Contributo di Bazaar con l'apporto "decisivo" di Arturo (Holy Moly! Cheepers Creepers! I mean: Wow! Grande Medicina per lo Spirito...)
(I)
Introduzione – (Appendice alla II parte)
Nella prima parte di questi post dedicati al feticismo abbiamo visto come già
dalla genesi delle moderne scienze sociali questo fenomeno sia stato indagato
con un certo “stupore” da Marx, il quale – nella sua critica dell’economia
politica – ne svela i contenuti «segreti» tramite una celebre, anche
se spesso non compresa in questa sua fondamentale dimensione, analisi sociale
di filosofia della scienza: Il Capitale.
Ciò che fa
emergere fenomenologicamente Marx è che alcune istituzioni
sociali fondamentali del capitalismo non solo operano in modo indipendente dalla
volontà degli attori sociali, ma risultano largamente «invisibili» ad
essi in quanto istituzioni sociali: ovvero sono dotate di una «oggettività
spettrale», sono percepibili dai sensi solo indirettamente in forma
di fenomeni e hanno proprietà «extra-sensoriali», come il «valore di
scambio».
È in questa
invisibilità, e quindi incoscienza, delle mediazioni sociali che consiste il
feticismo; è attraverso il dominio eteronomo delle sue «oggettività
spettrali» che esso produce alienazione.
Gli attori sociali
immersi in questo sistema, agiscono senza essere consapevoli del meccanismo che
li lega, e sono spinti ad agire in modo funzionale alla produzione e
riproduzione sociale, come se questa fosse una necessità naturale.
Il
parossismo delle contraddizioni generate da queste istituzioni sociali – che
sono in qualche modo create dalla mente umana ma allo stesso tempo sono a
questa nascoste – viene raggiunto con la moneta.
Nella seconda parte abbiamo anticipato, quindi, che se esistono sacerdoti iniziati
a questo «mistero» e a questi «segreti» che hanno a che fare col
«nebuloso regno della religione», questi chierici sono – parafrasando Federico Caffè – i «pochi iniziati» alla moneta.
Quindi
abbiamo visto come la peculiare forma di divisione del lavoro del modo di
produzione capitalistico, e i sottesi rapporti di proprietà che strutturano la
società in classi, rappresentano quindi l’origine dell’alienazione e, quindi,
di ogni estraniazione, di ogni perdita d’identità e di anomia intese come fatti
sociali, che caratterizza, pur con variazioni anche
significative, questo tipo di società.
Riprendiamo
con una riflessione penetrante sul rapporto fra questa socialità nascosta e
l’illusione, e delusione, della libertà individuale che è contenuta in queste righe di un pensatore originale, oggi molto trascurato, come Castoriadis:
«Secondo la sua ideologia esplicita questa società non ha
alcun progetto collettivo e non deve averne.
Si ritiene che siano gli
individui a dare un senso alla propria vita, indipendentemente da ogni quadro e
da ogni progetto collettivo, ciò che è un’assurdità totale. Ogni neonato dovrà
inventarsi la propria lingua? E la lingua è un semplice “mezzo di
comunicazione”, codice informatico, o piuttosto porta in sé tutti i significati
attraverso cui un mondo esiste per la società e la società esiste per sé stessa?
In effetti, evidentemente,
nella società contemporanea gli individui non danno senso proprio a niente,
sono completamente imbevuti dalle significazioni immaginarie che li
socializzano.
Abbandonarsi alle gioie del “narcisismo individualista”
è semplicemente scimmiottare ciò che stanno facendo 50 o 100 milioni di altri
nello stesso momento.
Il
contenuto concreto dell’“individualismo” contemporaneo è strettamente sociale.
È la faccia individuale del progetto capitalista: aumentare senza limiti la
produzione e il consumo.
C’è quindi sicuramente un progetto sociale, checché ne
dica la narrazione corrente, che non è né la semplice risultante dei progetti
individuali né è deliberatamente scelto dagli individui, ma che predetermina le
scelte e i progetti individuali tanto strettamente quanto avviene, seppure in
un'altra maniera, in una qualsiasi altra società eteronoma. Ora, questo
progetto è assurdo e indegno e credo che la sua presa inizi a usurarsi [anomia].
