domenica 9 ottobre 2016

LA RICOSTRUZIONE POST TERREMOTO NELL'ERA DELL'EURO: USER'S GUIDE


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Da Sofia, come di consueto acuta e paziente nella sua opera di ricostruzione normativa, riceviamo questo importante contributo "cognitivo". Per poter accedere a una conoscenza indispensabile; anzi, per taluni, molti, "vitale"...

Dopo il terremoto di fine agosto, per alcune settimante, al di là della giaculatoria mediatica in diretta no-stop e alla ricerca del "caso umano", qualche interrogativo sulla ricostruzione era stato posto: oggi, non è più all'ordine del giorno.
Parrebbe, a leggere i giornali, che dipenda dall'€uropa. 
Moscovici, l'altro ieri, ha "aperto" alla flessibilità per il terremoto (tra l'altro), rammentando che la "flessibilità" è solo un'attenuazione controllata e modesta della dose aggiuntiva "dovuta" di austerità: ma si tratta, a stare ben attenti alla vaghe frasi riportate, di una concessione, oltre che di entità limitatissima (rispetto alle esigenze effettive di teorica ricostruzione), postulata come una tantum (cioè potrà valere, allo stato, per il prossimo esercizio fiscale, non potendo estendersi all'orizzonte temporale connaturato a un intervento strutturale che possa dirsi di ricostruzione)
Ed è del tutto ovvio che sia così, dato che l'€uropa, della pace e della solidarietà tra i popoli, considera legittima, in occasione delle grandi calamità, essenzialmente la spesa pubblica di primo intervento (coperte, cibo, allestimento di tendopoli, riparazione di infrastrutture essenziali e spese correlate). 
A tale titolo, oltretutto, è utile rammentarlo, si attinge a un esiguo fondo che vale per tutta l'UE e che viene distillato con parsimonia occhiuta (nella maggior parte dei casi, i fondi sono stati rifiutati al nostro paese, come vedrete); e questo, laddove l'Italia è un contribuente netto e, ove non vi fosse l'obbligo di contribuzione al bilancio UE, avrebbe comunque a disposizione in media circa 6 miliardi in più all'anno di fondi pubblici (e la totalità della sua ben maggiore contribuzione totale, in termini di libertà di finanziare politiche del territorio di interesse pubblico effettivo, ove non dovesse seguire i bizzarri programmi di impiego, - in cofinanziamento!-, dei fondi europei).
L'articolo che segue è il sunto, redatto appositamente per i lettori del blog, che Sofia ha fatto di un più vasto articolo di rassegna della legislazione, italiana ed europea, in materia di protezione civile e interventi (teorici, ma a condizioni sempre più restrittive) di "ricostruzione". 

La ringraziamo per la chiarezza con cui ha esposto un intricata storia di norme che, tra le righe, hanno progressivamente affermato un principio: qualsiasi intervento si fa a risorse invariate. La "prevenzione" è una funzione informativa svincolata da ogni intervento pubblico di ordine strutturale; il "primo intervento" è contrassegnato da limiti invalicabili di scarne risorse già stanziate; la ricostruzione, in qualsiasi accezione la si voglia concepire, è soggetta alla facoltatività di future leggi che, comunque, devono essere finanziate tagliando altra spesa sociale. Qualunque altra voce di spesa sociale. 
Il resto sono chiacchiere... 

L’Italia, le calamità naturali ed effetti dei vincoli europei sulla ricostruzione.
  
    1. L’Italia e i rischi di calamità naturali.
L’Italia è un paese in cui esiste il rischio elevato di calamità naturali, di natura sismica e alluvionale. Si stima che il 67% dei comuni italiani sia collocato in zona sismica, il 50% delle imprese in aree a pericolo di frane e alluvioni e due milioni di persone vivono in aree ad alto rischio vulcanico.
Su 57 milioni di italiani, insomma, oltre la metà vive in zone a rischio. 

Secondo quanto riferito dal World Risk Report 2016, l'Italia è tra i Paesi a più alto rischio in Europa e si trova al 119° posto di una classifico mondiale (seguita da Usa al 127° posto, Regno Unito al 131°, Germania al147° e Francia al152°).
La stessa Commissione europea, conferma che il numero degli eventi (ben 36 di grandi dimensioni negli ultimi cinquant’anni), è superiore al doppio della media degli stessi calcolata nel resto dei Paesi comunitari (ulteriori dati sono riportati anche nel Libro verde sull’assicurazione contro le calamità naturali e antropogeniche del 2013).
Questi dati sono considerevoli non soltanto per gli effetti disastrosi che ad essi, inevitabilmente, si associano, per gli effetti sulle popolazioni ivi esistenti, per lo sviluppo economico (necessariamente limitato o condizionato) di quelle stesse aree, per la normativa da applicare e da emanare, ma sono significativi anche nell’ottica di una necessaria programmazione e strategia di sviluppo che il Paese dovrebbe attuare. O almeno sarebbero rilevanti nella misura in cui ciascun Paese mantenesse la propria libertà di manovra fiscale e di scelta delle politiche da attuare, e nella misura in cui mantenga la propria sovranità monetaria e, con essa, la libertà di finanziare i propri impegni di spesa tesi a prevenire quegli eventi oppure ad arginare o a porre rimedio agli effetti negativi prodotti dalle calamità naturali una volta che siano note le caratteristiche strutturali, geomorfologiche e sismiche dei suoli.
Purtroppo però, questa libertà risulta fortemente limitata e condizionata dall’adesione dell’Italia alla moneta unica e all’UE, con la conseguenza che, non solo (come del resto emerge dallo stato di cose) non vi sono risorse sufficienti per poter attuare idonei piani di sviluppo, né di adeguata manutenzione del territorio anche a fini di prevenzione, ma è pressoché impossibile reperire risorse aggiuntive per fronteggiare il post-calamità se non togliendole da quanto è necessario a sostenere altri servizi essenziali o aumentando l’imposizione.
Che questa sia la situazione che si viene a determinare in conseguenza del rispetto dei rigidi vincoli dei Trattati, ormai non stupisce neanche più, anche perché quegli stessi Trattati, nell’ottica prevalente di eliminare qualsiasi elemento che possa agevolare uno Stato membro rispetto ad un altro nella libera concorrenza dei mercati, mostrano un totale disinteresse - ad eccezione di meri obiettivi ed interventi di natura cosmetica -  nei riguardi delle differenze territoriali, morfologiche, strutturali e sismiche e che pure (necessariamente) incidono sugli equilibri concorrenziali.
Sostanzialmente l’UE non solo detta disposizioni uguali per tutti i Paesi dell’area senza tenere conto delle suddette differenze, ma nel limitare la sovranità degli Stati (e privandoli della sovranità monetaria) ed imponendo agli stessi specifici limiti al deficit di bilancio, non consente a questi stessi Stati di recuperare competitività (termine usato assiduamente dall’UE – in luogo di un termine che sarebbe più corretto, ossia “equilibrio”) attraverso specifiche ed adeguate politiche economiche di sostegno, così aggravando le situazioni di disparità già implicite nella maggiore soggezione ad eventi calamitosi di alcuni paesi rispetto ad altri.

