martedì 26 dicembre 2017

ANNO NUOVO, COSTITUZIONE DEMOCRATICA "VECCHIA" (?) E...LIBERTA' (LE NON-LACRIME DI NIETZSCHE)

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Questo post costituisce più un...ripassino (e quindi non eccederò coi links, aspettandomi che i lettori siano in grado di individuarne molti altri, rispetto a quelli che inserirò). 
Ma testare se si abbiano le idee chiare - e quindi potersi permettere di porle alla prova della situazione sempre più drammatica che si profila nella nostra Patria-,  è un cimento di cruciale importanza in questo momento. Essere pronti, ora, può fare la differenza in preparazione di "questo" Nuovo Anno...
Quando sento parlare di liberali, di libertà, della democristiana Libertas, bè: trovo sempre un grande autore che chiarisce l'ovvio agli imbecilli che non si sanno collocare nella Storia:
«Quella che viene chiamata "libertà di volere" è essenzialmente la passione della superiorità rispetto a colui che deve obbedire: "Io sono libero, 'egli' deve obbedire" [...] quell'intima certezza che si sarà ubbiditi, e tutto questo appartiene ancora alla condizione di chi impartisce ordini. » Nietzsche, "Al di là del bene e del male"
Non ci può essere libertà metodologicamente individualista senza dialetticamente manifestarsi una schiavitù: libertà e potere sono il medesimo ente visto da due punti diversi.
Quello dell'oppresso, e quello dell'oppressore.
Buona "democrazia" liberale a tutti.

...A nessuno verrebbe mai in mente di far l'apologia del "potere", del "kratos": dell'idea di "potere".
Semplicemente "il potere dei forti limita la libertà dei deboli", quindi "la libertà dei forti limita il potere dei deboli".
Poiché il potere ai "deboli" si chiama "democrazia", queste liberalissime proposizioni sono antidemocratiche e oppressive.
E sono quelle del liberalismo classico.
Parlare di libertà non significa nulla, per il semplice fatto che non è un concetto universalizzabile.
Dare il "dieci punti percentuali" di libertà alla Bayer non è come darli a me e te.

Liberalizzare mercato e lavoratori non è la stessa cosa: sono due libertà che formalmente se promosse insieme sono di fatto esclusive: il lupo capitale si magna la pecora lavoro.
Il liberalismo è la legge della giungla: l'ordine sociale è eminementemente un ordine giuridico, come lo Stato è per definizione Stato di diritto (Schmitt, 1923) che, per distribuire potere, deve limitare per definizione le libertà.
La libertà sociale nasce dalla limitazione indistinta delle libertà individuali.
Parlare di libertà ideale paluda i rapporti di produzione che, essendo "kratos" puro al pari delle armi, possono essere limitati solo dall'archè giuridico.
Quindi chi raglia di una libertà non partigiana, paluda il conflitto politico e sociale. 
1. Dovrebbe ormai essere ben chiaro: per chi è già titolare di un consistente patrimonio e di una rendita che da esso proviene, consentendogli di accumulare ulteriore ricchezza, il termine "libertà" è un modo per indicare la legittimità della sua posizione al fine di rivendicare, contro la possibile interferenza dello Stato in nome dell'interesse generale dell'intero popolo, la sua conservazione.
Si tratta quindi di una libertà "da" (da ogni limitazione "pubblica" della propria situazione di vantaggio) che è strettamente funzionale a un potere "di". 
La libertà "negativa", liberale (o neo-liberale, intesa come sua identica riproposizione, ma dovendosi affrontare nuove condizioni politico-economiche sopravvenute, che impongono che la restaurazione del vecchio assetto, costretto dagli eventi storico-sociali a compromessi e limitazioni, debba tener conto di ciò) ha infatti lo scopo ultimo ed essenziale  di esercitare le prerogative politiche connaturalmente connesse alla ricchezza per orientare - tramite molti mezzi, culturali e finanziari, prospettati come intangibili dal diritto statale- le pubbliche istituzioni ed impedire che queste possano avvantaggiare la generalità dei cittadini a scapito della timocrazia (qui, p.7).

2. Per chi non possa vantare un consistente patrimonio e voglia perseguire una propria liberazione dal bisogno e dalla povertà (v. p.9, per la descrizione che ne fa Calamandrei), e quindi dalla impossibilità materiale della partecipazione alle decisioni che lo riguardano (cioè alle decisioni pubbliche che assume la Res Publica, lo Stato), la libertà è essenzialmente l'affermazione del valore del proprio lavoro e, prima ancora, della possibilità di averne uno, ponendo le basi (uniche lecitamente possibili, nel senso di non antisociali e quindi non realizzate mediante il danno ingiusto arrecato ad altri) per un'emancipazione dalla povertà e dal bisogno.

3. Questa schematizzazione, - che corrisponde a elementari riscontri delle dinamiche sociali che erano già chiaramente affermati dalle stesse "ipotesi" costituzionali della Rivoluzione francese -, ci spiega perché fondare un ordinamento sulla "libertà", indistintamente affermata a prescindere da chi ne sia e ne possa essere il vero beneficiario (qui, infine, la descrizione fenomenologica di Galbraith), sia un concetto vacuo ed apparente, cioè, in definitiva,  artificiosamente dissimulatore della sostanza della vita sociale. 
Il senso che tale indistinta "libertà" afferma implicitamente - perché se lo facesse esplicitamente la schiacciante maggioranza dei soggetti dell'ordinamento ne coglierebbe l'effetto "meccanico" di esclusione politica che ne consegue -, è quello di negare l'ineliminabile natura conflittuale della libertà, allorché essa sia riferita all'insieme generale (dunque, non selettivo e staticamente assunto) degli individui che compongono una concreta organizzazione sociale. 

4. E negando tale insopprimibile natura conflittuale, cioè idealizzando la libertà in astratto, si mira oggettivamente a rendere illegittimo ogni tentativo di crescita generalizzata del benessere, esteso a tutte le classi sociali, e, inevitabilmente, a rendere illegittima l'attribuzione allo Stato della funzione primaria di garantirla. 
Si afferma così quella strana contrapposizione tra meritocrazia, - i cui effetti sarebbero esclusivamente da rilevare in base alla presa d'atto, una volta per tutte, dell'esito della naturale competizione sociale, in quanto libera dall'interferenza di regole giuridiche che tutelino interessi meta-individuali-, e eguaglianza sostanziale (pp.7-8, per la definizione di Calamandrei e Basso), che invece si fonda sulla esigenza normativamente stabilita di redistribuzione ex ante, onde consentire a ciascun individuo, senza esclusione di alcuno, di esprimere pienamente il proprio rispettivo potenziale, a giovamento dell'intera collettività, in modo da ottenere che questa produca la concreta massimizzazione delle risorse che in essa sono complessivamente racchiuse.

