martedì 1 agosto 2017

ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONALE E ORDINE PRIVATO €UROPEO -1

http://www.ilparlamentare.it/wp-content/uploads/articolo-uno-costituzione.jpg

L'argomento che viene ora affrontato, da questo articolo di Francesco Maimone, suddiviso in tre parti, è di cruciale e attualissima importanza. Un ordine pubblico per così dire "speciale", riservato cioè ad una sfera dell'economia presuntamente separata, non è evidentemente configurabile in una Repubblica fondata sul lavoro (art.1 Cost.). 
E sempre intendendo il concetto di lavoro nei termini estesi e non delimitati al lavoro dipendente "manuale", precisati da Lelio Basso (qui, p.4) e, in definitiva, (come illustrano i primi capitoli di "La Costituzione nella palude"), condivisi dall'Assemblea Costituente.
Se, come dovrebbe essere ormai chiaro, la nostra Costituzione nasce dichiaratamente in contrapposizione con il modello liberista (al tempo già "neo"), individuato come "antagonista" in quanto ritenuto, (a ragione), causa prima del regime che aveva sostituito, e se, proprio per non confondersi con gli eccessi autoritari di tale regime, in Costituzione non viene enfatizzato direttamente un concetto generale di ordine pubblico che potesse essere ristretto alla mera sicurezza pubblica e all'attività repressiva poliziesca, ne discende che l'ordine pubblico nel nuovo ordine democratico-sostanziale repubblicano, si compendia in un concetto che non legittima alcuna separazione tra la materia dell'interesse generale alla pacifica e ordinata convivenza sociale e quella del perseguimento dei fini economico-sociali dell'intervento redistributivo ex ante dello Stato (qui, p.10).
Pertanto, l'accezione di ordine pubblico ricavabile dalla nostra Costituzione, e come tale prioritariamente vincolante per il Legislatore e per ogni decisione di politica generale, compresa la ratifica dei trattati e l'adesione a qualsiasi organizzazione economica internazionale, non può che investire quella "pace solidale" tra classi sociali, proposta come soluzione permanente al conflitto sociale (principalmente di natura economica) che la Costituzione aveva stabilito di risolvere attraverso la democrazia sociale che Mortati definì come "necessitata" (qui, p.1).
Questa ricostruzione, le cui premesse essenziali sono illustrate in questo primo post, fa comprendere come i problemi di ordine pubblico, - sia sociali e attinenti alla pubblica sicurezza (in primis il problema dell'immigrazione no-limits, propugnata dalla disciplina €uropea, non senza gigantesche contraddizioni interne al suo stesso "diritto")-, e i problemi di ordine pubblico "economico", oggi richiamati con la formula dell'interesse nazionale, riscoperto in modo irreparabilmente tardivo e pre-elettorale, si pongono per un unica e comune causa scatenante: l'adesione a l'UE e, in particolare, alla moneta unica.
Questo problema, per quanto eluso da troppo tempo, dovrà inevitabilmente essere affrontato nei prossimi mesi ed anni, nonostante la demagogia irenica, e priva di riscontri fattuali anche minimi, che circonda L€uropeismo istituzionalmente dominante in Italia, protratto contro ogni evidenza della sua contrarietà alla Costituzione, ed ignorando gli interessi democratici del popolo sovrano.

ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONALE E ORDIN€ PRIVATO COMUNITARIO – UN PERCORSO METONIMICO DEI DIRITTI FONDAMENTALI

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjT8Ey1381ZXPKsnFRLZJcbgEMDayWZulytEtYdY0qDbtNB_toWCz_0Y-ca5jhNSE8AoFofki-iqMyRhkyDvd_7MwTRy-oYuscIPmySW7Hs3Yq8HEwa3fqYhqr2X9a-cLQJJXd2gM-vJ0I/w1200-h630-p-k-no-nu/barra-caracciolo%5B1%5D.JPG


