domenica 23 aprile 2017

MACRON HA GIA' PERSO. PERCHE' COMUNQUE AVRA' VINTO LA COMMISSIONE UE.

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1. Facciamo che tutto sia scontato e che i sondaggi questa volta siano attendibili.
Dunque, ci ritroveremmo Macron come Presidente francese. 
La grancassa mediatica italiana, in questi giorni particolarmente agitata, sarebbe finalmente tranquillizzata sul fatto che l'economia nostrana non andrebbe incontro a "terribili scossoni": L€uropa ne uscirebbe rafforzata, i populismi umiliati e la macchina della pace e della crescita, possibili solo dentro l'euro (che non è certo il nostro problema), potrebbe ripartire verso il futuro radioso che i "padri fondatori" de L€uropa avevano da sempre progettato per tutti noi.

Esaminiamo perciò quale situazione si troverebbe a fronteggiare Macron, con le sue idee prioritarie per cui la spesa pubblica andrebbe tagliata di 60 miliardi in via strutturale entro il 2022, - al netto, si badi bene, di un piano di investimenti pubblici quinquennale di 50 miliardi-, il numero dei pubblici dipendenti ridotto stabilmente (50.000 posti soppressi a livello statale e 70.000 a livello locale, entro il 2022). Naturalmente, sempre entro il 2022, secondo il suo programma, ci sarebbe il pareggio strutturale di bilancio, che andrebbe di pari passo, secondo Macron (e il suo piano di investimenti pubblici), con una riduzione della disoccupazione al 7% e, donc, con 1.300.000 posti di lavoro aggiuntivi creati da questo insieme di misure.

2. Ma vediamo anche perché, Macron ha già perso (proprio come sarebbe accaduto per Hillary: cioè a prescindere dall'esito del ballottaggio). 
Il cammino che ha di fronte, infatti, è quello di un feroce e difficile consolidamento fiscale, inevitabile per un presidente che fa della fedeltà alle regole dell'eurozona il suo più rassicurante "cavallo di battaglia" (certamente rassicurante per l'ital-tifo mediatico). 
E non è che la Commissione UE gliela mandi a dire nell'ultimo Country Report del febbraio 2017: nel medio termine, il suo debito pubblico viene ritenuto altamente a rischio. 
La spesa pubblica, la più alta d'€uropa in rapporto al PIL, è giudicata, dalla Commissione, fuori controllo per l'eccessivo ricorso a "sussidi", cioè all'assistenza sociale diversa da quella previdenziale: questa, non sarebbe problematica per via dell'andamento demografico francese, che la Commissione considera, senza sapersi spiegare perché, un'eccezione nell'ambito dell'eurozona! E infatti, non spiegandosi perché, gli addita la spesa sociale come primo "ramo secco" da tagliare:

3. Il debito pubblico, salito oltre il 96% del PIL, cioè 4 punti sopra la media dell'eurozona, è previsto in moderato ma costante aumento, fin oltre il 100% del PIL, a legislazione invariata, scenario che si aggraverebbe di ben 6 punti nel rapporto debito/PIL ove, per un qualsiasi fattore di crisi finanziaria, gli interessi su tale debito dovessero crescere dell'1% (una specie di mezzo avvertimento sulla fine del QE). 
Naturalmente, per la Commissione, il denominatore PIL, cioè la dinamica della crescita (e dell'occupazione) non risente mai del consolidamento fiscale e quindi le basta dire che occorre una correzione prudenziale, preventiva dello scenario più sfavorevole, di 2,8 punti di PIL
Il che già dovrebbe portare all'indebolimento repentino della vocazione di Macron all'ortodossia nel rispetto delle regole dell'eurozona, visto che, invece, se rispettasse questa raccomandazione, dovrebbe dire addio sia alla crescita che alle centinaia e centinaia di migliaia di posti di lavoro che va in giro a promettere (...tranne che ai dipendentipubblicibrutti); anche se può sempre contare sul fatto che la golden share politica della Franza gli consente di fare un po' come je pare...:

4. Invece, le retribuzioni reali sono costantemente cresciute scollandosi dalla ben più modesta crescita della produttività: una delle colpe più gravi nell'eurozona, secondo i ben noti enunciati della BCE (per la quale il Deflationary gap non esiste e, se proprio proprio, si corregge con tanti investimenti privati indotti da tanti bei tagli della spesa pubblica; c.d. crowding out che vedrete, infatti, richiamato dalla Commissione nelle raccomandazioni finali alla Francia, linkate in fondo):


5. E, nonostante ciò, il debito del settore privato, famiglie e imprese, è cresciuto constantemente dal 1998 (ma guarda un po'...), attestandosi attualmente al 144,3% del PIL: preoccupa la Commissione quello delle imprese industriali, di 7,5 punti sopra la media €uropea:
 

6. Insomma, i francesi "hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità", traducendo in soldoni quanto analizza e raccomanda la Commissione. Che, infatti, segnala la seguente situazione delle esportazioni francesi e anche i "consueti" problemini da risolvere: cioè, per la Francia, ma proprio per la Francia dai!, la Commissione si abbandona all'ammissione che la sua perdita di competitività nel periodo 1999-2008 è dovuta al contenimento del costo del lavoro nel resto dell'euro area "in particolare in Germania":

