venerdì 4 agosto 2017

ORDINE PUBBLICO ECONOMICO...DEI MERCATI E DIRITTI DEI SINGOLI - 3

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Questo post finale dell'articolo di Francesco Maimone riguardante l'imposizione dell'ordine pubblico economico €uropeo, tira le somme di un discorso che, se approfondito quel tanto che l'evidenza dei principi costituzionali, nonché di diritto internazionale, inderogabili, ci pone di fronte agli occhi (solo a volerlo vedere), lascerebbe un cittadino (ri-divenuto) consapevole letteralmente sbalordito. E terrorizzato sul suo futuro...

Perché, vedete, ESSI non hanno limiti né riconoscono "vincoli" a se stessi: il processo che hanno innescato, tramite il diritto internazionale privatizzato, materializzatosi nei trattati istitutivi di "organizzazioni economiche", è teso alla conquista di un dominio politico incondizionato, svincolato dalle sovranità territoriali democratiche, e che non prevede alcuna mediazione o punto di arrivo: neppure nella instaurazione della schiavitù mondializzata del lavoro e nel ripristino di un mondo neo-feudale basato su "status" del tutto corrispondenti a quelli dell'ancien regime.
Una volta realizzato il presupposto dell'istituzionalizzazione internazionalizzata del potere "dei mercati", cioè dei pochi controllori delle relative dinamiche rese norme supreme, basta occultare schiavitù, e status irreversibilmente gerarchizzati, sotto opportune etichette cosmetiche.
Perciò, parlare di "libertà" e di "diritti civili" è un'assoluta finzione, laddove il potere economico sia oligarchico, sovranazionale e concentrato.  Come sempre accade dove il capitalismo sia "sfrenato", lo Stato nazionale sia svuotato della possibilità di dettare i "diritti sociali" (cioè alla liberazione dal bisogno economico più abbrutente) e perciò sia impedito il suo intervento a tutela della dignità della maggioranza dei più deboli, negandosi ogni mobilità sociale. E tutto questo, inevitabilmente, sostenuto in nome del "merito" derivante dalla nascita e dall'asservimento opportunistico ai potenti, senza scrupoli solidaristici.
I "diritti civili" risultano infatti situazioni in cui la schiacciante maggioranza degli ex-cittadini è (ora) destinato a non trovarsi mai (in posizione attiva): per materiale impossibilità di divenire titolari dei beni che caratterizzano tali diritti (oggetto dell'ipocrita e anzi beffarda enunciazione della "eguaglianza formale"). 
Che libertà "personale", di movimento, domicilio, espressione del pensiero, "identità sessuale", potrà più vantare un essere umano ridotto a "risorsa" e "consumatore" e dunque a mero strumento del calcolo economico imposto da un "ordine superiore", che lo può illimitatamente impoverire in nome di un bene supremo incontestabile? 
E che senso ha parlare di diritti dell'individuo nell'ambito di un'istituzione "mondiale" la cui ristretta classe governante si auto-legittima in base alla crescente concentrazione di enormi ricchezze e che si afferma contro ogni partecipazione della "risorsa-consumatore" al potere di autodeterminazione comunitaria dell'organizzazione sociale? 
Rimarranno soltanto, e ciò diviene sempre più evidente, dei "beneficia", transitoriamente concedibili secondo il capriccio e la convenienza dei "mercati" e, come tali, liberamente revocabili in qualsiasi momento e misura, in nome di questa stessa convenienza.

Il mio consiglio è di approfittare del periodo feriale - e della rarefazione della pubblicazione di ulteriori post- per leggere non solo il complesso dell'articolo, ma tutti i preziosi links (e note) inseritivi da Francesco: questi rinvii a fonti del blog così pregnanti compongono in effetti una sorta di guida, aggiornata, di orientamento sui temi più importanti trattati da orizzonte48.


https://i1.wp.com/generazione-identitaria.com/wp-content/uploads/2015/05/controlagrandesostituzione1.jpg?resize=800%2C445&ssl=1



La grande sostituzione ad effetti n€o-colonizzanti
11.4. La “operazione” illustrata da Rescigno nella Seconda Parte (qui, p.11.3), finalizzata alla frantumazione progressiva della sovranità democratica, da sostituire con l’avvento di un governo sovranazionale dei mercati gestito da élites, non poteva quindi che passare per la disattivazione sistematica delle norme che disciplinano l’intervento pubblico in economia (artt. 36-47 Cost.), secondo il noto adagio hayekiano per cui “Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi”.