Le persone si accorgono che l’obiettivo
centrale della vita umana non può essere di cambiare auto ogni tre mesi invece
di sei. Ma non riescono, finora, a trovare in sé stessi le risorse per andare
oltre.
I significati immaginari del capitalismo si erodono, senza che la
società riesca a farne emergere degli altri»
È però
proprio questo «scarto esistenziale» (qui, n.
1) un possibile primo passo verso una consapevolezza emancipatoria, tanto
personale quanto politica.
Abbiamo
quindi sintetizzato, poi, come parlare di mercificazione, cosificazione
o reificazione dei rapporti sociali, diversamente da una certa “retorica filosofeggiante”, significhi descrivere le forme di coscienza prodotte da rapporti
sociali forniti di proprietà empiriche, che – con Marx – abbiamo
chiamato feticismo; dalla morte del pensatore di Treviri, questo
processo di invisibile ma percepibile alienazione di massa ha compiuto grandi
passi avanti, divenuti addirittura balzi negli ultimi quarant’anni, dissolvendo
quel che restava delle culture comunitarie e popolari precapitalistiche.
Era il
fenomeno osservato da Pasolini, di cui abbiamo discusso, che individuava a colpo sicuro il ruolo fondamentale giocato dai
media in questa “reificazione” edonistica di massa; l’attuale digitalizzazione
dev’essere interpretata alla luce delle stesse coordinate teoriche.
(II)
Feticismo ed Alienazione: il rapporto tra tecnologia, lavoro e politica.
Proprio il
richiamo a Pasolini ci consente una riflessione preliminare, che forse
riuscirà anche a chiarire gli equivoci che si erano generati in quella
discussione.
I percorsi
culturali che hanno portato alle Costituzioni del dopoguerra si nutrono di un
rapporto dialettico con la modernità, ossia una relazione fondata su un
equilibrio, talvolta incerto e difficile, fra accettazione e critica.
A spiegare
questa delicata questione ci aiuta Michéa con una pagina del suo
importante Les mystères de la gauche:
«Se è evidente che i primi teorici socialisti condividevano coi liberali
il medesimo rifiuto rivoluzionario del mondo antico delle caste e delle
aristocrazie guerriere, quello delle comunità agrarie tradizionali fondate
sulla disuguaglianza di nascita, la famiglia patriarcale e il dominio di un
potere guerriero e religioso – è però non meno evidente che con ciò non intendevano affatto mettere in
discussione il fatto comunitario stesso (dobbiamo proprio ricordare che
il termine “socialismo” fu inventato da Pierre Leroux per opporsi a quello di
“individualismo”?). […]
Possiamo anche dire che se questi pensatori si
opponevano con uguale energia all’ideologia liberale (e in particolare ai dogmi
moderni dell’“economia politica inglese”) era prima di tutto perché
quest’ultima si fondava su un concetto di libertà individuale che – nel momento
in cui annullava tutto sul suo cammino – conduceva necessariamente ai loro
occhi a dissolvere l’idea
stessa di vita in comune nel nuovo universo della concorrenza assoluta,
rendendo così inevitabile la comparsa di nuove forme di disuguaglianza e di
servitù, forse ancora più terribili di quelle del passato (l’idea che, sotto
molti aspetti, la condizione del moderno proletario, “lo schiavo salariato”, di
Londra o di Manchester, fosse peggiore dei servi del medioevo o dei “negri
della Virginia” costituiva d’altra parte un tema ricorrente dell’iniziale
propaganda socialista).»
Tanto per
fare un esempio tratto da un documento dell’epoca, ecco cosa scriveva Engels
in un lavoro di critica dell’economia politica del 1844:
«Dopo che l'economia liberale aveva fatto del suo meglio per generalizzare l'inimicizia
dissolvendo le nazionalità e per tramutare l'umanità in un'orda di bestie
feroci - che altro sono i concorrenti? - che si divorano l'una con
l'altra, poiché ciascuna
ha il medesimo interesse di tutti gli altri, dopo aver compiuto questo lavoro
preliminare le restò da compiere ancora un passo prima di raggiungere lo scopo,
la dissoluzione della
famiglia.
