venerdì 29 novembre 2019

IL MES-2 E I SUOI FRATELLI: IL COMPLETAMENTO DELLA RECEZIONE DI BASILEA 3 e 4



1. Facciamo un riepilogo. Per non perdere la lucidità in un ambiente surriscaldato. Anzitutto perché, come al solito, tendono a farla molto complicata quando invece è abbastanza lineare (qui, p.6, e "andando al sodo", sub. 7)): è un pacco. Molto costoso e caratterizzato da "abitualità".
Anche perché entrano in scena nuovi succosi elementi della vicenda: Ital-tacchino. Sempre rammentando che...

2. Dunque, riepiloghiamo e aggiungiamo qualcosina...
Va premesso che il MES-2, al di là del pur vessatorio meccanismo di governance che ci espone a capital-call, cioè a pagamenti, entro 7 giorni, (in deficit, con emissioni di titoli del debito pubblico) per oltre 100 miliardi di contribuzione aggiuntiva, sortisce 2 effetti principali:

a) introduce un meccanismo agevolativo e acceleratorio del default del debito pubblico (italiano) attraverso le single-limb CACs. Queste clausole, inserite nei contratti di sottoscrizione del debito pubblico, determinano che, di fronte alla prospettiva di spread crescenti determinata da ragioni più che prevedibili, gli investitori internazionali, possano imporre, a maggioranza unica, cioè raggiunta per ammontare percentuale dei rispettivi investimenti, nonché a prescindere dalla linea specifica di titoli di cui sono sottoscrittori, la ristrutturazione dell’intero debito pubblico italiano (le single limb dovrebbero essere introdotte a partire dal 2022, ma, a prescindere dall’effetto annuncio immediato che esse producono, esistono già clausole CACs valevoli per singole linee di emissione di titoli del debito pubblico, introdotte per DM Mef, in tutte le emissioni a partire dalla seconda parte del 2012).

b) prevede delle guide lines applicative (come già il fiscal compact, dove decisive non sono tanto le sue disposizioni quanto i criteri di calcolo dell’output-gap e dei livelli di disoccupazione strutturale, NAIWRU) che implicano un monitoraggio preventivo della sostenibilità del debito degli Stati aderenti, in base a criteri sostanzialmente automatici e sfavorevoli e arbitrari, imposti dalla maggioranza precostituita, franco-tedesca, nel Board. Il clou di questi criteri, rammenterete (qui, p.4), Blanchard li ha già preannunciati a gennaio 2019, tornando a voler attribuire valore “scientifico” decisivo al superamento della soglia del 60% quanto alla sostenibilità del debito pubblico.
Ciò determinerà de facto la contestuale introduzione di un rating “ufficiale” dei titoli del DP e quindi la loro riqualificazione come “rischiosi” (risk-weighted) e, di conseguenza, da svalutare nei bilanci bancari e del settore finanziario e assicurativo in generale (attualizzando un’ondata di vendite)

Dal combinato di questi due effetti del MES, deriva una forma di vulnerabilità del tutto nuova dell’economia nazionale che va necessariamente combinata con la disciplina dell’Unione bancaria.

3. Ed infatti, la prospettiva di svalutazione in bilancio -> vendita dei titoli detenuti dalla banche -> consolidamento di perdite, da parte del nostro settore finanziario, condurrà a:
i) accelerazione della vendita degli NPL, con l’effetto di deprimere, in sovraofferta, le garanzie sottostanti, che sono complessi immobiliari e aziendali (distruzione crescente della ricchezza nazionale privata);

ii) a un cumulo di motivi legali, tipizzati, che abilitano la vigilanza bancaria BCE (Enria), ad imporre massicce ricapitalizzazioni al nostro sistema bancario, onde tentare di prevenire la “risoluzione” bancaria €uropea della crisi, che conduce al bail-in (di massa e coinvolgente azionisti, obbligazionisti e, soprattutto, i depositanti).

Queste ricapitalizzazioni, quand’anche siano ritenute sistemiche dalla Commissione UE (e non assoggettate ai vincoli in tema di “aiuti di Stato”), dati gli enormi volumi, non sono naturalmente (lo si è già visto su situazioni di scala molto minore; es. MPS) effettuabili con operazioni di salvataggio “di mercato” (qui, p.3).

Ergo, lo Stato dovrebbe tentare di intervenire preventivamente con enormi emissioni di debito pubblico per raccogliere il volume finanziario necessario per le ricapitalizzazioni (si pensi che nel dicembre 2016 si stanziarono, in deficit aggiuntivo, oltre 20 miliardi solo per la situazione MPS e della banche venete; una ricapitalizzazione generalizzata, ed estesa alle banche maggiori potrebbe arrivare sopra i 100 miliardi o a svariate centinaia di miliardi).

4. E questo, in un circolo vizioso ormai innescato dall’approvazione dell’ESM, porterà a 2 alternative inevitabili:

A) ricorrere ai fondi del MES accettando un ristrutturazione preventiva del debito pubblico, e un pesante coinvolgimento dei privati detentori dei titoli (cioè principalmente le banche, che sono poi coinvolte in bail-in a carico di obbligazionisti e depositanti); cioè esattamente l’effetto che si vuole scongiurare mediante la ricapitalizzazione pubblica preventiva del sistema bancario (! );


B) o, per evitare questo circolo vizioso, l’intrapresa di un combinato di prelievo fiscale straordinario sui depositanti (ipotizzabili ratei del 30-50% delle somme eccedenti una soglia esente, ponibile da 50.000 a 100.000 euro), di privatizzazioni “in svendita” dei principali gruppi industriali pubblici (ENI, Leonardo, Fincantieri, lo stesso controllo della CCDDPP), e di una sostanziale neutralizzazione (via azzeramento de factodel sistema sanitario e pensionistico pubblico (principali aggregati della spesa pubblica).


5. Circa i motivi, storici , causali (la micciache in concreto, e nei prossimi mesi, dovrebbero indurre a ricorrere al MES2, o più verosimilmente, ad un whatever it takes...fiscale interno, abbiamo già detto, in lungo e in largo
Ha a che vedere con la sostanziale abrogazione dell'OMT, peraltro già inutilizzabile - proprio per il coinvolgimento condizionale del MES, accanto alla BCE, come evidenziò De Grauwe, qui, pp.3.1. 3.2 -, con il probabile spegnersi del nuovo Quantitative Easing, nella considerazione dei suoi side effects (ammessi pure da Visco, v.anche qui), e con la sempre pendente difficoltà bancaria, determinata dal funzionamento pro-ciclico dell'Unione bancaria dell'eurozona (qui, p.3.1.).