7. Anche scontando il QE e il suo marcato effetto svalutativo, nonché l'orientamento francese all'esportazione prevalente fuori dell'area euro (al suo interno il discorso è invece opposto), infatti, non solo l'aumento del debito, pubblico e privato, indica che la Francia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità, tanto che il saldo francese delle partite correnti rimane in deficit: la Commissione, nel suo report, prevede anzi, per i prossimi anni un significativo rischio di notevole peggioramento:
 http://cdn.tradingeconomics.com/charts/france-current-account-to-gdp.png?s=fraca2gdp&v=201704031247t
8. Intanto, nell'immediato, Macron deve raggiungere il pareggio strutturale di bilancio - ma, con comodo, entro il 2022, e sempre sapendo della sua golden share politica-, partendo da questa situazione che, certamente, (con grande sorpresa delle scientifiche conoscenze dell'ital-grancassa) non è stata estranea al mantenimento della crescita dopo la crisi del 2008. Parliamo di deficit pubblico e, a ben vedere la serie, è un vero spettacolo:
France Government Budget
9. Dunque, Macron, o qualunque altro candidato €uro-ortodosso che uscirà dalle urne, avrà un solo possibile indirizzo politico: austerità fiscale e aumento della competitività mediante abbassamento del costo del lavoro. Un obiettivo da raggiungere sia attraverso il mantenimento di un'adeguata disoccupazione strutturale, sia, ancor meglio mediante la "grande trovata" dell'€uropa della pace e del benessere: cioè la diffusione inarrestabile della precarizzazione con la crescente creazione dei working poors. 
D'altra parte, Macron l'ha detto più volte durante la sua campagna: le regole €uropee potranno essere cambiare solo da chi si sarà riveltato credibile, rispettandole scrupolosamente (a parte la golden share..beninteso: se no erano l'Italia). 
Ed infatti, il programma di Macron, specialmente in tema di mercato del lavoro - sia pure abilmente frazionato in più voci apparentemente distinte, per renderle meno percepibili nel loro insieme agli elettori-, ricalca puntualmente le raccomandazioni della Commissione europea (v. schema alle pagg.55-58)!
Ecco, alla faccia di tutte le discussioni e i dibattiti, del tutto scenografici e cosmetici, che hanno simulato diversità "politiche" tra i vari candidati eurofili, l'indirizzo politico che seguirà la Francia, - a prescindere da qualsiasi risultato elettorale, che non sia, ovviamente, l'elezione di Marie Le Pen- è già fissato e lo ha precisato la Commissione UE. Punto.

23 commenti:

  1. http://www.circoloproudhon.it/cp/site/uploads/2017/04/Guida-alle-elezioni-francesi.pdf

    da pagina 33 una mia modesta analisi dell'elettorato frontista che, in sostanza, riflette il Suo post "on the other side"

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  2. Macron purtroppo vincerà, non perderà, perché questo banchiere d'affari senza remore è emanazione della politica UE. Lo dicono le norme di diritto del lavoro che portano il suo nome e hanno aperto la strada alla loi travail, lo dice il suo programma elettorale che è l'attuazione senza riserve delle direttive €U.
    Ha già vinto quando è diventato il candidato di Bruxelles sbarazzandosi della concorrenza, gli manca soltanto la ratifica delle urne.
    Comunque, non faccio testo, ma non ho mai incontrato in nessun contesto nemmeno estraneo - chessò, al mercato, in un negozio - nessuno che voti Le Pen o faccia propaganda per lei. Per gli altri sì, anzi (specie per Macron ahimé): tutti coloro con cui mi capita di parlare o ascoltare sono convinti che LP perderà al secondo turno. Ovvio, Parigi e una certa banlieu hanno una geografia ben precisa. Vedremo.

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    1. Ma la premessa da cui parte il post è proprio che, nella "conta" (intesa gramscianamente come "numerazione dei voti"), Macron vinca.

      Proprio per questo perderà: perché non è diverso da Hollande, a parte le vicende esteriori pop che vengono abilmente alimentate dai media mainstream. Anzi, è, in questa momento, esattamente una scelta di contraddittoria continuità: in ciò sta la cosmesi della campagna elettorale.

      Macron perderà il dopo-elezioni (come, d'altra parte, chiunque in Italia). La Francia perderà sempre più la sua anima più vera: il ruolo di epicentro e, se vogliamo, di avanguardia (almeno durante l'800), nella grande storia della democrazia continentale.

      Il network delle oligarchi€ vincerà e parrà rinsaldarsi nel suo potere (esclusivamente distruttivo).
      Ma, appunto, sarà solo un'apparenza.

      La resa dei conti sarà solo rinviata.
      Può reggere la Francia un quinquennio di strappi distruttivi, ancora più intensi e contraddittori di quelli dell'epoca hallondaise, contro la sua stessa (forte) cultura comunitaria-statuale?

      I media, col terrorismo ideologico, possono molto ma non tutto.