Per poterla attuare l'economia liberale ricorse ad una sua
bella invenzione, il sistema delle fabbriche. L'ultima traccia di interessi
comuni, la comunanza dei beni della famiglia, è stata sotterrata dal sistema
delle fabbriche e - almeno qui in Inghilterra - si avvia verso la
disgregazione. Avviene tutti i giorni che i bambini, non appena siano in
condizione di lavorare, ossia compiuti i nove anni, spendano per sé il proprio
salario, considerino la casa dei genitori come una pensione e paghino loro una
certa somma per i pasti e l'alloggio. E come potrebbe essere diversamente? Che altro potrebbe derivare
dall'isolarsi degli interessi che sta a fondamento del sistema della libertà di
commercio? Una volta che un principio sia stato messo in movimento esso
continua poi ad operare da sé in tutte le sue conseguenze, piaccia o meno agli
economisti.»
Un’accettazione
acritica della modernità caratterizza dunque solo il progressismo liberale, di
cui il tecnoscientismo non è in
fondo che una particolare incarnazione; d’altra parte il rifiuto totale
della modernità stessa ha spinto invece ad improbabili fughe dalla realtà, a
fedi acritiche e fanatiche in dottrine politiche o religiose o al “decrescismo naturalista”, che, di fatto, hanno contribuito a far sprofondare ancora di più
la società nell’eteronomia e nel dogmatismo nichilista.
Un buon
esempio dell’opposta affinità dei due estremi è costituito dal tecnoarcaismo
nazista, ovvero ciò che Jeffrey Herf chiama modernismo
reazionario, humus culturale lumeggiato da osservazioni tremende come
quella di Heidegger secondo cui gli
ebrei si sarebbero «autoannientati».
Un altro
esempio, non certo così estremo ed estraneo al coté totalitario, potrebbe
essere individuato in Augusto Del
Noce, su cui vale la pena leggere
queste incisive osservazioni di Preve (Il convitato di pietra,
Vangelista Editori, Milano, 1991, pagg. 81-2): «Non condividiamo per nulla
questa lettura filosofica della modernità di Augusto Del Noce, perché ci
sembra radicalmente sbagliato tentare di uscire dal nichilismo con una fuga in una «ontogenesi
immaginaria» e pertanto nichilistica, come può essere il mito ebraico e
poi cristiano del peccato originale e della collera di Dio.
Dosi maggiori di
nichilismo, cioè di «volontà
di credere» a tutti i costi in miti che la funzione corrosiva della scienza
storica e della psicologia del profondo ci dice essere insostenibili, non
possono essere una vera alternativa al normale relativismo laico.
Consentiremo con Del Noce sulla miseria dello storicismo laico «di sinistra»,
ma ci congederemo da lui quando entrerà in chiesa a pregare il Dio di Paolo e
di Agostino.
Nello stesso
tempo, è bene non dimenticare il valore per così dire tipico della critica di
Del Noce al marxismo. Discutendo con fondamentalisti musulmani di lingua
francese o inglese che cercavano di convincerci della definitività del
messaggio di Allah il clemente ed il misericordioso e della crisi irreversibile
del comunismo ateo nel risolvere i problemi del mondo, ci siamo sempre stupiti
del fatto che costoro, senza aver mai sentito il nome di Del Noce, finivano con il dire le stesse
cose su Hegel e sul Marx, addirittura alla lettera. Nella sua
conversione all’Islam il francese Roger Garaudy, già marxista molto prestigioso
degli anni Cinquanta e Sessanta, ha finito con il dire cose assolutamente
analoghe, e sappiamo che egli non ha mai letto Del Noce»
Nel medesimo
solco va probabilmente collocata la critica rivolta da Voegelin alla “Crisi delle scienze europee” di Husserl.