     2.   Evoluzione normativa nel settore delle calamità naturali in Italia.
Nel ripercorrere la regolamentazione nazionale della materia e la sua evoluzione nel tempo si evince che, se è vero che questa mancava di una certa organicità e completezza, occupandosi, ad esempio, solo della fase emergenziale, trascurando sia la fase di prevenzione che di ricostruzione susseguente ad un evento calamitoso, queste stesse fasi erano poi supportate da norme ad hoc.
Soprattutto, poi, quelle stesse fasi potevano essere attuate attraverso una libertà di iniziativa politico-economica del Paese la cui efficacia era tanto maggiore quanto più era sorretta da una ideologia politico-culturale caratterizzata dalla volontà di andare oltre l’evento calamitoso, cogliendo finanche l’occasione per riportare benessere e sviluppo nelle zone colpite (contrariamente a quanto avverrebbe oggi dove ogni ipotesi di ricostruzione è sempre adombrata da supposizioni di probabili infiltrazioni criminali e corruzione, nonché sprechi di risorse pubbliche).   
Non è un caso, quindi, che la prima normativa organica, la legge 473/1925, preveda che il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi venga delegato al Ministro dei LL.PP e al suo braccio operativo rappresentato dal genio civile, con il concorso delle strutture sanitarie.
Si susseguono diverse leggi, ma soltanto con la legge 24 febbraio 1992, n. 225, viene istituito il Servizio Nazionale della protezione civile, con l'importante compito di "tutelare la integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi".
Rispetto alla disciplina precedente, prevalentemente incentrata a supplire alla situazione emergenziale che si veniva a determinare in conseguenza di un evento calamitoso, l’attività della protezione civile è ora impostata su quattro linee fondamentali: previsione; prevenzione; soccorso; superamento dell’emergenza.
Anche questa norma subisce gli effetti di una legislazione che cambia nel tempo, sino ad arrivare alla riforma Monti (con il D.L. 59/2012) che modifica la legge sulla protezione civile, improntandola interamente sulla "neutralità di bilancio" e sulla copertura -a legislazione vigente- senza ulteriori oneri di bilancio.
Innanzitutto, quanto alle competenze (previsione; prevenzione; soccorso; superamento dell’emergenza) benché la norma sembri conferire maggiori poteri alla protezione civile, in verità, quanto a previsione e prevenzione, si occupa di aspetti solo marginali.
Come si evince dall’art. 3 infatti, la previsione consiste nelle attività (con l’ausilio di soggetti scientifici e tecnici competenti in materia) dirette all'identificazione degli scenari di rischio probabili, al preannuncio, al monitoraggio, alla sorveglianza e alla vigilanza degli eventi e dei conseguenti livelli di rischio attesi. Mentre l’attività di prevenzione consiste nelle attività volte a evitare o a ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti a eventi catastrofici.
La stessa norma, inoltre, chiarisce che la prevenzione si esplica in attività non strutturali (concernenti l'allertamento, la pianificazione dell'emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile nonché' l'informazione alla popolazione e l'applicazione della normativa tecnica, ove necessarie, e l’attività di esercitazione), quindi resta inteso, laddove ve ne fosse bisogno, che la vera e propria attività di prevenzione, intesa nel senso di attività in grado di limitare al massimo i danni conseguenti al verificarsi di un evento naturale, resta di competenza degli enti territoriali, attraverso le proprie risorse finanziarie. Anzi, l’art. 3 comma 7, specifica che alle attività suddette le amministrazioni competenti provvedono nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
La Protezione civile, quindi, al di là di attività di studio di dati e messa a disposizione di risorse competenti quanto all’attività di previsione e prevenzione, svolge i propri compiti più delicati nell’attività tesa al superamento dell’emergenza nel caso in cui vi sia una dichiarazione di stato di emergenza e quindi a fronteggiare l’emergenza nei primi 180 giorni (oltre ad ulteriori 180 se necessario).
Questa attività della protezione civile è finanziata con le risorse di cui al “Fondo per le emergenze nazionali” (che opera unitamente a un Fondo per la protezione civile, e a un Fondo di riserva per le spese impreviste) con provvedimenti emanati ad hoc  ma pur sempre entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili.
L’inderogabilità dei limiti delle risorse finanziarie disponibili è ribadita anche con riferimento alla realizzazione di lavori e servizi da effettuarsi subito dopo la scadenza della dichiarazione dello stato di emergenza e a tal fine la Regione può elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita.
Così come è previsto che i Fondi su visti debbono essere reintegrati con riduzione delle voci di spesa indicate nell'elenco allegato alla legge 225 (e si tratta delle voci di spesa di competenza di ciascun Ministero, la cui riduzione, quindi, si riduce in riduzione di spesa per altri specifici servizi pubblici di competenza dei Ministeri stessi: sanità, istruzione ecc). 
Sostanzialmente, quindi, non è previsto che ad una situazione di emergenza si supplisca con risorse aggiuntive: può essere fronteggiata solo con risorse già stanziate ed introdotte nel bilancio previsionale, attraverso la sottrazione di quelle stesse risorse ad altri servizi con modifiche degli obiettivi del patto di stabilità interno, tali da garantire la neutralità in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. 
Oppure la reintegra dei Fondi deve avvenire con maggiori entrate (aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo, nonche' dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante).
In ogni caso è evidente che la "ricostruzione" è esclusa da ogni intervento pubblico, "a legislazione vigente". 
Così che ogni eventuale attribuzione di fondi pubblici per danni individuali privati è soggetta a future ed eventuali "disposizioni legislative specifiche" che, però, come risaputo, anche in base all'art.81 Cost., devono avvenire senza nuovi oneri per lo Stato o con copertura su altre voci di spesa (o con nuove entrate tra cui, come si è visto, l'accisa aggiuntiva sui carburanti).
Se si guarda al passato infatti, per la ricostruzione, si sono succedute specifiche norme: il Decreto legge 6 giugno 2012, n. 74, ad esempio è intervenuto per il sisma in Emilia Romagna, ed il “Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012” è stato costituito da risorse provenienti dall'aumento, dell'aliquota dell'accisa sui carburanti, da risparmi ottenuti in altri settori (risparmi da taglio del finanziamento ai partiti e provenienti da spending review), dal Fondo di solidarietà dell'Unione Europea (si tratta di risorse solo eventuali), da ulteriori risorse cui può provvedersi mediante corrispondente riduzione delle voci di spesa indicate nell'elenco allegato alla legge 24 febbraio 1992, n. 225.

