Questo post finale dell'articolo di Francesco Maimone riguardante l'imposizione dell'ordine pubblico economico €uropeo, tira le somme di un discorso che, se approfondito quel tanto che l'evidenza dei principi costituzionali, nonché di diritto internazionale, inderogabili, ci pone di fronte agli occhi (solo a volerlo vedere), lascerebbe un cittadino (ri-divenuto) consapevole letteralmente sbalordito. E terrorizzato sul suo futuro...
Perché, vedete, ESSI non hanno limiti né riconoscono "vincoli" a se stessi: il processo che hanno innescato, tramite il diritto internazionale privatizzato, materializzatosi nei trattati istitutivi di "organizzazioni economiche", è teso alla conquista di un dominio politico incondizionato, svincolato dalle sovranità territoriali democratiche, e che non prevede alcuna mediazione o punto di arrivo: neppure nella instaurazione della schiavitù mondializzata del lavoro e nel ripristino di un mondo neo-feudale basato su "status" del tutto corrispondenti a quelli dell'ancien regime.
Una volta realizzato il presupposto dell'istituzionalizzazione internazionalizzata del potere "dei mercati", cioè dei pochi controllori delle relative dinamiche rese norme supreme, basta occultare schiavitù, e status irreversibilmente gerarchizzati, sotto opportune etichette cosmetiche.
Perciò, parlare di "libertà" e di "diritti civili" è un'assoluta finzione, laddove il potere economico sia oligarchico, sovranazionale e concentrato. Come sempre accade dove il capitalismo sia "sfrenato", lo Stato nazionale sia svuotato della possibilità di dettare i "diritti sociali" (cioè alla liberazione dal bisogno economico più abbrutente) e perciò sia impedito il suo intervento a tutela della dignità della maggioranza dei più deboli, negandosi ogni mobilità sociale. E tutto questo, inevitabilmente, sostenuto in nome del "merito" derivante dalla nascita e dall'asservimento opportunistico ai potenti, senza scrupoli solidaristici.
I "diritti civili" risultano infatti situazioni in cui la schiacciante maggioranza degli ex-cittadini è (ora) destinato a non trovarsi mai (in posizione attiva): per materiale impossibilità di divenire titolari dei beni che caratterizzano tali diritti (oggetto dell'ipocrita e anzi beffarda enunciazione della "eguaglianza formale").
Che libertà "personale", di movimento, domicilio, espressione del pensiero, "identità sessuale", potrà più vantare un essere umano ridotto a "risorsa" e "consumatore" e dunque a mero strumento del calcolo economico imposto da un "ordine superiore", che lo può illimitatamente impoverire in nome di un bene supremo incontestabile?
E che senso ha parlare di diritti dell'individuo nell'ambito di un'istituzione "mondiale" la cui ristretta classe governante si auto-legittima in base alla crescente concentrazione di enormi ricchezze e che si afferma contro ogni partecipazione della "risorsa-consumatore" al potere di autodeterminazione comunitaria dell'organizzazione sociale?
Rimarranno soltanto, e ciò diviene sempre più evidente, dei "beneficia", transitoriamente concedibili secondo il capriccio e la convenienza dei "mercati" e, come tali, liberamente revocabili in qualsiasi momento e misura, in nome di questa stessa convenienza.
Il mio consiglio è di approfittare del periodo feriale - e della rarefazione della pubblicazione di ulteriori post- per leggere non solo il complesso dell'articolo, ma tutti i preziosi links (e note) inseritivi da Francesco: questi rinvii a fonti del blog così pregnanti compongono in effetti una sorta di guida, aggiornata, di orientamento sui temi più importanti trattati da orizzonte48.
La grande sostituzione ad effetti n€o-colonizzanti
11.4. La “operazione”
illustrata da Rescigno nella Seconda Parte (qui, p.11.3), finalizzata alla frantumazione
progressiva della sovranità democratica, da sostituire con l’avvento di un
governo sovranazionale dei mercati gestito da élites, non poteva quindi che passare per la disattivazione sistematica delle norme che disciplinano l’intervento
pubblico in economia (artt. 36-47 Cost.), secondo il noto adagio
hayekiano per cui “Il controllo economico non è il semplice controllo di
un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo
dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve
anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano
stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano
affannarsi”.