      Specialmente, non possono evitare gli effetti della trasformazione di un'intera Nazione, un tempo prospera ed orgogliosa, in un corpo sociale di working poors, con elites sempre più separate dal cittadino comune.
      Ben oltre quello che la Francia profonda "reazionaria" (ormai, in modo apparentemente paradossale, quella parisienne-globalista), può sopportare: il cumulo delle tensioni che Macron accentuerà, pur scontando la golden share francese, sarà eccessivo persino per gli elettori confusi e, fondamentalmente, ignoranti che oggi credono che opporsi a MLP sia un segno di "impegno civile".

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    2. Fermo restando che siamo d'accordo sulla questione di fondo, distinguerei Macron da Hollande o da un altro politico. Si tratta di un candidato fittizio, creato apposta per fare il passacarte di Bruxelles, cioè delle realtà economico-finanziarie di cui la UE è espressione e portaerei mentre "escono dal 1945" o dalle "costituzioni socialiste". Previo tornaconto personale già trattato, verosimilmente.

      Hollande, fermo restando il giudizio negativo sulla sua attività e forse anche capacità, aveva comunque una storia, una carriera politica e un partito alle spalle. Ha baciato la morte per arrivare al potere, forse, e ha - ovviamente - perso.

      Macron no. Macron vince perché vincerà la ratifica della democrazia formale, e perché il suo scopo è portare gli interessi del liberismo UE nella loro più piena affermazione alla presidenza dell'unico paese che forse avrebbe potuto ancora avere la forza di resistere perché, speravo, capace di capire - ahimé per ora il suo livello di comprensione si attesta sul piddinismo più spinto.

      Un avventuriero mercenario, insomma, ma spietato oltre ogni dire e inebriato dal potere. Non gli vedo altro progetto né profilo che questo, né altra evoluzione che in questa linea. Quindi Macron non può che vincere.

      Il progetto è stato abilmente congegnato. Il P"S" non avrebbe mai accettato la sua candidatura direttamente, anche perché non era un uomo di partito. Si è suscitata la candidatura Hamon, di fatto messosi da parte da solo nelle ultime settimane di campagna, buona o cattiva fede che fosse. Ma si vedrà alle legislative. Si è montato a livello mediatico Macron sulla falsariga di un antisistema - un BANCHIERE d'affari!!!! mio dio! - e di un abile operatore economico (le collaudate vecchie formule Grillo e Berlusconi insieme, insomma), ma dietro e per lui ha lavorato quella parte di P"S" che lo avrebbe voluto già da prima. Fatto fuori il candidato di destra più temibile ma di cui si sarebbero potuti più facilmente recuperare i voti, sarà stato facile venirci a patti con la prospettiva di mettere una pietra sopra certi scandali e ricordando la comune consonanza liberista. Ecco ricomposta una alleanza anti FN che all'inizio avrebbe avuto ben poche chance di ripetere l'effetto Chirac-Jean-Marie del 1995, perché molte cose sono cambiate, tra l'euro e Marine. La finanza e il gran capitale non potevano permettersi di perdere la Francia. Per questo l'hanno pensata molto meglio dello scalzacani renziano.
      Le Pen gli ha dato man forte stemperando sempre più l'unico discorso che contasse: l'unione contro la UE.

      Forze antiUE dalle varie sfumature sono destinate a esistere, certo, in tutta la UE, ma rimanendo attorno a un 30%, affiancate da una serie di carnefici esecutori stabilmente al potere, rapidamente vizzi e intercambiabili. Almeno nel medio periodo.

      La Francia che amiamo con tutta l'anima e la passione l'abbiamo perduta noi.
      Si sono persi da sé 250 anni di storia.
      Si può economicamente restare forti e influenti (l'azione privilegiata della Francia) senza il benessere diffuso?
      A lume di naso direi di sì, perché così è stato.
      Mi sembra di vedere scorrere a ritroso il passato degli ultimi tre secoli.
      Davvero l'unica parentesi dignitosa è esistita solo perché all'ombra di una frontiera?

      L'unico barlume di possibilità sarebbe un astensionismo simile a quello che aiutò Trump a essere eletto. Ma le condizioni sono diverse, e Trump ormai ha anche lui sposato la propria morte politica. Addio grattacieli. Addio baubau - per chi ci ha creduto.

      Purtroppo, come ho sempre pensato in tutti questi terribili anni, nessuno ci libererà. Tutto questo avrà ricadute anche in Italia, ovviamente. Non mi stupirebbero inversioni nei timidi approcci no euro né nelle alleanze di qualche formazione politica.


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    3. [segue - oggi sono logorroica]
      Tu dici la nazione prospera e orgogliosa e con il migliore coefficente di Gini (anche se non va più di moda): sì, lo era, lo è, tutto ciò lo hanno inventato e introiettato loro. E hanno una formidabile capacità di agire collettivo, di riflessione. Ma lo smantellamento a piccole dosi della coscienza è molto più efficace di quanto credesse lo stesso Prodi. Persino qui. Proprio perché da un lato sono meno diffidenti rispetto alle favole mediatiche, dall'altro la loro capacità di agire collettivo li spinge a agire in maniera molto più drastica una volta messisi in moto.
      Persino coloro che lo sanno dove andrà Macron e lo voteranno lo stesso.
      Lo faranno.