11.5. In effetti, vale la pena ricordarlo, è quanto si è progressivamente verificato a livello europeo per mezzo del rodato metodo Juncker-Amato (forzando illecitamente l’interpretazione dell’art. 11 Cost.) solo che si provi a scomporre in modo analitico il disegno contenutistico della inesistente “costituzione economica europea” nei suoi tre contesti essenziali (e strettamente interconnessi) sostanziantisi in generale nel “vincolo esterno”, ossia:
a) mercato unico e libera concorrenza, fondato sul principio “dell’economia sociale di mercato”, che ha sottratto sovranità economica;
b) mon€ta unica, ispirata alla dottrina delle banche centrali indipendenti e fondata sul principio deflazionistico della “stabilità dei prezzi”, che ha traslato a livello sovranazionale la sovranità monetaria;
c) politiche di bilancio (invariabilmente in pareggio), che si fondano sul principio di stabilità finanziaria e di “crescita economica” all’insegna della sotto-occupazione, trainate all’uopo dalle infinite riforme strutturali.

11.6. Cio è stato possibile grazie al fondamentale ed indisturbato contributo della Corte di Giustizia, guardiana del mercato, la quale - ma mano che il meraviglioso “sogno europeo” andava cosmeticamente implementando i propri fini con l’utilizzo di spot propagandistici veicolati orwellianamente dalla grancassa mediatica (promozione della “pace” e difesa dei “valori comuni” dell'Unione Europea, solidarietà, costruzione di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, tutela dei “diritti fondamentali” contenuti nella citata Carta di Nizza) – ha pensato bene, da ultimo, di completare l’opera comunitarizzando” in via definitiva la nozione di ordine pubblico.

11.4 E così, se nelle sentenze richiamate ai paragrafi 10.1 e 10.2 (nel precedente post di questa serie) la nozione di ordine pubblico era ancora quella nazionale, ed erano le norme comunitarie a riconoscerlo, ammettendo (pseudo) eccezioni-limitazioni all'applicazione delle regole dei Trattati, dalla fine degli anni ’90 il meccanismo si inverte: è il principio ormai completamente sdoganato di “o.p. comunitario” ad essere riconosciuto da quello nazionale, sul presupposto di una avvenuta e continua armonizzazione e integrazione dei princìpi nazionali nell'ordinamento europeo in vista del mitico federalismo. Ciò è quanto emerge in modo paradigmatico dalla sentenza della CGE 1 giugno 1999, causa 126/97, Eco Swiss c. Benetton [32].

11.5. Ciò che interessa registrare, ai fini della presente disamina, è l’aberrante approdo sotteso ad un siffatto modello di “sciamanesimo giuridico”, ovvero:
la creazione ex nihilo e per via giurisprudenziale del concetto improprio di “o.p. comunitario(che in realtà, come detto, è un mero riflesso di norme liberoscambiste) riferito ad un ordinamento derivato e settoriale (con scopi esclusivamente economici) di cui se ne assume con arbitrio la valenza costituzionale, e che finisce - senza che ne sussistano i presupposti teorici sopra evidenziati - per obliterare quello di “o.p. nazionale, il solo fondato invece sulla sovranità costituzionale degli Stati.

12. Per tornare all’incidenza deleteria che un simile “triplo salto giuridico” continua ad avere sui diritti fondamentali sociali degli italiani, non si può che essere d’accordo con U.G. RESCIGNO il quale in proposito afferma che:
… se teniamo presenti ad un tempo le ambiguità e le molte e divergenti implicazioni della espressione “costituzione economica” e il rango sovraordinato che viene attribuito alla costituzione economica europea, è facile capire come questa confusa nozione, PRIVA DI FONDAMENTO NORMATIVO ESPRESSO, costituiscail VEICOLO CONCETTUALE attraverso cui diffondere e rendere ovvia la tesi secondo cui: vi sono regole fondamentali in economia; tali regole sono quelle proprie del mercato e della libera concorrenza; i legislatori dei singoli Stati europei sono obbligati ad obbedire a tali regole; le eventuali leggi incompatibili con esse sono incostituzionali (e dunque in Italia vanno disapplicate dai giudici, secondo l’insegnamento della sentenza n. 170/1984 della Corte Costituzionale.
La Costituzione italiana in tal modo imporrebbe uno specifico modello economico e, suprema ironia, un modello non solo non suo, perché inoculato da un altro ordinamento, ma addirittura contrario a molte delle sue disposizioni fondamentali[33].