11.5. In effetti, vale la pena ricordarlo, è quanto si è progressivamente
verificato a livello europeo per mezzo del rodato metodo Juncker-Amato (forzando illecitamente l’interpretazione
dell’art. 11 Cost.) solo che si
provi a scomporre in modo analitico il disegno contenutistico della inesistente
“costituzione economica europea” nei
suoi tre contesti essenziali (e strettamente interconnessi) sostanziantisi in
generale nel “vincolo esterno”, ossia:
a) mercato unico e libera concorrenza,
fondato sul principio “dell’economia sociale di mercato”, che
ha sottratto sovranità economica;
b) mon€ta unica, ispirata alla dottrina delle banche centrali indipendenti
e fondata sul principio deflazionistico della “stabilità dei prezzi”, che ha traslato a livello sovranazionale la
sovranità monetaria;
c) politiche di bilancio (invariabilmente in pareggio), che si
fondano sul principio di stabilità finanziaria e di “crescita economica” all’insegna
della sotto-occupazione, trainate
all’uopo dalle infinite riforme strutturali.
11.6. Cio è stato possibile grazie al fondamentale ed indisturbato contributo
della Corte di Giustizia, guardiana del mercato, la quale - ma mano
che il meraviglioso “sogno europeo” andava cosmeticamente
implementando i propri fini con l’utilizzo di spot propagandistici veicolati orwellianamente dalla grancassa mediatica (promozione
della “pace” e difesa dei “valori comuni” dell'Unione Europea, “solidarietà”, costruzione di uno
“spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, tutela dei “diritti fondamentali” contenuti
nella citata Carta di Nizza) – ha pensato bene, da ultimo, di
completare l’opera “comunitarizzando” in via definitiva la nozione di ordine pubblico.
11.4 E così, se nelle sentenze richiamate ai paragrafi 10.1 e 10.2 (nel precedente post di questa serie) la
nozione di ordine pubblico era ancora quella nazionale, ed erano le norme
comunitarie a riconoscerlo, ammettendo (pseudo) eccezioni-limitazioni
all'applicazione delle regole dei Trattati, dalla fine degli anni ’90 il meccanismo si inverte: è il principio ormai completamente
sdoganato di “o.p. comunitario” ad
essere riconosciuto da quello nazionale, sul presupposto di una avvenuta e
continua armonizzazione e integrazione dei princìpi nazionali nell'ordinamento
europeo in vista del mitico federalismo. Ciò è quanto
emerge in modo paradigmatico dalla sentenza della CGE 1 giugno 1999, causa
126/97, Eco Swiss c. Benetton [32].
11.5. Ciò che interessa registrare,
ai fini della presente disamina, è l’aberrante approdo sotteso ad un siffatto modello
di “sciamanesimo giuridico”, ovvero:
la creazione ex nihilo
e per via giurisprudenziale del concetto improprio di “o.p. comunitario” (che in realtà, come detto, è un mero riflesso di norme liberoscambiste)
riferito ad un ordinamento derivato e settoriale (con scopi esclusivamente economici) di cui se ne assume con arbitrio la valenza costituzionale, e che finisce - senza che ne sussistano i presupposti teorici sopra evidenziati - per obliterare quello di “o.p. nazionale”, il solo fondato invece
sulla sovranità costituzionale degli Stati.
12. Per tornare all’incidenza deleteria che
un simile “triplo salto giuridico” continua ad avere sui diritti fondamentali
sociali degli italiani, non si può che essere d’accordo con U.G. RESCIGNO il
quale in proposito afferma che:
“… se teniamo presenti ad un tempo
le ambiguità e le molte e divergenti implicazioni della espressione
“costituzione economica” …
e il rango sovraordinato che viene
attribuito alla costituzione economica europea, è facile capire come questa
confusa nozione, PRIVA DI FONDAMENTO NORMATIVO ESPRESSO, costituisca… il VEICOLO CONCETTUALE attraverso cui diffondere e rendere ovvia la
tesi secondo cui:
vi sono regole fondamentali in economia;
tali regole sono quelle proprie del mercato e della
libera concorrenza; i
legislatori dei singoli Stati europei sono obbligati ad obbedire a tali regole;
le eventuali leggi incompatibili con esse sono incostituzionali (e dunque in
Italia vanno disapplicate dai giudici, secondo l’insegnamento della sentenza
n. 170/1984 della Corte Costituzionale.
La
Costituzione italiana in tal modo imporrebbe uno specifico modello economico e,
suprema ironia, un modello non solo
non suo, perché inoculato da un altro ordinamento, ma addirittura contrario a molte delle sue disposizioni
fondamentali…” [33].