     3.   Tentativi di introduzione delle assicurazioni volontarie/obbligatorie.
Le principali problematiche che, ovviamente, attengono agli eventi calamitosi sono il reperimento delle risorse economiche necessarie a sostenere i costi di tutte quelle opere che dovrebbero avere l’effetto di eliminare o limitare i danni alle popolazioni in conseguenza di una calamità naturale.
Probabilmente proprio a causa della difficoltà di reperire le risorse in quegli anni (nei quali il debito pubblico era salito a livelli vertiginosi in conseguenza dell’adesione allo SME e del divorzio tesoro-banca d’Italia) in successione, sia durante il Governo Amato (giugno 1992) che quello Ciampi (aprile 1993) vengono avanzate delle proposte di legge tese ad introdurre forme di assicurazione obbligatoria, per loro natura imposte ex ante, per far fronte a simili eventi, sull’onda della propagandata idea (alimentata da Tangentopoli che esplode in quegli stessi anni) che nella ricostruzione (e nell’utilizzazione delle risorse pubbliche) potessero infiltrarsi associazioni malavitose, che la spesa pubblica, soprattutto se attuata attraverso interventi a pioggia e con (presunti) inadeguati controlli, desse luogo a forme di sostegno inefficienti.
È così che il primo disegno di legge (1164/93), riproposto l’anno successivo (800/1994), prevedeva l’istituzione di un Fondo per l’assicurazione dei privati alimentato da una addizionale obbligatoria all’ICI dell’1% riscossa dai comuni chiamati a stipulare per i cittadini una polizza con un consorzio assicurativo obbligatorio. 
Si susseguono diversi progetti di legge negli anni, con i quali si ripropone l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria (nel 1996, nel 1999, nel 2001,nel 2004 e 2005, nel 2009 su pressione del Consiglio nazionale dei geologi, nel 2012 prima nel D.L. Sviluppo e poi con Monti nel D.L. 59/2012, nel 2014, con Renzi , e infine nel 2016 la proposta viene rilanciata da Brunetta) a cui si aggiungono anche le proposte in tal senso dell’ANIA (nel 2013 e nel 2016), che fa riferimento alle raccomandazioni dell’OCSE.
Secondo l’ANIA, si tratterebbe della soluzione più efficace, come suggerito dall’OCSE, perché incentiverebbe implicitamente comportamenti virtuosi, ovvero l’adozione di misure preventive e di riduzione del rischio, comporterebbe risparmi della spesa pubblica.
Ovviamente non potevano mancare le richieste della Commissione Europea (in relazione anche alla Direttiva 2007/60/CE). Nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo del 23 febbraio 2009 la Commissione chiarisce che in occasione del riesame di talune disposizioni legislative, “dovranno essere considerati maggiormente i vincoli legati alla gestione dei rischi di catastrofe. Ci si riferisce in particolare alla direttiva VIA sulla valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, alla direttiva SEVESO sui rischi tecnologici e le disposizioni relative alle norme tecniche di costruzione antisismica”
Il Libro Verde della Commissione Europea del 16/04/2013 sull’assicurazione contro le calamità naturali ed antropogeniche riconosce la necessità di aumentare la penetrazione sul mercato delle assicurazioni contro le catastrofi naturali e di “…..sviluppare appieno le potenzialità dei premi delle assicurazioni e di altri prodotti finanziari per la sensibilizzazione sulla prevenzione e l’attenuazione dei rischi e per la resilienza a lungo termine degli investimenti e delle decisioni commerciali”.
Sono significativi, inoltre, alcuni passaggi della Relazione del 6.1.2014 sull'assicurazione contro le calamità naturali e antropogeniche (Proposta Di Risoluzione Del Parlamento Europeo) nei quali si dà atto che la situazione del mercato assicurativo dell'UE è eterogenea, a causa del fatto che gli Stati membri sono esposti a rischi e catastrofi naturali diversi, e che la prevedibilità di una catastrofe naturale dipende da svariati fattori (meteorologici, idrologici, geofisici, ecc.); che, ovunque si producano, le calamità naturali e antropogeniche costituiscono un rischio finanziario.
Quindi ogni intervento statale per far fronte alle calamità naturali è visto con disapprovazione perché va ad incidere su posizioni di mercato in cui la situazione di equilibrio concorrenziale (da questo specifico punto di vista) è mantenuta dei diversi eventi calamitosi che colpiscono più o meno tutti gli Stati.
Ed infatti nella relazione si conclude sostenendo che non esiste alcuna distorsione di mercato che giustifichi un intervento neppure a livello europeo.
Conseguentemente si richiede agli Stati membri e alle autorità pubbliche di adottare adeguate misure di prevenzione al fine di attenuare le conseguenze delle calamità naturali.
Quindi, proprio perché gli Stati vengono considerati nell’ambito dell’UE solo alla stregua di meri competitors (piuttosto che come delle collettività di persone), purchè non si determinino situazioni che possano incidere sulle propensioni concorrenziali, la spinta delle istituzioni europee verso l’introduzione di assicurazioni private obbligatorie (in luogo di aiuti di stato o spesa pubblica eccessiva) per ripagare i danni susseguenti a calamità naturali è molto forte (e fa leva sugli esempi di paesi che tale assicurazione hanno già introdotto: Stati Uniti, Francia, Spagna,  Norvegia, Ungheria, Regno Unito).

Al di là di quelle che sono le soluzioni adottate dai vari Paesi, comunque, il ricorso alle assicurazioni è l’altro lato della medaglia costituito dall’intervento pubblico da operarsi in pareggio di bilancio. La "guerra" fra settori economicamente deboli, per contendersi le scarse risorse pubbliche, viene cioè innnescata automaticamente a ogni evenienza disastrosa.
In tutti i casi in cui si pensa di sostituire all’intervento dello Stato, delle pseudo forme assicurative private, si dimostra una certa miopia nella visione d’insieme se queste stesse assicurazioni non sono accompagnate anche da politiche di sostegno statali dell’economia e, soprattutto, del lavoro.
In situazioni di crisi economica, di stagnazione dell’economia, di bassi salari, nella migliore delle ipotesi, si finisce per aggravare la situazione reddituale dei privati su cui finiscono per gravare anche le polizze assicurative; nella peggiore delle ipotesi, coloro che non stipulano alcuna assicurazione perché non se lo possono permettere, rischiano di perdere anche un bene essenziale come la casa senza vedersi assegnato alcun contributo statale.
Ed anche se, a prima vista, parrebbe che la ricaduta degli effetti degli eventi catastrofici avvenga solo sui privati, il venir meno di una importante forma assistenziale cui lo Stato è costituzionalmente preordinato non solo viola specifici principi costituzionali, ma finisce per avere innegabili effetti sulla gestione dello Stato stesso, quanto a perdita di posti di lavoro, di imprese e produttività e, conseguentemente, di entrate fiscali.

     4.   I fondi comunitari.
Sono in molti a ritenere che importanti fonti di finanziamento, in caso di eventi naturali, si possano reperire attraverso l’UE attraverso il ricorso al Fondo di Solidarietà dell'Unione Europea (Fsue) istituito con regolamento (CE) n. 2012/2002, dell'11 novembre 2002, e allo Strumento Finanziario per la Protezione Civile (Sfpc).
Si ritiene che queste misure finanziarie siano espressione della dimensione sociale assunta dall'Unione, in base alla clausola di solidarietà, introdotta dal Trattato di Lisbona nell'art. 222, 1 co.,Tfue, secondo cui “l'Unione e gli Stati Membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato Membro... sia vittima di una calamità naturale o provocata dall'uomo”.
In base alla normativa Europea attuativa il Fondo di Solidarietà interviene in caso di rilevanti calamità con un unico e complessivo finanziamento, concepito e quantificato come complementare rispetto agli impegni di finanza pubblica gravanti sullo Stato che deve utilizzarlo per operazioni di prima emergenza.
Tra i vari presupposti per poter usufruire dei fondi, deve essere dimostrata l’esistenza di profonde e durature ripercussioni sulle condizioni di vita e la stabilità economica.
Questo significa, per la Commissione, un impatto negativo diretto sulla popolazione, ad esempio la sistemazione durevole in alloggi provvisori, l’indisponibilità durevole delle normali infrastrutture (acqua, elettricità, principali infrastrutture di trasporto, telecomunicazioni, ecc.), pericoli durevoli per la salute.
Non possono essere considerati, invece, i danni indiretti come ad esempio le perdite in termini di reddito e produzione dovute all’interruzione delle attività economiche (stipendi, ricavi delle società, cancellazioni nel settore turistico), i contributi ridotti al sistema di previdenza sociale e la perdita di raccolti futuri (mentre sono accettati i raccolti presenti andati distrutti).
L'accantonamento effettuato per tale Fondo, a copertura delle eventuali richieste, è di circa un miliardo di euro per anno; cifra che si rivela insufficiente dal momento che a fronte di danni, subiti in Italia, stimati in oltre 10 miliardi di euro (in circa un decennio) il Fondo di Solidarietà ha erogato un contributo di 493 milioni.
L’ultima erogazione avvenuta in favore dell’Italia è quella per l’alluvione del 2014 (beneficiarie Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana),  per un importo di 56 milioni.
In definitiva, queste risorse finanziarie, sono certamente un valido supporto in caso di eventi catastrofici, ma non possono essere ritenute determinanti e non solo per l’entità esigua in rapporto ai danni solitamente conseguenti a questi eventi, ma anche per le condizionalità sulla cui base vengono erogate, i tempi  di erogazione piuttosto lunghi, nonostante le risorse siano destinate a fronteggiare la prima fase di emergenza, i numerosi parametri da rispettare e la documentazione da fornire (tanto che l’Italia ha inoltrato 10 domande per utilizzare il FSUE: 8 volte per catastrofi regionali straordinarie e due volte per catastrofi naturali gravi. Di queste 4 sono state accolte e sei respinte).