13. Dovrebbe ormai essere intuitiva la ragione per la quale risulta tanto importante quanto tragicamente inattuale nel nostro Paese anche la nozione di “ordine pubblico costituzionale”, dal momento che la stessa, operando un rimando dinamico ai principi fondamentali della Carta fondamentale, avrebbe potuto (e dovuto) fungere innumerevoli volte da strumento, nella mani delle classi dirigenti italiane e della Corte Costituzionale, per porre un argine alle altrettante situazioni diemergenzaeurocostruite, e con le quali il nostro Paese ormai da quarant’anni si trova puntualmente costretto a convivere.
Tale limite, ed a prescindere dall’applicazione dell’autonomia riconosciuta all’Italia dall’art. 79 del TFUE, avrebbe potuto ovviamente essere opposto, da ultimo, anche nell’attuale emergenza dei migranti, che solo uno sprovvedutto tele-suddito potrebbe ormai percepire come fenomeno diverso rispetto a quello che è, ovvero un ulteriore mezzo di equalizzazione sociale in vista dell’immiserimento generalizzato.

14. Tant’è, nell’allucinazione mondialista tecno-pop in salsa €uropeista, oramai secondo M. LUCIANI “quello costituzionale appare come un ben singolare tipo di Stato, nel quale tutti gli elementi caratterizzanti dello Stato come forma politica moderna risulterebbero interamente trasformati.
Così, il TERRITORIO non costituirebbe più un dominio riservato sul quale esercitare lo ius excludendi (visto che non è mancato chi ha teorizzato un illimitabile diritto umano all’immigrazione e all’accoglienza, almeno in capo all’evanescente categoria dei “migranti per necessità), ma nemmeno la sfera del monopolio dell’uso legittimo della forza (visto che lo si dichiara permeabile a interventi militari esterni, anche unilaterali, specie se di tipo “umanitario”).
Quanto al POPOLO, esso “cesserebbe d’essere distinguibile dalla popolazione, visto che i filosofi politici che hanno pensato di addossare agli Stati uno specifico onere motivazionale nell’ipotesi in cui la loro legislazione negasse la cittadinanza agli stranieri stabilmente residenti sul loro territorio sono stati scavalcati dai giuristi che hanno sostenuto che a quegli stranieri anche i diritti politici (compreso il diritto di voto per le assemblee parlamentari) dovrebbero essere garantiti come autentici diritti fondamentali.
La SOVRANITÀ, infine, cesserebbe d’essere imputabile a un solo, più o meno preciso, soggetto storico (lo Stato, il popolo, la nazione), ma si diluirebbe in plurimi livelli di gestione, anche sovranazionali o internazionali, tanto da qualificarsi come “sovranità condivisa”, o cesserebbe d’essere imputabile a chicchessia, configurandosi come astratta “sovranità dei valori”[34].

15. L’ordine privato comunitario, tra l’altro, come nemesi della vecchia scienza dell’800, ha di fatto integralmente sostituito, in un sol colpo, non solo i principi fondamentali della Costituzione italiana (immodificabili), ma anche principi fondamentali del diritto internazionale, ovvero norme di jus cogens, “… nel senso che il loro rispetto rappresent[a] la condicio sine qua non della pace e della sicurezza internazionale” (F. LATTANZI) [35]
Tra questi spicca il c.d. principio di autodeterminazione dei popoli previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, l’osservanza del quale è collegato sì alla pace internazionale dall'art. 1 che, tra i fini delle Nazioni Unite, enuncia al par. II quello di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli”. 
Il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli è altresì richiamato nel quadro della disposizione della Carta relativa all'azione dei membri dell'Organizzazione per creare condizioni di stabilità e benessere di tutti i popoli attraverso una cooperazione internazionale nel campo economico, sociale e culturale: “Il miglioramento del tenore di vita, il pieno impiego della mano d'opera e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale” (art. 55, par. a).

