L'argomento che viene ora affrontato, da questo articolo di Francesco Maimone, suddiviso in tre parti, è di cruciale e attualissima importanza. Un ordine pubblico per così dire "speciale", riservato cioè ad una sfera dell'economia presuntamente separata, non è evidentemente configurabile in una Repubblica fondata sul lavoro (art.1 Cost.).
E sempre intendendo il concetto di lavoro nei termini estesi e non delimitati al lavoro dipendente "manuale", precisati da Lelio Basso (qui, p.4) e, in definitiva, (come illustrano i primi capitoli di "La Costituzione nella palude"), condivisi dall'Assemblea Costituente.
Se, come dovrebbe essere ormai chiaro, la nostra Costituzione nasce dichiaratamente in contrapposizione con il modello liberista (al tempo già "neo"), individuato come "antagonista" in quanto ritenuto, (a ragione), causa prima del regime che aveva sostituito, e se, proprio per non confondersi con gli eccessi autoritari di tale regime, in Costituzione non viene enfatizzato direttamente un concetto generale di ordine pubblico che potesse essere ristretto alla mera sicurezza pubblica e all'attività repressiva poliziesca, ne discende che l'ordine pubblico nel nuovo ordine democratico-sostanziale repubblicano, si compendia in un concetto che non legittima alcuna separazione tra la materia dell'interesse generale alla pacifica e ordinata convivenza sociale e quella del perseguimento dei fini economico-sociali dell'intervento redistributivo ex ante dello Stato (qui, p.10).
Pertanto, l'accezione di ordine pubblico ricavabile dalla nostra Costituzione, e come tale prioritariamente vincolante per il Legislatore e per ogni decisione di politica generale, compresa la ratifica dei trattati e l'adesione a qualsiasi organizzazione economica internazionale, non può che investire quella "pace solidale" tra classi sociali, proposta come soluzione permanente al conflitto sociale (principalmente di natura economica) che la Costituzione aveva stabilito di risolvere attraverso la democrazia sociale che Mortati definì come "necessitata" (qui, p.1).
Questa ricostruzione, le cui premesse essenziali sono illustrate in questo primo post, fa comprendere come i problemi di ordine pubblico, - sia sociali e attinenti alla pubblica sicurezza (in primis il problema dell'immigrazione no-limits, propugnata dalla disciplina €uropea, non senza gigantesche contraddizioni interne al suo stesso "diritto")-, e i problemi di ordine pubblico "economico", oggi richiamati con la formula dell'interesse nazionale, riscoperto in modo irreparabilmente tardivo e pre-elettorale, si pongono per un unica e comune causa scatenante: l'adesione a l'UE e, in particolare, alla moneta unica.
Questo problema, per quanto eluso da troppo tempo, dovrà inevitabilmente essere affrontato nei prossimi mesi ed anni, nonostante la demagogia irenica, e priva di riscontri fattuali anche minimi, che circonda L€uropeismo istituzionalmente dominante in Italia, protratto contro ogni evidenza della sua contrarietà alla Costituzione, ed ignorando gli interessi democratici del popolo sovrano.
ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONALE E ORDIN€ PRIVATO COMUNITARIO – UN PERCORSO METONIMICO DEI DIRITTI FONDAMENTALI
“Una
volta riconosciuta la vera natura dell'uomo,
e riconosciuto l'uomo come realtà
fondamentale, ne deriva che la comunità
degli uomini, cioè i popoli e le minoranze
nazionali, sono i veri
soggetti della storia e che lo Stato non è che uno degli strumenti di cui il popolo si serve per agire ma è nulla per se stesso, non ha o non
dovrebbe avere altri poteri se non quelli
che gli sono attribuiti dalla collettività
popolare per i propri fini pratici. Soggetti
di storia e anche soggetti di diritto
sono quindi i popoli, e in primo luogo del diritto di autodeterminazione latu sensu inteso, cioè nei
confronti dell'esterno come indipendenza e sovranità reale, e nei
riguardi interni come democrazia e sovranità popolare”
[L. BASSO,
Per la pace oggi, in La Società, dicembre 1978, n. 19]
La nozione di ordine pubblico
costituzionale (come categoria unitaria)
1. Il precipitare inesorabile degli “eventi” economico-sociali che stanno travolgendo il nostro
Paese – in una continuità pluridecennale apparentemente
inarrestabile che intende, con la “durezza dei fatti”, liquidare la democrazia italiana
per mano dell’ordine sovranazionale dei mercati – ci impone vieppiù
di focalizzare l’attenzione su categorie e/o concetti giuridici “di
base” (come in questa sede quello di “ordine
pubblico”) i quali, nell’attuale frangente storico, sembrano aver subito
una sorta di rabbioso e definitivo ostracismo dal mondo del diritto tramite una
loro trasmutazione semantica.