5. In sostanza negare che l'azione redistributiva dello Stato sia di giovamento all'intera società, ordinando invece la società sulla libertà formale (a mera apparenza "negativa"), implica, per necessità, che gli individui non solo siano in larga prevalenza scarsamente dotati di capacità effettivamente utili e idonee ad accrescere il benessere collettivo, ma pure che questa distribuzione diseguale delle capacità umane debba accompagnarsi a un ordinamento che cristallizzi, come unico equilibrio utile, il "dato" della inevitabile distribuzione ineguale dei meriti, comprovandolo a posteriori mediante l'accettazione della concentrazione della ricchezza in pochi individui, assunta come stato di fatto "trascendente" e naturalisticamente incontestabile. Appunto ciò che viene teorizzato come assetto allocativo efficiente di un sistema vincolato dalla scarsità di risorse.

5.1. E se dunque si nega a livello di filosofia politica generale, che lo Stato possa/debba perseguire la crescita del benessere di tutti, in quanto ciò risulterebbe abusivamente lesivo della statica libertà ("potere di") dei pochi, ne discende la negazione stessa della democrazia e della sostanza che la rende concreta e non meramente formale: la partecipazione effettiva di tutti i cittadini, in ampissima maggioranza lavoratori (dediti a ogni forma di attività lavorativa esprimente la rispettiva personalità e capacità) al processo decisionale collettivo, in funzione di progresso generale.

34 commenti:

  1. Giusto e linearmente logico sotto tutti i profili.La libertà di cui sproloquiano i sedicenti liberali è e sarà sempre LICENZA.

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  2. Riporto una risposta a supporto filologico, come sempre, di Arturo (Bobbio e Hayek):

    « Bobbio, Politica e cultura, pp. 272-3: “Per cogliere la differenza di significato tra la libertà dei liberali e quella dei socialisti, si osservi una delle argomentazioni più comuni della pubblicistica socialista contro quella liberale : « Lo stato liberale ha concesso, si, le cosiddette libertà civili, ma sono libertà puramente formali: che cosa importa la libertà di stampa a chi non trova capitali per stampare un giornale, la libertà di circolazione per chi non ha il denaro per pagarsi il viaggio, la libertà di possedere per il salariato che tutto quel che guadagna spende per i bisogni necessari?

    La vera libertà consiste non nell'astratta possibilità di fare, ma nel ***concreto potere***. Libero non è colui che ha un diritto astratto senza il potere di esercitarlo, bensì colui che oltre al diritto ha anche il potere di esercizio. O per meglio dire il primo è solo formalmente libero, il secondo è libero anche sostanzialmente ».”
    »

    Riprendiamo anche questo passo di Schmitt, al fine di promuovere la coscienza della relazione tra religione, totalitarismo e liberalismo:

    «...interessa il fatto che la la tendenza giusprivatistica presente nell'economico [Schmitt ce l'ha con "il pensiero economico", in quanto "impolitico", ndr] costituisce una limitazione della capacità di forma giuridica. Ci si aspetta che la vita pubblica si governi da sé[il pilota automatico di draghi, ndr]; deve essere dominata dall'opinione pubblica, cioè dai privati, e l'opinione pubblica, d'altronde, è dominata da una stampa che sta in mano alla proprietà privata. In questo sistema nulla è rappresentativo [come nel "pubblico", ndr] e tutto è affare privato. Storicamente la «privatizzazione» comincia dal fondamento, cioè della religione»

    «Ma ovunque si collochi la dimensione religiosa, questa dimostra sempre la sua efficacia assorbente e assolutizzante, e quando la religione è privata, allora, di rimando, il "privato" viene santificato religiosamente»

    «La proprietà privata, quindi, è sacra proprio in quanto affare privato»

    «Anche nella società moderna c'è religione, quella del "privato"»

    «Che la religione sia affare privato dà al "privato" una sanzione religiosa»

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  3. Ovviamente Hayek si va a schiantare senza alcun pudore contro l'incomprimibilità del muro della logica:


    « Hayek, The Constitution of Liberty, pagg. 65-66: “Neither of these confusions of individual liberty with different concepts denoted by the same word is as dangerous as its confusion with a third use of the word to which we have already briefly referred: the use of “liberty” to describe the physical “ability to do what I want”, the power to satisfy our wishes, or the extent of the choice of alternatives open to us. This kind of “freedom” appears in the dreams of many people in the form of the illusion that they can fly; that they are released from gravity and can move “free like a bird” to wherever they wish, or that they have the power to alter their environment to their liking.
    This metaphorical use of die word has long been common, but until comparatively recent times few people seriously confused this “freedom from” obstacles, this freedom that means omnipotence, with the individual freedom that any kind of social order can secure. Only since this confusion was deliberately fostered as part of the socialist argument has it become dangerous. Once this identification of freedom with power is admitted, there is no limit to the sophisms by which the attractions of the word “liberty” can be used to support measures which destroy individual liberty, no end to the tricks by which people can be exhorted in the name of liberty to give up their liberty. It has been with the help of this equivocation that the notion of collective power over circumstances has been substituted for that of individual liberty and that in totalitarian states liberty has been suppressed in the name of liberty.”
    »

    Traducendo dall'inglese e dal liberalese, il nostro sociopatico ci dice: « noi liberali siamo dei sociopatici che promuovono l'individualismo metodologico tramite lo slogan "libertà da" in quanto a noi ci interessa che vengano rimossi gli ostacoli che impone al mercato il potere pubblico rappresentato dell'ente statale, ostacoli che impediscono alle privatissime personalità giuridiche monopolistiche di cristallizzare la società in classi. Poiché i democratici vogliono invece rimuovere dalla persona umana gli ostacoli che sono invece frapposti dal mercato ai lavoratori, allora alla nozione di potere pubblico sostituiamo quello di libertà individuale grazie alla seduzione della parola "libertà". Quindi in nome della libertà sopprimiamo la libertà promuovendo uno Stato totalitario ».

    Non c'è nulla da capire: i fatti storici hanno già scolpito nella carne delle ultime generazioni quest'analisi fenomenologica.

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  4. “…Il Carducci si domandava: «Quando il lavoro sarà lieto? Quando sicuro sarà l'amore?». Ma ancora si aspetta una risposta, e chi sa chi saprà darla. Molti dicono che ormai l'uomo tutto ciò che doveva conquistare nella libertà, e nella civiltà, l'abbia già fatto, e che ormai non gli resta che godere il frutto delle sue lotte.