15.1. E’ nella richiamata disposizione, secondo la dottrina (F. LATTANZI) [36], che in particolare “… va cercato il fondamento dell'autodeterminazione nel suo aspetto economico, sia come diritto alle proprie risorse naturali - successivamente evolutosi nel diritto allo sviluppo e cioè nel diritto a una equa distribuzione delle ricchezze a livello internazionale - sia come diritto di tutti i popoli governati a godere di una effettiva uguale distribuzione delle risorse economiche a livello interno.

15.2. La constatazione che l’autodeterminazione è proclamata dalla Carta a beneficio di tutti i popoli trova difatti sostegno anche nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Particolarmente significativi si rivelano l’art. 1, par. 1, il quale prevede che “Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale….”, nonché l’art. 4, secondo cui “Gli Stati parte del presente Patto riconoscono che, nell’assicurare il godimento dei diritti in conformità del presente Patto, lo Stato potrà assoggettarli esclusivamente a quei limiti che siano stabiliti per legge, soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con la natura di tali diritti e unicamente allo scopo di promuovere il benessere generale in una società democratica”.
Come ci ricorda L. BASSO, in sintesi, “… questo “sviluppo economico, sociale e culturale” implica necessariamente [per il popolo, NdR] la libertà permanente di determinare in ogni campo il proprio futuro e quindi la libertà permanente di disporre delle proprie risorse e di sottrarsi a coazioni esterne, e i governi hanno il dovere di garantire ai loro popoli questa libertà. E difatti l’art. I, comma 2, del Patto internazionale relativo ai economici sociali e culturali dice esplicitamente che “gli Stati contraenti del presente Patto.... sono tenuti a facilitare la realizzazione del diritto dei popoli a disporre di se stessi[37].

15.3 In ambito internazionale, infine, è necessario richiamare anche l’Atto finale di Helsinki del 1975, ed in particolare l’ottavo principio secondo cui “… In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale”.
Autorevole dottrina (G. ARANGIO RUIZ) [38], al riguardo, ha affermato che “… il diritto di un popolo di autodeterminarsi include non solo il diritto di conseguire e mantenere l’indipendenza politica, economica e sociale nei confronti degli altri Stati, ma anche il diritto di scegliere in libertà il proprio regime politico, economico e sociale rispetto all’interno: vale a dire - in primo luogo - nei confronti di qualsiasi governo”, sottolineando, in ordine alla dimesione interna dell’autoderminazione, “il carattere permanente e l’inalienabilità del diritto dei popoli a disporre di sé stessi”.
Ciò in quanto, sempre secondo L. BASSO, se “prendiamo questo concetto dell’autoderminazione in tutte le sue implicite logiche, un popolo ha il diritto di autodeterminarsi non solo contro un governo straniero, contro un regime coloniale, ma il principio dell’autodeterminazione vale anche per autodeterminarsi contro il proprio governo[39].

16. Ebbene, quell’ordine privato comunitario – “governato dai rapporti di forza affermati dalle Nazioni politicamente ed economicamente prevalenti” (v. p.5) – costituisce senz’altro una “coazione esterna” ad effetti neo-colonizzanti, attuata per mezzo di Trattati free-trade e surrogatasi ad ogni sovranità democratica nonché ad ogni diritto di autodeterminazione dei popoli. In questo senso L. BASSO [39] ci rammenta che:
“… Dopo la euforia della decolonizzazione degli anni ‘60 non è stato difficile constatare che l’indipendenza politica rischiava di rimanere poco più che una facciata se non si assicurava ai popoli un’indipendenza effettiva, una possibilità di autodeterminazione reale per programmare il proprio futuro non soltanto politico, ma ECONOMICO SOCIALE E CULTURALE. Ma per l’imperialismo di oggi e per le sue manifestazioni più vistose, le grandi società multinazionali, il mondo costituisce un unico mercato mondiale dal quale attingere liberamente materie prime e, se occorra, ANCHE MANODOPERA, e nel quale vendere i propri prodotti o esportare i propri capitali, fissando in ogni caso prezzi e condizioni vantaggiosi per le multinazionali stesse.
E ciò richiede di poter esercitare sui paesi che maggiormente interessano anche un dominio politico. Dovendosi abbandonare il sistema coloniale perché troppo in contrasto con principi universalmente proclamati, è necessario perlomeno assicurarsi governi sottomessi e ubbidienti, ed è appunto nella strategia da adoperare a tal fine che si sono venuti perfezionando in questo dopoguerra degli strumenti nuovi d’intervento”.

