GLOBALIZZAZIONE E CONFINI – ELOGIO DEL LIMITE (COSTITUZIONALE)
Post di Francesco Maimone
(II Parte)
1 Anche N. Irti aveva da tempo riconosciuto come
quell’equilibrio costruito sulla base della sovranità statale sia ormai da
tempo insidiato e
“…
messo in pericolo dal capitalismo moderno: modo di economia che,
applicando il criterio di divisione del lavoro, e producendo in serie, esige mercati sempre più vasti ed aperti. La volontà di
indefinito profitto, congiungendosi con le scoperte della scienza e le
applicazioni della tecnica, NON CONOSCE CONFINI.
Il produrre e lo scambiare non richiedono identità né di luoghi né di soggetti:
essi si fanno ovunque e con chiunque.
Il capitalismo ha tale grado
di oggettività e neutralità da
considerare i territori
degli Stati come spazi di nessuno - o,
meglio - come spazi dell'impersonale produrre e scambiare; e da spogliare gli individui dei loro
caratteri, religiosi linguistici etnici, riducendoli a mere funzioni del
mercato. TUTTO CIÒ CHE PRESUPPONE CONFINE TERMINE LIMITE VIENE MINACCIATO E TRAVOLTO: il capitalismo, nell'indefinito
perseguimento di profitto, IGNORA LA MISURA,
capace di definire ambiti e soggetti, sfere e luoghi. E così, mentre politica e
diritto si attardano entro la misura dei confini, e restano fedeli alle vecchie
forme spaziali, l'economia capitalistica varca ogni barriera; non distingue
cittadini e stranieri (poiché tutti agguaglia nell'omogeneità dello scambio),
si espande ovunque, negozia con chiunque, si configura, insomma, come POTENZA PLANETARIA E GLOBALE. La conterraneità perde
qualsiasi importanza, e così la storia, che costituisce l'identità di gruppi e
di luoghi; rileva soltanto la funzionale contemporaneità, ossia la com-presenza
sul mercato….
Donde segue che gli uomini,
non cessando di appartenere ai luoghi storici e pure entrando nella sconfinata dimensione dell'economia, si avvertono quasi
divisi, scissi nella loro originaria unità. Non più individui, ma dividui: una duplicità, che lacera e turba, e
mette in forse l'elementare e stabile certezza del “dove siamo…” [IRTI, cit., 25].
Dis-misura e sconfinatezza,
come sinonimi di a-territorialità, sono ormai le parole d’ordine del
capitalismo globalizzato, il quale trascende la pluralità ordinamentale (con il
suo carattere di singolare unicità ed esclusività) per imporre una visione
monista del mondo.
2 Si
ripresenta in sostanza, come già anticipato nella Parte I, il medesimo NOMOS schmittiano le cui
conseguenze aberranti abbiamo in quella sede inteso respingere, ovvero lo
stesso concetto di occupatio, questa
volta declinato, però, con modalità ed artifizi tutti “normativi-economici”. Lo stesso Schmitt, d’altronde, dopo la
seconda guerra mondiale, ne aveva preannunciato l’avvento, parlando in modo
espresso di una:
“… forma
moderna di direzione la
cui prima caratteristica è la rinuncia a procedere all’aperta
annessione territoriale dello Stato diretto … Il territorio statale
viene però incluso nel dominio spaziale dello Stato-guida e dei suoi special interests, ovvero nell’ambito
della sua sovranità spaziale. Lo spazio esteriore – svuotato - della
sovranità territoriale rimane intatto, mentre il contenuto reale di questa
sovranità viene modificato in quanto vincolato alla protezione del GRANDE
SPAZIO ECONOMICO DELLA POTENZA ESERCENTE IL CONTROLLO…” [C. SCHMITT, Il
nomos, cit., 324].
3 Nella
riviviscente politica del Grossraum, perciò, non è più indispensabile
occupare in modo fisico il territorio dello Stato di riferimento (anche se
l’effetto è il medesimo di un’invasione territoriale), ciò in quanto:
“… lo
Stato esercente il controllo ha il diritto di intromettersi
negli affari dello Stato controllato per proteggerne l’indipendenza
o il regime della proprietà privata, per salvaguardarne l’ordine e la
sicurezza, per tutelare la legittimità o la legalità di un governo o per altre
ragioni ancora, sull’esistenza delle quali è esso stesso a decidere con libero
apprezzamento. Il suo diritto d’intervento è assicurato dalla presenza di basi
militari d’appoggio, porti della marina da guerra e mercantili, insediamenti e
dislocazioni territoriali, o in altre forme ancora. Lo Stato esercente
il controllo sottopone il diritto d’intervento al riconoscimento MEDIANTE
TRATTATI E CONVENZIONI, in modo tale che risulta possibile affermare
che da un punto di vista puramente giuridico qui non si è più in presenza di un
intervento…” [C. SCHMITT, Ibidem].
Schmitt, sul
punto, non poteva essere più chiaro: allo Stato sovrano “… viene garantita l’integrità territoriale esteriore, con i suoi CONFINI
LINEARI (=i “segni
convenzionali”, NdF), NON GIÀ IL CONTENUTO SOCIALE ED
ECONOMICO DELLA STESSA INTEGRITÀ, OVVERO LA SUA SOSTANZA”
[C. SCHMITT, Il nomos, cit.,
324-325]. Non può sfuggire l’impressionante convergenza delle parole di Schmitt
con quelle dell’ordoliberista Hayek.
3.1 Si
assiste, in concreto, a quel fenomeno stigmatizzato da Lelio Basso con il
termine “neo-colonialismo” (qui, p. 16) di stampo imperiale, il
quale sancisce il passaggio – seguendo le categorie di Lenin - da
una “annessione politica” ad una “annessione economica”,
potenziata dalla minaccia militare (quando non da un vero e proprio intervento
militare in loco). Le modalità di realizzazione del nuovo Nomos dovrebbero essere ormai
note e rispecchiano integralmente le parole del costituzionalista tedesco:
conclusione di trattati free trade e inglobamento degli Stati in un
in-definito spazio economico-commerciale.