5.   Aiuti di Stato
Qualunque misura che finisca per impattare sulla dimensione economica dell'Unione, incidendo sulla concorrenza e sul mercato, pone innanzitutto dei problemi di compatibilità con il divieto di Aiuti di Stato anche se l’art.107 Tfue preveda come legittimi “gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali” (lett. b, 2 co.).
Nonostante questa chiara disposizione, alcuni interventi operati dall’Italia in conseguenza di calamità naturali sono stati oggetto di indagine da parte della Commissione Europea perché non obbligavano le imprese a dimostrare di avere subito un danno, contestandosi che le stesse ricevessero contributi per il solo fatto di ricadere in un’area nella quale si era verificata la calamità naturale.
In conclusione, secondo la Commissione, tutto ciò ha conferito alle imprese italiane un indebito vantaggio economico rispetto alla salvaguardia della concorrenza e del mercato interno, dando corpo ad Aiuti di Stato incompatibili.
Ed in generale tutte le misure di sviluppo che promuovono la crescita economica nel medio-lungo termine, favorendo gli incrementi reddituali delle imprese risultano vietati perché incompatibili con il mercato interno.
A ciò devono aggiungersi ulteriori profili di criticità circa la possibilità di ricorrere agli aiuti di Stato: la nozione di calamità, che le istituzioni Europee tendono a delimitare e contenere, mentre gli Stati Membri tendono ad ampliare; l’ampia discrezionalità di cui gode la Commissione nel ritenere compatibili o meno gli aiuti di Stato.

    6.   Considerazioni conclusive sull’intervento pubblico.
In conclusione, destinare risorse pubbliche, adeguate alla dimensione del danno socio-economico effettivo, alla ricostruzione post evento, è impresa difficile, se non impossibile (a meno che non vi sia una diversa distribuzione di risorse già stanziate).
A ciò si somma l’idea diffusa nell’opinione pubblica che le risorse da destinare alla ricostruzione post evento siano troppo facilmente accessibile a faccendieri e corrotti, con conseguente sperpero di risorse, con conseguente alimentazione dell’idea di introdurre le assicurazioni obbligatorie.
Eppure, studiosi di varia estrazione, concordano nel ritenere che un disastro naturale non solo può rappresentare un fattore di sviluppo nel medio-lungo termine, ma esso si pone anche come indicatore di una identità collettiva, misurando la capacità di risposta dello Stato colpito.
Laddove lo Stato colpito dal disastro risulti capace di rispondere, determinerà in quelle stesse zone occasioni di sviluppo, cambiamento ed innovazione, per cui la capacità di rispondere si pone anche come chiave di lettura per valutare l'effettività/efficienza della leadership istituzionale e delle misure finanziarie adottate.
Così che diventa essenziale focalizzarsi non solo sulla reazione immediata per fronteggiare il disastro, ma anche su la reazione di medio-lungo termine, che si configura come vero e proprio indicatore della efficienza e della capacità d'innovazione dello Stato colpito.
A tale proposito il prof. Roger Pielke, pubblicava un grafico ricavato dai dati del Munich Re e dell‘ONU , nel quale si evince che le perdite economiche dovute ai disastri naturali di origine meteorologica, rapportati al PIL, appaiono in costante diminuzione.


Ovviamente, i costi provocati dai danni di un disastro naturale dipendono quasi sempre dalle condizioni economiche antecedenti all’evento catastrofico.
Alcuni economisti hanno analizzato le interazioni tra fluttuazioni economiche e disastri naturali appoggiandosi all’EnBC (Endogenous Business Cycle) utilizzando il Non-Equilibrium Dynamic Model (NEDyM) di Hellgate (2008), evidenziando che le perdite complessive dovute ad un disastro naturale dipendono fortemente dalla fase in cui si trova il business cycle al verificarsi dell’evento: il costo può essere minimo quando l’economia si trova in uno stadio recessivo, mentre è massimo (arrivando al 3% del PIL) quando avviene in una fase di grande espansione economica, quando il tasso di crescita è attorno al suo livello massimo.
Hellgate, inoltre, aveva dimostrato anche che i dati sono fortemente influenzati dalla flessibilità degli investimenti.
Se la flessibilità è nulla, l’economia non riesce a reagire ai danni che subisce per la difficoltà di aumentare gli investimenti per la ricostruzione, e la perdita totale di Pil si aggira attorno allo 0,15%.
Quando gli investimenti possono rispondere agli stimoli di profittabilità senza destabilizzare l’economia, ossia quando il coefficiente di flessibilità è inferiore a 1,39 ma non nullo, allora quest’ultima può rispondere positivamente allo shock di capitale produttivo generato dall’evento catastrofico.
Se il coefficiente di flessibilità è uguale a 1 la perdita di Pil si aggira attorno allo 0,01%, grazie alla migliore flessibilità degli investimenti.
Quando il coefficiente di flessibilità è maggiore di 1,39 l’economia subisce gli effetti dell’Enbc (endogenous business cycle), rischiando di trovarsi in fasi di alta vulnerabilità alternate ad altre di bassa (nel primo caso quando si trova in una fase di forte crescita economica, nel secondo quando si trova in una fase di bassa crescita economica).
La perdita totale di Pil, in media, dovrebbe aggirarsi attorno allo 0,12%, quindi fortemente negativa.
Vi sono vari esempi di questo andamento in Italia (dal terremoto del Friuli del 6 maggio 1976 a quello dell’Irpinia del 1980), da cui si evince che il Pil ha avuto un andamento tendenzialmente crescente dal dopo terremoto e sino al 2007-2008, anni in cui si accusano gli effetti della crisi economica che sta colpendo l’economia mondiale.
Rispetto a questo quadro del passato, invece, il quadro legislativo attuale presenta degli aspetti inverosimili se si considerano tutte le disposizioni che impongono il rispetto del patto di stabilità interno e che, quindi, impediscono quegli spazi di manovra (sia Statale che dei singoli enti locali, tutti chiamati a rispettare il saldo finanziario) che in passato hanno consentito la ripresa economica nelle aree colpite.
Quelli che si sono analizzati in queste pagine, quindi, altro non sono che gli ulteriori effetti conseguenti all’adesione del Paese all’UE e alla cessione della propria sovranità monetaria.
Il rispetto dei vincoli di bilancio non solo non consente di avere risorse economiche sufficienti a prevenire effetti catastrofici conseguenti alle calamità naturali, attraverso azioni di manutenzione straordinaria del territorio, adeguamento alle norme anti-sismiche, realizzazione di solide infrastrutture e di tutto quanto necessario ad innalzare il livello di benessere e qualità di vita degli abitanti di quegli stessi territori (che come su visti minimizzano gli effetti delle calamità naturali), ma non consente neppure di porvi rimedio una volta che gli eventi calamitosi si sono verificati se non a costo di rinunciare ad altri servizi essenziali quali sanità, trasporti, istruzione. Il che non solo non è previsto dalla Carta costituzionale, ma ne rappresenta una espressa ed indiscutibile violazione.