Quando, s’intende, non formino tema per
esternazioni espertologiche da parte di soggetti a dir poco inadeguati.
Un tale sforzo, teso in prima battuta a rilevare la palese irrazionalità
di quegli stessi eventi avvertiti (melius,
subìti) dagli italiani come realtà scontata ed incontrovertibile
in nome dell’€uropa, si pone a valle dell’estremo ed audace obiettivo di un reazione popolare, finalizzata al recupero di quella piena sovranità democratica; in questa sede viene
tale locuzione viene assunta – senza alcun margine di retorica - come diritto stesso alla vita ed alla
conservazione della comunità nazionale, sempre che la stessa – ovviamente – intenda
ancorsa porsi come legittima aspirazione quella di esistere autodeterminandosi.
Potrà infatti sembrare bizzarro al mainstream neo-ordolib€rista, ma è alquanto elementare, come
affermato con una punta di amara ironia da M. LUCIANI, che “… Nei
sistemi democratici, i cittadini hanno
questo di caratteristico: che i
cittadini vorrebbero contare qualcosa nelle decisioni che toccano l’intera
comunità politica. Forse si sbaglieranno, ma questa è la loro aspirazione…”
[1].
2. Orbene, si rileva sin da subito che la
Costituzione italiana non menziona espressamente (se si esclude qui la recente
riforma del titolo V che prevede, all'art. 117, la materia o.p., intesa
come sicurezza pubblica, fra quelle di competenza esclusiva dello Stato) la
nozione di “ordine pubblico”.
Ciò,
come è stato rilevato, probabilmente dipende dal fatto che nella normativa pre-costituzionale
era emersa una “stretta associazione tra ordine pubblico, poteri di
polizia e fascismo”; di conseguenza, una tale sinapsi sembra aver “determinato un trauma tra i deputati
all'assemblea costituente, inducendo in loro una sorta di rigetto verso la
stessa espressione” [2].
L’esame dei lavori dell’Assemblea Costituente pare confermare un tale
assunto. In via esemplificativa, si consideri infatti che il progetto di quello
che sarebbe divenuto l’art. 19 Cost. (e che prevedeva il riconoscimento a
tutti del diritto di professare la propria fede religiosa e di farne propaganda
purché non si trattasse di “principi o di
riti contrari all’ordine pubblico…”), in sede di approvazione venne emendato
mediante la soppressione di ogni riferimento tanto ai “principi” quanto allo “ordine
pubblico”, espressione quest'ultima ritenuta “ancor più pericolosa, più rischiosa, ricca di tentazioni per chi ha il
potere e può servirsene per i suoi scopi particolari”, come ebbe a
dichiarare l’on. Binni durante la seduta del 12.04.1947.
Lo stesso può affermarsi in relazione
al testo del futuro art. 17 Cost..
Nella Relazione all'Assemblea
Costituente redatta dal relativo Ministero, la Sottocommissione per i problemi
costituzionali riconosceva infatti che fosse affermato “il diritto
di riunione in luogo pubblico con preavviso all’autorità, che ha
facoltà di divieto esclusivamente per comprovata ragione di ordine pubblico” [3]; nel testo approvato definitivamente, invece, la formula “comprovata ragione di ordine pubblico”
fu modificata in “comprovati motivi di
sicurezza o di incolumità pubblica”.
3. La
mancanza della nozione di ordine pubblico in Costituzione e la lettura delle sue
disposizioni sembrerebbe perciò, a primo acchito, dar ragione al pensiero di
quella parte della dottrina (per tutti C. LAVAGNA) [4] la quale assume il concetto di o.p. in senso materiale.
In sostanza, il Costituente avrebbe affrontato il problema dell’o.p. scomponendolo
nei suoi elementi (incolumità, sicurezza, salute, buon costume), ognuno dei
quali sarebbe stato impiegato in modo isolato (o combinato) come limite
di singole libertà, ma non di
tutte.