13. Dovrebbe ormai essere intuitiva la
ragione per la quale risulta tanto importante quanto tragicamente inattuale nel
nostro Paese anche la nozione di “ordine
pubblico costituzionale”, dal momento che la stessa, operando un rimando
dinamico ai principi fondamentali della Carta
fondamentale, avrebbe potuto (e dovuto) fungere innumerevoli volte da strumento,
nella mani delle classi dirigenti italiane e della Corte Costituzionale, per
porre un argine alle altrettante situazioni di “emergenza” eurocostruite, e con le
quali il nostro Paese ormai da quarant’anni si trova puntualmente costretto a
convivere.
Tale limite, ed a prescindere dall’applicazione dell’autonomia
riconosciuta all’Italia dall’art. 79 del TFUE, avrebbe potuto ovviamente essere
opposto, da ultimo, anche nell’attuale emergenza dei migranti,
che solo uno sprovvedutto tele-suddito potrebbe ormai percepire come fenomeno
diverso rispetto a quello che è, ovvero un ulteriore mezzo di equalizzazione sociale in vista
dell’immiserimento generalizzato.
14. Tant’è, nell’allucinazione mondialista tecno-pop in salsa €uropeista,
oramai secondo M. LUCIANI “… quello costituzionale appare come un ben
singolare tipo di Stato, nel quale tutti
gli elementi caratterizzanti dello Stato come forma politica moderna
risulterebbero interamente trasformati.
Così, il TERRITORIO non
costituirebbe più un dominio riservato sul quale esercitare lo ius excludendi (visto che non è
mancato chi ha teorizzato un illimitabile diritto umano all’immigrazione e all’accoglienza,
almeno in capo all’evanescente categoria dei “migranti per necessità), ma
nemmeno la sfera del monopolio dell’uso legittimo della forza (visto che lo si dichiara
permeabile a interventi militari esterni, anche unilaterali, specie se di tipo
“umanitario”).
Quanto al POPOLO, esso “cesserebbe d’essere
distinguibile dalla popolazione,
visto che i filosofi politici che hanno pensato di addossare agli Stati uno
specifico onere motivazionale nell’ipotesi in cui la loro legislazione negasse
la cittadinanza agli stranieri stabilmente residenti sul loro territorio sono
stati scavalcati dai giuristi che hanno sostenuto che a quegli
stranieri anche i diritti politici (compreso il diritto di voto per le
assemblee parlamentari) dovrebbero essere garantiti come autentici diritti
fondamentali.
La SOVRANITÀ,
infine, cesserebbe d’essere imputabile a un solo, più o meno preciso, soggetto
storico (lo Stato, il popolo, la nazione), ma si diluirebbe in plurimi livelli
di gestione, anche sovranazionali o internazionali, tanto da qualificarsi come
“sovranità condivisa”, o cesserebbe d’essere imputabile a chicchessia,
configurandosi come astratta “sovranità dei valori”” [34].
Ecco perché “… anche in tal caso, considerando l'attivazione della CLAUSOLA
DI ORDINE PUBBLICO il "sintomo" di esistenza minima di uno Stato
sovrano e agente nell'interesse della sua comunità di cittadini, manca ogni
traccia dei prerequisiti istituzionali indispensabili per far valere questa
modalità/contenuto, sia in proiezione interna che esterna, della sovranità…” (così Quarantotto nei commenti).
15. L’ordine privato comunitario, tra l’altro, come nemesi della vecchia scienza dell’800, ha di fatto integralmente sostituito, in
un sol colpo, non solo i principi fondamentali della Costituzione italiana
(immodificabili), ma anche principi fondamentali del diritto internazionale,
ovvero norme di jus cogens, “… nel senso che il loro rispetto rappresent[a] la condicio sine qua non della pace e della
sicurezza internazionale” (F. LATTANZI) [35].
Tra questi spicca il c.d. principio di autodeterminazione dei popoli previsto dalla Carta
delle Nazioni Unite, l’osservanza del quale è collegato sì alla pace
internazionale dall'art. 1 che, tra i fini delle Nazioni Unite, enuncia al
par. II quello di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli
fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e
dell'autodeterminazione dei popoli”.