6. E su quest'ultimo fenomeno, si apre un altro affascinante capitolo della saga dell'Ital-tacchino, che vi riassumo nel box sottostante, che specifica più in dettaglio la "dialettica" che ci terrà sotto..."scacco" nei prossimi mesi e anni...

E’ EVIDENTE CHE TALE SITUAZIONE SI INTRECCIA CON QUELLA DELLA “RATIFICA” DEL NUOVO MES E COL FUTURO RECEPIMENTO DI BASILEA 3-4 NEL DIRITTO UE.
INFATTI, LA PRESSIONE DELLA VIGILANZA BANCARIA BCE NON HA BISOGNO DELL’OPERATIVITA’ DEL NUOVO TRATTATO ESM PER ATTIVARSI. E CIO’ SIA PER SOLLECITARE L’ACCELERATA CESSIONE DEGLI NPL DA PARTE DELLE BANCHE ITALIANE, SIA PER CONTESTARE “PREVENTIVAMENTE” ESIGENZE DI RICAPITALIZZAZIONE AGGIUNTIVA PRUDENZIALE, A CAUSA DEL SOPRAGGIUNGERE DEL COMPLETAMENTO DELL’APPLICAZIONE’ DELLE REGOLE “BASILEA 3” (e 4), che imporrebbero alle banche dell’eurozona, a seguito della trasformazione in direttiva Ue, - annunciata da Dombrovskis entro il giugno 2020 -, circa 400 miliardi di ricapitalizzazioni, concentrate su quelle italiane; e ciò a causa dei criteri usati dall’attuale vigilanza nel non considerare altre “perdite” se non quelle da sofferenze dei crediti e tralasciando quelle di valutazione dei derivati Level-3 nelle banche nord-europee https://it.reuters.com/article/businessNews/idITKBN1XV115.La nuova regolazione Ue è già in fase di consultazione avanzata https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/business_economy_euro/banking_and_finance/documents/2019-basel-3-consultation-document_en.pdf ipotizzandosi una “full implementation”, da parte degli Stati-membri, entro il 1° gennaio 2022.
PERTANTO, LA VIGILANZA BANCARIA PUO’ GIA’, A PARTIRE DAL 2020, AGIRE ESERCITANDO UNA PRESSIONE PER INDURRE LA RATIFICA DEL MES-2, OVE SI VOLESSE ADOTTARE LA SOLUZIONE A) (richiesta intervento di credito condizionale del MES).
OVVERO, PUO’ ESERCITARE PRESSIONE PER ADOTTARE LA SOLUZIONE B)  (di autodisciplina con intervento fiscale sui depositi bancari) PROPRIO PER EVITARE LA RATIFICA (e, formalmente, il default: raggiungendo però comunque la riforma il suo obiettivo sostanziale).

7. Precisato questo confluente effetto di medio termine che spiega in larga misura quale sia la convenienza a introdurre la "minaccia" del MES (come abbiamo già visto qui e qui), trova conferma ulteriore la consueta conclusione.
Dunque la soluzione B) (cioè il solito fate presto! indotto dalla "peculiare" struttura dell'eurozona, affidato alla trojka interna) è la più probabile. 
Ed è la soluzione per la quale maggiormente spingono sia la dominance franco-tedesca (senza un’opposizione della finanza USA che si avvantaggerebbe sia delle svendite di privatizzazione che dell’apertura del ricco mercato del risparmio italiano al loro settore finanziario assicurativo), sia l’establishment politico e bancario-confindustriale italiano: che è disposto a tutto pur di non vedere azzerate le proprie quote azionarie nel sistema bancario, prime “vittime” della risoluzione bancaria innescata dalle esigenze di ricapitalizzazione e, in prospettiva, a maggior ragione, in caso di risk weigthing dei titoli del debito pubblico detenuti. Chiarissima al riguardo la recente dichiarazione di Patuelli, presidente dell’ABI (qui, p.1).

8. Piccolo ADDENDUM - Ragion per cui Patuelli torna in argomento con estrema chiarezza (il link interno al twit è attivo)


mercoledì 27 novembre 2019

DALLA PUBLIC CHOICE AL COLLASSO DEL TERRITORIO PASSANDO PER LE RISORS€ SCARS€


1. Per capire come si sia arrivati alla situazione di collasso simultaneo delle infrastrutture e dell'ambiente urbanistico di fronte alle intemperie, che si registra ormai annualmente - sempre che non si voglia credere che la causa sia il cambiamento climatico e che perciò si vogliano ignorare pervicacemente i livelli di definanziamento raggiunti dalle più essenziali funzioni costituzionali dello Stato -, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo: quindi, esaminare la teoria della c.d. Public Choice quale concepita negli USA nella evoluzione impressale da James Buchanan (quello dei residui fiscali per intenderci), premio Nobel per l'economia nel 1986 (intendiamoci: se tale premio Nobel "collaterale & bancario-centrale" fosse esistito quando Beardsley Ruml era ancora in vita, difficilmente gli sarebbe sfuggito).

2. L'intera teoria svolge una critica alla politica ex sé in quanto assurdamente preoccupata di captare il consenso degli elettori. Ed è in definitiva una teoria della inefficienza delle classi politiche in presenza del suffragio universale (che rimane "la" spina nel fianco dell'efficienza allocativa elitista-paretiana).
In questo post, abbiamo visto come il successo di tale visione abbia trasformato la stessa capacità della democrazia (ridotta in senso formale e idraulico) di (non) realizzare gli interessi maggioritari e invece di creare una continua legiferazione ad hoc per gli interessi dell'elite e dei vested interests.




Questo esito, che oggi negli stessi Stati Uniti, si sta rivelando come una pentola a pressione sociale vicina al suo punto di esplosione, è stato naturalmente propiziato innestando, sui processi democratici, dei meccanismi istituzionali rigidi e invalicabili che ben conosciamo e che, esaminando i "rimedi" proposti da Buchanan alla presunzione assoluta e insuperabile di Stato sprecone e fonte di privilegi, portano alla giustificazione culturalmente incontestabile, (e condivisa da parte dello stesso elettorato!), dello Stato minimo.

