stato, 10
aprile 1926, n. 3, 3].
9.3 Ma in che cosa consiste quest’afflato
religioso, questo “alito divino della
fede” e questa “elevazione spirituale”
in bocca ad un marxista?
Un Lelio Basso sicuramente inedito ce lo spiega:
“… se la storia ha da essere dialettica, questa
realizzazione dello spirito divino altrimenti non saprebbe concepirsi se non
come vittoria su Satana. E perciò direi io che l’elemento satanico è sempre immanente alla storia; è in fondo la
nostra natura stessa, in quanto natura di essere limitati, finiti, legati
quindi al particolare e al transeunte, e che pure è tratta a porsi sempre come
assolutezza, eternità, necessità. Epperò la storia dovrebbe
intendersi - questo è, per
me, il grande insegnamento di Marx - come continuo
sforzo di redenzione da tale elemento diabolico insito in noi, ch’è poi il peccato originale; e questa volontà di superare sé stessi è l’elemento divino, che pure è in noi, immanente anch’esso come trascendenza…
...la storia è la sintesi di
questo eterno conflitto, conflitto che si
risolve tuttavia colla progressiva sconfitta dell’elemento satanico, cioè col continuo
superamento di tutto che v’ha di accidentale, imperfetto, erroneo,
contraddittorio, ad opera della volontà divina, della volontà che noi abbiamo
di conquistarci una più alta realtà.
E appunto
per questo, ben può dirsi che la storia sia, in ultima analisi, progressiva
realizzazione della volontà divina: realizzazione che non potrebbe essere mai
compiuta se non a patto di uccidere Satana, cioè di porre un termine alla
storia, che è la sola e vera realtà…” [L. BASSO, La polemica sull’idealismo.
Primo bilancio, in Quarto Stato, 24 luglio 1926, n. 18, 3].
10. Si può
essere o meno d’accordo con la “direzione
trascendente” propostaci da Basso così come ognuno può vestire quella “direzione trascendente” con l’abito che
più gli aggrada.
Ciò che invece dev’essere definitivamente fugata è la rozza
identificazione tra principi socialisti e materialismo “volgare” (così sempre Lukàcs).
In tal senso, anzi, possiamo asserire che è proprio “… il materialismo la tipica filosofia
borghese. È strano come tutti coloro che
strepitano contro l’idealismo reazionario non si siano
accorti che il materialismo è la espressione quintessenziale
della Weltanschaunung
borghese.
Lo stesso Marx definiva la filosofia borghese come la più
alta forma del materialismo e ci teneva a distinguere ben chiaramente la sua
concezione sociale e storicistica - che è la negazione in termini del
materialismo - da questa filosofia borghese…” [L. BASSO, La polemica sull’idealismo. Primo
bilancio, cit.].
10.1. E
allora è il caso di lasciare proprio
a Marx l’ultima parola a conclusione di questa esposizione.
Nei Dibattiti sulla legge contro i furti di legna,
lo stesso, nell’esporre lo scarto esistente tra diritto consuetudinario e
rigore freddo della legge nella realtà tedesca dell’epoca, ne tratteggiava il
nucleo essenziale nella difesa della proprietà e degli interessi privati, a
fronte dell’immiserimento della popolazione inscritto in quello che definiva
come “abbietto materialismo”:
“…
Questo materialismo abbietto,
questo peccato contro lo spirito santo dei popoli e della umanità è una conseguenza immediata di quella dottrina che la Prussiana
gazzetta di Stato predica al legislatore: per una legge sulla legna
pensare solo alla legna e alla foresta e non sciogliere i singoli problemi
materiali politicamente, cioè non in relazione all'intero senso morale dello
Stato…”.
Invano si cercherebbe nell’”abbietto materialismo” dei “liberali” (e
nella “… economia classica che è intimamente legata ad esso…”, così G. LUKÀCS,
Storia e coscienza di classe, cit.,
5] una “direzione” che non coincida in tutto con l’estraniarsi degli uomini
nelle cose, così “… da comportarsi, di fronte
ai loro prodotti, in modo da perdere il controllo dei loro reciproci rapporti,
per cui questi li rendono autonomi di fronte ad essi e la potenza della loro
vita acquista la supremazia su di essi…” [K. MARX – F. ENGELS,
Ideologia tedesca, cit.]. Ma questa, d’altronde, è da
sempre la “loro” libertà.
(P.S.: Auguro a tutti delle serene vacanze. Soprattutto … a chi in vacanza
non andrà…)