Una volta riconosciuta la vera natura dell'uomo, e riconosciuto l'uomo come realtà fondamentale, ne deriva che la comunità degli uomini, cioè i popoli e le minoranze nazionali, sono i veri soggetti della storia e che lo Stato non è che uno degli strumenti di cui il popolo si serve per agire ma è nulla per se stesso, non ha o non dovrebbe avere altri poteri se non quelli che gli sono attribuiti dalla collettività popolare per i propri fini pratici. Soggetti di storia e anche soggetti di diritto sono quindi i popoli, e in primo luogo del diritto di autodeterminazione latu sensu inteso, cioè nei confronti dell'esterno come indipendenza e sovranità reale, e nei riguardi interni come democrazia e sovranità popolare

[L. BASSO, Per la pace oggi, in La Società, dicembre 1978, n. 19]

La nozione di ordine pubblico costituzionale (come categoria unitaria)

1. Il precipitare inesorabile degli “eventi” economico-sociali che stanno travolgendo il nostro Paese – in una continuità pluridecennale apparentemente inarrestabile che intende, con la “durezza dei fatti”, liquidare la democrazia italiana per mano dell’ordine sovranazionale dei mercati – ci impone vieppiù di focalizzare l’attenzione su categorie e/o concetti giuridici “di base” (come in questa sede quello di “ordine pubblico”) i quali, nell’attuale frangente storico, sembrano aver subito una sorta di rabbioso e definitivo ostracismo dal mondo del diritto tramite una loro trasmutazione semantica
Quando, s’intende, non formino tema per esternazioni espertologiche da parte di soggetti a dir poco inadeguati.
Un tale sforzo, teso in prima battuta a rilevare la palese irrazionalità di quegli stessi eventi avvertiti (melius, subìti) dagli italiani come realtà scontata ed incontrovertibile in nome dell’€uropa, si pone a valle dell’estremo ed audace obiettivo di un reazione popolare, finalizzata al recupero di quella piena sovranità democratica; in questa sede viene tale locuzione viene assunta – senza alcun margine di retorica - come diritto stesso alla vita ed alla conservazione della comunità nazionale, sempre che la stessa – ovviamente – intenda ancorsa porsi come legittima aspirazione quella di esistere autodeterminandosi.
Potrà infatti sembrare bizzarro al mainstream neo-ordolib€rista, ma è alquanto elementare, come affermato con una punta di amara ironia da M. LUCIANI, che “Nei sistemi democratici, i cittadini hanno questo di caratteristico: che i cittadini vorrebbero contare qualcosa nelle decisioni che toccano l’intera comunità politica. Forse si sbaglieranno, ma questa è la loro aspirazione[1].

2. Orbene, si rileva sin da subito che la Costituzione italiana non menziona espressamente (se si esclude qui la recente riforma del titolo V che prevede, all'art. 117, la materia o.p., intesa come sicurezza pubblica, fra quelle di competenza esclusiva dello Stato) la nozione di “ordine pubblico
Ciò, come è stato rilevato, probabilmente dipende dal fatto che nella normativa pre-costituzionale era emersa una “stretta associazione tra ordine pubblico, poteri di polizia e fascismo”; di conseguenza, una tale sinapsi sembra aver “determinato un trauma tra i deputati all'assemblea costituente, inducendo in loro una sorta di rigetto verso la stessa espressione[2].
L’esame dei lavori dell’Assemblea Costituente pare confermare un tale assunto. In via esemplificativa, si consideri infatti che il progetto di quello che sarebbe divenuto l’art. 19 Cost. (e che prevedeva il riconoscimento a tutti del diritto di professare la propria fede religiosa e di farne propaganda purché non si trattasse di “principi o di riti contrari all’ordine pubblico…”), in sede di approvazione venne emendato mediante la soppressione di ogni riferimento tanto ai “principi” quanto allo “ordine pubblico”, espressione quest'ultima ritenuta “ancor più pericolosa, più rischiosa, ricca di tentazioni per chi ha il potere e può servirsene per i suoi scopi particolari”, come ebbe a dichiarare l’on. Binni durante la seduta del 12.04.1947.
Lo stesso può affermarsi in relazione al testo del futuro art. 17 Cost..
Nella Relazione all'Assemblea Costituente redatta dal relativo Ministero, la Sottocommissione per i problemi costituzionali riconosceva infatti che fosse affermato “il diritto di riunione in luogo pubblico con preavviso all’autorità, che ha facoltà di divieto esclusivamente per comprovata ragione di ordine pubblico[3]; nel testo approvato definitivamente, invece, la formula “comprovata ragione di ordine pubblico” fu modificata in “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