    Invece, io credo che ben altro da fare ci sia ancora: gli uomini non sono che verniciati di civiltà; ma se appena sono scalfiti, subito appare la pellaccia del lupo. Gli istinti sono ammansati, ma non distrutti, e il diritto del piú forte è il solo riconosciuto. La Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe ad un'altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate
    ” [A. GRAMSCI, Oppressi ed oppressori, saggio scolastico, novembre 1910].

    La famosa libertà astratta, i mitici diritti naturali conquistati una volta e per tutte sono semplicemente delle balle. E’ lo squallido “strofinaccio del pensiero” degli pseudo-socialisti organici al capitale, cioè “…i riformisti [che] sono i filistei e gli utopisti del socialismo…” [A. GRAMSCI, Utopia, Avanti!, edizione piemontese, 25 luglio 1918].

    “…La legge essenziale dell’uomo è il ritmo della libertà, la storia del genere umano è un processo ininterrotto e indefinito di liberazione. Ma la libertà non è qualcosa di fisso, di immutabile nel tempo e nello spazio.
    Individualmente la libertà è un rapporto di pensiero, condizionato dalla cultura dell’individuo: tanto piú uno è libero quanto piú è «ricco» di sapienza e di saggezza, quanto piú grande è il «patrimonio» suo di esperienze storiche e spirituali, quanto maggior ordine esiste nei suoi pensieri, quanto piú perfetta è la sua organizzazione interiore. Individualmente quindi il processo di sviluppo della libertà coincide col processo di sviluppo della cultura individuale…

    Nella convivenza umana, come rapporto tra individui, la libertà è un equilibrio di forze e si concreta in una organizzazione, in un ORDINE. In regime di proprietà privata la libertà politica (e in regime di proprietà privata LA LIBERTÀ PUÒ ESSERE SOLO POLITICA, perché rapporto tra individui, tra cittadini e non tra comunità di produttori, tra associazioni…) è condizionata dal possesso dei beni materiali, o dall’essere al servizio di chi possiede i beni materiali.

    Non si può dire quindi che il regime borghese non sia un regime di libertà; tutta la storia è un succedersi di regimi di libertà, ma di libertà individuale o politica, cioè LIBERTÀ FORMALE PER TUTTI E LIBERTÀ EFFETTIVA PER I POSSESSORI DEI MEZZI DI PRODUZIONE E DI SCAMBIO.

    Quando lo Stato era «possesso» individuale, era libero solo il tiranno e i suoi sicofanti; quando lo Stato divenne possesso dei proprietari capitalistici e terrieri, divennero liberi i proprietari capitalistici e terrieri. Quando lo Stato sarà «posseduto» dai lavoratori, i lavoratori diventeranno liberi...
    ” [A. GRAMSCI, Socialisti e anarchici, Ordine Nuovo, 20-27 settembre 1919]. (segue)

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  5. Gramsci è lapidario e definitivo (almeno quanto Basso): in regime di proprietà privata di stampo capitalista “la libertà può essere solo politica” (finché regge), cioè formale per tutti e sostanziale per chi può permettersela. Di fatto brutalmente contraddittoria. Ecco perché è necessario un “ordine”:

    … I socialisti non devono sostituire ordine ad ordine. Devono instaurare l'ordine in sé (NdF: l’ordinamento costituzionale]. La massima giuridica che essi vogliono realizzare è: POSSIBILITÀ DI ATTUAZIONE INTEGRALE DELLA PROPRIA PERSONALITÀ UMANA CONCESSA A TUTTI I CITTADINI. Con il concretarsi di questa massima cadono tutti i privilegi costituiti. Essa porta al massimo della libertà col minimo della costrizione.

    Vuole che regola della vita e delle attribuzioni sia la capacità e la produttività, all'infuori di ogni schema tradizionale. Che la ricchezza non sia strumento di schiavitù, ma essendo di tutti impersonalmente, dia a tutti i mezzi per tutto il benessere possibile. Che la scuola educhi gli intelligenti da chiunque nati, e non rappresenti il premio (quattro righe censurate).

    Da questa massima DIPENDONO ORGANICAMENTE TUTTI GLI ALTRI PRINCIPI DEL PROGRAMMA MASSIMO SOCIALISTA. Esso, ripetiamo, non è utopia. E' universale concreto, può essere attuato dalla volontà. E' principio d'ordine, dell'ordine socialistico. Di quell'ordine che crediamo in Italia si attuerà prima che in tutti gli altri paesi
    ” [A. GRAMSCI, Tre principii, tre ordini, in La città futura, febbraio 1917].

    Quella “massima giuridica” è la meta-norma di cui all’art. 3, comma II, Cost.: cioè la democrazia e la libertà sostanziali. La “sovranità del lavoro” gramsciana.

    (Chi ancora non ha capito è complice degli aguzzini. Senza alcuna scriminante)

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  6. Per non parlare di lui:

    “Se controlli il campo dell’istruzione e della cultura, con il carico da undici delle autorità religiose a benedire il tutto ed un sistema mediatico efficiente, è come rubare il lecca lecca ad un bambino.”

    Francesco Maimone8 luglio 2016 12:25

    Il discorso non potrebbe essere più esplicito, caro Arturo. E l'impegno pianificatore (concepito negli anni ’50) iniziò in concreto negli anni '60 quando Milton Friedman pubblicò il saggio Capitalism and Freedom in cui rispolverava il discorso classico del liberismo e proponeva, tra l'altro, riforme riguardanti i principali settori economici nonché....dell'istruzione. Già, l’istruzione diventa merce e veicolo di infestazione “(…) Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali” [M. FRIEDMAN, Capitalismo e libertà, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1987, 89]. Secondo Friedman “(…) L’istruzione dovrebbe così essere fornita tanto da imprese private a fini di lucro quanto da organizzazioni no profit. Il ruolo del governo si limiterebbe ad accertarsi che le scuole soddisfino determinati requisiti minimi, come l’inclusione di un minimo di contenuti comuni nei propri programmi, ESATTAMENTE COME OGGI LE AUTORITÀ SI ASSICURANO CHE I RISTORANTI RISPETTINO STANDARD IGIENICI MINIMI (…)” [M. Friedman, The Role of Government in Education, in R.A Solo (a cura di), Economics and the Public Interest, Rutgers University Press, Piscataway, 1955]. Le organizzazioni internazionali (in testa la Banca Mondiale, l’OCSE e il WTO), secondo documenti ufficiali, si adeguano nella ridefinizione dei sistemi scolastici, tratteggiando un nuovo, magnifico orizzonte culturale e di libertà. L’istruzione e la cultura cadono in mano a questi organismi veicolati dalle imprese multinazionali e si infiltrano nelle scuole di tutti gli ordini e gradi, al grido “Statobruttocriccacorruzione”. Se controlli il campo dell’istruzione e della cultura, con il carico da undici delle autorità religiose a benedire il tutto ed un sistema mediatico efficiente, è come rubare il lecca lecca ad un bambino.