17. Perciò in frangenti storici come quello attuale, anche per evitare il rischio di apparire persino ingenui nell’algida elencazione di principi come quelli sopra richiamati, sarebbe necessario far tesoro ancora delle parole di L. BASSO, il quale ammoniva che il diritto è:
una sovrastruttura sociale che tende a riflettere e fondamentalmente a garantire, a mantenere e condizioni esistenti. Tuttavia, siccome è la espressione di una società contraddittoria, anche il diritto è contraddittorio…lo Stato, le leggi dello Stato, in questo caso anche la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamano una serie di diritti che in realtà non esistono, non sono applicativi
In questo senso credo che il diritto assolva veramente alla funzione ideologica in senso negativo, cioè mistificatrice, quella di far credere alla massa dei cittadini, che gode di una infinità di diritti di cui in realtà non godequesto si può applicare in generale a qualsiasi diritto, anche a quelli enunciati nella nostra Carta Costituzionale…Tutti questi diritti in realtà sulla Carta ci sono, ma non è che siano proprio rispettati; quindi in questo senso il diritto ha una funzione mistificatrice.
PERÒ AL TEMPO STESSO, affermando questi diritti, mette in moto un processo nella coscienza dell’uomo; così ad un certo momento egli si accorge che ogni giorno è frodato dei diritti che gli sono riconosciuti. Ora questo suscita UNO SVILUPPO DI COSCIENZA DEMOCRATICA, una richiesta di vedere applicati questi diritti e quindi da arma delle classi dominanti per ingannare il popolo, diventa viceversa un’arma nelle mani del popolo che vuole vedere realizzati questi diritti che gli sono proclamati e garantiti [40].