Il rispetto dell'autodeterminazione
dei popoli è altresì richiamato nel quadro della disposizione della Carta
relativa all'azione dei membri dell'Organizzazione per creare condizioni di
stabilità e benessere di tutti i popoli attraverso una cooperazione
internazionale nel campo economico,
sociale e culturale: “Il miglioramento
del tenore di vita, il pieno impiego della mano d'opera e condizioni di
progresso e sviluppo economico e sociale” (art. 55, par. a).
15.1. E’ nella richiamata
disposizione, secondo la dottrina (F. LATTANZI) [36], che in particolare “… va
cercato il fondamento
dell'autodeterminazione nel suo aspetto economico, sia come diritto alle
proprie risorse naturali - successivamente evolutosi nel diritto allo
sviluppo e cioè nel diritto a una equa
distribuzione delle ricchezze a
livello internazionale - sia come diritto di
tutti i popoli governati a godere di una effettiva uguale distribuzione delle risorse economiche a livello interno”.
15.2. La constatazione che
l’autodeterminazione è proclamata dalla Carta a beneficio di tutti i popoli trova difatti sostegno anche
nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali del 1966. Particolarmente significativi si rivelano
l’art. 1, par. 1, il quale prevede che “Tutti
i popoli hanno il diritto di
autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo
economico, sociale e culturale….”,
nonché l’art. 4, secondo cui “Gli Stati parte del presente Patto
riconoscono che, nell’assicurare il godimento dei diritti in conformità del
presente Patto, lo Stato potrà assoggettarli esclusivamente a quei limiti che
siano stabiliti per legge, soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con
la natura di tali diritti e unicamente
allo scopo di promuovere il benessere generale in una società democratica”.
Come ci ricorda L. BASSO, in sintesi, “… questo “sviluppo
economico, sociale e culturale” implica necessariamente [per il popolo,
NdR] la libertà permanente di
determinare in ogni campo il proprio futuro e quindi la libertà permanente di
disporre delle proprie risorse e di sottrarsi a coazioni esterne,
e i governi hanno il
dovere di garantire ai loro popoli questa libertà. E difatti
l’art. I, comma 2, del Patto internazionale relativo ai economici sociali
e culturali dice esplicitamente che “gli Stati contraenti del presente
Patto.... sono tenuti a facilitare la realizzazione del diritto dei popoli a
disporre di se stessi” [37].
15.3 In ambito internazionale, infine, è
necessario richiamare anche l’Atto finale di Helsinki del 1975,
ed in particolare l’ottavo principio secondo cui “… In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e
dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e
come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza
esterna, e di perseguire come
desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale…”.
Autorevole dottrina (G. ARANGIO RUIZ) [38], al riguardo, ha
affermato che “… il diritto di un popolo
di autodeterminarsi include non solo il diritto di conseguire e mantenere l’indipendenza politica, economica e
sociale nei confronti degli altri Stati, ma anche il diritto di
scegliere in libertà il proprio regime
politico, economico e sociale rispetto all’interno: vale a
dire - in primo luogo - nei confronti di qualsiasi governo”,
sottolineando, in ordine alla dimesione interna dell’autoderminazione, “il carattere permanente e
l’inalienabilità del diritto dei popoli a disporre di sé stessi”.
Ciò in quanto, sempre secondo L. BASSO, se “prendiamo questo concetto dell’autoderminazione in tutte le sue implicite
logiche, un popolo ha il diritto di autodeterminarsi non solo contro un
governo straniero, contro un regime coloniale, ma il principio dell’autodeterminazione vale anche per autodeterminarsi
contro il proprio governo” [39].
16. Ebbene, quell’ordine privato comunitario – “governato dai rapporti di forza affermati dalle Nazioni
politicamente ed economicamente prevalenti” (v. p.5) – costituisce
senz’altro una “coazione esterna” ad
effetti neo-colonizzanti, attuata per mezzo di Trattati free-trade e surrogatasi ad ogni sovranità democratica nonché ad
ogni diritto di autodeterminazione dei popoli. In questo senso L. BASSO [39] ci rammenta che:
“… Dopo la euforia della
decolonizzazione degli anni ‘60 non è stato difficile constatare che
l’indipendenza politica rischiava di rimanere poco più che una facciata se non
si assicurava ai popoli un’indipendenza effettiva, una possibilità di autodeterminazione reale per programmare il proprio futuro non soltanto
politico, ma ECONOMICO SOCIALE E CULTURALE. Ma per l’imperialismo di
oggi e per le sue manifestazioni più vistose, le grandi società multinazionali,
il mondo costituisce un unico mercato mondiale dal
quale attingere liberamente materie prime e, se occorra, ANCHE MANODOPERA,
e nel quale vendere i propri prodotti o esportare i propri capitali, fissando in
ogni caso prezzi e condizioni vantaggiosi per le multinazionali stesse.