Paradigmatico,
in proposito, è che proprio i trattati europei abbiano assegnato all’Unione lo
scopo di creare “uno spazio senza
frontiere interne”, ovvero uno spazio economico del tutto artificiale,
luogo d’elezione del Mercato.
4 Il
quadro descritto è retto da regole a-nomiche in quanto de-localizzate e dettate
da un antisovrano, ovvero dal governo sopranazionale dei mercati nel quale – si badi bene - TUTTO IL POTERE È ACCENTRATO ai danni della maggioranza
della collettività. In punto di diritto, ancora, tale mutamento può essere così
tratteggiato:
“… lo spazio è ridotto a pura
dimensione, a misura arbitraria della
validità normativa. Non c'è alcun
legame intrinseco e genetico, ma soltanto l'opportunità di determinare un campo
di vigenza, di circoscrivere spazialmente il dover essere della norma. Il
“dove” applicativo non sta all'origine, non è fondamento, ma ambito voluto e
deliberato dalla norma. La quale, dispiegando la propria validità nello spazio
e nel tempo, ha pur bisogno di modalità cronologiche e topografiche.
La modalità topografica della
norma designa uno SPAZIO A-STORICO, indipendente dalle origini della comunità e
dalla divisione primeva. LA NORMA È SRADICATA DAI LUOGHI.
Essa ha soltanto una dimensione spaziale,
in cui si proietta con arbitraria artificialità…. NON
PIÙ CONFINI DELLA TERRA, da
cui provengono tutti gli istituti giuridici, ma ambiti di vigenza, artifici spaziali, disegnati
dalla volontà normativa. La quale non è certo capricciosa e
fortuita, ma sì slegata da radici terrestri, e capace di darsi la dimensione
spaziale, che sia considerata, di volta in volta, più utile ed opportuna. Si
direbbe: dimensione costituita, e non fondamento costitutivo...” [N. IRTI, cit., 28].
5 Nel
nuovo NOMOS europeista-mondialista si assiste in modo
evidente ad una totale divaricazione tra Ordnung (rappresentato
ormai da puri rapporti di forza, non di rado esercitati da uno o più Stati nei
confronti di altri) e Ortung (rappresentato oggi da uno spazio illimitato
che trascende il territorio degli Stati dominati). E il
normativismo cosmopolita di matrice kelseniana, funzionale a quel Nomos, finisce per assorbire “… nella norma giuridica l’elemento spazio, rende giuridicamente irrilevante in
modo autonomo la nozione di territorio
e quindi determina la
superfluità – in termini giuridici – della frontiera …” [G. LOMBARDI,
Spazio e frontiera tra uguaglianza e privilegio: problemi costituzionali tra
storia e diritto, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, II,
Padova, 1985, 484].
6 “Istituzioni
della globalizzazione”, trattati di libero scambio, diritto comunitario
originario e derivato, Soft Law e giurisprudenza di Corti apolidi (Rule
of Law) sono il nuovo strumento della dominazione
come legge del più forte, quel quadro meramente normativo di una enorme e
sconfinata STRUTTURA la quale, in nome del
profitto mercatistico, ha la funzione di ridurre il territorio degli
Stati e le comunità che lo abitano in un crocevia di scorribande per il
transito di merci, capitali e carne umana. Dal momento che:
“… il profitto non conosce frontiere…il suo proprio luogo è
dovunque si producano merci e si svolgano scambi. Già il “dovunque” è di per sé
globale: esso trascendendo le determinazioni storiche dei luoghi, copre terra
mare aria. La globalizzazione è nell’intrinseca logica del
capitalismo; il produrre in serie per anonime masse di consumatori
esige mercati sempre più vasti, e così converte il mondo in unico immane
mercato … GLOBALIZZAZIONE è propriamente caduta dei confini.
Se i confini GENERANO IDENTITÀ DEI LUOGHI, SEGNANO L’APPARTENENZA DEGLI UOMINI, raccolgono i dimoranti
nell’unità di una terra e i tempi dell’unità in una storia, ebbene la globalizzazione determina il declino di questo mondo ...”
[IRTI, cit., 29-30].
Far poi accettare
alla maggioranza degli oppressi/occupati tale stato di fatto è, ovviamente, compito di una formidabile e ben divulgata
SOVRASTRUTTURA di stampo liberista,
la quale consente a tale stato di fatto di perpetuarsi e di essere spacciato a cuor leggero per “pace
e concordia tra i popoli”.
7 E’
in questo modo che il Nomos della globalizzazione, ammantato
di smisuratezza, mette in crisi le attuali realtà statali. E crisi dello Stato
nazionale significa innanzi tutto crisi della Costituzione sulla quale lo Stato
è fondato.
7.1 Come
avvertiva M.S. Giannini, tuttavia, “…
quando si parla di crisi, bisogna sempre…andar molto cauti, perché invero, dal
punto di vista giuridico si potrebbe anche dire che o non esistono crisi o si è
sempre in crisi. Fuori del paradosso, il concetto di crisi è
sociologico, e crisi in senso proprio esiste quando una struttura sociale subisce un
cambiamento in radice perché ne vengono meno i presupposti. Di crisi di una
struttura giuridica è lecito parlare solo per traslato: LA CRISI DI UN'ISTITUZIONE GIURIDICA È SEMPRE UN
RIFLESSO, O UN EFFETTO, DELLA CRISI SOCIOLOGICAMENTE RILEVABILE …” [M.S. GIANNINI, Considerazioni sullo Stato moderno,
lezione tenuta l'11 gennaio 1954 in Roma presso il Centro di preparazione
politico-amministrativa, ora in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico,
fasc.III, SETTEMBRE 2017, pag. 693]. In altri tempi, si sarebbe parlato di “lotta di classe”.