Si pensi, in proposito, alla
sicurezza come limite alla libertà di circolazione (art. 16) ed alla
libertà di riunione (art. 17); alla incolumità pubblica come limite alla
libertà domiciliare (art. 14) ed alla libertà di riunione (art. 17);
alla sanità come limite alla libertà domiciliare (art. 14) ed alla libertà
di circolazione (art. 16); al buon costume come limite alla libertà di
culto (art. 19) ed alla libertà di manifestazione del pensiero
(art. 21).
Di conseguenza, l’o.p. non fungerebbe
da limite immanente per ciascuna libertà civile, ma la regola si sostanzierebbe
nella previsione di un criterio più analitico che differenzia e considera la
disciplina di ciascuna libertà in
relazione a specifici interessi di volta in volta considerati. Inteso in questo
senso, l’o.p. è anche qualificato come materiale-amministrativo, che è
proprio dello Stato persona e si mostra nei compiti di polizia e sicurezza
pubblica, individuando “lo svolgersi
regolare e pacifico delle attività umane nella comunità statale” (N. PALAIA) [5] tutelato per mezzo, soprattutto,
di norme di pubblica sicurezza e di diritto penale.
4. La
considerazione logica, tuttavia, secondo cui “la violazione dell’o.p. c.d. materiale si accompagna sempre ad una
certa violazione dei valori” e dei principi del sistema [6] ha
permesso alla dottrina costituzionalisica di ampliare il suddetto concetto “riduzionistico”
per affermare altresì la nozione di c.d. ordine ideale o normativo,
la cui tutela spetterebbe di contro allo Stato-ordinamento. Inteso in questo
senso, l’o.p. ideale individua invece il “sistema coerente ed
unitario di valori e di princìpi” che informano e
fondano un ordinamento [7], e perciò
quell’insieme di principi “ritenuti, a certi fini, non derogabili” (A. CERRI) [8].
E’ C. MORTATI, allorché tratta
dei principi generali dell’organizzazione dello Stato e del contenuto degli
atti di autonomia privata in relazione alla loro causa, ad illustrarci con
chiarezza che in presenza degli stessi sorge sempre “… l’esigenza di valutare la conformità del loro scopo pratico agli interessi fondamentali
dell’ordinamento, che costituiscono il limite posto alla libertà di
scelta…: limite che attiene alle
esigenze del mantenimento del
c.d. “ordine pubblico”, nel quale sono da far rientrare le esigenze etiche
medie o il minimo etico di una data comunità storica, nonché quelle
dell’assetto politico fondamentale…” [9].
L’assunzione più corretta di o.p. in
senso ideale come quello testè riportato consente (impone)
peraltro – proprio in considerazione degli interessi fondamentalissimi
in gioco e che sono ad esso sottesi - di anticiparne la tutela,
ovvero di pretendere la reazione dell’ordinamento non solo in presenza di una
concreta violazione in atto, ma soprattutto in presenza di una “minaccia anche remota al sistema di governo
vigente” (A. CERRI) [10].
5. E la
giurisprudenza della Corte Costituzionale – seppur con profili che
non si possono esaminare analiticamente in questa sede per ragioni di
spazio - pare aver assunto proprio in senso “ideale” la nozione di
o.p., allorchè ha statuito quanto segue:
“… L'esigenza dell'ordine pubblico,
per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non é
affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né é incompatibile
con essi. In particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato nella
Costituzione vigente, e basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (art. 1),
sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero della legge (artt.
54, 76-79, 97-98, 101, ecc.), é connaturale un sistema giuridico, in cui gli
obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non possono esser
realizzati se non con gli strumenti e attraverso i procedimenti previsti dalle
leggi, e non é dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe
attraverso forme di coazione …. Tale sistema rappresenta l'ordine istituzionale
del regime vigente; e appunto in esso va identificato l'ordine pubblico del
regime stesso…
… l'ordine pubblico é un bene inerente al vigente sistema
costituzionale,
non può del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di preservazione delle strutture giuridiche
della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a
modificarle o a renderle inoperanti … - sia finalità immanente del sistema
costituzionale… la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite
insuperabile nella esigenza che attraverso l'esercizio di essi non vengano
sacrificati beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale, quando si tratti di beni che - come l'ordine
pubblico - sono patrimonio dell'intera collettività…” [11].