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/07/il-prezzo-dei-npl-di-monte-dei-paschi.html?showComment=1467973526031#c8964514246484673848

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    1. Come non darti ragione, caro Luca?

      L’informazione e…la cultura. Entrambe merce preziosa al servizio delle oligarchie capitalistiche e funzionali al disegno dell’ingegneria lib€rista. Non a caso il massacro sta avvenendo a livello mediatico-culturale.

      Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l'uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell'umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri. Serve a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore…che ha partorito tutta una caterva di presuntuosi e di vaneggiatori, piú deleteri per la vita sociale di quanto siano i microbi della tubercolosi o della sifilide per la bellezza e la sanità fisica dei corpi.

      Lo studentucolo che sa un pò di latino e di storia, l'avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di piú di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben a ragione si reagisce

      La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere IL PROPRIO VALORE STORICO, LA PROPRIA FUNZIONE NELLA VITA, I PROPRI DIRITTI E I PROPRI DOVERI. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà, come avviene nella natura vegetale e animale in cui ogni singolo si seleziona e specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L'uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura…

      Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato, l'umanità ha acquistato coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere indipendentemente dagli schemi e dai diritti di minoranze storicamente affermatesi prima. E questa coscienza si è formata non sotto il pungolo brutale delle necessità fisiologiche, ma per la riflessione intelligente, prima di alcuni e poi di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui mezzi migliori per convertirli da occasione di vassallaggio in segnacolo di ribellione e di ricostruzione sociale. Ciò vuol dire che ogni rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per ora, il proprio problema economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri che si trovavano nelle stesse condizioni.
      (segue)

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    2. È attraverso la critica della civiltà capitalistica che si è formata o si sta formando la coscienza unitaria del proletariato, e critica vuol dire cultura, e non già evoluzione spontanea e naturalistica. Critica vuol dire appunto quella coscienza dell'io che Novalis dava come fine alla cultura. Io che si oppone agli altri, che si differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e gli avvenimenti oltre che in sé e per sé anche come valori di propulsione o di repulsione.

      Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. E non si può ottenere ciò se non si conoscono anche gli altri, la loro storia, il susseguirsi degli sforzi che essi hanno fatto per essere ciò che sono, per creare la civiltà che hanno creato e alla quale noi vogliamo sostituire la nostra. Vuol dire avere nozioni di cosa è la natura e le sue leggi per conoscere le leggi che governano lo spirito.

      E tutto imparare senza perdere di vista lo scopo ultimo che è di meglio conoscere se stessi attraverso gli altri e gli altri attraverso se stessi.

      Se è vero che la storia universale è una catena degli sforzi che l'uomo ha fatto per liberarsi e dai privilegi e dai pregiudizi e dalle idolatrie, non si capisce perché il proletariato, che un altro anello vuol aggiungere a quella catena, non debba sapere come e perché e da chi sia stato preceduto, e quale giovamento possa trarre da questo sapere
      ” [A. GRAMSCI, Socialismo e cultura, Il Grido del Popolo, 29 gennaio 1916].

      Se fai leggere questo passo di Gramsci ai tanti ministri della d-istruzione che si sono succeduti, quelli Fedeli al sacro verbo delle tre “i” e dell’alternanza “scuola-lavoro” (cioè i nuovi schiavi precoci), oggi rischi proprio la camicia di forza!

      Eh sì, applicando alla lettera la Costituzione ed il sistema di istruzione PUBBLICA, bisognerà ricominciare tutto daccapo. Anche in campo culturale

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    3. Bellissimo questo passo di Gramsci: la religione e l'escatologia si esauriscono nella conoscenza volta alla consapevolezza e alla coscienza.

      Un Dio che non porti coscienza, è un falso dio.

      È un'entità avversa alla specie umana e al tesoro che custodisce.

      (comunque due riflessioni sul primo dei Dieci Comandamenti andrebbero fatte...)

      Vabbè, a Natale sono riuscito a discutere con il mio migliore amico, cattolicissimo e fisico: una persona di estrema intelligenza che tra messe domenicali e televisione non riesce più a produrre un pensiero coerente.

      Di fronte alla sua difesa arroccata intorno a papa Francesco, e la capacità di costruire un discorso di un'evanescenza degna del miglior prelato, all'ennesimo "NO" a prescindere su qualsiasi obiezione al messaggio papale, bè, mi è sfuggito di fargli notare che notavo una certa "vacuità intellettuale".

      Ora: appena ha iniziato con "per me", sono andato al dunque: il "metodo", non l'oggetto.

      Sono sicuro che preso individualmente qualsiasi tema di discussione minore, saremmo convenuti su praticamente tutto.

      È una persone molto intelligente, di concreta semplicità e aperto. Tendenzialmente in grado di affrontare situazioni di conoscenza asimmetrica.

      Non c'è stato verso: per lui la coscienza critica consiste nell'avere un'opinione personale su tutto (tranne che nelle "scienze in senso stretto", ossia la fisica...).

      Io: ma perché quando discuti di fisica parli "per citazioni" - esplicitamente o implicitamente - mentre quando hai a che fare con fenomeni sociali non senti questa esigenza?

      Le scienze sociali sono "scienze per modo di dire".... d'altronde non sono replicabili in laboratorio!

      La verità scientifica è monopolio dei fisici, con buona pace di Hegel, Husserl o dei grandi autori che in un modo o nell'altro si sono occupati di epistemologia.

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    4. Quando ho provato a spiegargli semplicemente la differenza tra doxa, episteme e doxa cosciente, nei vari livelli di crescita culturale e spirituale, e all'ennesima obiezione a prescindere, gli ho fatto notare che io di questi argomenti parlo solo per citazioni. Implicite? Rielaborate? Espresse e rese organicamente coerenti - in parte! - da una elaborazione personale? Ad esempio questa differenza tra opinionismo da bar dello sport (scienza), verità scientifico/empirica (episteme), e "opinione cosciente" come interpretazione della realtà fondata sulla conoscenza empirica e scientifica, è stata divulgata da Husserl. Anche il simpatico fisico in camice bianco che va in laboratorio a fare l'archetipale "metodo scientifico" si mette in tasca le bustarelle! e le bustarelle fanno nell'empirismo radicale della fenomenologia parte del "metodo scientifico"...

      Risposta: Husserl non era un fisico...