30 commenti:

  1. In pratica: « non pregherete mica che avvengano delle catastrofi per attuare politiche keynesiane, vero? Keynes va bene solo in guerra contro i populismi »

    Troppo comodo evere tutti gli strumenti che esistono per costruire le case: bisogna essere virili.

    Le case si fabbricano a mani nude, con un chiodo nelle scarpe e con un braccio legato ad una trave, un tondino nel costato ed una corona di spine al posto di quel caschetto per bamboccioni.

    Basta fare i choosy.

    (Complimenti per il rigore...)

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  2. Ma scherzi, Bazaar, quale migliore occasione per sentirsi Bear Grylls? Mi sa che è il momento giusto per iscriversi ufficialmente ad un corso di survival fitness. Due piccioni con una fava: fai della “durezza di vivere” la tua filosofia di vita ed allo stesso tempo ti tieni in forma.

    American style, maglietta blu con stelle circolari e sovrimpresso il logo “ordoliberalismus”. La facciona di Darwin solo per i più bravi. Fa figo e costa praticamente niente

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  3. Quella della durezza di vivere è davvero una colossale idiozia. A ben vedere, molto dell’attività umana si basa sul fatto che la durezza costantemente incombe, pertanto è volto a contenerla e mitigarla e dunque già la implicita come costante; esistere è già una forma di durezza, ove qualsiasi esito significativo si verifica con la fatica. Non altrimenti Seneca avrebbe potuto scrivere che “La fortuna non ha, come noi crediamo, le mani lunghe: afferra solo chi le sta attaccato” (Lettere a Lucilio, 82,5).
    Del resto, se Diogene di Sinope abbracciava le fredde statue durante l’inverno e si rotolava nella rovente sabbia d’estate per temprarsi, sia fisicamente che moralmente, non pretendeva tuttavia altrettanto, e per partito preso, da chiunque.
    La teorizzazione della durezza del vivere coglie i proverbiali due piccioni con una fava: da un lato getta una luce sinistramente moralistica su un minimo di agi al vivere – che peraltro occorre perpetuare in continuazione -, dall’altro scardina la possibilità che l’uomo sappia darsi una qualsivoglia autodisciplina, calandogliela coattamente dall’alto e privandolo dunque d’una scelta formativa che sia consapevole.

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  4. Veramente notevole l'ultimo articolo del Pedante:
    http://ilpedante.org/post/paura-della-paura
    Quello che ho sempre pensato, e anche, in vari modi, esplicitato, qui con voi.
    Per quel che riguarda gli austeri, io me li sono sempre immaginati come esseri mitici che fuoriescono alle 4 del mattino dalle grandi caverne scavate nei ghiacciai oltre i 4000 metri di quota; sono magri da sfiorare lo scheletrico, ma i loro muscoli sono duri e scolpiti, e un'energia virile e maschia pervade tutto il loro essere; nei loro ritratti li vedi sempre di schiena, in cima ai ghiacciai, vestiti solo di una sottile pezza che gli copre i genitali, mentre fissano impassibili l'orizzonte, ove scorgi, in lontananza, l'approssimarsi delle tempeste e degli uragani.
    Alle 4 del mattino costoro si incamminano, a piedi nudi, giù per le terrificanti e impervie roccie colme di strapiombi, fino ad arrivare alle cave di carbone, ove si inabissano per chilometri fino a raggiungere i luoghi di estrazione; qui, con le nude e virili mani, gli austeri colpiscono la roccia, scorticandosi fino al sangue, ed estraggono il prezioso elemento, che poi si caricano su un sacco cencioso fissato alla schiena, che trasportano poi in superficie, dove misteriosi uomini cinerei lo caricano su un carro trainato dai buoi verso luoghi oscuri e misteriosi. Di tutto questo lavorare ed estrarre gli austeri non hanno alcun beneficio, ed anzi, lo aborrono, perchè ogni frutto goduto del loro lavoro sarebbe vizio, lordura, dissolutezza, colpa, depravazione, autolesionismo. La loro dedizione al lavoro duro è solamente una dimostrazione di maschia virilità e di sfida agli elementi naturali. Così, gli austeri, a tarda notte, finiti i loro turni, se ne tornano nelle loro grandi caverne, alla sommità dei ghiacciai, sfidando le impervie rocce, felici di aver adempiuto con rigore al loro dovere. Dormiranno in letti di pietra scavati nella roccia, e il fuoco sarà bandito perché sinonimo di vizio e oscenità; si nutriranno del minimo necessario, andando a caccia di terrifici orsi e dinosauri, catturati a mani nude, fatti a pezzi e mangiati crudi, ma senza esagerare, perché godere troppo del cibo sarà scellerato.
    Al centro della grande pianura, sotto le impervie montagne, verrà costruito un enorme buco, ove tutto il carbone, così virilmente estratto, sarà ivi trasportato dagli uomini cinerei con i loro carri trainati dai buoi, sotto perenni acquazzoni e temibili cicloni, e sarà ivi gettato in eterno, perché ogni anche piccola utilità di questa preziosa materia estratta comporterà la modifica in meglio delle abitudini della comunità degli austeri, i quali, per preservare il loro maschio vigore, preferiranno disfarsene.

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    1. Ha ragione Bazaar quando parla di sociopatia GRAVE.
      Voglio dire che la retorica di un coraggio autolesionista con tendenze suicide dovrebbero ricordala benissimo tutti i vecchi (almeno i maschi). L'hanno respirata da bambini ed era un avanzo della retorica militare, del soldato che è per definizione spendibile pur di raggiungere l'obiettivo.
      (...o di provarci...)

      La retorica dell'"eroe" ha anche una sua razionalità: i pochi che sono disposti ad assumersi rischi e danni a beneficio dei tanti possono effettivamente servire a qualcosa (anche se "infelice la terra che ha bisogno di eroi").

      Lo spassosissimo quadro tracciato da stopmonetaunica presenta proprio questo genere di eroi: virilissimi maschi in età lavorativa, che non durerà a lungo perché saranno fieri di logorarsi e cadere nell'Adempimento Del Superiore Dovere. Ma le femmine e i cuccioli, dove sono? Verrebbe anche da chiedersi: e dove sono i vantaggi per loro? Ma per gli Austeri il Superiore Dovere basta a se stesso.

      Ma oggi questa retorica "eroica" viene proposta (imposta) a TUTTI. Uomini e donne, vecchi e bambini, tutti, nessuno escluso.
      Oddio, non proprio tutti, uno su mille ce la fa... (in realtà assai di meno, gli altri sono nati con i genitori giusti... è il darwinismo, baby).

      La razionalità si capovolge, i moltissimi devono sacrificarsi (eroicamente) per il bene dei pochissimi. Evvai.

      Sociopatia, malattia (indotta) della società.