7.2 Ciò
che è messa in radicale crisi, a ben vedere, è in particolare l’idea stessa di
Costituzione così come risulta, in termini generali, dall’atto fondativo del costituzionalismo
moderno:
“… È l’articolo 16 (“Ogni società nella quale non sono garantiti
i diritti e la divisione dei poteri non
ha una costituzione”) della Dichiarazione del 1789 ad
affermare che non vi è costituzione se non sono presenti almeno due elementi
tra loro interrelati: ASSICURARE I DIRITTI E GARANTIRE LA DIVISIONE DEI
POTERI. La salvaguardia
dei primi dipendendo dall’organizzazione dei secondi, e viceversa …” [G. AZZARITI, Revisione costituzionale e rapporto tra
prima e seconda parte della costituzione, 1].
8 Il
costituzionalismo, cioè, nella sua dialettica storica, nasce allorché ci si
propone di fondare assetti politici su nuove
basi di legittimazione, connesse con la definizione di equilibri
costituzionali che hanno il precipuo scopo di 1) arginare l’assolutezza/illimitatezza
del potere; 2) diffondere tale potere tra tutti i membri di una determinata comunità
politica sotto forma di diritti: “… Limitazione e legittimazione del potere
risultano, nell’ideologia del costituzionalismo, aspetti complementari e
strettamente collegati piuttosto che in un antagonismo dialettico…” [P. RIDOLA,
Il costituzionalismo: itinerari storici e percorsi intellettuali, in Studi
in onore di Gianni Ferrara, III, Torino, 2005, 295].
Il diritto
costituzionale si manifesta quindi allorché “… la popolazione [rompe] tutti i legami di obbedienza che ha potuto
avere con lo stato e, ergendosi contro di esso, potrà dirgli: è la mia legge, è
la legge delle mie esigenze, è la legge della
mia stessa natura di popolazione, è la legge dei miei bisogni
fondamentali che deve sostituirsi alle regole dell’obbedienza…” [M. FOUCAULT,
Sicurezza, territorio, popolazione,
Milano, 2005, 260].
8.1 Come
sappiamo, nel costituzionalismo liberale tali propositi hanno coinciso dapprima
con quello di preservare ampi spazi ad una società civile fondata su basi prettamente
elitarie (stato monoclasse borghese, riconoscimento di meri diritti civili,
uguaglianza formale), ma si sono tuttavia evoluti - nel più recente costituzionalismo
democratico - calando i principi e le istanze basilari del costituzionalismo nella cornice della democrazia di massa (stato pluriclasse, sovranità
popolare e tutela dei diritti sociali, uguaglianza sostanziale).
8.2 Nell’economia
del presente discorso ed utilizzando le parole di L. Ronchetti, possiamo dire che la Costituzione, dal
punto di vista della teoria generale, si caratterizza:
“… per
la corrispondenza ai principi politici ispirati all’apposizione di LIMITI LIBERATORI dall’oppressione della legge del più forte:
la Costituzione [è] un atto normativo
assiologicamente orientato ai principi politici storicamente affermatasi in
secoli di lotta contro il potere accentrato e assoluto PER OTTENERE
LA SUA MASSIMA DIFFUSIONE. Questa lotta, nelle sue varie forme, è stata una “condotta”, un agire, “CONTRO” IL POTERE DI FATTO, il potere del più forte: contro un potere accentrato ed escludente, basato sulla violenza e sulla sopraffazione, si è prodotto un agire che pretendeva di
dare al popolo il potere di decidere sulle forme della propria convivenza.
Il soggetto costituente è tale solo se
mosso da una CONTROCONDOTTA: per
opporsi al potere accentrato deve trattarsi di una condotta ispirata alla diffusione del potere, fondata, quindi,
sulla PARI LIBERTÀ…
La Costituzione, in una più generale
concezione controfattuale del
diritto, della giuridicità, [è], quindi, la controcondotta per eccellenza: con le Costituzioni, al potere e ai
rapporti di forza di fatto esistenti si vuole opporre un nuovo modo di pensare
e di agire le relazioni tra consociati NONCHÉ TRA CONSOCIATI E IL
TERRITORIO CHE ABITANO…” [L. RONCHETTI,
Il Nomos infranto: globalizzazione e Costituzioni, Napoli, 2007, 117-118].
9 Tale
carattere di “controcondotta” attraversa la Costituzione italiana sin dall’origine.
Già il D. L. Lgt. del 25 giugno 1944, n. 151, al riguardo, delineava
i caratteri che avrebbe avuto avere il futuro assetto repubblicano, prevedendo
che “Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme
istituzionali saranno
scelte dal popolo italiano che
a tal fine eleggerà, a suffragio
diretto e segreto, una assemblea costituente
per deliberare la nuova Costituzione dello Stato”: “… In questo stringato atto, popolo, territorio e sovranità hanno
trovato nella e con la Costituzione una combinazione
su cui fondare una nuova convivenza, una
nuova condotta prescelta dall’intera comunità politica contro il precedente
assetto – accentrato – di potere… ”
[L. RONCHETTI, cit., 133].
9.1 Questo
senso primordiale del “limite”, come
idea-guida per il Costituente, è in effetti ricavabile sia in modo implicito
che esplicito sin dai primissimi articoli della Carta repubblicana. Dal punto
di vista spaziale, è da notare innanzi tutto come la Costituzione esordisca
affermando che è “l’ITALIA” - e non uno spazio indefinito – il
nome di quel territorio sul quale si fonda la Repubblica (art. 1, comma I, Cost.). “… Questa decisione riflette in primo luogo il proposito di dichiarare l’identità etnica e l’unità spirituale della nazione, in nome
delle quali ebbe ad effettuarsi il processo di unificazione (nonché di liberazione dall’occupazione
nazi-fascista, N.d.F)”…” [C. MORTATI,
Commentario della Costituzione, Principi fondamentali, Bologna, 1975,
art. 1, 3], esprimendosi così quel rapporto privilegiato di immediatezza e
di esclusività tra quella porzione di spazio ed i suoi abitanti.