3. Ai nostri fini, cioè per comprendere come si arrivi al collasso di un intero territorio in un crescendo di riduzione del bilancio pubblico e di inni allo "spreco", prendiamo in esame la parte della teoria della Public Choice inerente alla burocrazia. La riportiamo da wikipedia perché tutto si può dire tranne che tale fonte non sia meticolosa ed entusiasta nel riportare le teorie neo-liberiste e liberal-rivoluzionarie:

"I burocrati

Le assemblee legislative delegano la responsabilità dell'implementazione delle loro iniziative politiche a vari dipartimenti e agenzie composte da funzionari di carriera che sono pertanto nominati e non eletti a ricoprire quel ruolo.
In questo ambito la Public choice ha per lungo tempo seguito un modello, detto di massimizzazione del bilancio, proposto da William Niskanen (1971), tentando nuove strade solo recentemente (v. ad esempio il modello Bureau-shaping sviluppato nel 1991 da Patrick Dunleavy). Nell'idea di Niskanen gli uffici pubblici potrebbero utilizzare le informazioni e le conoscenze acquisite per ottenere un finanziamento più elevato del necessario da parte di parlamentari relativamente disinformati e inesperti.(NdQ: il perfezionamento nel ridisegno organizzativo e "culturale" degli apparati esecutivo-burocratici porta oggi al fenomeno inverso: il che deve essere considerato un assoluto successo della €uropeizzazione della Repubblica fondata sul lavoro). La massimizzazione del bilancio viene assunta quale obiettivo dei burocrati in quanto più risorse significano maggiore prestigio e maggiori opportunità di carriera per i dipendenti di quell'ufficio pubblico.
Un altro campo di ricerca è il cosiddetto "rent-seeking". Questa disciplina unisce gli studi del mercato con quelli del governo. Per questo motivo viene anche spesso chiamata "nuova politica economica". La sua tesi basilare è che quando sia un'economia di mercato e un governo sono presenti, i burocrati e i politici sono la fonte di numerosi privilegi. Pertanto, sia gli attori del mercato che i rappresentanti del governo cercano di ottenere siffatti privilegi in modo da partecipare ai profitti che i monopoli conseguono (gli attori del mercato e i governanti vengono pertanto nominati "rent seeker, i.e. cercatori di rendita"). Quando questi privilegi sono concessi, riducono l'efficienza del sistema economia. Inoltre, i rent-seeker fanno uso di risorse che sarebbero state valutate in modo differente dai consumatori.

La teoria di Buchanan

Buchanan presume, in conseguenza a quanto visto finora, un Fallimento dello stato che è impossibilitato a fornire beni e servizi efficienti senza incappare in ingenti sprechi di risorse finanziarie. 
In particolare la critica è rivolta contro chi realmente detiene il potere di realizzare le scelte pubbliche, ovvero la categoria dei burocrati. Questi ultimi, vista la loro posizione vantaggiosa, cioè quella di essere gli unici a poter determinare il budget di spesa dei loro uffici, tenderanno a ingrandirli in misura sempre maggiore, per raggiungere il prestigio sociale di "imprenditori capaci", dal momento che non possono appropriarsi dei profitti conseguiti del loro lavoro e poiché le loro capacità non vengono riconosciute dallo stato, il quale però riconosce le capacità di imprenditori privati.
Come soluzione Buchanan propone la ricostituzione dello stato attraverso l'apposizione di rigorosi vincoli alla spesa pubblica, alla pressione fiscale (Costituzionalismo fiscale) e all'emissione di moneta, riformulando l'intervento dello stato in economia. (NdQ; negli USA, - basti guardare i livelli di deficit "medi" realizzati negli ultimi 10 anni, e le dinamiche del debito pubblico-, questa soluzione "ideale" non si è realizzata nella forma successful che ha invece raggiunto nell'eurozona; luogo di ingegneria sociale che sfiora la perfezione buchaniana...)".

Un lettore tipico di questo blog non credo che abbia bisogno di ulteriori commenti, oltre ai neretti e alle evidenziature, per unire i puntini e capire come accada, in base ad un'irresistibile spin cultural-politico, quel che oggi sta accadendo alle infrastrutture fondamentali del nostro Paese e al territorio su cui viviamo.

ADDENDUM: per i meno perspicaci che possono capitare casualmente a leggere su questo blog. 
Il "Costituzionalismo fiscale", sostenuto da Buchanan, implica il porre in Costituzione un espresso limite al prelievo fiscale (quantitativo in rapporto al PIL o comunque un criterio di determinazione indiretta). Questa misura politica (addirittura costituzionale) risponde alla ideologia più estrema del neo-liberismo Usa. 
E non solo. 
Può anche essere riassunto sotto la formula, in Italia apprezzatissima sui media, di Starving the Beast. Cioè, "Affamare la bestia" (o il bambino stravagante, secondo Reagan).
Il termine "Bestia" è riferito allo Stato e lo SCOPO PRINCIPALE ED ESSENZIALE E' LIMITARE LA SPESA PUBBLICA. In particolare i settori del welfare, cioè istruzione pubblica, sanità pubblica e ogni forma previdenziale-assistenziale
In cosa consista e quali siano i suoi effetti socio-economici, ce lo dice, con tanto di interpretazione autentica di Alan Greenspan, la stessa fonte (benevola al riguardo) di Wikipedia. Da rilevare che si spiega chiaramente, senza ombra di dubbio (e Reagan usa una esemplificazione efficacissima) che lo scopo effettivo, tagliare la spesa pubblica (sociale), si fonda su un'apparente premessa concettuale opposta (cioè tagliare le tasse):
"Starving the beast" is a political strategy employed by American conservatives to limit government spending[1][2][3] by cutting taxes, in order to deprive the federal government of revenue in a deliberate effort to force it to reduce spending.
The term "the beast", in this context, refers to the United States Federal Government and the programs it funds, using mainly American taxpayer dollars, particularly social programs[4] such as educationwelfareSocial SecurityMedicare, and Medicaid.[3]
Total tax revenues as a percentage of GDP for the U.S. in comparison to the OECD and the EU 15.
On July 14, 1978, economist Alan Greenspan testified to the U.S. Finance Committee: "Let us remember that the basic purpose of any tax cut program in today's environment is to reduce the momentum of expenditure growth by restraining the amount of revenue available and trust that there is a political limit to deficit spending."[5]
Before his election as President, then-candidate Ronald Reagan foreshadowed the strategy during the 1980 US Presidential debates, saying "John Anderson tells us that first we've got to reduce spending before we can reduce taxes. Well, if you've got a kid that's extravagant, you can lecture him all you want to about his extravagance. Or you can cut his allowance and achieve the same end much quicker."[6]