      Eppure hanno inventato la giornata delle barricate. Fino a che punto riusciamo a giudicare il presente senza il peso del mito del loro travolgente passato? Un mito che sanno alimentare benissimo, ma cosa ne è rimasto? Veramente si può andare oggi oltre la rappresentazione???

      Grazie come sempre per i tuoi décryptage.

      @Arturo: certo, Asselineau era il solo a fare un discorso assolutamente coerente, per quanto limitato, forse per il fatto di essere un funzionario e non un politico.

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    4. Dimenticavo: la sciocca o furba May che sia ha voluto a tutti i costi le elezioni a giugno. Nell'attuale contesto non ci sarebbe da stupirsi se la Brexit subisse una battuta d'arresto o ne fosse ridimensionata.

      Il contrattacco della UE e del grande capitale che la esprime sta guadagnando terreno oltre ogni previsione, uscendo rafforzato nella sua dimensione oligarchico-autoritaria dopo avere sempre più neutralizzato i voti popolari che la sua stessa politica ha provocato e lo stesso processo elettorale. In questo senso la dichiarazione di Macron riportata da Arturo è impressionante, ormai non si tratta nemmeno più di educare i Parlamenti.

      Brexit e Trump sono state sorprese che hanno fatto paura: si trattava di normalizzarle e prevenirne l'estensione. Ci sono riusciti.

      Per lasciar sfogare il popolo bue resterà una simpatica ammucchiata di beceri pronti a ossessionarlo con orde di rom all'attacco dei poveri italiani, o qualunque declinazione il tema possa assumere in altri paesi (vedi il brutto tweet-amalgame di ieri), distraendo così l'attenzione da ogni riflessione su chi siano i nemici veri. Faranno molto comodo e molto rumore: finché si comporteranno così verranno lasciati fare e persino premiati con un pugno di perline, se del caso.

      Intanto il pozzo si sta richiudendo su di noi.

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    5. Chiedo scusa: il secondo turno Chirac Le Pen è del 2002. Il 1995 è invece l'anno della prima affermazione elettorale del FN nelle elezioni locali.

      Piuttosto interessante l'affermazione di questo tipo di partiti dopo il 1990. Chissà se ci sono altre coincidenze temporali del genere a livello europeo.

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    6. Sulla visione di Macron riportata da Arturo (passer per l'élection est "un cursus d'un ancien temps") rammentiamo che la Venice Commission caldeggia un modello (sovranazionale) di governance basato su quello della World Bank (da qualche parte sul blog, c'è un post al riguardo).
      E' chiaro dunque che i governanti dei singoli Stati €uropei si vedano come gli amministratori delegati (ovvero i rappresentanti organici) espressi da "quotisti" delle organizzazioni sovranazionali. E ciò rende sempre più come requisito necessario e sufficiente, per accedere a cariche di governo, l'aver rivestito la carica di a.d. nel capitalismo finanziario (l'incumbent che reclama la titolarità effettiva delle "quote" di potere decisionale in sede transnazionale).

      Dunque, nella loro visione e formazione, la loro legittimazione deriva dal consenso e dal mandato attribuiti dai (ristretti) soggetti nazionali portatori degli interessi alla partecipazione all'organizzazione sovranazionale.

      Ed è altrettanto evidente che questi titolari di interessi non abbiano mai pensato di dover derivare la titolarità stessa dal consenso elettorale.

      Essa deriva infatti dai trattati stessi che sottopongono gerarchicamente l'interesse nazionale (comunitario), in particolare nella sua versione "sociale", agli obiettivi dei "mercati": cioè di quei soggetti controllori, a livello nazionale, delle rispettive posizioni dominanti di mercato, e che compongono il network cui è stata affidato, ab initi,o l'intero processo del federalismo europeo (rammento il post di Arturo sul tema).

      Ma questo fenomeno dà luogo ad un blocco euristico del principio di legittimazione: i trattati nascono da un indirizzo politico che, originariamente, fa capo a governi eletti.
      Ma poi danno luogo alla stabilizzazione di posizioni di titolarità di interesse e obiettivi, stabiliti nei trattati, che assumono necessariamente di prescindere da ogni successivo esito elettorale.

      In sostanza, l'iniziale consenso, rispetto a un assetto dei trattati che non era né chiaro né dibattutto tra gli elettori (mandanti della fase negoziale, formalmente, e, sostanzialmente, destinatari dell'applicazione dei trattati stessi) diviene irreversibile in base ad un originario mandato "in bianco".

      In definitiva, la cessione di sovranità non è tanto a favore dell'entità sovranazionale, ma delle rispettive elite che, per il mero fatto della conclusione di un trattato con un certo contenuto, reclamano la soppressione/sostituzione della sovranità popolare.

      Per non dover esplicitare questo risultato (formalmente instabile, nella sua vincolatività, finché vige il suffragio universale per le istituzioni di governo costituzionalmente previste), si intensifica il controllo mediatico totalitario.

      Cioè viene mutata pazientemente la visione dell'opinione pubblica, facendo coincidere "pace e benessere" con gli interessi dei titolari del "mercato", fino al punto che, cristallizzata questa equazione, appaia naturale rinunciare alla fase elettorale, in quanto non potrebbe condurre ad una migliore e più efficiente configurazione dei valori e degli obiettivi "generali".