3. La mancanza della nozione di ordine pubblico in Costituzione e la lettura delle sue disposizioni sembrerebbe perciò, a primo acchito, dar ragione al pensiero di quella parte della dottrina (per tutti C. LAVAGNA) [4] la quale assume il concetto di o.p. in senso materiale. In sostanza, il Costituente avrebbe affrontato il problema dell’o.p. scomponendolo nei suoi elementi (incolumità, sicurezza, salute, buon costume), ognuno dei quali sarebbe stato impiegato in modo isolato (o combinato) come limite di singole libertà, ma non di tutte.
Si pensi, in proposito, alla sicurezza come limite alla libertà di circolazione (art. 16) ed alla libertà di riunione (art. 17); alla incolumità pubblica come limite alla libertà domiciliare (art. 14) ed alla libertà di riunione (art. 17); alla sanità come limite alla libertà domiciliare (art. 14) ed alla libertà di circolazione (art. 16); al buon costume come limite alla libertà di culto (art. 19) ed alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21).
Di conseguenza, l’o.p. non fungerebbe da limite immanente per ciascuna libertà civile, ma la regola si sostanzierebbe nella previsione di un criterio più analitico che differenzia e considera la disciplina di ciascuna libertà in relazione a specifici interessi di volta in volta considerati. Inteso in questo senso, l’o.p. è anche qualificato come materiale-amministrativo, che è proprio dello Stato persona e si mostra nei compiti di polizia e sicurezza pubblica, individuando “lo svolgersi regolare e pacifico delle attività umane nella comunità statale” (N. PALAIA) [5] tutelato per mezzo, soprattutto, di norme di pubblica sicurezza e di diritto penale.

4. La considerazione logica, tuttavia, secondo cui “la violazione dell’o.p. c.d. materiale si accompagna sempre ad una certa violazione dei valori” e dei principi del sistema [6] ha permesso alla dottrina costituzionalisica di ampliare il suddetto concetto “riduzionistico” per affermare altresì la nozione di c.d. ordine ideale o normativo, la cui tutela spetterebbe di contro allo Stato-ordinamento. Inteso in questo senso, l’o.p. ideale individua invece il sistema coerente ed unitario di valori e di princìpi che informano e fondano un ordinamento [7], e perciò quell’insieme di principi ritenuti, a certi fini, non derogabili (A. CERRI) [8].
E’ C. MORTATI, allorché tratta dei principi generali dell’organizzazione dello Stato e del contenuto degli atti di autonomia privata in relazione alla loro causa, ad illustrarci con chiarezza che in presenza degli stessi sorge sempre “… l’esigenza di valutare la conformità del loro scopo pratico agli interessi fondamentali dell’ordinamento, che costituiscono il limite posto alla libertà di scelta…: limite che attiene alle esigenze del mantenimento del c.d. “ordine pubblico”, nel quale sono da far rientrare le esigenze etiche medie o il minimo etico di una data comunità storica, nonché quelle dell’assetto politico fondamentale[9].
L’assunzione più corretta di o.p. in senso ideale come quello testè riportato consente (impone) peraltro – proprio in considerazione degli interessi fondamentalissimi in gioco e che sono ad esso sottesi - di anticiparne la tutela, ovvero di pretendere la reazione dell’ordinamento non solo in presenza di una concreta violazione in atto, ma soprattutto in presenza di una “minaccia anche remota al sistema di governo vigente” (A. CERRI) [10].

5. E la giurisprudenza della Corte Costituzionale – seppur con profili che non si possono esaminare analiticamente in questa sede per ragioni di spazio - pare aver assunto proprio in senso “ideale” la nozione di o.p., allorchè ha statuito quanto segue:
“… L'esigenza dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non é affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né é incompatibile con essi. In particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato nella Costituzione vigente, e basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (art. 1), sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero della legge (artt. 54, 76-79, 97-98, 101, ecc.), é connaturale un sistema giuridico, in cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non possono esser realizzati se non con gli strumenti e attraverso i procedimenti previsti dalle leggi, e non é dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione …. Tale sistema rappresenta l'ordine istituzionale del regime vigente; e appunto in esso va identificato l'ordine pubblico del regime stesso…
l'ordine pubblico é un bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle inoperanti … - sia finalità immanente del sistema costituzionale… la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite insuperabile nella esigenza che attraverso l'esercizio di essi non vengano sacrificati beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale, quando si tratti di beni che - come l'ordine pubblico - sono patrimonio dell'intera collettività[11].