The earliest use of the actual term "starving the beast" to refer to the political-fiscal strategy (as opposed to its conceptual premise) was in a Wall Street Journal article in 1985, wherein the reporter quoted an unnamed Reagan staffer

sabato 23 novembre 2019

"COME DI CONSUETO, SEMPRE DI NOTTE, SEMPRE SOTTOVOCE"...DALLE CLAUSOLE IVA ALLA RIFORMA ESM: LO STATO DI ECCEZIONE COME "MALE MINORE"

"...come di consueto sempre di notte, sempre sottovoce, un modo per capire, per capirsi e forse anche per capirci, quando un giorno vista l'ora è appena finito e un nuovo giorno è appena iniziato. Un giorno per amare, per sognare, per vivere. Buonanotte."
 1.Patuelli sottovoce, almeno su questa riforma dell'ESM non ci sta:
“Io non so nulla”, ribadisce parlando con i cronisti a Bruxelles, e cita l’Huffington Post per la seconda volta. “Le cose che ho letto di più sono sull’Huffington post”. E di fronte alle insistenze dei cronisti sul fatto che non è possibile che il presidente dell’Abi non sia stato informato, Patuelli sbotta: “I problemi poi diventano tutti nostri e già ne abbiamo abbastanza. Questo è un problema delle istituzioni della Repubblica e noi facciamo parte della Repubblica. Semmai dovreste chiedere agli esponenti del governo perché non ci hanno consultatiA questo punto quindi Patuelli paventa il rischio che le banche non comprino più i titoli di Stato italiani. “Non li compreremo più, non abbiamo un vincolo di portafoglio di comprare ‘x’. Come investitore il mio problema è vedere che fa la Repubblica italiana per tutelare il debito pubblico italiano, visto che la maggior parte è sottoscritta da soggetti nazionali...”.
2. Dunque:


Ma Moscowici non tiene conto di nulla e "vende" il grande progresso esattamente con lo stesso meccanismo (del venditore di assicurazioni contro le gelate nel Sahara) utilizzato per "narrarci" che la neutralizzazione delle clausole IVA è uno sgravio tributario:
Non serve a granché la presenza di Pierre Moscovici oggi a Roma. Anzi. Il commissario europeo uscente agli Affari economici incontra sia Conte che Gualtieri mentre il vertice di maggioranza prosegue: si rivela più lungo del previsto. Con loro Moscovici parla del Mes, cerca di perorare la causa ma gli tocca farlo con i due più convinti del sì italiano accordato lo scorso giugno. “La riforma è un passo avanti, non significa mettere sotto tutela l’Italia”, dirà dopo il francese in conferenza stampa. “Abbiamo evitato derive che avrebbero potuto essere nocive, che altri paesi avrebbero voluto introdurre, in particolare meccanismi automatici”, sulla ristrutturazione del debito.
Come avevamo già visto che aveva precisato De Grauwe:
"Second, the ECB has attached as a condition to the use of the OMT-program that the countries concerned apply to the ESM which may then subject these countries to additional austerity programs
This creates the problem that countries are pushed further into a recession as a condition to obtain relief from the ECBIt is difficult to understand the economic logic of such an approach. It is in my view the result of a moralistic approach to the problem that is very popular in the North of Europe and that wishes countries applying for support to be punished first for their sins. 
There is an additional danger to this second conditionThe ESM will be at the centre of the procedure for triggering the ECB’s liquidity provision in the context of the OMT program. The decisions of the ESM, however, will de facto be subject to a veto power of Germany and other countries".

2.1. Però, come poi vedremo nell'analizzare la strategia di "obiettivi reali" cui si prestano i nostri solerti filo-riforma ESM, i franco-tedeschi, per voce di Scholz, rimangono pure loro tutt'altro che sottovoce. Anzi, insistono nel gridare a gran voce:
Vi riporto per miglior visibilità l'interezza delle "grida" scholziane ("in questo dò ragione a Macron"):

Immagine

3. E dunque, anche  Visco pare (fino a ieri, poi vedremo...) ben conscio del fatto che...

...tutto il peso del riequilibrio interno all’EZ ricade sul finanziamento dell’ESM, che si profila anticipatamente come: a) meramente teorico in via di intervento ordinario, in condizioni fisiologiche; b) acutamente pro-ciclico, in caso di intervento residuale e concretamente applicabile, determinando una punizione “estrema” del paese che non reggerà la duplice condizione del pareggio di bilancio e di una crescita priva di squilibri macroeconomici
...
questo scenario di imminente riforma rende perciò, va sottolineatoquasi obbligato, per l’Italia, un intervento precauzionale di imposizione patrimoniale sul risparmio privato nei depositi bancari, - ovvero un insieme di misure tributarie equivalenti (quanto a gettito)- nonché una ulteriore accelerazione nel progressivo smantellamento del sistema pensionistico e sanitario pubblico, che, ai fini del pareggio strutturale di bilancio, risultano infatti i maggiori aggregati della spesa pubblica (e la cui “incomprimibilità” politica viene considerata il principale ostacolo ad una virtuosa appartenenza all’eurozona). Ma anche questa serie di politiche “precauzionali”, accelerate dalla minaccia…del salvataggio ESM (!), risultano fortemente recessive, se non esiziali per la nostra economia e per il minimo di coesione sociale che caratterizza un paese democratico.

4. Dunque è molto difficile che la riforma ESM possa entrare in vigore così, sottovoce, senza resistenze. Grandi interessi paiono opporsi a ciò. E l'interesse vero è quello di NON provocare un'ecatombe immediata e, soprattutto, NON selettiva.