      Siamo ad appena un centimetro da questa conclusione: basta tener duro con la (rispettiva) grancassa mediatica e generare nella maggioranza l'identificazione tra mercati e interesse generale "nazionale".

      La May, probabilmente, vuol essere sicura che, pur nella versione non internazionalizzata interna al trattato, i mercati, id est le elite UK, siano effettivamente convinte e dalla sua parte.

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    7. Sono molto d'accordo, Quarantotto. Intanto ci metto una citazione di uno dei massimi giuscomunitaristi, ovviamente europeista ma molto onesto, Joseph Weiler (La Costituzione europea, Il Mulino, Bologna, 2003, pag. 15): "Il rafforzamento della Comunità non ha sempre significato un indebolimento degli Stati membri. E' interessante notare che ha significato spesso il contrario. Almeno ha significato, elemento ancor più interessante, il rafforzamento dei governi, del ramo esecutivo, a spese, ad esempio, del legislativo nazionale."

      Per questo stracciarsi le vesti per gli svuotamenti della rappresentanza a vantaggio dell'esecutivo (non sto a far nomi), senza indicare nell'Europa il punto d'appoggio che li rende non solo possibili ma necessari, mi pare solo l'ennesima prova di eurostrabismo.

      PS Ho fatto una coquille: è "passer *par* l'élection": lo dico per non mettere ulteriormente alla prova i nervi della povera Pellegrina. ;-)

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  3. Non passerà il primo turno, ma visto che, come ha detto Sapir, le petit partie ne fait pas le petit candidat, ricordiamo anche il non eurofilo François Asselineau.

    La mia impressione è che con Macron si sia compiuto un ulteriore salto di qualità: questo "ex" banchiere d'affari, che non ha mai preso un voto in vita sua, è un candidato totalmente fabbricato a tavolino dai media e da chi li controlla (con ipocrisia evidente verso i piccoli, giustamente sbattuta in faccia al giornalista di turno dal summenzionato Asselineau). In effetti lo stesso Macron ha dichiarato che passer per l'élection est "un cursus d'un ancien temps". Ormai lo dicono così, senza pudore.

    Lordon ha dedicato un lungo articolo a quest'ultima clamorosa poussée mediatica. La sua prosa è impegnativa, ma almeno il quadretto di copertine dell'Obs e questo passaggio: "La garantie des archives offrant seule la promesse d’être cru d’un lecteur du futur, on peut bien maintenant citer cet éditorial de Serge Raffy dont la lecture demande quand même d’être sanglé pour ne pas tomber à la renverse : « Le candidat “fraîcheur de vivre” a fait sa mue. Désormais il cogne et prend tous les risques. Et ça plaît… ». Voilà ce qu’on lisait dans la presse libre en 2017." sono imperdibili. :-)

    On verra bien.

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    1. Ma non ci piove che il discorso di Asselineau è quello più coerente e corretto rispetto alla sovranità democratica.
      E non a caso la sua invocazione è, in pratica, alla raccolta in CLN francesi.

      Quello che manca nello scenario, e che sarebbe stato un cortocircuito imparabile per il dominio mediatico, è un ponte proprio fra Asselinau e MLP: in linea logica e di contenuti (almeno quelli della MLP di 3 anni fa), non ci sarebbe motivo per cui questo non avvenga (o non fosse già avvenuto)...
      Per quanto in termini attuali, di ballottaggio, purtroppo, ciò avrebbe scarsa rilevanza.

      La politica non è cartesiana; tantomeno lo è il ripetersi degli eventi della Storia.

      Ed è proprio all'interno della semplificazione mediatizzata della cultura politico-elettorale che, ancora una volta, si trova l'ostacolo.
      Per rimuoverlo ci vuole qualcosa che i francesi non sono ancora stati costretti, dagli eventi, a scorgere come "chiaro ed evidente".

      Ti dovrei dire, per derivazione da quanto qui sostenuto da anni, che probabilmente ci sono più vicini gli americani: http://www.zerohedge.com/news/2017-04-22/visualizing-collapse-middle-class-20-major-us-cities (c'è un grafico animato particolarmente suggestivo).

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    2. Questo aneddoto su Macron è abbastanza noto, non so se qualcuno l'ha già postato qui, magari sì.
      https://www.streetpress.com/sujet/1486723160-macron-le-monde

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    3. @Pellegrina: conoscevo solo il contesto generale grazie a questa ricostruzione, abbastanza terrificante, della mappa del potere dei media francesi e di come questi hanno fabbricato il candidato Macron.

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  4. L'ARTE DELLA COMMEDIA
    (otc)

    E sono ancora da venire i “giorni dispari”, cara zia T.I.N.A. - quelli di Eduardo il napulitano – prima di imparare dagli inganni della miseria, dalla “durezza della vita”, dallo stato d'emergenza ordinario quelli che torneranno ad essere i “giorni pari”.

    Ah .. cara zia T.I.N.A., tu che disperari che cominciassero col germinale del “calendrier révolutionnaire français” hai da ricrederti.