6. Da
quanto detto sinora, può affermarsi con sufficiente certezza che la nozione
generale di “ordine pubblico” in
senso costituzionale deve essere intesa come categoria comprendente i valori e i principi fondamentali dell’ordinamento
(artt. 1-12 Cost.) - patrimonio dell’intera collettività - che rappresentano lo spirito informatore essenziale e
necessitato della nostra forma di Stato e di Governo e che, come tali, non
possono essere modificati.
Assunto in questa accezione, è chiaro
che l’o.p. si atteggi dunque a limite
generale ed invalicabile posto dal diritto pubblico a tutela degli
interessi generali, ovvero un katéchon avente “funzione conservatrice” (G.B. FERRI) [12] di quegli stessi valori e principi fondamentali che, in mancanza di
detto limite, rischierebbero logicamente di essere disfatti in uno con l’intera
comunità nazionale.
Il compito della categoria esaminata
è ben compendiata da F. GAZZONI il quale, in definitiva, ritiene possa
parlarsi di di o.p. come “… una esigenza politica e conservatrice
... manifestazione addirittura
terminologica della volontà della classe dirigente di GARANTIRE LA STABILITÀ
DEL REGIME CONTRO OGNI ATTIVITÀ CONDOTTA SUL PIANO GIURIDICO E DIRETTA A PORRE
IN DISCUSSIONE LE FONDAMENTA SU CUI LA SOCIETÀ, DA ESSA ESPRESSA, SI REGGE .... Esso deve intervenire quale ultima ratio quando una determinata
operazione non è di per sé vietata da puntuali norme imperative, ma si presenta
in opposizione o comunque è reputata eversiva rispetto alle strutture sociali…”
[13].
[NdQ: va fatta al riguardo una necessaria precisazione: la terminologia "conservatrice" non può essere assunta nel senso di orientamento politico conservatore, inteso come quello che privilegia l'intangibilità dei rapporti di forza economici impostisi per via del (mal)funzionamento strutturale del "mercato", e poi tradottisi in un assetto istituzionale che li cristallizzi. Non può esserlo proprio con riferimento alla nostra Costituzione: essa, infatti, è volta al superamento definitivo di un tale assetto, ma, proprio per questo, ciò che si "conserva", nell'apprestargli la difesa dovuta ai suoi principi inderogabili, è un assetto pluriclasse e progressista contro ogni tendenza restauratrice dell'ordine oligarchico dei poteri economici di fatto, che, infatti, i nostri Costituenti avevano previsto e cercato di scongiurare].
[NdQ: va fatta al riguardo una necessaria precisazione: la terminologia "conservatrice" non può essere assunta nel senso di orientamento politico conservatore, inteso come quello che privilegia l'intangibilità dei rapporti di forza economici impostisi per via del (mal)funzionamento strutturale del "mercato", e poi tradottisi in un assetto istituzionale che li cristallizzi. Non può esserlo proprio con riferimento alla nostra Costituzione: essa, infatti, è volta al superamento definitivo di un tale assetto, ma, proprio per questo, ciò che si "conserva", nell'apprestargli la difesa dovuta ai suoi principi inderogabili, è un assetto pluriclasse e progressista contro ogni tendenza restauratrice dell'ordine oligarchico dei poteri economici di fatto, che, infatti, i nostri Costituenti avevano previsto e cercato di scongiurare].
7. Negli
sforzi ricognitivi e ricostruttivi della dottrina, tuttavia, la nozione di
ordine pubblico presenta, come abbiamo visto, una certa varietà polisemica e contenutistica.
Perciò, sulla scia della dottrina francese degli anni cinquanta e sessanta (G. FARJAT) [14], è stato anche elaborato il
concetto di c.d. ordine pubblico economico rapportato
al principio di solidarietà economica e all'interventismo statale dei sistemi
europei continentali di economia mista (in Italia, artt. 3, comma II, e 4
Cost.).
7.1. La
dottrina (G. BIANCO) argomenta così che
accanto alla tradizionale e generale nozione di o.p. “… tipica degli Stati monoclasse liberali fondati sui sistemi economici
di matrice liberistica, cui sono di volta in volta corrisposti “una varietà di
contenuti vicendevolmente irriducibili”, e che è sostanzialmente coinciso con
“un riflesso immanente nell'ordinamento”, “un limite onnipresente per qualsiasi
attività che si spieghi nel campo del diritto”, si è ritenuto l'ordine pubblico economico “il fine che l'azione dei pubblici poteri, nella sfera economica, mira a
conseguire ed il limite all'attività economica degli imprenditori”, o pure come
“la previsione costituzionale di un insieme di limiti generali all'autonomia
dei soggetti privati e di esplicazione delle fondamentali direttive del sistema
economico …” [15].