Perciò, solo quello specifico territorio denominato
“Italia” (che è res publica, cioè
appartenente ad una collettività di persone) rappresenta il “domicilio del popolo”, si riduce cioè “… a
sfera spaziale in cui la comunità stessa è insediata, il che, come è stato
notato, equivale a dire che la territorialità dello Stato
si risolve nella funzione di
rappresentare gli interessi generali della popolazione stanziata nel territorio
(PALADIN)…” [M. MANETTI, Enc. giuridica, Roma, 1994, voce
Territorio I, 2].
9.2 Il
senso del limite, come anticipato, è altresì insito nella Costituzione come “controcondotta”
allorché la stessa parla della sovranità,
affermando solennemente che la stessa “appartiene al popolo”
(art. 1, comma II, Cost.):
“si
sono …raccolti … i frutti di una lenta e dolorosa consapevolezza che è
approdata, con il costituzionalismo, alla necessità
DELL’AUTOLIMITAZIONE, in nome della uguaglianza e
della libertà di tutti. Il diritto delle Costituzioni pretende,
infatti, di rifondare l’esercizio del potere, frantumandolo in tanti centri d’imputazione quanti sono gli
appartenenti alla comunità: le Costituzioni hanno la pretesa di riconoscere e
garantire diritti a tutti i consociati sovvertendo un ordine delle cose
fondato sull’accumulazione del potere.
La
sovranità popolare ha
trovato nelle sue Costituzioni una nuova forma di legittimazione basata sulla LIMITAZIONE DEL E AL POTERE intesa come
tendenziale frantumazione dello stesso tra tutti i componenti della comunità
politica: la diffusione del potere dovrebbe avvenire proprio attraverso l’apposizione di limiti
normativamente imposti…” [L. RONCHETTI, cit., 209].
9.3 Oltre
che come limite implicito di legittimazione di un potere diffuso e funzionale ad
assicurare i diritti fondamentali, detta sovranità riceve ulteriore ed esplicito contenimento allorché è stato
previsto che la stessa debba essere esercitata nelle “nelle forme e NEI LIMITI della Costituzione”
(art. 1, comma II, Cost.), operando non solo come limite interno
(riconoscimento a tutti i consociati di una particella di sovranità sotto forma
di diritti e doveri), ma altresì con riferimento alle relazioni con le altre
comunità politiche.
Tanto si ricava dall’art. 11 Cost. (che, a ben
vedere, costituisce solo una specificazione dei limiti indicati
dall’art. 1, comma II), norma nella quale è affermato che la guerra (come
puro potere di fatto) è ripudiata come mezzo di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali (in coerenza con l’art. 2, paragrafo 4, dell’ONU che pone
il divieto ad ogni forma di “minaccia o
uso della forza”).
9.4 Di guisa che “… così
come i diritti e i doveri individuali e collettivi si garantiscono ponendo limiti al potere – che
proprio dalla sua frantumazione tra quanti appartengono al popolo trae nuova
legittimazione - a sua volta la Repubblica necessita di LIMITARE
LA PROPRIA SOVRANITÀ per consentire la libera espressione di quella degli altri;
come i membri di una comunità politica si limitano vicendevolmente
perché uniti dal vincolo del “pieno sviluppo” e della “effettiva
partecipazione” (art. 3, comma 2) di ognuno, così la comunità internazionale si vincola…per non ostacolare il pieno
sviluppo di ognuno, a prescindere dalla nazionalità…” [L. RONCHETTI,
cit., 143], secondo il principio di uguaglianza e pari dignità tra le nazioni.
10 Con
riferimento al rapporto sovranità-territorio, dalla Costituzione si ricava in
modo sintetico che “…la sovranità … non si estende illimitatamente nello spazio: data la
coesistenza di una pluralità di poteri…, ciascuno
deve esercitarsi in un ambito determinato, SÌ DA EVITARE
UNA SITUAZIONE DI PERMANENTE CONFLITTO. Da questo punto di vista
la “territorialità” dello Stato indica una importante
modalità del suo potere, che è supremo e assoluto, ma solo all’interno del suo territorio (PALADIN), una
limitazione che ai termini del diritto interno…può essere conciliata con il
postulato dell’assolutezza della sovranità, solo supponendo che sia lo Stato
stesso, autolimitandosi, a determinare la propria sfera di azione … Da questo
punto di vista, IL LIMITE TERRITORIALE svolge una
doppia funzione: dal lato negativo, esso
è il limite oltre cui lo Stato non può svolgere attività coercitive…Dal
lato positivo… esso è IL TEATRO DELLA SOVRANITÀ…”
[M. MANETTI, Enc. giuridica, Roma, 1994, voce Territorio I, 2] e, in
ultima analisi, “la garanzia
primaria … dell’effettività” dei diritti
fondamentali [L. RONCHETTI, cit., 230].
11 Dall’analisi
sin qui svolta, si può dunque concordare
con chi sostiene che la Costituzione istituisce, in generale, “IL SENSO DEL LIMITE COME PRINCIPIO
ISTITUZIONALE” [L. RONCHETTI, cit., 225 ss.], limite che è elemento
imprescindibile della pacifica convivenza tra i popoli basata sui principi di eguaglianza.
In quel limite, in particolare, rientra a pieno titolo – come
spiegato - quello territoriale, la crisi del quale, determinata dalle
regole del libero mercato a tutti i costi, è indubbiamente da annoverare tra le
cause dell’attuale sospensione sine die
della Costituzione dei diritti fondamentali.