    Prima c'è ancora molto da ascoltare, studiare, suonare i tambuti di latta prima che vengano definitivamente banditi dal Ministero della Verità lasciando solo tromboni e grancasse.

    Cara zia T.I.N.A, chi è cchiu' felice 'e te?

    C'è da meditare, zia T.I.N.A., su quello che frulla nella stanza dei bottoni .

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  5. Chi si è ricordato, giustamente, di far notare che Macron arriva da una carriera targata Rotschild, ha dimenticato un altro "piccolo" particolare, cioè la sua educazione dai gesuiti; questo particolare, questa "strana coincidenza", ricordiamolo, lo accomuna a Monti, Draghi, Van Rompuy, Mariano Rajoy ed altri. Educazione dei gesuiti e carriera di banchiere sono spesso abbinate nell'elite che conta, quella che, diciamocelo, ragiona a lungo termine; L'Unione Europea non è un progetto a breve termine, non è un'azienda diretta da un ad che ragiona solo sui profitti per l'anno successivo; questi sono il gradino più basso; sopra ci sono €ssi, per i quali gli investimenti a breve termine sono ancorati saldamente a una visione a lungo termine, cioè la conservazione del privilegio per nascita e lo sterminio della concorrenza; e l'UE è una visione a lungo termine che dovrà essere irreversibile, nei loro piani.

    "Per sapere chi è Emmanuel Macron partiamo dal 2014, anno in cui assume la guida del Ministero dell’Economia e guardare nei suoi studi, dapprima quelli di pianoforte al conservatorio di Amiens, sua città natale, e poi quelli dai gesuiti in filosofia, la sua grande passione.

    Poi la laurea all’Ena, la prestigiosa scuola dove si forma l’elite politica francese e l’inizio della carriera nel mondo dell’economia come dirigente al Ministero e poi come banchiere per Rotschild. Nel 2008 è diventato milionario per aver seguito l’acquisizione di una filiale del colosso Pfizer da parte di Nestlé."
    https://www.forexinfo.it/Emmanuel-Macron-chi-e-candidato-indipendente-presidenziali-Francia
    "Il est, de la sixième à la première, élève du lycée La Providence, un établissement privé catholique d'Amiens fondé par la congrégation des jésuites"
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Emmanuel_Macron
    Avevamo già parlato di quanto il free market dovesse le sue basi proprio alla "filosofia" dei gesuiti della scuola di Salamanca; e pare che la "filosofia" che abbia imparato costui sia proprio questa.

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    1. Alla faccia della lunga durata: comunque ti sei dimenticato il gesuita con le chiavi più qualche banca.

      Ma guarda un po' chi si reincontra qui, il Covarrubias... questo?

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    2. Pare di sì, ma lascio volentieri a te la traduzione testo linkato ;-)
      Pare esista anche un centro a lui dedicato, El Centro Diego de Covarrubias, dove, nella homepage, campeggia questa frase di Friedrich A. von Hayek:"Cuanto más planifica el Estado, más complicada se le hace al individuo su propia planificación".
      http://centrocovarrubias.org/antecedentes/
      "El Centro Diego de Covarrubias toma su nombre de Diego de Covarrubias (Toledo, 25 de julio de 1512 – Segovia, 27 de septiembre de 1577) jurista, político y eclesiástico español, representante de la escuela de Salamanca en su siglo de oro. Fue también Arzobispo de Santo Domingo, Arzobispo –Obispo de Segovia, Arzobispo-Obispo de Ciudad Rodrigo y Obispo de Cuenca. Fue un declarado antiesclavista y entre sus múltiples actividades desarrolló una teoría subjetiva del valor y del precio que justificaba el valor de las cosas por el libre acuerdo sobre el precio entre comprador y vendedor, determinado al cabo por la abundancia o escasez de cada mercancía, y la utilidad percibida de la misma. Refleja por su perfil religioso y su pertenencia a la Escuela de Salamanca, origen del liberalismo económico y cristiano, la íntima coherencia del cristianismo con la economía de libre mercado y la libertad, ideas que queremos defender en nuestro Centro Diego de Covarrubias."
      C'è anche un Premio Centro Diego de Covarrubias:
      https://www.youtube.com/watch?v=l0_pHHxQu40
      Un premio in difesa della libertà...del principio del liberalismo cristiano...l'individuo, nel liberalismo cristiano, si associa per difendere il bene comune..
      Hasta la victoria siempre Juan Velarde.
      In un articolo José María de la Cuesta Rute afferma che:“No hay Estado de Derecho si no hay un entendimiento previo de la libertad”
      http://centrocovarrubias.org/no-hay-estado-de-derecho-si-no-hay-un-entendimiento-previo-de-la-libertad/

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    3. Qui sotto si parla di reddito di base e creazione di lavoro, che, secondo Juan José Toribio, in Spagna è difficile a causa delle tante norme che regolano il mercato del lavoro (En España son tales y tantas las regulaciones en el mercado laboral que generar empleo es difícil), non è colpa delle classi superiori o dei datori di lavoro....da una Entrevista en ‘El Mundo’ a Juan José Toribio:
      "Para nivelar esa desigualdad algunos políticos propugnan las rentas básicas.