7.2. La
stessa dottrina ha quindi sostenuto che la nozione in discorso costituirebbe un
o.p. di tipo “funzionale” [16] da qualificare come “categoria ermeneutica generale utile per
comprendere la struttura normativa della Costituzione economica alla luce dei
principi fondamentali della Costituzione stessa” [17].
In definitiva, ci troveremmo di
fronte ad una categoria riassuntiva delle fondamentali regole del sistema economico
ricavabili dallo stretto nesso sussistente, nella Costituzione vigente, tra i
principi costituzionali fondamentali che sanciscono come fini indeclinabili il principio d'eguaglianza sostanziale ed il
diritto al lavoro (artt. 3, comma II, e 4 Cost.) e le disposizioni della c.d. costituzione economica
(artt. 36-47 Cost.), avuto riguardo in particolar modo alle clausole
sociali (“utilità sociale” e “funzione sociale”) che limitano la garanzia
costituzionale dei diritti d'iniziativa economica, della proprietà privata e della
proprietà terriera (artt. 41, 42 e 44 Cost.) (L. PALADIN) [18].
8. A ben
vedere, però, al di là della funzione definitoria sintetizzata nella formula “o.p. economico” associato alle sole
norme della costituzione economica come
contrapposta a quella di o.p. tout court,
bisogna ancora una volta avvertire come la prima non possa assurgere a categoria scientifica autonoma rispetto
all’insieme della Costituzione nel suo complesso, definita magistralmente da
Lelio Basso come “armonia complessa” e nella
quale sono fissati, in maniera unitaria,
i fini primi ed incondizionati dell’ordinamento nonchè gli strumenti necessari
al raggiungimento degli stessi.
Si deve cioè ribadire, in proposito (p. 11), che
di “costituzione economica” (e quindi
di o.p. economico) può parlarsi esclusivamente in senso nominalistico o descrittivo, dal momento che non è
possibile scomporre il testo costituzionale in più parti in modo da considerare
gli artt. 36-47 Cost. come un “sistema chiuso” ed avulso dal “complesso della Costituzione” (M. LUCIANI) [19].
8.1. Difatti, è tale incauta ed
indebita dicotomia - legata a doppia mandata con l’antica incomprensione del
diritto eurounitario da parte dei giuspubblicisti
italiani – ad aver consentito un’illecita manovra di “isolamento” delle
norme che disciplinano gli strumenti di politica
economica (di appurata matrice keynesiana) necessari alla realizzazione della
democrazia sociale; operazione che, lasciando dette norme
interamente nella disponibilità del legislatore ordinario mediante
l’assimilazione del diritto €uropeo dei Trattati, ha determinato il radicale stravolgimento
dei profili originali e caratterizzanti la Costituzione italiana, rimasta oramai
indifesa finanche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale,
la cui elaborazione della c.d. teoria dei
controlimiti appare sempre più come una splendida opera
rimasta ad oggi incompresibilmente incompiuta (G. BIANCO) [20].
D’altronde, in sede di Assemblea
Costituente, l’on. Arata aveva avvertito che “se vi è una materia nella quale deve essere eliminata
ogni avventurosa leggerezza, questa è proprio la materia economico-sociale”.
8.2 Dunque, lungi dall’avallare uno
“sdoppiamento” di significati del sostantivo “Costituzione”, si può piuttosto
continuare a parlare di costituzione economica - e quindi di o.p.
economico - solo come metodo di analisi e di studio del diritto
dell’economia diretto a focalizzare l’attenzione
sui legami logici ed indifettibili che intercorrono tra i principi (e diritti)
fondamentali e la regolazione
giuridica dell’economia, analisi e metodo compendiabili nella formula “disciplina costituzionale dei
rapporti economici” [21] la
quale include, di necessità, gli scopi invariabili dello Stato interventista per realizzare la preminenza della dignità dei lavoratori (=scopo)
sulla materia economica (=mezzo) (M. LUCIANI) [22].
Tutto ciò almeno in teoria.