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    2. Come hai ben intuito, caro Frank, l'Austero del mio racconto non ha una coscienza morale, il suo atto di eroismo non è perciò teso ad una superiore conquista sociale; non è il padre che si sacrifica per vedere migliorato il futuro dei propri figli. L'unico fine che persegue l'eroe Austero è quello di dimostrare di essere forte, macho, degno, e di aver prevalso gli Elementi nella lotta della sopravvivenza; se egli lasciasse in eredità qualcosa da lui costruito, cioè qualcosa frutto del suo lavoro, la generazione successiva crescerebbe dei "vizi" e nelle "comodità". Ed è per questo che gli Austeri gettano tutto il carbone raccolto con tanta fatica all'interno di un enorme buco; perché l'Austerità si deve perpetrare, affinché si perpetuino le condizioni che rendono possibile l'eroismo e la selezione naturale.
      Le donne e i bambini? Lo stesso trattamento; fin da piccoli saranno posti alla prova degli elementi naturali, saranno abbandonati in mezzo alle tempeste, saranno gettati in laghi profondi, saranno lasciati nella foresta con i leoni; e i più deboli scompariranno "giustamente"; sopravviveranno solo i più forti, e questi non saranno solidali tra di loro, perché aiutare l'altro vorrebbe dire impedire alla selezione naturale di fare il suo corso. Il non aiuto dell'altro sarà venerato come bene superiore della Razza.

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    3. @STOP

      Il Pedante approfondisce - e soprattutto sistematizza - con una sopraffina chiarezza dialettica, intuizioni di Alberto e riflessioni fatte sia su Goofynomics che in questi spazi: peccato che non legga Orizzonte48.



      (Vado a prendere la clava: poiché non sono chirurgo, vado ad operare un bimbo con una carie)

      Firmato,

      IL Logico

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    4. E' vero non lo legge (temo per una "prevendita" con propaganda negativa di qualche anno fa...Spero di no, ma...).

      Si sbaglia esimio collega: la carie non va curata, ma propagata fino a eliminazione dell'inutile bocca da sfamare improduttiva.
      Il Razionale

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    5. Non ero al corrente di questa "propaganda negativa"...
      Hai comunque ragione tu Quarantotto, le cure mediche devono essere abolite e la natura dovrà fare il suo corso, senza alcun aiuto che possa inficiare la libera concorrenza e la selezione naturale, e che vinca il migliore!

      Il Sensato

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    6. E poi naturalmente, parafrasando Orwell:"Tutti gli UOMINI AUSTERI sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri."

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    7. Ma non è "propaganda negativa": è la formattazione.

      I concetti sarebbero anche semplici, è la presentazione grafica a scoraggiare certi lettori.

      Vogliamo aver maggior visibilità?

      Scriviamo cose banali per lettori banali; poi ci infiliamo un po' di anticomunismo thacheriano, un po' di arabofobia, un po' di turpiloquio da TV spazzatura, et voilà! La casalinga di Voghera è servita.

      (Non poprio nel senso che intendeva Basso)

      D'altronde, Orizzonte48 è un percorso molto, molto pericoloso. È necessario stare attenti ed essere molto cauti.

      È una foresta di segni e simboli, un viaggio ad una lettura che, dietro alla formattazione per volgari profani, nasconde diversi piani di lettura. E ogni livello in cui si riesce a scendere, si incontrano luoghi in cui la prudenza avrebbe dato ben altro consiglio che spingersi ivi. Anfratti umidi, irti e scomodi.

      Si rischia di perdersi e di ritrovarsi. E non è detto che ciò in cui ci si ritrovi possa essere piacevole.

      E solo i più fortunati e più fedeli - più umili, più attenti e più appassionatamente in ricerca - possono essere iniziati agli arcana che si celano dietro al primo dei segni: il 48

      (Nel silenzio l'avventuriero intellettuale si cala negli abissi. Lo spirito cerca lo Spirito. Nel silenzio; in silenzio...)

      « Tommaso Hobbeso, alla faccia dell'austero, il Leviatano s'è pappato. E il capitano Achab s'è incazzato »

      Lo Ermenautico

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    8. LA CURA DELLE CARIE

      Ricordo di una “passaggio” della cura che prevedeva l'utilizzo della somministrazione preventiva negli acquedotti delle pastiglie del fluoro promozionate dal US Public Health Service (fluoridationists) a favore dell'industria dei fluorati sotto la regia di da E Bernays per “scoprire” fluorosi dentale, antagonismo biochimico con il ciclo dello ione calcio (da non confondere con lo sport più amato dagli italiani), calcificazione della pineale e necrosi delle cellule nervose.

      Ops .. dimenticavo gli effetti sulle reti di distribuzione idrica causati dall'aggressività chimica del fluoro .. ma tanto quella (la rete) rimane pubblica.

      f.to, il Folle

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    9. Grazie Bazaar, in effetti non sapevo di queste tendenze del Pedante, (arabofobia, anticomunismo thatcheriano, ecc.), perché non ho mai letto molte cose di lui. Ho letto quell'articolo perché era stato segnalato da Alberto Bagnai su twitter. Se è così meglio tenersi alla larga; non mi sono mai piaciuti coloro che fanno ragionamenti del genere. Cioè mischiare cose vere ad altre corbellerie livorose. Mi sembra che anche Lameduck sia propensa a ciò, e, dopo aver letto qualche post, adesso preferisco di gran lunga quarantotto. A me piace quarantotto (e tutti i friends) perché ti costringe a riflettere e studiare ad un livello che altri (ben pochi in Italia) raggiungono.
      E lo devi fare con umiltà, perché se credi di sapere tutto sei sulla cattiva strada. Sopratutto devi sgomberare la tua mente dai pregiudizi e dai luoghi comuni. Il sistema funziona perché induce la mente dei sudditi a non ragionare, cioè a parlare per luoghi comuni e frasi semplici. La mole di dati, di analisi, di riferimenti documentati, di approfondimenti storici, sociali, filosofici, e di tensione morale, in effetti, non la trovo da nessun'altra parte. E mi pare strano che alcuni si lamentino che quarantotto sia un blog difficile. Io non lo trovo affatto così. Forse bisognerebbe solo un po allenarsi a leggerlo...
      L'augurio però è che quarantotto non diventi solo un blog per "iniziati", perché vorrà dire che la coscienza civica, sociale, Costituzionale di questo paese sarà stata sepolta per sempre.

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    10. Ma Bazaar non si riferiva al Pedante. Sarebbe inesatto attribuirgli queste caratteristiche...Anche se non risulta leggere orizzonte48 (ma in fondo avrà le sue ragioni e sono affari suoi: come per chiunque trovi difficoltà a leggerlo. Ci mancherebbe).

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    11. Spero che Bazaar non si riferisse a me!
      Forse sono stato un po fumoso e non chiaro negli ultimi commenti.
      Il riferimento alla frase di Orwell era per dire che i PORCI CAPITALISTI CILINDRATI, alla fine, SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI, e si pappano tutto inducendo però nella plebe la morale della rinuncia e dei sacrifici infiniti. La storia da me sopra riportata non voleva avere certo significati occulti o arabofobici; è solo per raccontare ironicamente il tipo di uomo "virtuoso" così come traspare dalle frasi di Padoa Schioppa, della Fornero ecc.. Il tipo d'uomo che ESSI vogliono, alla fine, è incompatibile con la vita stessa, con l'uomo stesso, con la sua dignità, è l'espressione una volontà di ESTINZIONE della razza umana.
      Sono al 100% d'accordo, da sempre, con Bazaar, sulla QUESTIONE DI CLASSE (e non di razza o di religione), in quanto elemento fondamentale per capire ciò che sottende ai Trattati e agli eventi contemporanei, come l'immigrazione di massa (che è strumento del Capitale per soggiogare i bamboccioni interni).
      Siete più unici che rari ad analizzare la questione in quest'ottica, e a non scadere nella propaganda razzista verso altri popoli appartenenti alle classi subalterne (che possono essere, di volta in volta, tedeschi, africani, italiani [nel delirio autorazzista], americani, ecc.]. La lotta non è tra RAZZE (e supposti caratteri genetici di queste]. La lotta è tra ESSI e il resto del mondo.