Pur riconoscendo la qualità del lavoro filosofico, il nostro rimprovera a Husserl
di rifiutare la “trascendenza”, sostituita da un impegno di chiarificazione
filosofica al servizio di una porzione concreta di umanità:
«A causa
di questa riduzione dell’ umanità ad una comunità di individui impegnati a
filosofare gli uni con gli altri in senso husserliano, il telos
filosofico è slittato nelle vicinanze di particolari collettività intramondane
del tipo del proletariato marxista, dell’“hitleriano Popolo” o dell’“Italiano
di Mussolini”»
In
definitiva, per il fatto di essere “concreto”, e quindi “limitato”, l’impegno
che si propongono Husserl o Marx è sostanzialmente identico a quello
di Hitler e Mussolini. A proposito di straussiane reductio...
Insomma, non
appare per nulla plausibile una rifondazione religiosa della società moderna
(il che ovviamente non vuol dire, sia chiaro, negare il valore dell’esperienza
religiosa).
Dalla parte
opposta dello spettro ideologico, oggi ovviamente molto più affollato, ci sono
gli adepti devoti del culto tecnoscientista, la cui radice feticista a
questo punto dovrebbe risultare chiara: l’immagine della propria riproduzione
che la società capitalista genera è quella di un meccanismo automatico. La
società funzionerebbe come una macchina semovente, senza altri fini che il suo
proprio movimento.
Per citare Joan
Robinson (Economic Heresis, Macmillan, Londra, 1972, pag. 143): “Il capitalismo moderno non ha altro scopo che quello di far sì che lo
spettacolo vada sempre avanti”.
Per provare
a tirare un po’ le somme, prima di passare al Transumanesimo, vale la pena di
rileggere queste incisive considerazioni di Castoriadis (L’enigma del soggetto, pagg. 203-4 e 284-5),
che ci forniscono elementi utili per spiegare il rapporto fra feticismo e
tecnica:
«Nel cuore
dell’epoca moderna, a partire dalla fine dei «secoli bui», campeggiano due
significazioni immaginarie sociali, intrinsecamente antinomiche benché comunque
legate (ma il loro legame non può occuparci in questa sede): da una parte,
l'autonomia che ha animato sia i movimenti emancipatori e democratici che
percorrono la storia dell’occidente, sia la rinascita dell’interrogazione e
dell’indagine razionale; dall’altra, l'espansione illimitata del dominio «razionale», alla base
dell’istituzione del capitalismo e delle sue trasformazioni (fra cui, con una
mostruosa inversione, il totalitarismo), culminante senza dubbio nel dilagare
della tecno-scienza.
Per motivi
che ho ampiamente sviluppato altrove, il dominio «razionale» oggi in fase di espansione
illimitata in realtà non può essere che un dominio pseudorazionale. Ma
qui interessa soprattutto un'altra dimensione. Un dominio «razionale» implica,
esige in verità - da che la
«razionalità» è stata vista come perfettamente «oggettivabile», cosa che ha
voluto ben presto dire «algoritmabile» - un dominio impersonale.
Ma un dominio impersonale esteso a
tutto è evidentemente il dominio di nessuno, e dunque e il completo
non-dominio, il non-potere (in una democrazia, c’è certamente una regola
razionale impersonale, la legge, pensiero senza desiderio, come diceva
Aristotele, ma ci sono anche governanti e giudici in carne e ossa).»
Sempre Castoriadis
individua anche l’opposizione radicale che esiste fra la “razionalità”
quantificante e calcolante del dominio anonimo tecnocratico e la
razionalità pratica, ossia umana, della politica. Il riferimento aggiornato
all’antichità greca può costituire un buon esempio di quel rapporto dialettico
con la modernità di cui si parlava sopra:
«Esiste
un legame stretto, seppure implicito, tra queste due coppie di opposizioni: chaos/kosmos
e hybris/dike. In un senso, la seconda non è che una trasposizione della
prima in ambito umano.
Questa
visione condiziona, per così dire, la creazione della filosofia, la quale, come
l’hanno creata e praticata i Greci, è possibile proprio perché l'universo non è
totalmente ordinato.
Se lo fosse, non vi sarebbe alcuna filosofia, ma solo un
sistema di sapere unico e definitivo.
E se il mondo fosse un caos puro e
semplice, non vi sarebbe nessuna possibilità di pensare.