      Appunto, io: era un epistemologo... stiamo discutendo di epistemologia connessa al cognitivismo... giusto?

      Silenzio.

      A quel punto, il mio vezzo provocatorio ha perso il freno: cena di fedelissimi cattolici: il tuo atteggiamento è immorale.

      Intervengono gli astanti... brusio e riprovazione.

      Lo scrivente, ben noto per non essere in odore di santità, che esprimeva un giudizio morale ad un notissimo role model di cattolico della parrocchia...

      Scandalo.

      A Natale per giunta.

      Bazaar il salvatore ha portato il suo messaggio di salvezza spirituale: abbandonate la religione e dedicatevi alla fenomenologia...

      Cosa devo dire?

      La fenomenologia non è un "metodo": lo presuppone, forse, per certi versi. La fenomenologia è un "atteggiamento" e, in quanto tale, è un comportamento che ha che fare con la morale.

      L'epistemologia È filosofia morale, perché ha a che fare con il COME comportarsi.

      E, dati certi Principi, è possibile dare un giudizio di carattere assiologico.

      Il permeismo, tanto comodo alla famiglia del Mulino Bianco che commenta le puttanate che passano alla TV, è, in democrazia, un comportamento immorale.


      (Chiaramente io, in un contesto di apologia di fascismo dell'opinione, mi sono preso dell'oligarchico-elitista perché non ritenevo che chiunque potesse occuparsi di attualità e politica...

      Ma come, no? Studiate cazzo. Altrimenti state zitti perché la gente muore. Hai il tempo per approfondire teologia? bene, allora trovatelo per leggere la Costituzione nella palude. Se... questi ci hanno la Verità già rivelata e la Salvezza a portata di mano)

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    5. p.s.

      chiaramente l'opinionismo da bar dello sport non è la "scienza", ma
      la "doxa".

      In chiosa: che piaccia o meno la dialettica presuppone un'opinione cosciente.

      Altrimenti sono chiacchiere da bar. Chiacchiere da schiavi.

      Parlare vacuo avulso da una personalità umana in via di formazione...

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    6. Tutta colpa tua, Bazaar :-): anche il concetto di "amicizie" e "miglior amico", - relativo quindi ad una parte della sfera affettiva che include sempre e solo parti (lati-ombra) di se stesso-, è necessariamente soggetto al processo cognitivo fenomenologico. E quindi alla sua dinamica (progressiva, si spera).

      Se ampli la tua sfera cognitiva, lo stesso primario giudizio "è un amico (anche "molto"), è soggetto metodologicamente a revisione; cioè alla definizione di una nuova "essenza".

      Se cambia la descrizione del mondo che sei operativamente in grado di elaborare, il discorso condiviso con altri, nella sfera sociale, tende a dissolversi: cioè è destrutturato nei suoi precedenti elementi essenziali (che avevano la funzione, praticamente "specchio", di rinsaldare staticamente la precedente "descrizione").

      Questo transito cognitivo impone delle strategie.
      Mica puoi sbattere in faccia a un "amico" che non condividi più la sua descrizione del mondo: è come dirgli che appartieni a un altro gruppo sociale ostile e rivelare, nei suoi termini automatici (che non ammettono per definizione cambiamento e si basano su rationalia fideistici assunti come "ragione"), che in precedenza indossavi una maschera per celare un'altra intenzionalità. A lui tenuta nascosta.

      La sua unica reazione possibile è quella di inchiodarti al tuo vecchio "io" e trattenere ogni tua forza di evoluzione; e in conseguenza di ciò stabilire che sei impazzito o moralmente deviato :-)

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    7. Hai fatto ridere la mia dolce metà, a cui ho letto il tuo riscontro dato che è stata testimone della discussione con questo vecchio amico d'infanzia: « osservazione molto intelligente: ti sei fatto prendere in castagna con un'analisi freudiana! »

      (La parte più strettamente fenomenologica non l'ha colta)

      Effettivamente poi mi sono scusato; il metodo e il contesto in cui affrontare certi argomenti, nonostante la confidenza, non era del tutto adeguato... ma è che sono sempre un po' cattolico dentro. Faccio proseliti per il bene altrui. E per il suo bene, da bravo missionario, ho insinuato che la sua cultura, la sua visione del mondo e ciò in cui ha sempre creduto potessero essere manifestamente infondate...

      Come portando un'inaspetatta rivelazione, ho sbattuto in faccia senza alcuna "strategia" considerazioni che, se espanse, avrebbero minato le fondamenta stesse della sua fede e della sua (apparente) "serenità".

      D'altronde lo stimo.

      Magari la crescita spirituale del santo passa dalla via proposta dal peccatore: chissà se l'eterodossia potrà mai salvare il gregge dal pastore che, con un fare affabile e sorridente che in Gesù mai emerge, porta gli omodossi al macello...

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    8. Il "problema" del percorso di crescita culturale e spirituale di cui parla Gramsci (e i commenti di Bazaar e 48) è la solitudine che lo caratterizza, forse anche nei suoi esiti. È una sorta di speciazione ... che si fa da soli e che rischia di finire con noi stessi.
      Il gruppo sociale di partenza, cui ogni tanto si vorrebbe tornare, è ormai un luogo estraneo, come il bar delle discussioni di cui sopra.
      E nella traversata nel deserto culturale i pochi pozzi che incontriamo rischiano di essere stati avvelenati.
      Occorrono monasteri lungo il cammino (questo blog sicuramente lo è), e la volontà di trovare il modo per rendere il nostro percorso un mattone di una nuova costruzione sociale.

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    9. Certo, si può sempre considerare un certo distacco dalle cose del mondo; ma non per dedicarsi alla preghiera (che pure è una soluzione "lodevole", ma non di giovamento per la coscienza democratica), quanto per coltivare il senso dello humor.
      Risulterà poi essere molto utile in ogni situazione interattiva con le svariate tipologie di invasati che produce il sistema propagandistico-culturale...

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    10. Sì certo, intendevo il termine "monastero" come luogo, dotato di una qualche autonomia, che tutela, conserva, recupera e produce cultura ma soprattutto accoglie e istruisce chi esca "dal loro mondo", cioè dal sistema di propaganda che, con diversi gradi consapevolezza, ci ha resi un po' tutti degli invasati / utili idioti massimamente disciplinati.

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  7. Il concetto di equilibrio, misura, mediazione del conflitto, simboleggiato da una piuma sulla bilancia, è alla base della nascente società egizia: ne è il principio costituente. La rottura dell'armonia è causata da un progressivamente sempre più smisurato culto dell'eroe solare, colui che può uccidere il "lupo" (o serpente, dragone) che è dentro di noi e che corrompe il mondo.

