1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
E tale punto è il seguente: questa affermazione è scientificamente vera dal punto di vista economico nonché legittima dal punto di vista costituzionale?
2. Nel corso degli anni ne abbiamo già trattato fino allo sfinimento:
"Tutto ciò (cioè il programma costituzionale di diritti fondamentali sociali, in funzione di prestazioni redistributive ex ante per realizzare la democrazia sostanziale) non
ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto
il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull'idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.
Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanche del neo-liberismo che si "riprende il maltolto":
essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul
reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi
lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio
istituzionalizzati per favorire la "stabilità monetaria".
Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare
la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta
essenzialmente all'effetto del regime di mercato del lavoro conforme
all'obiettivo della stessa "stabilità monetaria".
3. Quello che si può più utilmente focalizzare oggi è che, se per ragioni di conservazione del consenso si inizia una battaglia di questo tipo, gli argomenti che possono essere utilizzati a suo sostegno dovrebbero essere commisurati al "merito" delle proditorie e inerziali obiezioni provenienti dalla controparte UE.
Se si accettano i caposaldi ideologici-morali (altamente zoppicanti), prima che economici, di queste obiezioni moscoviciane, e se ne fa una questione esclusivamente politica, imprudentemente prospettata come la soggettiva di convenienza di un certo Stato-membro, piuttosto che sulla illogicità e insostenibilità socio-economica delle norme €uropee, si è destinati a perdere in base alla (ben diversa) logica dei rapporti di forza consolidati che governa i trattati: di più, non sapendo criticare nel merito, queste risibili obiezioni, si ottiene l'effetto boomerang di consolidare ancor più questi rapporti di forza.
E si è costretti, come infatti avvenuto, a fare retromarcia e a perdere in partenza di credibilità (negoziale, cioè politica nelle relazioni internazionali, esattamente come quando si fa retromarcia sulla questione "immigrazione" rinunciando a far valere persino l'esatto contenuto degli accordi a cui, in modo comunque improvvido, ci si è autovincolati).
4. Il debito pubblico "pesa" sulle generazioni future?
In termini economici, se e solo se sia adottato il gold standard o l'ancor più rigido strumento della privazione istituzionale della sovranità monetaria, cioè l'euro (moneta adespota, comunque non nazionale, cioè priva di uno Stato che abbia come riferimento l'interesse di una propria comunità sociale ai fini dell'emissione e delle politiche monetarie). L'effetto di presunta mancata crescita da deficit pubblico, cioè il suo non determinare effetti espansivi, e di conseguenza, l'effetto complessivo negativo dell'accumulo di debito pubblico, viene spiegato con l'ipotesi di Barro-Ricardo (pp. 4 e ss.): le azioni compensative (non consumo, non investo) degli "operatori razionali", in realtà, sono imposizioni normative, imposte da regole dettate da chi detiene il potere istituzionale e non hanno nulla di razionale e tantomeno "naturale", al di fuori di queste regole (che sono appunto l'imposizione di limiti al deficit annuale e di tetti al rapporto debito/PIL).
Ce lo spiegava Krugman (quando era interessato a confutare gli slogan delle maggioranze repubblicante, regnante Obama), riferendosi all'ipotesi intermedia, meno intrusiva del vincolo monetario €uropeo, di autolimitazione della sovranità monetaria, derivante da scelte politico-ideologiche prevalenti in modo contingente, laddove, comunque, il potere di emissione monetaria rimanga astrattamente intatto in un certo Stato sovrano (stiamo parlando degli USA).
E questa autoprivazione ce la si autoinfligge con l'idea che limitando il deficit pubblico, - negli USA secondo "cap" predefiniti per periodi annuali e/o pluriennali-, si limita di conseguente il debito pubblico e il relativo onere trasmesso a non identificabili "generazioni future" (per quante generazioni vanno registrati gli effetti del deficit fiscale e soprattutto come e quali effetti, correttamente e non arbitrariamente misurati, devono prendere in esame?):
“Ehi, forse stiamo solo perdendo 800 miliardi di dollari l'anno…”.
Ma ci sono prove schiaccianti che, non potendo rispondere efficacemente alla disoccupazione di massa – tanto da non fare della disoccupazione nemmeno una priorità politica - abbiamo fatto a noi stessi danni immensi a lungo termine.