5. L'interesse vero è più sottile, più diluibile: Cottarelli, ci tiene a sottolineare come l'introduzione del meccanismo, beh...sì, rischia l'innesco di un disastro artificialmente indotto dalla pendenza del meccanismo stesso:
"Ma perché l' Italia dovrebbe opporsi a tali segnali di cambiamento? Il motivo principale è che riforme che suggeriscano ai mercati finanziari che la probabilità di una ristrutturazione del debito è aumentata possono causare una crisi o almeno accelerarla. Pensiamo a una situazione in cui il nostro spread inizi a crescere.


Se gli investitori sanno che il fondo salva stati, quello che può intervenire in caso di problemi, richiederà probabilmente la ristrutturazione del nostro debito come condizione per un prestito, come pensate che si comportino? 
Smetterebbero di comprare titoli di stato al primo segnale di tensione: un momento di difficoltà che potrebbe essere superato, potrebbe trasformarsi in una crisi profonda, che porterebbe effettivamente alla necessità di ricorrere il Mes e alla ristrutturazione del debito".

E chi l'avrebbe mai pensato?


Poi però, nel finale, Cottarelli ci "rassicura", in un modo tutto suo; ci decanta i vantaggi dell'austerità e dell'abbattimento autonomo (autotrojka), del debito pubblico per via fiscale: cioè di avanzi primari che, si sa, fanno pure crescere il PIL. Tranquillamente, così, sottovoce, un modo per capire e per capirsi:

"Quindi non un' alternativa all'austerità, ma una forma di austerità (la patrimoniale di cui oggi tanti parlano). Quindi l' Italia fa bene a opporsi a questi aspetti della riforma del Mes.
Il Mes è però un' istituzione essenziale perché è necessario avere un meccanismo europeo di sostegno ai paesi in crisi. In realtà l' ondata di critiche al Mes è venuta proprio da chi critica non tanto la riforma in questione ma l' esistenza stessa di una istituzione, il Mes, che interverrebbe sì in sostegno dei paesi, ma in cambio di condizioni. Si vorrebbe un intervento senza condizioni, un regalo dall' Europa a chi non ha tenuto i conti in ordine. Questo, francamente, mi sembra irrealistico.
giuseppe conte roberto gualtieri 8GIUSEPPE CONTE ROBERTO GUALTIERI 8

Un' ultima annotazione: non dimentichiamoci il problema fondamentale. La questione del Mes suscita tanta eccitazione nell' opinione pubblica italiana perché il nostro debito pubblico è troppo alto e va ridotto. Chi ha i denti sani non si preoccupa delle modalità con cui interviene il dentista. Noi i denti sani non li abbiamo".




6. Ed infatti, a me pare, che il tutto prenderà una direzione analoga a quella che ha preso le mosse dalla "trovata" delle clausole di salvaguardia. 

Come già per le clausole IVA, nel caso del riformando ESM (o forse no, o forse sì...i mercati, si sa, è meglio rassicurarli...ma la ristrutturazione no: le banche saltano e, per primissima cosa, si azzerano le azioni!), ogni volta che si vorrà approssimare un'approvazione formale "definitiva", pronta per la ratifica, nel corso dei prossimi mesi e (forse) anni-, avremo una minaccia di pericolo certo e incombente che si può scongiurare, salvando l'Italia, tassando in misura aggiuntiva, ma minore di quanto paventato dalle dosi aggiuntive di shock economy euro-green-istituzionale. Cioè Milton Friedman al suo "meglio" con un'aggiunta di mega illusione finanziaria, nella sua più pura espressione, triangolata con lo spauracchio sovranazionale.

7. Si ottiene così quel che si vuole veramente, e fin dall'inizio: scaglionando, e sopendo e troncando, l'onere nella sua forma più brutale, ma riproponendolo, in modo da poter imporre un'agenda di tagli & tasse aggiuntivi, sorretta, nel caso delle clausole dalle ferree scadenze della "manovra di stabilità" annuale.
Anche perché i "solidali" partner tedeschi, con il welcome di Centeno, rilanciano: in un crescendo di minacce di €uro-shock economy che dovrebbe chiudere definitivamente la "campagna d'Italia" (con una resa incondizionata ma, a sentire alcuni, anche festosa):

Risultati immagini per Milton Friedman shock economy

8. Ed invece, nel caso dell'ESM (per il cui effetto deflagrazione basterebbe la parola, ovverosia, l'approvazione come trattato "sottoscritto" ancorché non ratificato), la salvazione mediante le opere (che poi è "espiazione"), cioè attivando la garanzia  apprestabile direttamente dallo Stato-membro modello dell'eurozona, lasciato solo a traslare il rischio bancario (creato dall'Unione bancaria!) sui cittadini, cioè sui risparmiatori e sui contribuenti.
E la salvazione-espiazione, dovendosi prescegliere il "male minore", prenderà la forma di un'accelerazione di tagli & tasse "spettacolare"; un fate presto! che, altrimenti, non sarebbe stato consentito.
Se non creando, dentro allo stato di eccezione permanente, un pericolo così eccezionale da far risultare minore una mattanza altrimenti inaccettabile.

E poi, appunto: Buonanotte
Così sottovoce, per capire e per capirsi...

venerdì 22 novembre 2019

L'INTENTO DEI COSTITUENTI, IL RISPETTO DELLA LEGALITA' E...IL PROBLEMA DELLA CRESCITA E DELL'OCCUPAZIONE



I. Mi trovo a fare la premessa introduttiva di un post creato da un insieme di commenti di Francesco Maimone. Un discorso che rientra tra i tanti che non vanno dispersi (e talora ho mancato nel tentare queste operazioni di valorizzazione della ricchezza, cognitiva e costituzional-legalitaria, racchiusa nei migliori interventi svolti sul blog. Ma le mie forze hanno un limite...).
La prima cosa che mi viene da dire riguardo al tema che tratta Francesco, collegato al precedente, post, è questa: una delle frasi fatte che più mi colpisce, per il suo ottuso autolesionismo, e la sua mediocrità ideologica e culturale, è quella che viene spesso, anzi direi in modo quasi automatico, attaccata alla affermazione "La Costituzione italiana è la più bella del mondo" (affermazione che, a sua volta, mi ha sempre visto diffidente, per la sua sospetta enfasi che, generalmente, nasconde una totale strumentalizzazione fuorviante dell'armonia complessa della Costituzione del 1948, o, peggio, l'assoluta ignoranza al riguardo).
La frase di replica in questione, di cui francamente non se ne può più, è "Ma la "tua" Costituzione non ti ha protetto da..." (di volta in volta, può essere la disoccupazione, l'approvazione di Maastricht, l'avvento dell'euro, dell'Unione bancaria, o qualsiasi altra grande sciagura che ha afflitto la nostra Patria negli ultimi decenni). Ed infatti la frase è espressa anche nella variante "Sì ma, la Costituzione più bella del mondo non ha impedito che...".