6. Da quanto detto sinora, può affermarsi con sufficiente certezza che la nozione generale di ordine pubblico” in senso costituzionale deve essere intesa come categoria comprendente i valori e i principi fondamentali dell’ordinamento (artt. 1-12 Cost.) - patrimonio dell’intera collettività che rappresentano lo spirito informatore essenziale e necessitato della nostra forma di Stato e di Governo e che, come tali, non possono essere modificati.
Assunto in questa accezione, è chiaro che l’o.p. si atteggi dunque a limite generale ed invalicabile posto dal diritto pubblico a tutela degli interessi generali, ovvero un katéchon avente “funzione conservatrice” (G.B. FERRI) [12] di quegli stessi valori e principi fondamentali che, in mancanza di detto limite, rischierebbero logicamente di essere disfatti in uno con l’intera comunità nazionale.
Il compito della categoria esaminata è ben compendiata da F. GAZZONI il quale, in definitiva, ritiene possa parlarsi di di o.p. come “… una esigenza politica e conservatrice ... manifestazione addirittura terminologica della volontà della classe dirigente di GARANTIRE LA STABILITÀ DEL REGIME CONTRO OGNI ATTIVITÀ CONDOTTA SUL PIANO GIURIDICO E DIRETTA A PORRE IN DISCUSSIONE LE FONDAMENTA SU CUI LA SOCIETÀ, DA ESSA ESPRESSA, SI REGGE .... Esso deve intervenire quale ultima ratio quando una determinata operazione non è di per sé vietata da puntuali norme imperative, ma si presenta in opposizione o comunque è reputata eversiva rispetto alle strutture sociali…[13]
[NdQ: va fatta al riguardo una necessaria precisazione: la terminologia "conservatrice" non può essere assunta nel senso di orientamento politico conservatore, inteso come quello che privilegia l'intangibilità dei rapporti di forza economici impostisi per via del (mal)funzionamento strutturale del "mercato", e poi tradottisi in un assetto istituzionale che li cristallizzi. Non può esserlo proprio con riferimento alla nostra Costituzione: essa, infatti, è volta al superamento definitivo di un tale assetto, ma, proprio per questo, ciò che si "conserva", nell'apprestargli la difesa dovuta ai suoi principi inderogabili, è un assetto pluriclasse e progressista contro ogni tendenza restauratrice dell'ordine oligarchico dei poteri economici di fatto, che, infatti, i nostri Costituenti avevano previsto e cercato di scongiurare].

7. Negli sforzi ricognitivi e ricostruttivi della dottrina, tuttavia, la nozione di ordine pubblico presenta, come abbiamo visto, una certa varietà polisemica e contenutistica. Perciò, sulla scia della dottrina francese degli anni cinquanta e sessanta (G. FARJAT) [14], è stato anche elaborato il concetto di c.d. ordine pubblico economico rapportato al principio di solidarietà economica e all'interventismo statale dei sistemi europei continentali di economia mista (in Italia, artt. 3, comma II, e 4 Cost.).
7.1. La dottrina (G. BIANCO) argomenta così che accanto alla tradizionale e generale nozione di o.p. “… tipica degli Stati monoclasse liberali fondati sui sistemi economici di matrice liberistica, cui sono di volta in volta corrisposti “una varietà di contenuti vicendevolmente irriducibili”, e che è sostanzialmente coinciso con “un riflesso immanente nell'ordinamento”, “un limite onnipresente per qualsiasi attività che si spieghi nel campo del diritto”, si è ritenuto l'ordine pubblico economicoil fine che l'azione dei pubblici poteri, nella sfera economica, mira a conseguire ed il limite all'attività economica degli imprenditori”, o pure come “la previsione costituzionale di un insieme di limiti generali all'autonomia dei soggetti privati e di esplicazione delle fondamentali direttive del sistema economico …” [15].