    Nella ricerca acritica di un 'bene assoluto e superiore' (...i conti in ordine?), si trascura la ricerca del bene terreno e materiale. La soluzione non è sconfiggere il serpente, ma domarlo, conviverci, se non addirittura allearcisi.

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  8. <i> “The political problem of mankind is to combine three things: economic efficiency, social justice and individual liberty.” <i>

    JMK, seppur non socialista, aveva dimostrato ancora una volta notevole forza intellettuale nell'accompagnare alla coppia liberale libertà+efficienza l'elemento cardine della giustizia sociale (letto con chissà quale orrore dai servi scemi del Capitale...).

    Appare a questo punto più onesto- e molto più ingenuo- l'ex direttore dell'Avanti quando afferma "Il concetto di libertà non è assoluto perché nulla nella vita vi è di assoluto. La libertà non è un diritto: è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un'uguaglianza; è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C'è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C'è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria."

    a cui- secondo lui seguendo Hegel- chiosava nel 1932 "Se la libertà dev'essere l'attributo dell'uomo reale, e non di quell'astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il Fascismo è per la libertà. È per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell'individuo nello Stato."

    Quando Giannino invoca una Costituente per cambiare l'art. 1 invocando...la Libertà non fa altro che mostrare ingenuamente quanta ideologia- nel senso marxiano di falsa coscienza e di realtà capovolta- animi una costruzione sociale così fallace e antiumana quale il liberalismo.

    Tanti cari auguri a tutti!

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  9. Sì, sono molto attenti a delimitare le dimensioni della libertà.

    Da decenni ormai lavorano alacremente a cancellare, anche dal pensiero, quella politica, ossia il darsi da soli la legge, che della democrazia è il presupposto. Sono libero non perché posso cambiare canale, colore dei capelli, detersivo o partner sessuale, ma perché obbedisco a una legge che ho contribuito a creare, o che posso provare a cambiare, attraverso le varie forme di partecipazione, su un piano di uguaglianza con gli altri cittadini.

    E’ per annientare la pensabilità della libertà politica che occorre raccontare la favoletta, nella sostanza non molto originale ma accompagnata da cattedrali di sofismi, che le leggi non le crea nessuno ma sono il prodotto di uno sviluppo impersonale che solo i sacerdoti riconosciuti, per esempio gli organi irresponsabili di un’organizzazione “rule-based”, sono legittimati a dichiarare.

    Un po’ però bisogna capirli: quando si poteva dire che è per volere divino che i ricchi comandano, e voi zitti, era tutto molto più semplice; ora tocca arrangiarsi come si può. Potessimo almeno importare direttamente, senza tante complicazioni internazionali, economiche e concettuali, il modello idraulico americano, per salvare almeno un po’ le apparenze…

    Che per “orientare” effettivamente orienta: “Each of four theoretical traditions in the study of American politics—which can be characterized as theories of Majoritarian Electoral Democracy, Economic-Elite Domination, and two types of interest-group pluralism, Majoritarian Pluralism and Biased
    Pluralism—offers different predictions about which sets of actors have how much influence over public policy: average citizens; economic elites; and organized interest groups, mass-based or business-oriented.
    A great deal of empirical research speaks to the policy influence of one or another set of actors, but until recently it has not been possible to test these contrasting theoretical predictions against each other within a single statistical model. We report on an effort
    to do so, using a unique data set that includes measures of the key variables for 1,779 policy issues.
    Multivariate analysis indicates that economic elites and organized groups representing business interests have substantial independent impacts on U.S. government policy, while average citizens and mass-based interest groups have little or no independent influence. The results provide substantial support for theories of Economic-Elite Domination and for theories of Biased Pluralism, but not for theories of Majoritarian Electoral Democracy or Majoritarian Pluralism.
    ” (questo importante studio del 2014 la fonte).


    E’ la proverbiale efficienza americana: noi per raggiungere traguardi analoghi abbian dovuto metter su questo assurdo carrozzone leuropeo. Chissà che con le opportune riforme non se ne possa uscire in modo indolore…

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  10. che post (Gramsci riportato da Francesco Maimone da brividi)...

    Alcune riflessioni:
    se non viviamo in regime democratico, è ovvio che viviamo in un regime "altro"; in questo caso penso che possa aiutare la definizione di "autoritarismo" di J. Linz (1964):

    “un sistema politico con pluralismo limitato e non responsabile, senza una elaborata ideologia guida, ma con mentalità caratteristiche, senza mobilitazione politica estesa o intensa, tranne che in alcuni momenti del suo sviluppo, e con un leader, o talora un piccolo gruppo, che esercita il potere entro limiti formalmente mal definiti, ma in realtà abbastanza prevedibili”

    Considerate le circostanze, mi pare corretto affermare che gli europei vivono in un regime autoritario mascherato da democrazia, grazie alla concomitante azione di imperialismo economico e imperialismo culturale, cioè quell’oppressione che:

    “… s'insinua per le vie sotterranee del subcosciente e modifica lentamente, quasi inavvertitamente, la coscienza del popolo o dell'uomo che ne è vittima…L’imperialismo economico, cioè il dominio sul mercato mondiale, che è oggi indispensabile alla sopravvivenza del capitalismo, non potrebbe a sua volta sopravvivere se non fosse accompagnato da un dominio CULTURALE E SCIENTIFICO…

    Qui entra in gioco uno degli apparati più formidabili dell'imperialismo: il controllo dei circuiti d'informazione…Non si tratta solo dell'informazione giornalistica: i messaggi che arrivano attraverso tutti i mass media costituiscono una pressione massiccia che soffoca ogni giorno di più l'autonomia degli uomini. Gli eroi dei fumetti o della televisione, gli slogan ripetuti, le immagini quotidianamente ricorrenti, la pubblicità aperta o nascosta nelle pieghe dell'informazione, PONGONO DA OGNI PARTE L'ASSEDIO ALLA COSCIENZA DEGLI UOMINI… Marx ha insegnato, l'ideologia, che nasce come giustificazione di un sistema di dominazione, FA VEDERE AI POPOLI DOMINATI UN MONDO ROVESCIATO, un mondo in cui essi ribadiscono le proprie catene con l'illusione di affrancarsene…” [L. BASSO, Introduzione a L’imperialismo culturale, Milano, Franco Angeli, 1979, 9-17]. (segue)
    Francesco Maimone 21 novembre 2017 15:48
    (segue)

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    1. E' vero che lEuropa non è nemmeno una democrazia formale, e quindi, per una nemesi storica, le si può applicare una definizione elaborata per distinguere le dittature militar-neoliberiste latinoamericane e il franchismo dal totalitarismo, ma del contesto intellettuale della teoria, la politologia nordamericana, a cui una critica della democrazia formale è del tutto estranea, e dell'impiego che ne è stato fatto dal Dipartimento di Stato americano, mi pare comunque utile essere consapevoli.