18. Mutuando il pensiero di U. Romagnoli espresso in un suo risalente scritto, bisognerebbe in definitiva prendere coscienza che da tanto, troppo tempo “… i vertici dell’organizzazione economica dello Stato passano nelle mani degli uomini politici “più spiccatamente filocapitalistici”, in quanto assumono come criterio d’azione quello per cui il regime deve essere aiutato, orientato, perfezionato, in modo da… rendere più stabile il sistema…[41].
Quando e se tutto ciò apparirà sufficientemente chiaro al Popolo italiano, allora forse si potrà tentare di approntare una reazione per ricominciare a parlare in concreto di sovranità democratica e di diritti fondamentali.
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NOTE
[1] Così M. LUCIANI, I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, reperibile sul sito https://www.youtube.com/watch?v=rlQPfYBB2pI&t=3813s, minuto 1:03:28
[2] Così G. CORSO, Ordine pubblico nel diritto amministrativo, in Dig. pubbl., Torino, 1995, 438 ss; in tal senso, amplius, si veda lo stesso Autore in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, voce Ordine pubblico, 1057 ss.
[3] Così Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato – Relazione, 30 maggio 1946, 15
[4] Cfr. per tutti C. LAVAGNA, Il concetto di ordine pubblico alla luce delle norme costituzionali, in Dem. dir. 1967, 359 ss.
[5] Così N. PALAIA, L'ordine pubblico internazionale, Padova, 1974, 35
[6] Così A. CERRI, Enc.giur., Roma, 1990, 3, voce Ordine pubblico
[7] Così L. PALADIN, Ordine pubblico, in NN.D.I., XII, Torino, 1965, 130
[8] Così A. CERRI, cit.; nello stesso senso C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1969, 39
[9] Così C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1969, 236
[10] Così A. CERRI, cit.
[11] Così, C. Cost. 16 marzo 1962 n. 19; si vedano anche C. Cost. 14 aprile 1965 n. 25; C. Cost. 29 dicembre 1972 n. 199; C. Cost. 3 agosto 1976 n. 210; C. Cost. 9 maggio 1985 n. 138
[12] Così G.B. FERRI, Enciclopedia del diritto, Milano, 1980, voce Ordine pubblico (dir.priv.), 1053
[13] Così F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1987, 735
[14] Cfr. G. FARJAT, L'ordre public économique, Paris, 1963, a cui si deve l’inquadramento teorico della categoria dell’o.p. economico ; si veda anche G. Ferrari, L'esclusività dei marchi nominativi in rapporto alla limitabilità del nome ed all'ordine pubblico economico, in St. Santoro Passarelli, II, Napoli, 1972, 183 ss
[15] Così G. BIANCO, Ordine pubblico economico, , in Dig. pubbl., Torino, 2005, 438
[16] Così G. BIANCO, Considerazioni su Costituzione economica, ordine pubblico economico e diritto comunitario della concorrenza, in Archivio Giuridico “Filippo Serafini” 1995, n. 2-3, 185
[17] Così G. Bianco, Costituzione ed economia, Torino, 1999, 94
[18] Si veda L. Paladin, Ordine pubblico, cit., 134,  nonché G. BIANCO, Considerazioni, cit. 181
[19] Così M. LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V, Torino 1990, 376
[20] A tale riguardo, come sottolineato da G. BIANCO in Costituzione ed economia, cit., 198, “Il Baudeau... riteneva inutile e pericoloso introdurre nella cultura giuspubblicistica europea un concetto “formale” di Costituzione economica, per quanto non escludeva che l’accentuarsi dell’intervento statale nella sfera economica avesse comportato l’introduzione di norme della Costituzione economica anche nella Costituzione “politica”, come accadde, sia pure con impostazioni differenti, nelle Costituzioni francesi del 1791 e del 1793…”
[21] Si veda in tal senso M. LUCIANI Economia nel diritto costituzionale, cit., 374-375
[22] M. LUCIANI in L'antisovrano e la crisi delle Costituzioni, Rivista di diritto costituzionale, Milano, 1996, 124 ss., nota quindi come la figura in considerazione (o.p. economico) debba considerarsi in antitesi con il “complesso di fini e valori della Costituzione” e possa piuttosto essere ricollegata al precedente sistema corporativo fascista
[23] Così M. LUCIANI, Il brusco risveglio. i controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, 5, reperibile all’indirizzo http://www.rivistaaic.it/il-brusco-risveglio-i-controlimiti-e-la-fine-mancata-della-storia-costituzionale.html
[24] Così F. ANGELINI, Ordine pubblico nel diritto comunitario, in Dig. disc. pubbl., Torino, 2005, 521
[25] Nella dottrina straniera, ha negato l'esistenza di un ordine pubblico comunitario autonomo M.C. BOUTARD LABARDE, L’ordre public en droit communautaire, in AA.VV., L'ordre public à la fin du XXe siècle, Paris, 1996, 83
[26] Così CGE 28 ottobre 1975, causa 36/75, Roland Rutili c. Ministre de l'Intérieur; CGE 4 dicembre 1974, causa 41/74 Yvonne van Duyn c. Home office; CGE 27 ottobre 1977, causa 30/77, Regina c. Pierre Bouchererau, nella quale si afferma che il richiamo all'ordine pubblico da parte degli Stati membri presuppone sempre, “oltre alla perturbazione dell'ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l'esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività
[27] Cfr. CGE 9 giugno 1982 causa 95/81, Commissione c. Repubblica italiana; CGE 4 maggio 1993, causa 17/92, Federación de Distribuidores Cinematográficos (Fedicine) c. Governo spagnolo; CGE 30 aprile 1991, causa 239/90, SCP Boscher, Studer e Fromentin c. SA British Motors Wright e altri. Il principio era stato già espresso nella causa 36/75, Roland Rutili c. Ministre de l'Intérieur, cit.
[28] Così N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, 28
[29] Così N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., 29
[30] G.U. RESCIGNO, in Enc. giur.,Roma, 2001, 7, voce Costituzione economica
[31] G.U. RESCIGNO, Costituzione economica, cit.
[32] Per l’esame del caso trattato, si rinvia a F. ANGELINI, Ordine pubblico nel diritto comunitario, in Digesto delle discipline pubblicistiche, cit.; per la comunitarizzazione della nozione di o.p. comunitario, si vedano anche CGE 11 maggio 2000, causa 38/98, Régie nazionale des usines Renault SA c. Maxicar Spa, e CGE 28 marzo 2000, causa 7/98, Krombach c. Bamberski
[33] Così G.U. RESCIGNO, Costituzione economica, cit., 7
[34] Così M. LUCIANI, Il brusco risveglio. i controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, cit., 2-3
[35] Così F. LATTANZI in Dig. disc. pubbl., Torino 1987, 7, voce Autodeterminazione dei popoli
[36] Così F. LATTANZI, cit.
[37] Così L. BASSO, Discorso introduttivo, in Le multinazionali sotto processo, Quaderni del Tribunale Russell 2, aprile 1975, n. 5, 6-13
[38] Così G. ARANGIO RUIZ, in Enc. giur., Roma, 1988, 5, voce Autodeterminazione (diritto dei popoli alla)
[39] Così L. BASSO, Diritti degli uomini e diritti dei popoli, in Il Futuro dell’uomo, gennaio-marzo 1979, 3-16
[40] Così L. BASSO, Diritti degli uomini e diritti dei popoli, cit.
[41] U. ROMAGNOLI, Il sistema economico nella Costituzione, in Giurisprudenza commerciale, Milano, novembre-dicembre 1975, 22