Ma questa visione condiziona anche
la creazione della politica.
Se l’universo umano fosse perfettamente
ordinato, sia dall’esterno sia dalla sua «attività
spontanea» («mano invisibile», ecc.), se le leggi umane fossero dettate da Dio o dalla natura,
o ancora dalla «natura
della società» o dalle «leggi della storia», non vi sarebbe alcuno spazio per il pensiero politico, né campo
aperto all’azione politica, e sarebbe assurdo interrogarsi su che cos’è una
buona legge o sulla natura della giustizia [cfr. Hayek].
Allo stesso
modo, se gli esseri umani
non potessero creare un qualche ordine per loro stessi ponendo delle leggi, non
vi sarebbe nessuna possibilità di azione politica istituente.
E se fosse possibile una
conoscenza sicura e totale {episteme} dell'ambito dell’umano, la politica
avrebbe immediatamente fine, e la democrazia sarebbe al tempo stesso
impossibile e assurda, giacché la democrazia suppone che tutti i
cittadini abbiano la possibilità d'attingere una doxa corretta e che nessuno possegga
una episteme delle cose politiche.»
Sintetizzando:
feticismo, alienazione, estraniazione, anomia, nichilismo,
scientismo positivista e tecnocrazia sono forme di coscienza
legate, attraverso più o meno complesse mediazioni, a un sistema di produzione
organizzato attorno all’automatismo “razionale” della propria riproduzione, che
nega quindi in radice la possibilità di un qualsiasi discorso collettivo sui
fini.
«Chi ha
bisogno di visioni del mondo, vada al cinema», come diceva Weber; o
si rifugi in qualche “trascendenza” religiosa o mitologia politica: del resto,
non casualmente, l’offerta sul mercato non manca.
Il punto di vista
qui sostenuto è che senza una critica etica, o meta-etica, come
preferisce dire McCarthy, e una prassi conseguente, nessuna vera
liberazione dall’alienazione è possibile.
Vale a dire che non si tratta di
giudicare moralmente, ossia moralisticamente, la condotta di Tizio o di Caio;
meno che mai di ridurre fenomeni strutturali a responsabilità individuali, ma
di studiare criticamente la società e le sue strutture per creare le
pre-condizioni, pratiche e cognitive,
per la realizzazione dell’etica, cioè dell’autonomia, individuale e collettiva
(le due dimensioni sono ovviamente indisgiungibili), umana, nei vari ambiti in
cui si esercita (“sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità”).
Inutile
osservare che tanto per la critica quanto per la prassi è indispensabile il
costante impiego dell’economia politica e delle scienze sociali.
Resta ora da
capire quale sia l’impatto della tecnologia che, da artificio umano, si
“umanizza” fondendosi all’ordine sociale invece “naturalizzato”, alienato
e “disumanizzato”.
...
sempre pensato che porre alla base dell'economia l'idea che l'uomo agisca razionalmente fosse un'assurdità (da lì poi la mia scarsa passione per l'argomento :-)
RispondiEliminaIl peso di questi presupposti cognitivi mi pare risulti particolarmente evidente in sede di “analisi” delle manifestazioni politiche di scontento.
RispondiEliminaAvete notato che i vari Bisin e liberisti vari, con tutti i loro curriculoni, PhD, peer reviews ed effetti speciali accademici assortiti, non riescono a fare un passo che sia uno oltre Nietzsche?
Oggi anche Repubblica è all’altezza, alla lettera: “la cultura del risentimento”.
Credere (all’Europa), obbedire (ai mercati), combattere (il risentimento): e l’antifascistismo della sinistra nietzschiana è servito.
cit: "Un altro esempio, non certo così estremo ed estraneo al coté totalitario, potrebbe essere individuato in Augusto Del Noce, su cui vale la pena leggere queste incisive osservazioni di Preve (Il convitato di pietra, Vangelista Editori, Milano, 1991, pagg. 81-2): «Non condividiamo per nulla questa lettura filosofica della modernità di Augusto Del Noce, perché ci sembra radicalmente sbagliato tentare di uscire dal nichilismo con una fuga in una «ontogenesi immaginaria» e pertanto nichilistica, come può essere il mito ebraico e poi cristiano del peccato originale e della collera di Dio.