E ciò richiede di poter esercitare
sui paesi che maggiormente interessano anche un dominio politico. Dovendosi
abbandonare il sistema coloniale perché troppo in contrasto con principi
universalmente proclamati, è necessario perlomeno assicurarsi governi
sottomessi e ubbidienti, ed è appunto nella strategia da adoperare a
tal fine che si sono venuti perfezionando in questo dopoguerra degli strumenti
nuovi d’intervento”.
17. Perciò in frangenti storici come
quello attuale, anche per evitare il rischio di apparire persino ingenui nell’algida
elencazione di principi come quelli sopra richiamati, sarebbe necessario far
tesoro ancora delle parole di L. BASSO, il quale ammoniva che il diritto
è:
“… una sovrastruttura sociale che tende a riflettere e
fondamentalmente a garantire, a mantenere e condizioni esistenti. Tuttavia,
siccome è la espressione di una società contraddittoria, anche il diritto è
contraddittorio…lo Stato, le leggi dello
Stato, in questo caso anche la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
proclamano una serie di diritti che in realtà non esistono, non sono
applicativi.
In questo senso credo che il diritto assolva veramente alla
funzione ideologica in senso negativo, cioè mistificatrice, quella di far credere alla massa dei
cittadini, che gode di una infinità di diritti di cui in realtà non gode…questo si può applicare in generale a
qualsiasi diritto, anche a quelli enunciati nella nostra Carta Costituzionale…Tutti
questi diritti in realtà sulla Carta ci sono, ma non è che siano proprio
rispettati; quindi in questo senso il diritto ha una funzione mistificatrice.
PERÒ AL TEMPO STESSO, affermando questi diritti, mette in moto un processo nella
coscienza dell’uomo; così ad un certo momento egli si accorge che ogni giorno è
frodato dei diritti che gli sono riconosciuti. Ora questo suscita
UNO SVILUPPO DI COSCIENZA DEMOCRATICA, una richiesta di
vedere applicati questi diritti e quindi da arma delle classi
dominanti per ingannare il popolo, diventa viceversa un’arma nelle
mani del popolo che vuole vedere realizzati questi diritti che gli sono
proclamati e garantiti” [40].
18. Mutuando il pensiero di U. Romagnoli espresso in un suo
risalente scritto, bisognerebbe in definitiva prendere coscienza che da tanto, troppo
tempo “… i vertici dell’organizzazione economica dello Stato passano nelle mani
degli uomini politici “più spiccatamente filocapitalistici”, in quanto
assumono come criterio d’azione quello
per cui il regime deve essere aiutato, orientato, perfezionato, in modo da…
rendere più stabile il sistema…” [41].
Quando e se tutto ciò apparirà sufficientemente chiaro al Popolo italiano, allora forse si potrà tentare di
approntare una reazione per ricominciare a parlare in concreto di sovranità
democratica e di diritti fondamentali.
___________________________
NOTE
[1] Così M. LUCIANI, I controlimiti. Primato delle
norme europee e difesa dei principi costituzionali, reperibile sul sito https://www.youtube.com/watch?v=rlQPfYBB2pI&t=3813s,
minuto 1:03:28
[2] Così G. CORSO, Ordine pubblico nel diritto amministrativo, in Dig. pubbl.,
Torino, 1995, 438 ss; in tal senso, amplius,
si veda lo stesso Autore in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, voce
Ordine pubblico, 1057 ss.
[3] Così Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello
Stato – Relazione, 30 maggio 1946, 15
[4] Cfr. per tutti C. LAVAGNA, Il concetto di ordine
pubblico alla luce delle norme costituzionali, in Dem. dir. 1967, 359
ss.
[5] Così N. PALAIA, L'ordine pubblico internazionale,
Padova, 1974, 35
[6] Così A. CERRI, Enc.giur., Roma, 1990, 3, voce
Ordine pubblico
[7] Così L. PALADIN, Ordine pubblico, in NN.D.I., XII, Torino, 1965, 130
[8] Così A. CERRI, cit.;
nello stesso senso C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova,
1969, 39
[9] Così C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova,
1969, 236
[10] Così A. CERRI, cit.