Invero, bisogna comprendere che in un
mondo globalizzato in cui il potere (diffuso e
limitato territorialmente dalle costituzioni democratiche) si
de-territorializza e si
riaccentra su base oligopolistica-elitaria, nutrendosi della logica dell’occupatio
con novelli connotati economico-normativi, non è più possibile, per definizione teorica, parlare di tutela dei diritti fondamentali. Tale
impossibilità - come nel caso specifico del fenomeno migratorio – si
rivela come un effetto perverso che investe tutti indistintamente, sia i membri
della comunità autoctona sia gli stranieri. Dei diritti fondamentali non rimane
allora che un vago ricordo, sostituito dalla forza fascinatrice di categorie
immaginifiche come quella di “diritti
umani”, di “integrazione” e così
via.
12 L’idea
della Costituzione come “limite
istituzionale” in senso lato non ha perciò nulla a che fare – è
bene ribadirlo - con il nazionalismo ed il populismo brutto
o con il razzismo di cui discettano i
cantori del “superamento dei confini”. Anche H. Arendt, tra gli altri, ci ricorda
che l’uguaglianza (e quindi la pace) tra i popoli “… era la pietra angolare dello spirito nazionale autentico…”
[H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, 232].
La metamorfosi nazionalista è piuttosto da
addebitare all’imperialismo come manifestazione dell’esercizio sconfinato del potere di alcuni Stati nei confronti di
altri, che si identifica, storicamente, con “… i tre decenni che vanno dal 1884 al 1914…” e che “… separano il XIX
secolo, conclusosi con la corsa alla conquista dell’Africa e la nascita dei
pan-movimenti, dal XX, apertosi con la prima guerra mondiale…” [H. ARENDT, cit., 171]. Ovvero:
“… l’imperialismo nacque quando la classe dominante cozzò CONTRO
LE LIMITAZIONI NAZIONALI all’espansione dei suoi affari … LA BORGHESIA… PROCLAMA[VA] L’ESPANSIONE COME IL FINE ULTIMO DELLA POLITICA ESTERA … l’intima
contraddizione fra stato nazionale e la politica della conquista apparve
evidente nel fallimento del grande sogno napoleonico che portava o al risveglio
della coscienza nazionale del popolo sottomesso, con conseguente rivolta contro
il conquistatore, o alla tirannide, [H. ARENDT, cit., 179].
12.1 Per
questo non è affatto azzardato sostenere che il pervicace tentativo di
abbattere la sovranità ed i confini entro i quali l’esercizio della stessa è in
modo fisiologico limitata risulta il modo più sicuro perché nei rapporti
internazionali si riaccenda la miccia dell’inimicizia (le recenti parole di Trump causate dal
diuturno mercantilismo €uropeo a trazione
tedesca dovrebbero far riflettere il democratico e “liberale” Occidente). Dovrebbe ormai essere chiaro che
i confini (come corollario del “limite istituzionale”) sono funzionali al
diritto di ogni popolo di scegliere e disciplinare in libertà il proprio
destino in relazione ad una porzione di globo terrestre. Destino che deve certamente
relazionarsi con quello degli altri popoli, ma su un piano di reciproco
riconoscimento e di assoluta pari dignità, immune da ogni concetto di pura
forza.
13 E
invece, “Quella in corso è una gigantesca battaglia di
sopravvivenza della sovranità democratica” messa a
repentaglio da “forze esterne che st[anno] al di sopra del popolo e al di
fuori dello Stato”. Tali forze spingono per una
scissione definitiva tra i due poli del Nomos (Ordnung e Ortnung,
ordinamento e localizzazione). Fine ultimo è quello di riaffermare il semplice
“potere di fatto” emancipato da qualsiasi
legittimazione. Il disordine.
Dal
punto di vista della teoria generale, ed in linea con i timori espressi anni
dopo da Calamandrei, ciò ricorda da vicino lo scenario dipinto da Santi Romano nei
primi anni del ‘900 e dallo stesso definito “l’instaurazione di fatto” di un nuovo ordine, che è oggi
rappresentato dalla globalizzazione e di cui la costruzione €uropea rappresenta
solo una corposa metastasi.
13.1 L“instaurazione
di fatto”, secondo l’illustre giurista, si verificherebbe allorché:
“… un diritto positivo assimila ed assorbe con la sua potenza di attrazione ciò che gli è estraneo o ANCHE OSTILE;
il momento in cui un diritto positivo per necessità di fatto cade per far posto
ad un altro. Il fenomeno così curioso, in cui due ordinamenti, con vece alterna di cadute e restaurazioni, si contendono, modificandosi nella
lotta e influendo l’uno sull’altro, la
vittoria definitiva.
… Nella vita di tutti gli
Stati, sopraggiungono, ad intervalli più o meno lunghi, dei momenti quasi di crisi, non meno interessanti per lo storico e
per il politico che pel giurista, in cui
TUTTI O ALCUNI DEI PRINCIPII FONDAMENTALI del diritto pubblico vigente perdono bruscamente, in un modo o in un
altro, il loro imperio, non per via
di un processo da essi previsto e preordinato, ma per FORZE
SUPERIORI e contrarie al diritto fino allora in vigore: nuove forme statuali o governamentali
succedono a quelle che così vengono distrutte, sia per opera degli elementi che
a questa distruzione hanno cooperato, sia per opera di elementi estranei.
Sono esempi altrettanto comuni
quanto caratteristici ed espressivi, che rientrano… in questo caso, quelli del colpo di stato [e] dell’intervento
di uno Stato straniero…” [S. ROMANO, Instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale – La
sua legittimazione, in Archivio
giuridico, Modena, 1901, 5-10].
Le
forze superiori si identificano con l’ordine sovranazionale
e sconfinato dei mercati, convalidato dalla mera effettività, e quindi contrario
al vigente ordine costituzionale ed ai suoi più essenziali principi. Ci si può
chiedere se questo stato di fatto potrebbe in qualche modo ricevere una
legittimazione postuma; la risposta è fermamente negativa, anche se l’esposizione
delle ragioni esulerebbe dalla presente trattazione.
Mi permetto soltanto di aggiungere quanto segue:
RispondiElimina“… Né nella normativa internazionale né in quella costituzionale vi è, in via generale, garanzia per lo straniero di entrare e permanere nel territorio di uno Stato di cui non è cittadino.