      La idea de una renta básica viene del liberalismo, de Milton Friedman, en los 60. Pero lo que entonces se preconizaba era una renta generalizada para sustituir a los esquemas de protección: educación y sanidad públicas, etc. Otra cosa muy distinta es una renta básica que se suma a la protección social habitual. Esto es mucho más discutible, porque no es viable. Cuando vivimos en sociedades como la española con un endeudamiento público superior al 100% del PIB e inevitablemente aumentando se impone un cálculo racional y profundo sobre su coste. Además, hay que ver si una renta de ese tipo tiene sentido en una sociedad en la que ya tenemos otras formas de protección social.

      Si eso no es posible, se condena a los de abajo.

      Algunos hablan de un complemento al salario para los jóvenes -algo así como una subvención al trabajo- para facilitar el empleo. Creo que antes de pensar en subvencionar el trabajo hay que dejar de penalizarlo. En España son tales y tantas las regulaciones en el mercado laboral que generar empleo es difícil, y con un alto paro surgen los problemas de distribución de la renta y los populismos. Por eso el populismo español es distinto al de los países centroeuropeos. Aquél es de clases medias que han sufrido con la globalización y se basa en el nacionalismo. El populismo español es el de los expulsados del mercado de trabajo, que lo son por las distorsiones que tenemos y no por la maldad de los empresarios y de las clases altas. Y no tiene ningún sentido nacionalista."
      http://centrocovarrubias.org/el-estado-del-bienestar-esta-en-un-callejon-sin-salida/
      Ma non sono molto esperto nelle traduzioni dallo spagnolo...

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  6. Lo dicono loro, ricordiamolo:
    "Gli sutudenti della libera impresa di solito tracciano le origini del pensiero pro free market verso il professore Adam Smith (1723-90). Questa tendenza a vedere Smith come il il padre ispiratore dell'economia è rinforzata tra gli americani perché il suo famoso libro An Inquiry into the Nature and the Causes of the Wealth of Nations venne pubblicato l'anno dell'Indipendenza Americana dalla Gran Bretagna.
    C'è parecchio però che sfugge a questa visione intellettuale della storia. I reali fondatori della scienza economica in realtà scrissero centiania di anni prima di Smith. Essi non erano economisti in quanto tali, ma teologi morali, allevati nella tradizione di San Tommaso d'Acquino, e divennero noti collettivamente come i tardi scolastici. Questi uomini, molti dei quali insegnavano in Spagna, furono pro free market tanto quanto lo fu la tradizione scozzese venuta molto tempo dopo. Inoltre, il loro fondamento teorico era ancora più solido: essi anticiparono le teorie del valore e del prezzo dei "marginalisti" dell'Austria della fine del XIX secolo."
    [...]
    “Come tutti questi teorici spagnoli, Covarrubias credeva che i singoli proprietari avessero diritti inviolabili su questa proprietà. Una delle molte controversie del tempo era se le piante che producevano medicinali avrebbero dovuto appartenere alla comunità. Coloro che lo affermavano sottolineavano che tale medicinali non erano il risultato di alcun lavoro o abilità umana. Ma Covarrubias diceva che ogni cosa che cresceva in un appezzamento di terreno doveva appartenere al proprietario terriero. Tale proprietario aveva anche il diritto di sottrarre i medicinali di valore dal mercato, e sarebbe stata una violazione della legge naturale forzarlo a venderli.”
    “La difesa della proprietà privata da parte di Molina riposava sulla credenza che la proprietà è fissata nel comandamento “non rubare”. Ma egli andò oltre i suoi contemporanei portando anche forti e pratiche argomentazioni. Quando la proprietà è condivisa, egli diceva, non sarà tenuta in cura, e le persone combatteranno per consumarla. Lontano dal promuovere il bene pubblico, quando la proprietà non è divisa, le persone più forti nel gruppo saranno portate a trarre vantaggio nei confronti dei deboli monopolizzando e consumando le risorse.
    Come Aristotele, Molina pensava anche che la proprietà comune dei beni avrebbe avallato la fine della liberalità e della carità. Ma egli andò oltre argomentando che 'l'elemosina dovrebbe provenire da beni privati e non da quelli comuni.'"
    https://fee.org/articles/free-market-economists-400-years-ago/

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    1. La beneficienza e l'invito alla beneficienza o all'accoglienza, ancorchè ispirati da buoni propositi ( ma spesso sappiamo che non ci sono nemmeno quelli), sono l'altra faccia, o l'alibi se volete, del liberismo. Così come la mancia supplisce ai salari inadeguati di un'economia non equilibrata e così via.

      Anche Adam Smith era un filosofo morale, credo, e non un economista e il fatto che sia stato eletto (rapito) dai liberisti a santo protettore e stampella delle loro traballanti teorie non è altro che l'ennesima prova che non stiamo parlando di economia o di politica ma di un conflitto sempre presente ma volutamente occultato.