[11] Così, C. Cost. 16 marzo 1962 n. 19; si vedano anche C. Cost. 14
aprile 1965 n. 25; C. Cost. 29 dicembre 1972 n. 199;
C. Cost. 3 agosto 1976 n. 210; C. Cost. 9 maggio 1985
n. 138
[12] Così G.B. FERRI, Enciclopedia del diritto, Milano, 1980,
voce Ordine pubblico
(dir.priv.), 1053
[13] Così F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1987, 735
[14] Cfr. G. FARJAT, L'ordre public économique, Paris,
1963, a cui si deve l’inquadramento teorico della categoria dell’o.p. economico
; si veda anche G. Ferrari, L'esclusività dei marchi nominativi in
rapporto alla limitabilità del nome ed all'ordine pubblico economico, in
St. Santoro Passarelli, II,
Napoli, 1972, 183 ss
[15] Così G. BIANCO, Ordine pubblico economico, , in Dig. pubbl.,
Torino, 2005, 438
[16] Così G. BIANCO, Considerazioni su Costituzione economica, ordine pubblico economico
e diritto comunitario della concorrenza, in Archivio Giuridico “Filippo
Serafini” 1995, n. 2-3, 185
[17] Così G. Bianco, Costituzione ed economia, Torino,
1999, 94
[18] Si veda L. Paladin,
Ordine pubblico, cit., 134, nonché G. BIANCO, Considerazioni,
cit. 181
[19] Così M. LUCIANI, Economia nel diritto
costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V, Torino
1990, 376
[20] A tale riguardo, come sottolineato da G. BIANCO in
Costituzione ed economia, cit., 198, “… Il Baudeau...
riteneva inutile e pericoloso introdurre
nella cultura giuspubblicistica europea un concetto “formale” di Costituzione
economica, per quanto non escludeva che l’accentuarsi dell’intervento
statale nella sfera economica avesse comportato l’introduzione di norme della
Costituzione economica anche nella Costituzione “politica”, come accadde, sia
pure con impostazioni differenti, nelle Costituzioni francesi del 1791 e del
1793…”
[21] Si veda in tal senso
M. LUCIANI Economia nel diritto costituzionale, cit., 374-375
[22] M. LUCIANI in
L'antisovrano e la crisi delle Costituzioni,
Rivista di diritto costituzionale, Milano,
1996, 124 ss., nota quindi come la figura in considerazione (o.p. economico)
debba considerarsi in antitesi con il “complesso di fini e valori della Costituzione” e possa piuttosto
essere ricollegata al precedente sistema corporativo fascista
[23] Così M. LUCIANI, Il brusco risveglio. i
controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, 5, reperibile all’indirizzo http://www.rivistaaic.it/il-brusco-risveglio-i-controlimiti-e-la-fine-mancata-della-storia-costituzionale.html
[24] Così F. ANGELINI, Ordine pubblico nel diritto comunitario,
in Dig. disc. pubbl., Torino,
2005, 521
[25] Nella dottrina straniera, ha negato l'esistenza
di un ordine pubblico comunitario autonomo M.C. BOUTARD LABARDE, L’ordre
public en droit communautaire, in AA.VV., L'ordre public à la fin du XXe siècle, Paris, 1996,
83
[26] Così CGE 28 ottobre 1975, causa 36/75, Roland Rutili c. Ministre
de l'Intérieur; CGE 4 dicembre 1974, causa 41/74 Yvonne van Duyn c. Home
office; CGE 27 ottobre 1977, causa 30/77, Regina c. Pierre Bouchererau, nella
quale si afferma che il richiamo all'ordine pubblico da parte degli Stati
membri presuppone sempre, “oltre alla
perturbazione dell'ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge,
l'esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli
interessi fondamentali della collettività”
[27] Cfr. CGE 9 giugno 1982 causa 95/81, Commissione c. Repubblica
italiana; CGE 4 maggio 1993, causa 17/92, Federación de
Distribuidores Cinematográficos (Fedicine) c. Governo spagnolo; CGE 30 aprile
1991, causa 239/90, SCP Boscher, Studer e Fromentin c. SA British Motors Wright
e altri. Il principio era stato già espresso nella causa 36/75, Roland Rutili
c. Ministre de l'Intérieur, cit.