Anche la nostra Corte Costituzionale ha ribadito in molte pronunce che è compito ineludibile dello Stato PRESIDIARE LE PROPRIE FRONTIERE E FAR RISPETTARE LE REGOLE STABILITE IN FUNZIONE DI UN ORDINATO FLUSSO MIGRATORIO E DI UNA ADEGUATA ACCOGLIENZA; ha poi sottolineato che la regolamentazione dell’ingresso e soggiorno dello straniero è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici e tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultimo manifestamente irragionevoli.
In una sentenza del 2010 C.Cost. 8 luglio 2010 n. 250) ha soggiunto che l’assunzione ad oggetto di tutela penale del controllo e della gestione dei flussi migratori non può considerarsi irrazionale ed arbitraria, in quanto si tratta di beni che risultano offendibili dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero…” [C. CORSI, Enciclopedia del diritto, Milano, annali 2007, 871].
Prendiamo una pronuncia a caso della Consulta, ad esempio l’Ordinanza 10 dicembre 1987 n. 503 che, sull’argomento, ha carattere riassuntivo:
“… Considerato che, in relazione alla presunta violazione dell'art. 2, questa Corte con le pronunce n. 75 del 1966 e 168 del 1971, ha già avuto modo di affermare che il riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo non esclude che a carico dei cittadini siano poste quelle restrizioni della sfera giuridica rese necessarie dalla tutela dell'ordine sociale o dell'ordine pubblico;
che analoghe CONSIDERAZIONI VALGONO A MAGGIOR RAGIONE NEI CONFRONTI DELLO STRANIERO il quale, secondo quanto già ritenuto nelle sentenze n. 104 del 1969 e 244 del 1974, gode sul territorio della Repubblica di UNA TUTELA MENO INTENSA DI QUELLA RICONOSCIUTA AL CITTADINO;
che, in particolare, secondo le ricordate pronunce, lo straniero non ha di regola un diritto acquisito di ingresso e di soggiorno nello Stato E PERTANTO LE RELATIVE LIBERTÀ BEN POSSONO ESSERE LIMITATE A TUTELA DI PARTICOLARI INTERESSI PUBBLICI, quale quello attinente alla sicurezza intesa come ordinato vivere civile;
che quindi la questione sollevata in riferimento all'art. 2 Cost. (i “diritti inviolabili dell’uomo”, NdF) va dichiarata manifestamente infondata…”.
Anche la Corte Cost., evidentemente, è finita nel calderone nazionalistarazzistaxenofobo. (segue)
Questo per chi, in un recente articolo apparso su La Stampa, in materia di immigrazione ha voluto appellarsi ai “diritti inviolabili dell’uomo”, al “dovere di solidarietà” di cui all’art. 2 della Cost., alla “fraternità” di matrice transalpina e persino…alle parole del Papa.
RispondiEliminaDi contro, non dovrebbe esserci trattato (o convenzione) che tenga, allorché si tratti di preservare l’ordine sociale e l’ordine pubblico in senso costituzionale, come abbiamo pure cercato di spiegare qui, o.p. costituzionale che costituisce ipso iure un controlimite.
Milioni di italiani disoccupati, sottoccupati ed in preda alla povertà; artt. 1, 3, comma II (principio di effettività), e 4 Cost. (democrazia necessitata) del tutto resecati, diritti umani del Popolo italiano violati quotidianamente da almeno trent’anni. Nel richiedere un controllo frontaliero, quindi, è sufficiente per poter opporre ragionevolmente un problema di difesa (e sopravvivenza) dell’ordine pubblico costituzionale”, oppure bisogna aspettare che sull’Italia si abbatta un asteroide?
Ma soprattutto: è proprio così necessario ribadire in continuazione simili banalità a prova di buon senso, senza che si venga tacciati ogni volta di razzismo e nazionalismo?
Si ribadisce: se i principi fondamentali della Costituzione sono sospesi, lo sono per tutti, nessuno escluso, per disattivazione del principio di effettività. I mitici “diritti umani” transfrontalieri, non potendo essere realizzati, si risolvono allora in un tragico “mal comune mezzo gaudio”. Che è il vero ragionamento di chi, ideologicamente, aspira ad abbattere le frontiere
E niente...la propaganda si basa sul principio paralogico per cui un'affermazione priva di base logico-giuridica non può essere smentita con argomenti logico-giuridici.
EliminaL'anomia diviene perciò il massimo dell'etica. Imposta dall'alto.
Nessun umanesimo concreto viene perdonato in base a questa astratta idea elitaria, colpevolizzatrice dei...poveri.
Insomma, il totalitarismo dell'elite.
Cioè del mercato.
Comunque imporre dieci anni di deflazione che portano al suicidio economico una nazione, quindi favorire il trasporto forzato di milioni di immigrati da paesi dotati di un capitalismo primitivo e coloniale, è un atto di guerra.
RispondiEliminaL'obiettivo è "un terzo della popolazione": ovvero quella frazione di popolo che, se in qualsiasi modo sterminata, permette la conquista di un territorio ed il suo totale dominio politico-economico.
Il piano Morgenthau alla fine, invece che alla Germania, è stato applicato all'Europa che già una volta aveva dovuto liberarsi dalla dominazione nazista.
I greci coscienti sono stati chiari a dire che in Grecia, in piena shock doctrine, è stata l'immigrazione a dare il colpo di grazia al popolo.
La Chiesa e la sinistra sono un problema con il loro moralismo assassino: finché qualche turboliberista invoca la deflazione per sostituzione etnica, come l'FMI, con la scusa di pensioni, privatizzazioni e porcate genocide varie, va bene.
Quando sono i "difensori dei deboli" ad invocarla, il problema è grave.
Per parafrasare Musk, i "difensori dei deboli" sono pedo guy.
@Bazaar - La distanza di Hamming tra 'moralismo assassino' e socialismo è pari ad uno (una e).