La domanda è già posta in un'accezione interpretativa peculiare, che si potrebbe qualiuficare filo-€uropeista (ciò può essere involontario o meno: per lo più dipende dal modo in cui oggi viene insegnato il diritto nelle università).
RispondiEliminaSull'art.117 Cost. - e la sua interpretazione accolta in questa sede- è agevole fare la ricerca dei post già pubblicati in argomento.
In verità un "conflitto teleologico" fra ordinamenti, - in specie tra quello dell'organizzazione economica liberoscambista detta UE e quello della Costituzione repubblicana, democratica e fondata sul lavoro-, si può porre solo fra norme di livello equiparato: il che, pure secondo la teoria dei controlimiti enunciata dalla Corte costituzionale, non può darsi, per definizione, nel caso considerato.
Ma ci sono anche nel post links per approfondire.
Con il permesso del Presidente, sulla portata dell’art. 117, comma I, Cost. in relazione all’art. 10 Cost. nonché sulla sua valenza (sopravvalutata e presuntivamente “vincolante”) nella rivisitazione ad opera della riforma costituzionale poi bocciata dagli italiani, Quarantotto si è espresso in maniera chiara qui e poi di nuovo qui .
RispondiEliminaIl problema non è quella norma presa singolarmente, ma semmai – per cercare di restare in tema – è relativo alla portata dell’intera riforma del titolo V della Carta attuata con L. Cost. n. 3/2001. Dietro ad una farlocca (e pasticciata) riforma sbandierata come “federalista”, si nasconde molto di più, ovvero la costituzionalizzazione del principio di “sussidiarietà” (v. in particolare artt. 118 e 120 Cost.) di matrice europ€ista. Ma la gente non deve capire.
Tale principio nasce già, in senso “orizzontale”, con la costruzione del mercato comune (nel principio della “concorrenza” e nelle quattro libertà è possibile rinvenire un’attuazione di tale principio: un sistema che affida al mercato il compito di autodisciplinarsi e che limita l’intervento pubblico ad ipotesi ben definite in cui l’iniziativa privata appare inidonea al raggiungimento degli obbiettivi posti), continua in senso “verticale” con l’Atto Unico (cfr. l’abrogato art 130 R, paragrafo 4, in materia ambientale) e si consacra definitivamente con Maastricht nel cui trattato emerge in più punti(cfr. penultimo punto del preambolo ove gli Stati membri si dichiarano “decisi a portare avanti il processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini conformemente al principio di sussidiarietà”).
Non sto a dilungarmi sulla contiguità di detto principio neoliberista con la dottrina cattolica, se n’è parlato più volte. E continuando per decenni a veicolare sottotraccia su un principio così innocente con slogan orwelliani, ci ritroviamo costruito dai neo-ordoliberisti un nuovo modello sociale , in cui prevalgono l’individualismo e le tanto amate relazioni tra i “corpi sociali intermedi”.
Per i diversamente €uropeisti e PDioti di ogni risma, l’idea di fondo, trasposta a livello costituzionale e contro ogni principio fondamentale (non ultimo quello di solidarietà ex art. 2 Cost.), è per l’ennesima volta la seguente: bisogna abituarsi a fare a meno dello Stato e del suo intervento , un po' perché lo Stato è inefficiente per definizione, corrotto e zozzo, un po' perché in fondo è più morale cavarsela da soli. Ma soprattutto… perché non ci sono le risorse o le stesse sono sempre limitate (e perché, caro Virgilio, anche tu hai vissuto - come tutti noi - al di sopra delle tue possibilità). Ma tutto ciò è vero? Se segui il blog, la risposta non dovrebbe essere difficile. E’ l’analisi economica del diritto (costituzionale)
Infatti: l'analisi economica del diritto pubblico (perciò anche dei trattati, correttamente assunti nella loro funzione giustificativa) è un metodo fenomenologico di interpretazione che presuppone la costante individuazione del modo di atteggiarsi del conflitto sociale, ritraendolo dagli effetti economici EFFETTIVI (cioè misurati e misurabili in base ai dati ed alle regole attendibili della scienza economica) delle norme-istituzioni.
RispondiEliminaQuanto allo specifico art.117 - ex riforma del 2001, COSì COME ex riforma bocciata- era per questo che invitavo a FARE una ricerca sul blog:
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-costituzionalizzazione-del-vincolo.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/09/quaestiones-d-referendi-subtilitatibus-1.html