II. Ora, per comprendere il grado di luogo comune autolesionista di questo genere di frasi, occorre rammentare che la Costituzione non è un soggetto dell'ordinamento, un "agente" dotato di una sua specifica sfera di giudizio e di azione volontaria; essa è la fonte normativa suprema dell'ordinamento giuridico della Repubblica italiana. Essa, quindi, è una fonte di diritto, cioè un fatto (certamente frutto di un processo volontario) che deriva da un processo di fondazione primigenia della stessa Repubblica e che si concretizza in un documento contenente delle norme, cioè delle regole che contengono dei comandi o dei divieti riguardanti i comportamenti umani (poiché ogni fonte normativa riguarda i comportamenti umani; la Costituzione organizza la società stessa nei suoi processi decisionali e pone degli obiettivi obbligatori che questa organizzazione, lo Stato repubblicano, deve costantemente perseguire a tutela del benessere e del vivere ordinato dell'intero popolo italiano).
Dunque, la Costituzione è una fonte normativa che non agisce, ma prescrive o vieta certe azioni, dei cittadini o, prima ancora, delle persone umane titolari delle istituzioni e delle istituzioni che essa stessa istituisce o prevede di istituire. Sono questi soggetti e queste istituzioni che, con i loro comportamenti, rivelano la loro volontà di rispettare le regole. Della democrazia costituzionale.
Il fatto che, nella necessaria gerarchia delle fonti (che è uno dei più importanti strumenti di garanzia della nostra democrazia), la Costituzione sia superiore ad OGNI ALTRA fonte, non ne muta la sostanza, di documento che contiene un insieme di regole giuridiche (sono tali quelle che lo Stato rende"effettive" prevedendo sanzioni per la loro violazione e degli organi giurisdizionali che applichino, in un procedimento in cui sia garantito un pieno diritto di difesa, queste stesse sanzioni).

III. Dunque, dire "la "tua" (...transeat) Costituzione  non ha impedito che... è una totale sciocchezza: equivale a dire "Il codice penale non ha impedito che ci fossero"...a) omicidi; b) rapine; c) corruzzzione! etc etc
O anche, se si volessero raggiungere vertici massimi di bizzarria: "il codice urbanistico non ha impedito che tu non trovassi mai parcheggio, sotto casa e al lavoro".
Non mi soffermerò sulla implicita premessa di questo tipo di affermazioni che è quella che, invariabilmente, quelle norme siano sbagliate e vadano cambiate in base al giudizio (invariabilmente informato e "competente" di chi pronuncia la "frase fatta"). Mentre invece le cause del "problema" che non sarebbe stato impedito, sono tutt'altre, e vanno ritrovate in ben altre fonti normative; e, più precisamente, in qualche vincolo da trattato e nella sua attuazione. Praeter, o più spesso, Contra Constitutionem.
Il che fa tutta la differenza del mondo nell'individuare i "nessi causali" del problema.
Ma sarebbe interessante capire come questi riformatori permanenti, indignati e soprattutto scontenti (dello Statobrutto), penserebbero di formulare meglio le norme che prevedono il reato, (anzi il delitto: altrimenti, lo chiamano "reato penale"..), di omicidio o di rapina. O qualsiasi altra norma (che non sia, come accade ormai direttamente o indirettamente nel 95% dei casi, di derivazione dai trattati europei o da qualche vincolo imposto dal diritto europeo).

IV. Sta di fatto, anzi sta nell'ordine logico del linguaggio giuridico, che l'individuazione di una volontà intenzionale, cioè di una scelta umana diretta ad uno scopo cosciente, non può essere attribuita alla fonte di diritto, bensì al processo normativo che ha richiesto l'intervento di un gruppo (legittimato: in democrazia, tendenzialmente, dal fatto di essere stati eletti in modo libero e trasparente) di esseri umani che hanno progettato, discusso e deliberato queste scelte (su quali regole giuridiche dovessero essere dettate in una certa materia, ovverosia per disciplinare un certo fenomeno sociale; nel caso della Costituzione, la Repubblica da istituire e far funzionare onde perseguire gli interessi che, al suo interno, sono stati ritenuti, democraticamente, fondamentali).
Questo processo Costituente, se riferito al gruppo di uomini che lo hanno posto in essere, considerati non nella loro differenziazione ideologica (risultante dall'organizzazione della stessa società in partiti politici) bensì come fenomeno legittimo fondativo dell'ordinamento, andrebbe definito Potere Costituente; quello dalle cui scelte dipende la legittimità futura di ogni altro Potere dello Stato apparato.

V. Riducendo all'essenziale il problema, e volendo, benevolmente, tradurre e considerare nel loro vero significato (al di là delle intenzioni coscienti di chi le formula), le frasi di colpevolizzazione, rabbiosa e sarcastica, contro la Costituzione, può dirsi che il fenomeno umano volontario sottostante alla fonte costituzionale, possa essere responsabile di tutti i mali ora lamentati dai suoi irriducibili e aprioristici critici?
La questione andrebbe risolta sul piano storico; ogni questione di valutazione dei fatti sociali, dei comportamenti umani intrecciati nella loro dinamica politica, va anzitutto ricostruita sul piano storico; cioè di ciò che è realmente accaduto.
Quelle persone, i membri dell'Assemblea Costituente, che furono i protagonisti deliberanti democraticamente delle scelte su cosa inserire nella "Fonte-Costituzione", hanno sbagliato e peccato di leggerezza? O piuttosto è accaduto "qualcosa" che ha minato la effettività della loro intenzione e dei loro obiettivi?
Al riguardo, abbiamo già svolto una ricostruzione
Molto si potrebbe dire; e ogni ricostruzione storica, come ben sanno i giudici penali (e non solo), e soprattutto gli storici che seguano una metodologia priva di precomprensione, può essere oggetto di dubbi e anche di arricchimento continuo. Ma entro certi limiti: non in base a luoghi comuni trascinati da "voci" a distanza di decenni e decenni, e prive di riscontri documentali diretti.
Senza pretendere che le fonti storiche siano perciò sempre inoppugnabili, - ma senza per ciò dover ammettere che il sentito dire e il riflesso automatico di condizionamenti ideologici retrospettivi possa farsi preferire alla documentazione storica - le cose, al tempo della Costituente andarono in un certo modo