8 commenti:

  1. Magistrale analisi complessiva, posta in tre atti, sulla genesi della deriva dell'attuale Civiltà Moderna.
    Salutoni e buone ferie.
    Elmoamf

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  2. Certo che il lavoro di Francesco stimola una serie di riflessioni che vanno ben oltre all'oggetto in sé della "trilogia".

    1 - il problema delle "categorie": le "categorie" dovrebbero essere per definizione il fondamento di qualsiasi speculazione riduzionistica della realtà e dovrebbero essere insensibili di per sé alla disciplina (la Logica è insensibile all'oggetto indagato).

    La stereotipizzazione del fascismo, poi strumentalizzata, rendendo l'infame dittatura una macchietta grazie al liberalismo hollywoodiano, ha portato all'estremo la precomprensione delle categorie, piegandole alle illegittime logiche dei rapporti di forza.

    Gli Stati Uniti hanno l'apparato di repressione poliziesco più feroce al mondo ma sono campioni di democrazia e libertà; parlare di "ordine pubblico" invece è "fascista".

    Dall'analisi di Francesco - che in sé obbliga a delle riflessioni - emerge che dietro a questa espressioni si nasconde la dialettica di due macrocategorie contrapposte: quella di "economia" e quella di "politica".

    Nella Società dello Spettacolo - e nello Stato di diritto! - il nominalismo non è sempre tale e, di fatti, l'ermeneutica è fondamentale.

    L'economia è cosmopolita come cosmopolita è la tecnica capitalistica; la politica è nazionale o, al più, internazionale nel senso proprio di relazione tra nazioni (ossia « popoli con una volontà politica », cfr. Schmitt)

    (L'etica è radicata, la sociopatia no... si potrebbe fare un ritratto impietoso del cosmopolitismo borghese e del piddinismo liberal & radical degli amici di Soros)

    All'ordine pubblico viene contrapposto - riducendo - l'ordine internazionale dei mercati.

    Sono due categorie sociologicamente contrapposte: una permette di limitare l'inefficacia (internazionale) delle politiche sociali e democratiche tramite le forze dell'ordine, l'altra si limita a far presidiere con delle "milizie private" « Elysium ». (L'ordine pubblico economico poi, ovviamente, sscatena un materiale ordine di carattere politico-amministrativo).

    2 - i popoli come soggetti della storia, sono quindi soggetti giuridici da tutelare?

    Francamente non amo il nome "sovranismo" in quanto legittimante "l'antisovranismo", che è un "non sense"; si disperde la sovranità popolare e poi nazionale, ma non la sovranità tout court.

    Se la sovranità appartiene al popolo si parla di democrazia.

    Se la sovranità appartiene a qualche genere di ottimato si ha una forma di dittatura autoritaria.