EliminaInfatti il primo rientra nel campo della scatologia mentre il secondo tratta l'escatologia.
Grandissimo lavoro, complimenti.
RispondiEliminaIn effetti l’importanza del territorio per l’affermazione della democrazia è fondamentale, cioè non ne si può prescindere. Fra le cose su cui si era riflettuto finora forse su questa lo si era fatto di meno, ma con questi due ultimi post non lo si poteva fare meglio. In questa fase storica sembra esserci un rinnovato ottimismo, grazie anche alla caratura di alcune persone che si trovano in prima linea in questa battaglia, sul fatto che la democrazia possa affermarsi su un territorio più vasto di prima, cioè a livello europeo e non solo italiano, perché in fondo è giusto provare a salvare tutti e non solo se stessi. Una posizione spiritualmente molto nobile. Eppure i fatti qui esposti ci dicono chiaramente che questo tentativo di salvare l’unione europea è destinato a fallire perché, io credo, è mosso da un sentimento, da una nobile ambizione, e non dalla sola ragione e dalla considerazione di ciò che sono i fatti e la storia. Se così fosse si combatterebbe per la sovranità popolare nell’ambito del territorio nazionale. Magari un giorno potrà anche esistere un’europa unita in cui la sovranità è popolare e non dei mercati, ma il processo effettivo che porterebbe a uno scenario del genere può realizzarsi nell’ambito delle nostre esistenze? E se no, è giusto agire comunque in questa direzione pur sapendo che non godremo mai dei frutti di questo “sforzo”? Anche questo andrebbe considerato. Se la democrazia è molto più probabilmente realizzabile all’interno dei singoli confini nazionali e in un tempo in cui oggi chi si batte per essa potrà anche vederne la realizzazione, allora la scelta dovrebbe essere questa a mio parere... Mi auguro soltanto che per inseguire quello che continua ad apparire un sogno, il conto non finisca ancora una volta sulle spalle di chi ha sempre di meno, o di chi ha poco o niente.
Il conto €uropeo è fatto deliberatamente per essere presentato a "chi ha poco o niente".
EliminaEd in più ha l'enorme pregio, per ESSI, di assicurare che chi abbia abbastanza finisca per avere poco e chi abbia poco per avere...niente.
Questo è il motivo per cui, al di là delle ambizioni coscienziali di chi può porsi la questione sul piano predittivo al massimo livello politico, il di ESSI modo di presentare il conto (cioè l'Ue e in specie l'eurozona), perdono contatto con l'elettorato a velocità crescente.
La Storia sta già scegliendo con le sue ben evidenti dinamiche di massa.
La conservazione, ancora forte e riottosa (in quanto ancora in controllo delle istituzioni), tra non molto avrà solo da scegliere tra il promuovere compromessi accettabili (per le masse) e reprimere i popoli in un bagno di sangue...
Gentile Quanrantotto,
RispondiEliminadal suo blog ho estrapolato questa frase:
"Siccome tante parole sono state dette per avvalorare l'Unione europea - SENZA MAI PREOCCUPARSI DI VERIFICARE LA CONFORMITA' DI QUESTA CON I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE"
Ineccepile ma sappiamo entrambi che le modifiche apportate negli ultimi 20 anni circa alla nostra Costituzione sono state fatte, andando CONTRO i principi fondamentali della Costituzione, dalle forze politiche italiane. L'Unione Europea è il "mandante" e i partiti italiani fanno le veci dei "sicari". Fin qui tutto chiaro.
Adesso sorge un problema: il governo in carica sta "proponendo" la flat-tax. Che però ha un lieve difetto. Demolisce del tutto alcuni dei principi fondamentali della nostra Costituzione:
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale.
Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva. Il sistema tributario e' informato a criteri di progressivita'.
A mio avviso lo capirebbe anche un bambino che la flat tax non solo è incostituzionale ma è un vero e proprio attentato al nostro sistema sociale e democratico (quindi risparmio le citazioni in merito di Mortati e Vanoni e che Lei conoscerà sicuramente meglio di me).
Questi i fatti.
La mia personale opinione è che la Costituzione vada difesa contro CHIUNQUE la voglia demolire, altrimenti la differenza tra un Renzi e un Bagnai è lo zero assoluto. E lo dico con la massima stima per il secondo, sia ben chiaro. Amicus Plato, sed magis amica veritas.
Ecco, se potesse spiegare in maniera comprensibile (cosa che io non so fare) perché la flat tax è non solo incostituzionale ma dannatamente pericolosa per il nostro assetto sociale, sarebbe cosa buona e giusta.
Grazie e buon lavoro.
PS
L'Istituto Bruno Leoni, lo stesso che ha messo il contatore del debito pubblico italiano in alcune stazioni per terrorizzare i cittadini, si è dichiarato entusiasta della flat-tax. Anche Himmler, in fondo, era entusiata dello Zyklon B.
La Costituzione NON dice che le imposte dirette devono essere progressive!
Eliminahttps://armandosiri.it/flat-tax-15-ecco-come-funziona
Sig. Cellai, la Costituzione non è un "libretto di istruzioni" su come montare un mobile (cosa fare e cosa NON fare).
Elimina"Le Costituzioni scritte in occasioni di greandi svolte storiche contengono sempre decisioni circa la struttura della società futura, Una costituzione, inoltre, è più che il suo testo legale; è anche un mito che esige devozione a un sistema di valori eternamente validi"
L'autore di queste parole è Franz Neumann, a pag. 12 del libro "Behemoth - Struttura e pratica del Nazionalsocialismo". E l'autore sa di cosa parla perchè ha visto cosa successe alla Costituzione della Repubblica di Weimar che rimase in vigore anche dopo il 1933.
Ora: o noi accettiamo come valido quel sistema di valori (diritti dell'uomo, solidarietà e contributo alle spese "IN RAGIONE DELLA LORO CAPACITA' CONTRIBUTIVA) oppure no. Una Costituzione è si un "compromesso" tra le forze sociali ma non è affatto neutrale: per quello Calamandrei la definiva "eversiva", come fa notare il Prof. Canfora. La Costituzione una posizione la prende eccome!