VI. E non certo secondo "l'intento" dei Costituenti. Ce lo testimoniano due fonti dirette dell'epoca e di anni immediatamente seguenti. Alcide De Gasperi e Guido Carli.
Questa la vicenda testimoniata dalla dichiarazione espressa di De Gasperi (rammentiamo che la Costituzione vedeva decise convergenze nell'elaborazione del suo testo, ma non era ancora stata definitivamente approvata)
"Visto che s’è menzionato De Gasperi, parto col suo celebre discorso del maggio ’47, quando annunciò la crisi del governo di unità nazionale: il discorso del “quarto partito” (in Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pag. 40):
i voti non sono tutto (...). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche

L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo (...) i rappresentanti di questo quarto partito
Prosegue Graziani (pag. 41): 
Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d'Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell'Industria andarono rispettivamente a Pela e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947.” 

Qui invece la fredda e asciutta valutazione - e testimonianza - retrospettiva di Carli nelle sue "memorie" (tutto il post del dicembre 2017 merita un'attenta rilettura: grazie Arturo):
Le scelte di aderire alle istituzioni economiche internazionali e di tracciare la “costituzione monetaria” del paese...furono “sapientemente” operate al di fuori di ogni contrattazione politica con la Costituente": dunque per Carli lo scavalcamento del legittimo potere politico costituisce il pregio, verrebbe da dire il merito storico, dell’élite che quella scelta compì". 
Le "istituzioni economiche internazionali", va precisato, sono quelle che erogavano prestiti (da restituire con interessi), indispensabili per il rilancio dell'economia, nella fase di ricostruzione, però - pensavano, non sempre esattamente, i nostri governanti al riparo dal processo elettorale -, purché il nostro debito pubblico fosse, guarda un po', sostenibile e quindi si innescasse la deflazione mediante la restrizione creditizia guidata da Bankitalia e Einaudi. Qualcuno trova le similitudini col presente? E le "colpe" della nostra Costituzione?
"Ripetuti sono i riferimenti in Guido Carli, Cinquant’anni di vita italiana [che io ometto], tra i quali si noti il seguente passo 
De Gasperi protesse Einaudi perché capì che questa linea [di restrizione creditizia] gli apriva le porte delle istituzioni internazionali che lui riteneva indispensabili per ancorare il paese alla democrazia parlamentare. Dopo la scissione di palazzo Barberini anche Saragat appoggiò la stretta monetaria di Einaudi. Ma entrambi scelsero di basare la “Costituzione monetaria” del paese su provvedimenti che non dovessero essere contrattati in sede di Assemblea Costituente”.

VII. Si capisce con evidenza come "altre forze", favorevoli alle "istituzioni internazionali" cui sentirono di doversi collegare (e certamente, come constatiamo oggi, non solo per via del "clima internazionale" del tempo), hanno ritenuto, allora come oggi, di potersi costantemente svincolare dalle intenzioni dei Costituenti e dalla volontà, a base popolare-elettorale, espressa dal Potere Costituente.
Una storia di successo. Che prosegue e che i sarcastici obiettori ("Ma la "tua" Costituzione non ti ha protetto da...") dovrebbero almeno tentare di conoscere.
Ma temo che non siano minimamente interessati. I motivi sono intuibili; gli "effetti" sono però quanto di più autolesionistico si possa immaginare. 
A meno che non appartengono alle alte sfere del "Quarto Partito", naturalmente.


1. I nostri Costituenti, manco a dirlo, queste cose le sapevano e recepirono senza dubbio le teorie keynesiane nell’ottica di un intervento dello Stato per combattere la disoccupazione agendo dal lato della domanda. E’ stata definita “politica di opere pubbliche” (oggi diremmo, in generale, di “spesa pubblica”).

Interessante, in proposito, è quanto emerge dalla “Commissione per lo studio dei problemi del lavoro”. In tal senso, particolarmente significativa (proprio dal punto di vista “…istituzionale, storico e politico-ideologico…”) risulta la relazione dal titolo “Disoccupazione ed opere pubbliche”, nella quale il prof. Paolo Sylos Labini richiama espressamente, non a caso, il moltiplicatore di Kahn:

…economisti… si sono dimostrati favorevoli ad un a politica di opere pubbliche.
Tra questi si può ricordare il Kahn, la cui teoria del “moltiplicatore” ebbe, specialmente alcuni anni or sono, una notevole risonanza. Secondo il Kahn le spese effettuate dallo Stato per finanziare le opere pubbliche metterebbero in moto una spirale di benefiche azioni e reazioni: le imprese che ricevono le ordinazioni per le opere pubbliche a loro volta fanno ordinazioni ad altre imprese e queste ad altre ancora. D’altro lato i disoccupati che ottengono l’impiego vengono a disporre di un maggiore potere di acquisto ed effettuano una maggiore richiesta di beni di consumo; tale maggiore richiesta stimola la produzione e quindi la richiesta di lavoro.
Per conseguenza l’occupazione dei lavoratori crescerebbe secondo un coefficiente, secondo un “moltiplicatore” che misurerebbe appunto l’occupazione indiretta, o indotta, o “secondaria”.

Tale teoria, sfrondata dei sottili ragionamenti e delle formule… in sostanza non fa che esprimere, riferendola alla politica delle opere pubbliche, una semplice verità: che, essendo i fenomeni economici interdipendenti, qualsiasi mutamento dei dati provoca altri mutamenti, ben più importanti di quello iniziale: in un certo senso gli effetti del mutamento iniziale risultano, dopo un certo periodo, amplificati o “moltiplicati…
” [Atti della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro, III, Memorie su argomenti economici, Roma, 1946, 287].