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    12. @stopmonetaunica

      E tu cosa c'entri? :-)

      Impareremo a conoscerci.

      Secondo Schmitt (ma anche per Strauss) - che sto citando perché di fresca lettura - l'iniziazione è una forma di elitismo
      antidemocratico.

      E questo lo afferma parlando dei grandi fautori della "democrazia liberale": la massoneria.

      Nel commento ironizzo perché Schmitt parla esplicitamente di lettura *pericolosa* del Leviatano di Thomas Hobbes, come esempio di testo di arcano esoterismo.

      Strauss insiste su questo concetto, assurgendolo a "filosofia politica" e teorizzandolo a livello accademico come raffinata esposizione di concetti che - per loro natura - non sono divulgabili.

      A partire dal fatto che non tutte le orecchie hanno la volontà di intendere.

      Già ne "La Repubblica", Platone fa argomentare a Socrate che Simonide parlando di giustizia («g. significa "rendere a ciascuno il dovuto"») parli in modo "reticente", ossia per "metafore": infatti Socrate - con l'uso della dialettica e dell'ermeneutica - mostra che il senso per Simonide di giustizia sia « restituire il bene agli amici e il male ai nemici »

      La "divulgazione" è essoterica per definizione.

      Ma il "chierico" è colui che - anche semplicemente esercitando le arti liberali - approfondisce determinati ambiti in un modo che non è strutturalmente concesso a chi si occupa di ambiti diversi.

      L'umile è - per i fenomenologi - colui che "ricerca in profondità": il "vero filosofo".

      Si divulga solo per chi ha delle domande.

      Ma qui - e non altrove - si possono ricercare spunti e riflessioni per chi ha La Domanda.

      Forse.

      Ciò non ha nulla a che fare con altri Blogger (il Pedante è spesso in modo strabiliante in linea con quanto si ripete in questa sede, considerando soprattutto che non è un lettore, e dubito fortemente che le casalinghe di Voghera ne siano assidue lettrici in barba alla De Filippi).

      Facevo semplicemente notare che se un certo "sciadoubannamento" arriva già "dall'interno" - e può non favorire lo sforzo divulgativo - questo, però, può valorizzare di converso ciò che più è da ricercare nella quiete.

      Perché, come si sa, nel profondo c'è il silenzio.

      :-)


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    13. Grazie Bazaar della delucidazione. In effetti lo sciadobanno proveniente dall'interno è la tecnica migliore per screditare le informazioni più scomode. L'infiltrazione "dalla tua parte" per poi screditarti perché dici le cose giuste, e non scadi nelle idee deliranti, è la tecnica migliore. Questi finti "alternativi" dicono tante cose belle, forniscono tanti dati interessanti, e alla fine finiscono col dire che l'uomo bianco deve scacciare l'uomo nero peccche insidia le nostre donne! Mica la guerra di classe, mica l'esercito industriale di riserva! Mica il Capitale contro il Lavoro; no! L'uomo nero che insidia le donne bianche! Quanto sento certi discorsi secondo cui "l'uomo nero" invade i paesi Europei perché questi sarebbero pieni di bamboccioni allevati da madri rammollite e troppo buone, e che, quindi, i maschi bianchi dovrebbero ridiventare uomini e scacciare l'uomo nero, allora mi cadono le braccia; è la guerra civile, e non la coscienza di classe, che vogliono questi "complottisti"?
      Il bamboccione allevato nella bambagia che la crisi ha riportato alla durezza del vivere, la quale lo farà ridiventare Maschio con la M maiuscla, e ciò gli consentirà di scacciare l'uomo nero e riprendersi la donna bianca con cui fare tanti pargoli, e se vuole li fa anche con pochi soldi i pargoli, senza viziarli! ti dicono questi che sono dalla "nostra parte"! Perché, alla fine, quello che più conta, il salario, il lavoro inteso come nella Costituzione, una vita materiale dignitosa, per costoro è solo un dettaglio secondario!! OVVOVE!
      Per concludere, belli, sacrosanti, i tuoi riferimenti che indicano una vicinanza tra Shmmitt e Hayek. Altrettato sacrosanta la tua citazione dei passi della Luxemburg. Sempre una boccata d'aria fresca questo blog, in mezzo ad un mare di fesserie, sia mainstream e sia "alternative complottiste".

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  5. Ma di che vi lamentate?

    Abbiamo i matrimoni gay, le conquiste del femminesimo (come il linguaggio politically correct), l'Erasmus...
    Mai contenti, voi keynesiani debosciati.

    E ora scusate, vado a rotolarmi nudo in un roveto.

    (Se la bestemmia colpisse chi deve, sarei un Vanni Fucci)

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    1. Rotolarsi in un roveto? Già fatto, ovviamente (per la verità avevo i jeans e le scarpe).
      Fa male solo quando ridi.

      Ma se accanto a te ne arriva un altro (in short e ciabatte) e tu vedi la sua faccia mentre cade, allora fa male davvero.

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  6. Presidente,
    il terzo link http://www.progettostrada.net/media/report_conclusivi/Report_Azione_1/LIBRO_VERDE_Catastrofi non si apre

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  7. A proposito di ricostruzioni, keynesismo di guerra e materialismo storico: (aka: ma che argomentazioni ha da fare Cesaratto per ricordare a "sinistra" che il socialismo è sempre stato nazional-patriottico?)

    Rosa, 1915:

    (Oggi c'è la Cina)

    « Lo scritto esce senza la minima modifica, onde permettere al lettore di verificare con quale sicurezza il metodo storico-materialistico sappia padroneggiare lo sviluppo degli avvenimenti.

    [...]

    Ma nonostante tutto questo, se non abbiamo potuto impedire lo scoppio della guerra, se questa è ormai un dato di fatto, se il paese è minacciato da un'invasione nemica, come indura ora a disarmare il nostro paese, a consegnarlo al nemico se tedeschi ai russi, se francesi e belgi ai tedeschi, se serbi agli austriaci? Il principio socialdemocratico dell'autodeterminazione delle nazioni non esprime il diritto e il dovere di ogni popolo a difendere la propria libertà e indipendenza? Se la casa brucia, non ci si deve preoccupare in primo luogo di spegnere l'incendio, anziché ricercare il colpevole che lo ha attizzato? [Compagno Claudio Luxemboghi Aquilini, ndr] Questo argomento della “casa in fiamme” ha svolto un grande ruolo, da una parte e dall'altra, nel comportamento socialista, sia in Germania sia in Francia. Anche in paesi neutrali ha fatto scuola: tradotto in olandese: se la nave fa acqua, perché non cominciare col chiudere le falle?

    Certo, abbietto il popolo che capitola di fronte al nemico esterno, come abbietto il partito, che capitola davanti al nemico interno. Solo una circostanza i pompieri della “casa in fiamme” hanno scordato: che su labbra socialiste la difesa della patria ha tutt'altro significato che non il diventare carne da cannone al comando della borghesia imperialistica.