      Direi più capace di cogliere le odierne dinamiche neoliberali (es.: "pluralismo limitato": come se gli ostacoli che un terzo partito che volesse inserirsi nella politica americana a livello federale non fossero "di fatto" insormontabili) una teoria come quella del "totalitarismo rovesciato" di Sheldon Wolin (di cui ha parlato Bazaar in questo post), a cui, nel caso leuropeo, si aggiunge l'imbarazzante (per loro) assenza della foglia di fico formale.

      La strategia con cui i teorici leuropeisti tentano di nascondere la vergogna è stata ben riassunta in un bel libro, purtroppo incompiuto a causa della prematura morte dell’autore, di un politologo irlandese, che si intitola Ruling the Void, e si riduce sostanzialmente a questa patetica alternativa: o dire che lEuropa, in quanto costruzione istituzionale "sui generis", si sottrae a qualsiasi tradizionale criterio di legittimazione ("nessuno mi può giudicare", insomma), che però sa un po' troppo scopertamente di teocrazia; oppure, variazione sul tema, che occorre aggiornare la nozione di democrazia per tenere conto di queste specificità sui generis. Come dice Mair: "Rather than adapting Europe to make it more democratic, we should adapt the notion of democracy to make it more European.". Diciamo che per riuscirci bisognerà proprio sforzarsi un bel po'...

      (Sì, splendido quel Gramsci. Fino a non chissà quanti anni fa le Lettere dal carcere erano un classico della letteratura italiana. Oggi c'è Saviano).

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    2. concordo con l’idea che al “centro dell’impero” si sperimenti un regime totalitario, proprio per l’indiscussa accettazione del capitalismo e dell’american Way of life a priori, come legge naturale, mentre per descrivere il regime imposto alle colonie, in cui ci si scontra inevitabilmente con la struttura (certo capitalistica, ma non “matura” quanto quella della madre patria e per certi versi “deviante”) e la sovrastruttura culturale prodotta localmente, la definizione di Linz, aldilà di tutto, mi pareva uno strumento analitico utile per guardare ai paesi sottoposti alla costruzione leuropea, non tanto all’UE in sé.
      Se accettiamo il principio della restaurazione a “piccole dosi” (perchè un golpe alla Pinochet appariva impraticabile nel contesto europeo cit.), e dovendo l’Impero, coerentemente alla propria propaganda, mantenere la facciata di Federazione mentre si appresta a costruire la morte nera, la categoria dell’autoritarismo, inteso come regime di “passaggio”, in cui la costruzione totalitaria non è ancora giunta a compimento, almeno nelle colonie, può fornire comunque spunti interessanti (ad esempio il concetto di legittimazione basato su mentalità caratteristiche o che il potere venga esercitato secondo limiti formalmente mal definiti ma in realtà prevedibili) per descrivere la situazione in cui ci troviamo, con tutte le cautele del caso. Insomma, non vorrei buttare via il bambino con l’acqua sporca.

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    3. Mi permetto di rammentare che la teoria, qui formulata e approfondita, per cui, - muovendo dalla "famosa" analisi su Hayek (che segnò l'esordio attivo di Arturo sul blog) e dalla susseguente indagine sull'ordoliberismo-, la restaurazione sia organicamente caratterizzata dalla gradualità, non postula, a sua volta, una graduazione tra autoritarismo e totalitarismo.

      Quest'ultimo infatti, abbiamo cercato di evidenziare, è un connotato intrinseco e costante dell'ordine dei mercati, ossia del (neo)liberismo: può essere fisiologicamente istituzionalizzato nella democrazia idraulica (che consente appunto la gradualità), o, in virtù di diversi "stati di eccezione", che Friedman ridenomina "shock economy", contenere in sè delle ricorrenti fasi autoritarie.

      Ma, poiché il concetto di totalitarismo, nell'era occidentale (e globale) del "pop" (cioè dell'induzione mediatico-culturale della proiezione identificativa degli oppressi negli oppressori), è preferibilmente definibile nei termini di Sheldon Wolin, si hanno dunque costantemente forme di autoritarismo (a partire dalla stessa realtà del processo di "numerazione" gramsciano sinergico, come dire, al "metodo Juncker"), che accompagnano come STRUMENTO inevitabile il neo-totalitarismo (appunto "rovesciato" perché non apertamente impositivo ma imperniato sulla cooperazione, apparentemente spontanea, della massa).

      Ad un massimo stato di crisi, in cui lo "stato di eccezione" non sia più indotto da tendenze accelerative programmate, ma segni invece l'incontrollabilità del processo (sul piano elettorale ma prima ancora della bruta "effettività" che caratterizza l'azione di governance e di "riforma" incessante), potrà accompagnarsi un autoritarismo più evidente e istituzionalizzato.
      In forme assimilabili, ma non necessariamente coincidenti, col fascismo storico. Diciamo un sistema orwelliano a intensità variabile in funzione inversa all'efficacia del controllo esercitato.
      Magari per gestire uno stato di guerra.

      Questo mi pare il quadro di riferimento che è il filo conduttore dell'analisi del blog (per quello che è, schematicamente, lo stato attuale della sua elaborazione cognitiva).

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    4. Diciamo che per conciliare l'aspetto violento-poliziesco con quello autoritario-politico di un regime - perché la UE è manifestamente autoritaria, tutto diktat, genocidi economici e distintivo, con le stelle al posto della svastica e totalitaristicamente liberale, visto che esiste solo il PUD€, il PUO o, in genere, il partito imperialista antisovrano, fondato su laissez-faire e free trade - ricorderei per semplicità Dewey: « The reactionaries are in possession of force, in not only the army and police, but in the press and the schools. The only reason they do not advocate the use of force is the fact that they are already in possession of it, so that their policy is to cover up its existence with idealistic phrases—of which their present use of the ideas of individual initiative and liberty is a striking example. »

      Insomma, l'autoritarismo poliziesco si propone con tutta la sua violenza - mostrando la sconcezza morale delle classe egemone - solo quando il controllo totalitario dell'informazione e dell'istruzione non permettono più di rendere idraulico il progetto imperialista, classista e genocidiario.

      Cosa ha detto Monti?

      O ci suicidavamo liberamente, con tanto di retorica idraulica a base di austerità espansive, oppure sarebbe arrivata la brutalità della troika come in Grecia: insomma, stando con Dewey, potevamo scegliere se fare la figura dei coglioni o venire barbaramente depredati: abbiamo fatto la figura dei coglioni e ora veniamo barbaramente depredati.