    Se la sovranità appartiene a qualche genere di ottimato di nazionalità estera, si ha una forma di ditattura autoritaria annichilente chiamata colonialismo. (O Unione Europea)

    Sovranità è Potere e Potere è libertà. Cedere sovranità o cedere libertà sono la medesima cosa. Essere costretti ad usare una forma così grossolana a livello nominalistico ci allerta del momento drammatico che sta vivendo - non la classe lavoratrice italiana ed europea - ma l'umanità tout court che si costringe verso la tirannia della tecnica.

    (Ricordando che una "tirannia illuminata" è come una nuotata senz'acqua

    Insomma, nel classico termine Patria - impolitico nell'attuale frangente - si evince il radicamento, e il radicamento passato implica un germogliare e fruttare futuro.

    La vita è un segmento che produce una linea continua e che costituisce la prima identità comunitaria e culturale della persona umana, che è quella della famiglia. Madre patria.

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    1. Consentimi una precisazione per evitare equivoci da parte dei sostenitori dell'auosufficienza dei diritti individuali di libertà:
      - Sovranità "popolare" è Potere "democratico" e Potere democratico è libertà DI TUTTI I CITTADINI CHE FORMANO IL POPOLO.
      Cedere sovranità popolare o cedere libertà di tutti i cittadini (tranne coloro che, in quanto elites, rendono possibile il colonialismo) sono la medesima cosa-.

      Specificarlo non è ormai più un'ovvietà.
      La distruzione delle risorse culturali (degli esseri umani componenti il popolo sovrano) è andata oltre il punto di non ritorno.

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    2. Dap/prima - non son giurista ma .. - va il "magna con laude" a Francesco, non il gesuita, con diritto di pubblicazione, ricevuta, nel "plintare" [ndr, mettere solide e scientifiche fondamenta] concetti divenuti vacui anche tra gli "emeriti".

      Da/poi, pur concordando con i "templar knights" che "la distruzione delle risorse culturali (degli esseri umani componenti il popolo sovrano) è andata oltre il punto di non ritorno", verrebbe da considerare che lo schioppetante ritorno alla globale "durezza della vita" sia il piede d'argilla [ ma anche di "porco"] del gigantismo liberistico.

      Silice [mediatica] senza allumina e ferro [culturale] non reggono la SStoria ..

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  3. 3 - come è possibile che in pochi giorni, una persona che lavora e tiene famiglia, fa un'analisi filologicamente profonda e coerente con un numero sterminato di fonti e un branco di cialtroni, che dovrebbe fare solo questo per lavoro, in quarant'anni non ha prodotto nulla di sensato?

    C'è un enorme problema di coscienza morale che, come distingue brillantemente Alberto con la differenza tra Scienza e Lascienza, non ha nulla a che fare con il moralismo sovrastrutturato.

    A differenza del nostro, però, rivendico che la Natura è la madre della democrazia: ci ha fatto tutti diversi nella forma ma tutti eguali nella sostanza. La dialettica forma e sostanza, nella Società dello Spettacolo, è tutto.

    La sofferenza generata dalla paura è uguale tanto nel ricco quanto nel povero.

    Trovo alquanto curioso che siano i conservatori a dar delle gran lezioni sul change management e sulla resistenza al cambiamento. Ma si può?

    Paradigmatico.

    Ma mi può anche star bene: la natura ci ha fatto antropologicamente diversi in modo sostanziale? va bene.

    Facciamo che i ricchi ed i rentiers si autoderminino nel loro feudo e che gli inetti delle classi inferiori si autodeterminino nel loro Stato nazione... voglio dire, non è che si possa pensare che un elitista sia solo un pelandrone corrotto e sociopatico, no?

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  4. Presidente, le ho sentito spesso affermare che i totalitarismi del '900 non sono stati il frutto dei nazionalismi, come viene spesso detto, ma delle politiche liberiste e colonialistiche di matrice anglosassone. Potrebbe indicarmi uno o più testi dove io possa approfondire questo tema? Grazie.

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    1. Basta fare una ricerca sul blog (anche se la mia affermazione non è esattamente questa e non è "mia", ma propria di una parte consistente della più attendibile storiografia): l'argomento è stato più volte, molte, affrontato (ci sono vari posti di Bazaar, tra l'altro), con indicazioni bibliografiche e links.

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