    Anzitutto, per quanto riguarda l' “invasione”, è corrispondente alla realtà quel quadro di terrore, davanti al quale ogni lotta di classe all'interno del paese si è vanificata come colta da possente magia? Secondo la teoria poliziesca del patriottismo borghese e dello stato di assedio [Il Patriot Act WWI!, ndr] ogni lotta di classe costituisce un crimine contro gli interessi della difesa del paese, perché pregiudicherebbe e indebolirebbe le capacità difensive della nazione [questo, come italiani, non ci riguarda..., ndr]. [...]
    »

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  8. « Eppure la storia moderna della società borghese sta dovunque a dimostrare che l'invasione straniera non rappresenta affatto per essa quell'orrore degli orrori, che oggi vuole dare ad intendere, quanto piuttosto un metodo prediletto impiegato e sperimentato contro il “nemico interno”. I Borboni e gli aristocratici francesi non la invocarono contro i giacobini? La controrivoluzione austriaca e papalina non invocò nel 1849 l'invasione francese a Roma e quella russa a Budapest? Nel 1850 in Francia per addomesticare l'Assemblea nazionale il “partito dell'ordine” non minacciò apertamente l'intervento dei cosacchi? E col famoso accordo del 18 maggio 1871 tra Jules Favre, Thiers e Co., e Bismarck non furono decise la liberazione dei prigionieri dell'armata bonapartista e l'appoggio diretto delle truppe prussiane contro la Comune di Parigi? A Karl Marx fu sufficiente l'esperienza storica per smascherare già quarantacinque anni or sono la, frode delle “guerre nazionali” dei moderni stati borghesi. Nel celebre indirizzo del Consiglio generale dell'Internazionale in occasione della caduta della Comune di Parigi egli afferma: “L'alleanza, dopo la più violenta guerra contemporanea, dell'armata vittoriosa e di quella, sconfitta per una comune opera di strage nei confronti del proletariato, un avvenimento talmente inaudito non significa, come crede Bismarck, il conculcamento definitivo della nuova società in ascesa, ma piuttosto la completa bancarotta della vecchia società borghese. Il supremo sussulto d'eroismo, di cui la vecchia società fosse ancora capace, era la guerra nazionale, e anche questa si mostra ora sotto l'aspetto di semplice sotterfugio di governo, la cui unica funzione non è più altro che di allontanare lo spettro della lotta di classe, e che viene accantonato non appena questa divampi in guerra civile []più immigrati! Più arabofobi!, ndr]. Il dominio di classe non è più in condizioni di dissimularsi sotto uniforme nazionale; i governi nazionali sono uniti di fronte al proletariato!” »

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    1. Ti ringrazio per aver rammentato la primigenia formulazione del "teorema dei cosacchi", oggi ritenuto particolarmente utile per stimolare il "patriottismo sovranazionale dell'€urozona&annessi sussidiati" e, naturalmente, per accantonare una lotta di classe che ESSI stanno vincendo 4 a 0 alla fine del secondo tempo.

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  9. « Invasione e lotta di classe non sono dunque nella Storia borghese dei contrari, come vuole la mitologia ufficiale, ma fanno tutt'uno, strumento ed estrinsecazione l'una dell'altra. E se per le classi dominanti l'invasione rappresenta un mezzo ormai collaudato contro la lotta di classe, per le classi progressive la più aspra lotta di classe si è ancora sempre confermata l'arma migliore contro l'invasione [Bazaar pacifista quando tira le orecchie ad arabofobi e germanofobi, ndr]. Sulle soglie dell'era moderna la storia tempestosa, agitata da infiniti sconvolgimenti e da esterne inimicizie, delle città (soprattutto italiane: la storia di Firenze, di Milano con la loro secolare lotta contro gli Hohenstaufen) sta già a dimostrare non soltanto che la violenza e l'asprezza delle lotte di classe interne non indebolisce le capacità difensive della comunità verso l'esterno, ma al contrario che soltanto nella fucina di queste lotte viene forgiata la forza necessaria per far fronte ad ogni assalto esterno. Ma a questo proposito il più classico esempio di tutti i tempi è rappresentato dalla grande rivoluzione francese. Come non mai, per la Francia dell'anno 1793, per il cuore della Francia, Parigi, era giustificato il grido d'allarme: i nemici sono alle porte! Se Parigi e la Francia non soggiacquero allora alla marea dell'Europa coalizzata, all'invasione concentrica, ma al contrario nel corso d'una, lotta senza precedenti, con l'intensificarsi del pericolo e dell'aggressione avversaria, ingigantirono vieppiù la loro resistenza, sconfissero ogni nuova coalizione nemica rinnovando ogni volta il miracolo di un coraggio inesauribile, fu grazie all'illimitata liberazione delle forze interne della società che ebbe luogo nel grande movimento di risistemazione delle classi. Oggi, con la prospettiva di un secolo, risulta evidente.che solo la più acuta espressione di quella crisi, solo la dittatura del popolo parigino e' il suo spregiudicato radicalismo hanno saputo spremere dalla nazione mezzi e forze sufficienti per difendere e sostenere la giovanissima società borghese contro una folla di nemici: contro gli intrighi della dinastia, i complotti e i tradimenti degli aristocratici, le macchinazioni del clero, l'insurrezione della Vandea, il tradimento dei generali, la resistenza di sessanta dipartimenti e capoluoghi di provincia, e contro gli eserciti e le notte riunite della coalizione dell'Europa monarchica. Come i secoli stanno a dimostrare, la migliore difesa e la migliore arma d'un paese contro nemici esterni non è lo stato d'assedio, ma la lotta di classe spregiudicata, che risveglia la sensibilità, lo spirito di sacrificio e la forza morale delle masse popolari. »

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  10. « Allo stesso tragico qui pro quo non sfugge la socialdemocrazia, quando pretende fondare il proprio atteggiamento in questa guerra sul diritto di autodeterminazione delle nazioni. È vero: il socialismo concede ad ogni popolo il diritto all'indipendenza e alla libertà, all'autonoma disponibilità del proprio destino. Ma innalzare gli attuali stati “capitalistici a espressione di questo diritto di autodeterminazione significa prendersi gioco del socialismo. In quale di questi stati ha sinora la nazione deciso le forme e le condizioni della propria esistenza nazionale, politica o sociale?” [La Costituazione ITALIANA DEL 48!!!!!, ndr]

    Che cosa significhi autodeterminazione del popolo tedesco, che cosa implichi, lo hanno annunziato e propugnato gli alfieri del proletariato tedesco, Marx, Engels, Lassalle, Bebel e Liebknecht [solo per quella tedesca! Il socialismo è la storia del sovranismo da sempre!, ndr]: un’unica grande repubblica tedesca. Per questo ideale i combattenti di marzo hanno versato a Vienna e Berlino il loro sangue sulle barricate, per la realizzazione di questo programma Marx ed Engels nel 1848 volevano forzare la Prussia a una guerra con lo zarismo russo. [...]


    La tendenza generale dell'attuale politica capitalistica, domina come una cieca legge superiore la politica dei singoli stati, come le leggi della concorrenza economica determinano irresistibilmente le condizioni di produzione del singolo imprenditore.
    »

    Quando si dice che gli spinelliani sono peggio dei fascisti perché due volti traditori della patria...

    Ora possiamo tornare ad ascoltare lo scontro tra intellettuali del calibro di Trump e della Clinton. 2016.

    Un secolo giusto dopo la pubblicazione.

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    1. Stavo riflettendo su quanta parte del pensiero di R.L. sia ancora comprensibile ad almeno qualcuno dei tedeschi contemporanei: Flassbeck, Streeck, forse: ma si tratta di voci fuori dal coro. E v.Otmar Issing citato in fondo ai commenti, che riscuote un grande seguito nei media ammaestrati di quel paese (che sono migliori solo dei nostri in tutto il mondo civilizzato).

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  11. Risposte
    1. Otmar Issing è puro spirito hayekiano reincarnato per l'olocausto finale

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