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    2. Appunto stiamo parlando di economia e politica: la prospettiva del conflitto è semplice sociologia che complementa le due; e bisogna ricordarsi pure la demografia: finché non si comprende che le fondamenta epistemologiche delle scienze sociali stanno nella filosofia morale, si rimane nel pensiero positivo avulso dall'atteggiamento fenomenologico. Si rimane nel positivismo, ossia nel paradigma del nemico di classe, ossia in quell'insieme di categorie concettuali che destrutturano la coscienza della borghesia progressista, ossia della classe media istruita.

      Niente coscienza morale, niente coscienza politica e sociale: niente coscienza.

      Guerra persa: ossia sterminio e schiavitù per i superstiti e per i loro figli.

      A noi vengono negati gli studi classici, i loro manager li prendono dalla facoltà di filosofia. Ci sarà un motivo, no?

      (È la morale intesa come introiezione di virtù e Principi che comportano una visione del mondo condivisa, l'unico ed eterno katechon. Soprattutto per chi si approccia alle scienze positive e appartiene ai ceti oppressi.
      I boia e i parassiti sociali queste banalità le sanno)

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    3. « la morale ha,più di qualsiasi altra forma di ideologia, un carattere classista. [...]

      [...]i moralisti piccolo-borghesi [...] non comprendono che la morale è in funzione della lotta di classe; [...]

      L’atteggiamento diale ttico nei confronti della morale, prodotto funzionale e transitorio della lotta di classe, sembra «amorale» agli occhi del buon senso.E tuttavia, non vi è nulla di più duro, di più meschino, di più presuntuoso e cinico che la morale del buonsenso! [...]

      La borghesia, la cui coscienza di classe è assai superiore, per la sua pienezza e la sua intransigenza, a quella del proletariato, ha un interesse vitale a imporre la «sua» morale alle classi sfruttate. Le norme concrete del catechismo borghese vengono camuffate con l’aiuto di astrazioni morali poste essestesse sotto l’egida della religione, della filosofia o di quel la cosa ibrida che vien detta «buon senso». L’invocazione rivolta alle norme astratte non è un errore disinteressato della filosofia, ma un elemento necessario nel meccanismo della lotta di classe. Mettere in luce quest’inganno, la cui tradizione risale aqualche millennio addietro, è il primo dovere del rivoluzionario proletario.
      »

      (Nota a margine: «...lo stalinismo è il prodotto di una pressione imperialistica su uno Stato operaio retrogrado e isolato...»)

      Leon Trotzkij, 16 febbraio 1938

      Un vero pezzo di filosofia morale a fondamento dell'emancipazione dell'umanità: il primo passo verso la coscienza, quindi verso la lotta politica, e la ristrutturazione dei rapporti di forza legati ai modi di produzione.

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  7. Touché.

    Scrive il curatore della voce dedicata a Smith in filosofico.net (http://www.filosofico.net/smith.htm):

    "....Il principio fondamentale della vita morale è infatti il sentimento della simpatia: gli uomini sono naturalmente portati a giudicare positivamente le azioni che contribuiscono alla socievolezza reciproca e negativamente quelle che la ostacolano. Questo giudizio riguarda non solo le azioni degli altri, ma anche le nostre proprie. Ciascuno di noi ha infatti uno "spettatore imparziale " dentro di sé , che gli consente di valutare le sue azioni con gli occhi degli altri, in base quindi dell'utilità che esse presentano per la sua persona, ma alla loro accettabilità dal punto di vista sociale. La stessa coscienza morale non è quindi per Smith un principio razionale interiore, ma , scaturendo dal rapporto simpatetico che l'uomo ha con gli altri uomini, presenta un carattere prevalenteme sociale e intersoggettivo. Il sentimento della simpatia permette così di introdurre un principio di armonizzazione nell'apparente conflitto tra gli impulsi sociali e quelli egoistici. Infatti la felicità di ognuno è possibile soltanto attraverso la realizzazione del bene degli altri. Un analogo principio armonicistico guida l'analisi dei processi socio-economici che Smith compie nel suo capolavoro, l' "Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni " (1776).
    Testimone delle trasformazioni che investono la vita economica dell'Inghilterra, nella quale si stanno affermando, sia pure in forma embrionale, i meccanismi del moderno capitalismo industriale, Smith non nega che l'elemento propulsore di ogni attività economica è l'interesse individuale. Apparentemente, la comparazione di questi interessi descrive una condizione di aspra conflittualità sociale: gli imprenditori hanno interesse a pagare il meno possibile il lavoro dei loro operai e questi ultimi, viceversa, vogliono percepire il salario più alto possibile. Ma quando si considerino gli interessi individuali e i processi socio-economici cui essi danno luogo da un punto di vista generale, anziché particolare, si vede che essi trovano la loro armonizzazione nel tutto e conducono pertanto a un vantaggio generale da cui traggono profitto anche coloro che sono apparentemente più svantaggiati. Esiste dunque una mano invisibile che guida i singoli interessi al di là delle loro specifiche intenzioni, componendoli in una totalità che sfugge allo sguardo parziale dell'individuo."

    Eletto dai liberisti a loro santo protettore perchè nega i conflitti - dunque a vantaggio del più forte - e quindi nega la necessità della politica per risolverli?

    Leggerò Smith, le sue premesse credo avrebbero potuto portarlo altrove.

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