[28] Così N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato,
Bari, 1998, 28
[29] Così N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., 29
[30] G.U. RESCIGNO, in Enc. giur.,Roma, 2001, 7, voce Costituzione economica
[31] G.U. RESCIGNO, Costituzione economica, cit.
[32] Per l’esame del caso trattato, si rinvia a
F. ANGELINI, Ordine pubblico
nel diritto comunitario, in Digesto
delle discipline pubblicistiche, cit.;
per la comunitarizzazione della nozione di o.p. comunitario, si vedano anche
CGE 11 maggio 2000, causa 38/98, Régie nazionale des usines Renault SA c.
Maxicar Spa, e CGE 28 marzo 2000, causa 7/98, Krombach c. Bamberski
[33] Così G.U. RESCIGNO, Costituzione economica, cit., 7
[34] Così M. LUCIANI, Il brusco risveglio. i controlimiti e la fine
mancata della storia costituzionale, cit.,
2-3
[35] Così F. LATTANZI in Dig. disc. pubbl., Torino
1987, 7, voce Autodeterminazione dei popoli
[36] Così F. LATTANZI, cit.
[37] Così L. BASSO, Discorso introduttivo, in Le multinazionali
sotto processo, Quaderni del Tribunale Russell 2, aprile 1975, n. 5, 6-13
[38] Così G. ARANGIO RUIZ, in Enc. giur., Roma, 1988, 5,
voce Autodeterminazione (diritto dei popoli alla)
[39] Così L. BASSO, Diritti degli uomini e diritti dei popoli, in
Il Futuro dell’uomo, gennaio-marzo 1979, 3-16
[40] Così L. BASSO, Diritti
degli uomini e diritti dei popoli, cit.
[41] U. ROMAGNOLI, Il sistema economico nella
Costituzione, in Giurisprudenza commerciale, Milano, novembre-dicembre 1975, 22
Magistrale analisi complessiva, posta in tre atti, sulla genesi della deriva dell'attuale Civiltà Moderna.
RispondiEliminaSalutoni e buone ferie.
Elmoamf
Certo che il lavoro di Francesco stimola una serie di riflessioni che vanno ben oltre all'oggetto in sé della "trilogia".
RispondiElimina1 - il problema delle "categorie": le "categorie" dovrebbero essere per definizione il fondamento di qualsiasi speculazione riduzionistica della realtà e dovrebbero essere insensibili di per sé alla disciplina (la Logica è insensibile all'oggetto indagato).
La stereotipizzazione del fascismo, poi strumentalizzata, rendendo l'infame dittatura una macchietta grazie al liberalismo hollywoodiano, ha portato all'estremo la precomprensione delle categorie, piegandole alle illegittime logiche dei rapporti di forza.
Gli Stati Uniti hanno l'apparato di repressione poliziesco più feroce al mondo ma sono campioni di democrazia e libertà; parlare di "ordine pubblico" invece è "fascista".
Dall'analisi di Francesco - che in sé obbliga a delle riflessioni - emerge che dietro a questa espressioni si nasconde la dialettica di due macrocategorie contrapposte: quella di "economia" e quella di "politica".
Nella Società dello Spettacolo - e nello Stato di diritto! - il nominalismo non è sempre tale e, di fatti, l'ermeneutica è fondamentale.
L'economia è cosmopolita come cosmopolita è la tecnica capitalistica; la politica è nazionale o, al più, internazionale nel senso proprio di relazione tra nazioni (ossia « popoli con una volontà politica », cfr. Schmitt)
(L'etica è radicata, la sociopatia no... si potrebbe fare un ritratto impietoso del cosmopolitismo borghese e del piddinismo liberal & radical degli amici di Soros)
All'ordine pubblico viene contrapposto - riducendo - l'ordine internazionale dei mercati.
Sono due categorie sociologicamente contrapposte: una permette di limitare l'inefficacia (internazionale) delle politiche sociali e democratiche tramite le forze dell'ordine, l'altra si limita a far presidiere con delle "milizie private" « Elysium ». (L'ordine pubblico economico poi, ovviamente, sscatena un materiale ordine di carattere politico-amministrativo).
2 - i popoli come soggetti della storia, sono quindi soggetti giuridici da tutelare?
Francamente non amo il nome "sovranismo" in quanto legittimante "l'antisovranismo", che è un "non sense"; si disperde la sovranità popolare e poi nazionale, ma non la sovranità tout court.
Se la sovranità appartiene al popolo si parla di democrazia.