Le faccio notare una cosa: quando fu approvato il Porcellum fu fatta la sua stessa obiezione. "Ma la Costituzione NON dice che non si può usare il premio di maggioranza!".
A dire il vero, la Costituzione LO DICE (come dimostra la sentenza della Corte di Cassazione). E così ci siamo dotati del peggior sistema elettorale di questa galassia.
Chi aveva conoscenza della famigerata Legge Acerbo, ne fu terrorizzato. Chi non lo sapeva ai adeguò all'obiezione e la accettò tranquillamente.
Anche la flat-tax, a modo suo, l'abbiamo già sperimentata. Si chiama "la decima" ed esiste dai tempi di Erodoto. Un decimo uguale per tutti, indipendentemente da. Vado a memoria ma credo che la introdusse anche Pisistrato ad Atene. Il concetto di base è lo stesso: un tot uguale per tutti INDIPENDENTEMENTE DA.
La frase "in ragione della loro capacità contributiva" ed il relativo "criterio di progressività" non riguardano solo l'aspetto economico ma sono una "filosofia di vita". Nel post odierno si parla di "alienazione": se non riusciamo a capire questa filosofia di vita, allora siamo davvero degli alienati.
Cordialmente,
Chinacat
https://it.wikipedia.org/wiki/Franz_Leopold_Neumann
@chinacat:
Eliminahttp://goofynomics.blogspot.com/2018/07/la-matematica.html
Meglio fare anche solo quello che si può (compromessi accettabili) che aspettare passivi ed impotenti il "bagno di sangue".
"(cit. 48) La conservazione, ancora forte e riottosa (in quanto ancora in controllo delle istituzioni), tra non molto avrà solo da scegliere tra il promuovere compromessi accettabili (per le masse) e reprimere i popoli in un bagno di sangue..."
La riduzione degli scaglioni di imposta a 'quasi uno' è un compromesso accettabile anche dal quarto partito.
Rammento infatti che fino alla 'riforma Vanoni' degli anni 1972-1974 (cioè durante tutti gli anni del boom economico ante fine-Bretton-Woods/prima-crisi-petrolifera) la tassazione fu assai scarsamente progressiva e (vado a memoria perchè il fatto sembra sia stato rimosso da google) i datori di lavoro NON effettuavano le trattenute in busta degli importi IRPEF (ritenuta di acconto).
Ricordo che moltissime persone (io ero un liceale) vissero come un dramma l'introduzione della trattenuta in busta, semplicemente perchè fino ad allora avevano 'dimenticato' di versarla all'erario.
Credo valga la pena di approfondire la questione prima di azzardare giudizi manichei.
@chinacat
EliminaLa Costituzione del 1948 non poteva parlare di premio di maggioranza in quanto i costituenti avevano scelto il proporzionale puro...
@ Mr. Cellai
Elimina"che aspettare passivi ed impotenti il "bagno di sangue".
Il bagno di sangue, a mio avviso, è già iniziato e pur non essendo un "determinista", non lo si può certo fermare con dei compromessi "al ribasso". Come Lei sa bene, visto che sul comodino ha una copia de Il Tramonto dell'Euro, questa è la peggiore crisi della Nazione dal 1861 (guerre escluse). Non credo che se ne possa uscire facendo un compromesso sul principio del "contributo in base alle proprie capacità". E' come mettersi a fare dei compromessi sulla pena di morte: o lo si giustizia o non lo si giustizia. Quale sarebbe il compromesso? Lo feriamo senza ammazzarlo? Se iniziamo a fare compromessi sui principi più importanti della nostra Costituzione siamo rovinati.
E non perché lo dica il "manicheo-giacobino" che è in me e che non conta nulla. Lo dice chiaramente la Storia e quello a cui assistiamo è un film già visto. In Italia il "compromesso" sui principi lo abbiamo già sperimentato: il Fascismo.
Lei stesso, indirettamente, vi fa riferimento:
"La Costituzione del 1948 non poteva parlare di premio di maggioranza in quanto i costituenti avevano scelto il proporzionale puro."
E perchè scelsero il proporzionale? Una delle motivazioni è che i costituenti gli effetti della Legge Acerbo li vissero sulla propria pelle: morte, esilio, manicomio, bastonature.
La Legge Acerbo fu fatta per permettere al PNF di vincere le elezioni e rimanere in carica. Gli effetti pratici si videro il 3 gennaio 1925: la dittatura come compromesso tra le forze sociali.
Ovvio che detestassero il maggioritario ma c'è di più.
Nel 1953 ci fu il primo tentativo di ritornare al maggioritario con la Legge Truffa. Ne venne fuori uno scontro epocale e il governo in carica fu costretto a fare marcia indietro. Per la serie: compromessi si ma non sui cardini della nostra Costituzione.
Chinacat
PS
Tra le carte dello storico Senofonte, c'è un libello scritto probabilmente dall'oligarca Crizia. Questo passo è spettacolare:
"Per fortuna che Atene non è un'isola altrimenti non potremmo aprire le porte al nemico per abbattere la democrazia".
Crizia si riferiva a Sparta, io alla Germania. Indicato da tutti i media come "il modello", allo stesso modo in cui Crizia indicava come modello Sparta. E come fecero entrare il nemico? Con un bel compromesso, quello del 404 a.c. : siccome gli ateniesi detestavano "il tiranno", fecero il governo dei Trenta Tiranni, così nessuno poteva dire dire che c'era UN tiranno.
Se posso consigliare:
Luciano Canfora, La guerra civile ateniese.
Emilio Gentile, La via italiana al totalitarismo
@ Cellai
EliminaPPS
Con "Germania" non intendo affatto dire che esiste una signora bionda che si chiama Germania :)
Lei è un goofysta quindi sa a cosa mi riferisco.