RispondiEliminaDosi maggiori di nichilismo, cioè di «volontà di credere» a tutti i costi in miti che la funzione corrosiva della scienza storica e della psicologia del profondo ci dice essere insostenibili, non possono essere una vera alternativa al normale relativismo laico. Consentiremo con Del Noce sulla miseria dello storicismo laico «di sinistra», ma ci congederemo da lui quando entrerà in chiesa a pregare il Dio di Paolo e di Agostino."
Sarà forse questo uno dei motivi per il quale oggi pensatori ameni, tra i quali uno in particolare che non cito, molto attivi su blog e YouTube "predicano" una lettura letterale della Bibbia, "libera" cioè dalla teologia cristiana, in salsa extraterrestre.
p.s.: seguo questo blog da anni, assieme a quello di goofynomics, ma non ho mai postato data la mia scarsa preparazione per gli argomenti qui trattati. Oggi ho fatto un eccezione perché non ho potuto fare a meno di associare la citazione alla "moda sul Dio extraterrestre" oggi tanto in voga.
IL VIAGGIO CONTINUA
RispondiElimina(ot .. forse)
Con un '48 in "tutt'altre faccende affaccendato", s'ha da rilevare che la vitalità del blog non s'è sopita e mai sopirà con approfondimenti di maggior impronta filologica (unica nel panorama culturale del Bel Paese) e quindi un ringraziamento grande all'impegno dei "nuovi" redattori.
ps: per coloro che intendono «...limitare in qualche modo, anco indiretto, il libero esercizio delle sue facoltà intellettuali», una memoria del Beppino Giusti che ci riporta a "mirar gli orizzonti".
(scusandomi per l'entrata in "gamba tesa" ma son solo simmetrie poetiche e .. storiche.
Grazie a te, Poggio.
EliminaCerto è affascinante notare come il sistema sarà perfettamente razionale, ma i suoi difensori devono spararle sempre più grosse e più assurde.
Non so se abbia ragione Buffagni col suo "triangolo di Karpman", ma non abboccare mi pare effettivamente il primo atto di difesa di uno spazio politico comune, ossia non confiscato dagli incensurabili sacerdoti della megamacchina, né intossicato dagli invasati, veri o finti, "amici" e nemici, che siano.
VITTIMA-PERSECUTORE-SALVATORE
Elimina(otc)
Son di “pappo” euclideo che dei triangoli ho acquisito i teoremi con le braghe corte, quanto i POSTULATI e gli ASSIOMI - ancor'oggi “discussi” aristotelica/mente – son più differenziati dai matematici.
Per certo, il TEOREMI mostrano logica/mente - partendo la postulati e/o assiomi quali essi siano assunto assunti - le relazioni, i rapporti, le connessioni, le interpolazioni degli elementi considerati.
Per certo, necessita comprendere la differenza tra POSTULATI/ASSIOMI e TEOLOGIA sulla quale si basa la STRUTTURA fattuale di poliedri e solidi dei rapporti sociali ma – magari - qualche METODO D'ANALISI può esser d'aiuto.
Grazie, a te Arturo
"Resta ora da capire quale sia l’impatto della tecnologia che, da artificio umano, si “umanizza” fondendosi all’ordine sociale invece “naturalizzato”, alienato e “disumanizzato”."
RispondiEliminaMi pare di intuire che l'impatto potrebbe essere perfino aberrante...
https://www.nbcnews.com/health/health-news/drug-giant-glaxo-teams-dna-testing-company-23andme-n894531
Avendo gli stati rinunciato al controllo della ricerca 'privatizzata' la strada è stata purtroppo aperta allo sviluppo di trattamenti (vaccini e/o medicinali) in grado di colpire selettivamente gruppi etnici specifici.
Fantascienza? Non credo...
Confessioni come questa dell'ex presidente della Pfitzer inducono ad un sano pessimismo.
http://www.neonnettle.com/news/4416-pfizer-vice-president-blows-whistle-the-gardasil-vaccine-is-deadly-