Se la sovranità appartiene a qualche genere di ottimato si ha una forma di dittatura autoritaria.
Se la sovranità appartiene a qualche genere di ottimato di nazionalità estera, si ha una forma di ditattura autoritaria annichilente chiamata colonialismo. (O Unione Europea)
Sovranità è Potere e Potere è libertà. Cedere sovranità o cedere libertà sono la medesima cosa. Essere costretti ad usare una forma così grossolana a livello nominalistico ci allerta del momento drammatico che sta vivendo - non la classe lavoratrice italiana ed europea - ma l'umanità tout court che si costringe verso la tirannia della tecnica.
(Ricordando che una "tirannia illuminata" è come una nuotata senz'acqua
Insomma, nel classico termine Patria - impolitico nell'attuale frangente - si evince il radicamento, e il radicamento passato implica un germogliare e fruttare futuro.
La vita è un segmento che produce una linea continua e che costituisce la prima identità comunitaria e culturale della persona umana, che è quella della famiglia. Madre patria.
Consentimi una precisazione per evitare equivoci da parte dei sostenitori dell'auosufficienza dei diritti individuali di libertà:
Elimina- Sovranità "popolare" è Potere "democratico" e Potere democratico è libertà DI TUTTI I CITTADINI CHE FORMANO IL POPOLO.
Cedere sovranità popolare o cedere libertà di tutti i cittadini (tranne coloro che, in quanto elites, rendono possibile il colonialismo) sono la medesima cosa-.
Specificarlo non è ormai più un'ovvietà.
La distruzione delle risorse culturali (degli esseri umani componenti il popolo sovrano) è andata oltre il punto di non ritorno.
Dap/prima - non son giurista ma .. - va il "magna con laude" a Francesco, non il gesuita, con diritto di pubblicazione, ricevuta, nel "plintare" [ndr, mettere solide e scientifiche fondamenta] concetti divenuti vacui anche tra gli "emeriti".
EliminaDa/poi, pur concordando con i "templar knights" che "la distruzione delle risorse culturali (degli esseri umani componenti il popolo sovrano) è andata oltre il punto di non ritorno", verrebbe da considerare che lo schioppetante ritorno alla globale "durezza della vita" sia il piede d'argilla [ ma anche di "porco"] del gigantismo liberistico.
Silice [mediatica] senza allumina e ferro [culturale] non reggono la SStoria ..
3 - come è possibile che in pochi giorni, una persona che lavora e tiene famiglia, fa un'analisi filologicamente profonda e coerente con un numero sterminato di fonti e un branco di cialtroni, che dovrebbe fare solo questo per lavoro, in quarant'anni non ha prodotto nulla di sensato?
RispondiEliminaC'è un enorme problema di coscienza morale che, come distingue brillantemente Alberto con la differenza tra Scienza e Lascienza, non ha nulla a che fare con il moralismo sovrastrutturato.
A differenza del nostro, però, rivendico che la Natura è la madre della democrazia: ci ha fatto tutti diversi nella forma ma tutti eguali nella sostanza. La dialettica forma e sostanza, nella Società dello Spettacolo, è tutto.
La sofferenza generata dalla paura è uguale tanto nel ricco quanto nel povero.
Trovo alquanto curioso che siano i conservatori a dar delle gran lezioni sul change management e sulla resistenza al cambiamento. Ma si può?
Paradigmatico.
Ma mi può anche star bene: la natura ci ha fatto antropologicamente diversi in modo sostanziale? va bene.
Facciamo che i ricchi ed i rentiers si autoderminino nel loro feudo e che gli inetti delle classi inferiori si autodeterminino nel loro Stato nazione... voglio dire, non è che si possa pensare che un elitista sia solo un pelandrone corrotto e sociopatico, no?
Quarantotto, Francesco: grazie.
RispondiEliminaPresidente, le ho sentito spesso affermare che i totalitarismi del '900 non sono stati il frutto dei nazionalismi, come viene spesso detto, ma delle politiche liberiste e colonialistiche di matrice anglosassone. Potrebbe indicarmi uno o più testi dove io possa approfondire questo tema? Grazie.
RispondiEliminaBasta fare una ricerca sul blog (anche se la mia affermazione non è esattamente questa e non è "mia", ma propria di una parte consistente della più attendibile storiografia): l'argomento è stato più volte, molte, affrontato (ci sono vari posti di Bazaar, tra l'altro), con indicazioni bibliografiche e links.
Elimina