7.2. La stessa dottrina ha quindi sostenuto che la nozione in discorso costituirebbe un o.p. di tipo “funzionale[16] da qualificare come “categoria ermeneutica generale utile per comprendere la struttura normativa della Costituzione economica alla luce dei principi fondamentali della Costituzione stessa[17].
In definitiva, ci troveremmo di fronte ad una categoria riassuntiva delle fondamentali regole del sistema economico ricavabili dallo stretto nesso sussistente, nella Costituzione vigente, tra i principi costituzionali fondamentali che sanciscono come fini indeclinabili il principio d'eguaglianza sostanziale ed il diritto al lavoro (artt. 3, comma II, e 4 Cost.) e le disposizioni della c.d. costituzione economica (artt. 36-47 Cost.), avuto riguardo in particolar modo alle clausole sociali (“utilità sociale” e “funzione sociale”) che limitano la garanzia costituzionale dei diritti d'iniziativa economica, della proprietà privata e della proprietà terriera (artt. 41, 42 e 44 Cost.) (L. PALADIN) [18].

8. A ben vedere, però, al di là della funzione definitoria sintetizzata nella formula “o.p. economico” associato alle sole norme della costituzione economica come contrapposta a quella di o.p. tout court, bisogna ancora una volta avvertire come la prima non possa assurgere a categoria scientifica autonoma rispetto all’insieme della Costituzione nel suo complesso, definita magistralmente da Lelio Basso come “armonia complessa” e nella quale sono fissati, in maniera unitaria, i fini primi ed incondizionati dell’ordinamento nonchè gli strumenti necessari al raggiungimento degli stessi.
Si deve cioè ribadire, in proposito (p. 11), che di “costituzione economica” (e quindi di o.p. economico) può parlarsi esclusivamente in senso nominalistico o descrittivo, dal momento che non è possibile scomporre il testo costituzionale in più parti in modo da considerare gli artt. 36-47 Cost. come un “sistema chiuso” ed avulso dal “complesso della Costituzione” (M. LUCIANI) [19].

8.1. Difatti, è tale incauta ed indebita dicotomia - legata a doppia mandata con l’antica incomprensione del diritto eurounitario da parte dei giuspubblicisti italiani – ad aver consentito un’illecita manovra di “isolamento” delle norme che disciplinano gli strumenti di politica economica (di appurata matrice keynesiana) necessari alla realizzazione della democrazia sociale; operazione che, lasciando dette norme interamente nella disponibilità del legislatore ordinario mediante l’assimilazione del diritto €uropeo dei Trattati, ha determinato il radicale stravolgimento dei profili originali e caratterizzanti la Costituzione italiana, rimasta oramai indifesa finanche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, la cui elaborazione della c.d. teoria dei controlimiti appare sempre più come una splendida opera rimasta ad oggi incompresibilmente incompiuta (G. BIANCO) [20].
D’altronde, in sede di Assemblea Costituente, l’on. Arata aveva avvertito che “se vi è una materia nella quale deve essere eliminata ogni avventurosa leggerezza, questa è proprio la materia economico-sociale”.

8.2 Dunque, lungi dall’avallare uno “sdoppiamento” di significati del sostantivo “Costituzione”, si può piuttosto continuare a parlare di costituzione economica - e quindi di o.p. economico - solo come metodo di analisi e di studio del diritto dell’economia diretto a focalizzare l’attenzione sui legami logici ed indifettibili che intercorrono tra i principi (e diritti) fondamentali e la regolazione giuridica dell’economia, analisi e metodo compendiabili nella formula disciplina costituzionale dei rapporti economici[21] la quale include, di necessità, gli scopi invariabili dello Stato interventista per realizzare la preminenza della dignità dei lavoratori (=scopo) sulla materia economica (=mezzo) (M. LUCIANI) [22]. 
Tutto ciò almeno in teoria.

3 commenti:

  1. La domanda è già posta in un'accezione interpretativa peculiare, che si potrebbe qualiuficare filo-€uropeista (ciò può essere involontario o meno: per lo più dipende dal modo in cui oggi viene insegnato il diritto nelle università).

    Sull'art.117 Cost. - e la sua interpretazione accolta in questa sede- è agevole fare la ricerca dei post già pubblicati in argomento.