2. Tuttavia, Sylos Labini – riconoscendo che il moltiplicatore può avere effetti favorevoli a determinate condizioni - amplia prospetticamente il proprio discorso, affermando che:

…in una società prevalentemente privatistica e in periodo di depressione ciclica una vasta politica di opere pubbliche non può in nessun caso costituire il fattore determinante della ripresa produttiva; una tale politica può solo affrettare la ripresa e può, quindi, portare un effettivo ed efficace contributo alla soluzione del problema della disoccupazione quando si verifichino certe condizioni e quando sia accompagnata da una serie di altri interventi statali.

Ora, poiché l’esperienza ha dimostrato che lo Stato, specialmente durante le crisi, non può assolutamente sottrarsi dall’intervenire, e poiché gli interventi statali, attuati sotto la pressione della necessità, si manifestano spesso contraddittori, TANTO VALE CERCARE DI PREVENIRE IL MALE INVECE DI REPRIMERLO. 
Sono queste in sostanza le considerazioni che, come si è già accennato, possono consigliare un INTERVENTO SISTEMATICO E GENERALE DELLO STATO NELL’ECONOMIA, possono consigliare cioè una pianificazione dell’economia. Una politica di opere pubbliche che s’inserisse in una pianificazione dell’economia avrebbe un significato del tutto diverso da quello che ha una politica di opere pubbliche perseguita isolatamente…
Non si cerca quindi ancora di impedire alle crisi di manifestarsi e di sanare in modo non transitorio IL CONFLITTO FRA INTERESSE INDIVIDUALE ED INTERESSE SOCIALE. Si vuole solo ridurre al minimo tale conflitto ed attenuare l’asprezza delle fluttuazioni cicliche. Tuttavia LA POLITICA DELLE OPERE PUBBLICHE IN FUNZIONE ANTICICLICA COSTITUISCE, SE È ATTUATA, UN ULTERIORE PASSO VERSO LA GENERALE PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA [Atti della Commissione, cit., 291]. 


3. In sostanza, in presenza di crisi cicliche – che sono connaturate al capitalismo [ed in cui “La disoccupazione permanente…è uno degli indici più caratteristici del conflitto esistente fra interesse individuale e interesse sociale, fra interesse di coloro che sono economicamente più forti e interesse della società nel suo complesso, così pag. 275], lo Stato deve intervenire certamente attraverso la spesa pubblica applicando i principi dell’economia keynesiana, ma tale intervento non può essere concepito in modo sporadico ed in contingenze solo patologiche, ma deve essere considerato strutturale. Insomma:

"Finora lo Stato, come spesso pel passato, ha mostrato di considerare esaurito o quasi esaurito il suo compito dopo aver predisposto l’autorizzazione di una certa somma pel finanziamento di opere pubbliche. L’azione dello Stato nel campo delle opere pubbliche si è risolta, cioè, in un intervento isolato, frammentario e di carattere quasi esclusivamente finanziario…

Un intervento di tale tipo può avere una certa efficacia in periodi di crisi dipendenti dal ciclo economico, crisi per giunta non gravissime; esso è assolutamente inadeguato in un periodo, come l’attuale…Ora si profila l’opportunità di una politica di opere pubbliche non perseguita isolatamente, nè solo sul piano finanziario, ma strettamente e coerentemente coordinata alla politica creditizia, a quella sociale, a quella del commercio estero, a quella tributaria e dagli altri rami della politica economica.

Un coordinamento fra i vari interventi non platonico e formale, ma concreto, È RAGGIUNGIBILE SOLO ATTRAVERSO UNA PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA…la pianificazione dell’economia sembra opportuna per cercare di realizzare la massima stabilità economica possibile, ed in particolare per promuovere e regolare quel processo di industrializzazione…necessario per assicurare, insieme col più rapido sviluppo del reddito complessivo, l’impiego di quantità crescenti di lavoratori
 [Atti della Commissione, cit., 298-299]. 

4. Una pianificazione così intesa per intervento dello Stato - che nei momenti di crisi può tradursi sia “… in una statizzazione, parziale o totale, dell’offerta” sia in una “…statizzazione della richiesta” [Atti della Commissione, cit., 278-279] - ma concepita fisiologicamente in via preventiva e normale con funzioni stabilizzanti di lungo periodo. Le ragioni sono evidenti:

il mercato, lasciato completamente a se stesso, è, sì, indice dei valori, MA, POICHÉ DIETRO I VALORI CI SONO GLI UOMINI, IL MERCATO È INDICE DELLA FORZA ECONOMICA, CIOÈ DELLA CAPACITÀ DI ACQUISTO DEI VARI UOMINI. E quando coloro che hanno una capacità di acquisto inferiore a quella necessaria a soddisfare almeno i bisogni vitali divengono via via più numerosi, divengono addirittura la maggioranza, il conflitto fra interesse individuale, cioè fra interesse dei più forti, e interesse sociale è evidentissimo…. La pianificazione eliminerebbe il conflitto fra interesse individuale e interesse sociale, appunto perché lo Stato, predisponendo il piano, avrebbe di mira quella che potrebbe esser definita la scala sociale dei bisogni [Atti della Commissione, cit., 281].

5. Ecco l’art. 41 Cost. che, non a caso, C. Mortati considerava il cuore pulsante della Costituzione nella sua parte economica. D’altronde, la “sintesi” indicata da Quarantotto alla fine del capitolo non riassume forse nella sua evidenza proprio quanto voluto dai Costituenti in detta disposizione? (http://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/la-grande-assente-e-la-pianificazione.html)
In armonia con quanto ancora, in proposito, sostenuto da Federico Caffè:
Un vero quadro incisivo di politica economica non può che essere fornito che da alcune opzioni fondamentali le quali sembrano essere costituite:
a) dalla
riaffermazione di un livello pressoché pieno di occupazione…indispensabile per legittimare il consenso e reagire, in forme non repressive, ai fenomeni asociali di conflittualità;
b) d
al riconoscimento che il pieno impiego comporta non soltanto una politica di controllo pubblico della domanda globale, ma altresì di una politica di attenta amministrazione dell’offerta complessiva. Sul terreno dell’offerta …sia i fenomeni aberranti delle eccedenze da distruggere sia i fenomeni di carenze strutturali di lungo periodo…attestano con chiara evidenza i limiti e le insufficienze delle indicazioni fornite dal mercato…” [F. CAFFE’. In difesa del Welfare State – Saggi di politica economica, Torino, 2014, 151-152].