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    5. Tanto più che gli studi più recenti sul totalitarismo (per esempio quelli di Emilio Gentile) sotengono che l’elemento discriminante è la vocazione “totalizzante”, non il grado di successo nella penetrazione (una linea seguendo la quale si può facilmente arrivare a sostenere che il totalitarismo non è mai esistito da nessuna parte).
      Per esempio l’ideologia neoliberista, che ovviamente Linz neanche vede e mai e poi mai definirebbe totalitaria, per quanto con declinazioni che superficialmente appaiono anche molto diverse (ma vale il caveat di Dardot e Laval), a me non pare meno violentemente “totale” qui che negli USA, anche se forse (speriamo…), meno socialmente introiettata.

      Pure il concetto di autoritarismo forse è meglio esplicitarlo: quello di Linz, che non contempla la critica alla democrazia formale, per cui una “democrazia liberale” non sarebbe autoritaria, non lo trovo accettabile. (Dipende ovviamente dagli elementi che si ritengono rilevanti).
      Da una prospettiva di democrazia sostanziale mi pare molto più corretto individuarne l’essenza nella separazione fra Stato e società civile: le contraddizioni di quest’ultima, la disoccupazione in primis, vengono lasciate lì dove stanno, non vengono fatte entrare nello Stato (col voto censitario o con la governance sovranazionale e/o al limite con l’abolizone del suffragio universale: questione della democrazia politica), che non si fa carico di renderle irrilevanti ai fini della partecipazione alla vita della comunità (questione della democrazia sociale). Anziché contraddizioni, che magari suona troppo marxista, li possiamo chiamare fallimenti del mercato (per esempio Acocella definisce la disoccupazione un “fallimento macroeconomico del mercato”): basta appunto che ci intendiamo.

      Questa separazione può essere dissimulata dalla “numerazione” (ma in fondo anche la mobilitazione dall'alto di tipo fascista intendeva realizzare un’analoga dissimulazione) oppure manifestarsi in modo più o meno aperto (coi periodici, o istituzionalizzati, stati di eccezione di cui parla Quarantotto, e che in effetti si presentano come una caratteristica ricorrente dei regimi liberali): basta che la contingente “formula politica”, come diceva Einaudi con lessico moschiano (qui, n. 2.3), non metta in discussione il dominio della “sanior pars”, anche quando quest’ultima porta il paese verso il baratro. Il che, in un contesto post-teocratico, mi pare difficile possa puntellarsi altrimenti che facendo ricorso a una qualche forma di ideologia totalitaria.

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    6. In fondo lo ammetteva anche Hayek (The Constitution of Liberty, The University of Chicago Press, Chicago, 2011, pag .462): “Second, and no less important, the functioning of the international gold standard rested on certain attitudes and beliefs which have probably ceased to exist. It operated largely on the basis of the general opinion that to be driven off the gold standard was a major calamity and a national disgrace. It is not likely to have much influence even as a fair-weather standard when it is known that no country is prepared to take painful measures in order to preserve it. I may be mistaken in my belief that this mystique of gold has disappeared for good, but, until I see more evidence to the contrary, I do not believe that an attempt to restore the gold standard can be more than temporarily successful.

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    7. Cari Bazaar e Arturo, quanto vi voglio bene :-) Specialmente a...tutti e due.

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    8. @Arturo: successivamente pare aver cambiato idea, avendo riscontrato il successo di un'azione restaurativa fondata sull'equivalenza al gold standard (monetarismo e BC indipendente uniti a finanziarizzazione degli Stati soggetti a limiti fiscali indicizzati e sanzionati in automatico).

      Ma una traduzioncina non ci sarebbe stata male (per i numerosi non anglofoni, tra cui Lucasant :-)

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    9. già :) ....comunque la posto per gli "inglesi"

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    10. Eccola :-): “Secondo, e non meno importante, il funzionamento del gold standard internazionale era basato su certe convinzioni e credenze che probabilmente non esistono più. Funzionava essenzialmente sulla base dell’opinione generale che esserne esclusi costituisse una gravissima calamità e una vergogna nazionale. Non avrebbe probabilmente molta influenza nemmeno come standard per i tempi buoni, se è risaputo che che nessun paese è disponibile a prendere misure dolorse per preservarlo. Potrei sbagliare pensando che questa mistica dell’oro sia sparita una volta per tutte, ma, fino a prova contraria, non credo che un tentativo di restaurare il gold standard possa rivelarsi niente più che un successo temporaneo”.

      Sì, la Constitution è un testo degli anni Sessanta, quindi piuttosto pessimista. S’è rinfrancato dopo.

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    11. ottimo, grazie mille a tutti per il chiarimento e la pazienza, non è facile mettere ordine in menti pop come la mia :)

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  11. Se a livello di imperialismo economico dobbiamo soggiacere al modello di sviluppo capitalistico made in US, a livello culturale ci viene proposta “l’American way of life”, indispensabile alla sopravvivenza del modello:

    Stando con Marshall, che ne diverrà un grande oppositore, lo PSYCHOLOGICAL STRATEGY BOARD «prevede un «apparato» per la produzione di idee che presentino l’American way of life su « basi scientifiche e sistematiche», «anticipa una produzione dottrinale dipendente » da «un meccanismo di coordinamento». Un apparato che stabilisce «la grande importanza di azioni rapide ed efficaci nel dare impulso alla creazione e diffusione delle idee», e che pronostica «un movimento intellettuale di lunga durata» come risultato di queste iniziative, allo scopo non solo di contrastare il comunismo, ma anche di «spezzare, in tutto il mondo, gli schemi dottrinari di pensiero» che forniscono una base intellettuale a «dottrine ostili agli *obiettivi americani*»

    Se plausibilmente ci troviamo in un regime autoritario (se vogliamo in transizione verso il totalitarismo), allora, possiamo dire che, da un lato avremo la costruzione Leuropea, per “sanare” le differenze di ordinamento giuridico-costituzionale che ci separano da quanti hanno la stessa Costituzione da secoli e le circostanze materiali (dovute a mio parere alla “variabile geopolitica”) dello sviluppo economico e sociale nei paesi europei, per completare la colonizzazione economica;

    dall’altro lato avremo le mentalità su cui poggia la legittimazione del regime, mentalità (riconducibili ai “frame” di Goffman citati da Bazaar ) in cui non solo si può facilmente dissimulare l’American way of life, ma anche - monopolizzando il dibattito pubblico, impedire il consolidarsi e l’affermarsi di ideologie potenzialmente antagoniste, basate su una dottrina ampia e riconosciuta, che potrebbero offrire una legittima correzione di rotta a TINA.

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