    In verità un "conflitto teleologico" fra ordinamenti, - in specie tra quello dell'organizzazione economica liberoscambista detta UE e quello della Costituzione repubblicana, democratica e fondata sul lavoro-, si può porre solo fra norme di livello equiparato: il che, pure secondo la teoria dei controlimiti enunciata dalla Corte costituzionale, non può darsi, per definizione, nel caso considerato.
    Ma ci sono anche nel post links per approfondire.

    RispondiElimina
  2. Con il permesso del Presidente, sulla portata dell’art. 117, comma I, Cost. in relazione all’art. 10 Cost. nonché sulla sua valenza (sopravvalutata e presuntivamente “vincolante”) nella rivisitazione ad opera della riforma costituzionale poi bocciata dagli italiani, Quarantotto si è espresso in maniera chiara qui e poi di nuovo qui .

    Il problema non è quella norma presa singolarmente, ma semmai – per cercare di restare in tema – è relativo alla portata dell’intera riforma del titolo V della Carta attuata con L. Cost. n. 3/2001. Dietro ad una farlocca (e pasticciata) riforma sbandierata come “federalista”, si nasconde molto di più, ovvero la costituzionalizzazione del principio di “sussidiarietà” (v. in particolare artt. 118 e 120 Cost.) di matrice europ€ista. Ma la gente non deve capire.

    Tale principio nasce già, in senso “orizzontale”, con la costruzione del mercato comune (nel principio della “concorrenza” e nelle quattro libertà è possibile rinvenire un’attuazione di tale principio: un sistema che affida al mercato il compito di autodisciplinarsi e che limita l’intervento pubblico ad ipotesi ben definite in cui l’iniziativa privata appare inidonea al raggiungimento degli obbiettivi posti), continua in senso “verticale” con l’Atto Unico (cfr. l’abrogato art 130 R, paragrafo 4, in materia ambientale) e si consacra definitivamente con Maastricht nel cui trattato emerge in più punti(cfr. penultimo punto del preambolo ove gli Stati membri si dichiarano “decisi a portare avanti il processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini conformemente al principio di sussidiarietà”).

    Non sto a dilungarmi sulla contiguità di detto principio neoliberista con la dottrina cattolica, se n’è parlato più volte. E continuando per decenni a veicolare sottotraccia su un principio così innocente con slogan orwelliani, ci ritroviamo costruito dai neo-ordoliberisti un nuovo modello sociale , in cui prevalgono l’individualismo e le tanto amate relazioni tra i “corpi sociali intermedi”.

    Per i diversamente €uropeisti e PDioti di ogni risma, l’idea di fondo, trasposta a livello costituzionale e contro ogni principio fondamentale (non ultimo quello di solidarietà ex art. 2 Cost.), è per l’ennesima volta la seguente: bisogna abituarsi a fare a meno dello Stato e del suo intervento , un po' perché lo Stato è inefficiente per definizione, corrotto e zozzo, un po' perché in fondo è più morale cavarsela da soli. Ma soprattutto… perché non ci sono le risorse o le stesse sono sempre limitate (e perché, caro Virgilio, anche tu hai vissuto - come tutti noi - al di sopra delle tue possibilità). Ma tutto ciò è vero? Se segui il blog, la risposta non dovrebbe essere difficile. E’ l’analisi economica del diritto (costituzionale)

    RispondiElimina
  3. Infatti: l'analisi economica del diritto pubblico (perciò anche dei trattati, correttamente assunti nella loro funzione giustificativa) è un metodo fenomenologico di interpretazione che presuppone la costante individuazione del modo di atteggiarsi del conflitto sociale, ritraendolo dagli effetti economici EFFETTIVI (cioè misurati e misurabili in base ai dati ed alle regole attendibili della scienza economica) delle norme-istituzioni.

    Quanto allo specifico art.117 - ex riforma del 2001, COSì COME ex riforma bocciata- era per questo che invitavo a FARE una ricerca sul blog:
    http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-costituzionalizzazione-del-vincolo.html
    http://orizzonte48.blogspot.it/2016/09/quaestiones-d-referendi-subtilitatibus-1.html

    RispondiElimina