Ed è, come ho detto, una ironia amara, perché uno dei motivi principali
per cui abbiamo fatto così poco per la disoccupazione, è la
predicazione della “condanna morale” inflitta al deficit (pubblico) da
parte di coloro che si sono avvolti nel manto della responsabilità di
lungo periodo – “motivo” che sono riusciti a tenere fortemente impresso nella mente del pubblico comprimendo così il debito pubblico.
Questo non ha senso, anche nei termini propri dello stesso assunto. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, mentre può porre dei problemi, non rende la nazione più povera, perché è denaro che dobbiamo a noi stessi. Chiunque parla di come stiamo prendendo in prestito dai nostri figli proprio non ha fatto i conti.
È vero, il debito può indirettamente renderci più poveri, se il deficit
fa salire i tassi di interesse e quindi scoraggi gli investimenti
produttivi. Ma questo non è accaduto. Invece, l'investimento è basso a
causa della debolezza dell'economia.
E una delle cose principali che mantiene l’economia debole è
l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – in particolare, tra
l’altro, i tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati in
nome della tutela del futuro e della minaccia selvaggiamente esagerata
del debito eccessivo.
C'è qualche possibilità di invertire questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti, e, ancora una volta, temo che probabilmente hanno ragione. L'America probabilmente trascorrerà decenni pagando per le priorità sbagliate degli ultimi anni.
E' davvero una storia terribile: un racconto di autolesionismo, reso ancora peggiore perché è stato fatto in nome della responsabilità. E il danno continua mentre parliamo".
5. A certe condizioni "fisiologiche" di sovranità, persino all'interno della moneta unica, quando ancora non si era "svelata" la sua intera portata intenzionale di ridisegno sociale dell'intera eurozona, la cosa poteva anche essere detta in questi termini:
"Ma
è davvero così? Uno studio di Roberto Ciccone, professore di economia all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'e-book "Oltre l'Austerità", mette in discussione dalle fondamenta questa
analogia tra il debito di una famiglia – dove è vero che il padre
caricherà sui figli i suoi debiti non pagati – e il debito
pubblico.
L'analogia non regge, perché al massimo il debito pubblico può essere paragonato con un indebitamento all'interno di una stessa famiglia, in cui il figlio, ad esempio, contrae un debito con i suoi stessi genitori, dai quali erediterà la stessa ricchezza con cui ripagare il debito.
L'analogia non regge, perché al massimo il debito pubblico può essere paragonato con un indebitamento all'interno di una stessa famiglia, in cui il figlio, ad esempio, contrae un debito con i suoi stessi genitori, dai quali erediterà la stessa ricchezza con cui ripagare il debito.
Nel
caso che vi sia l'esigenza di abbattere il livello di un debito
pubblico troppo elevato1
, il maggior carico fiscale che graverà sulle future generazioni che
vogliano ridurre il debito pubblico , argomenta Ciccone,
sarà compensato
dalla ricchezza rappresentata dagli stessi titoli del debito
pubblico che verranno loro trasmessi in eredità dalle generazioni
precedenti.
La
situazione patrimoniale delle generazioni successive non sarà dunque
né migliorata, né peggiorata, perché al valore attuale delle
future maggiori imposte da pagare per finanziare il servizio del
debito pubblico (interessi + rimborso alla scadenza) corrisponde il
valore attuale dei titoli (interessi attivi e capitale) da essi
ricevuti in eredità.
Quindi,
dal punto di vista della collettività nel suo complesso, non esisite
alcun conflitto intergenerazionale, e l'analogia col buon padre di
famiglia che non vuole caricare di debiti i suoi figli non ha ragion
d'essere".
6. Certo può essere che lo Stato non benefici i suoi figli dell'emissione del debito annuale corrispondente al deficit, e che questo sia sottoscritto da soggetti esteri (per lo più finanziari, cioè del tutto interessati a massimizzare il loro rendimento, scontando gli spread che permangono, nell'eurozona, anche in costanza di QE).
Titoli di Stato prima e dopo il Quantitative Easing per settore detentore (composizione percentuale)
L'ipotesi, come si vede dal grafico soprastante, è peraltro divenuta abbastanza marginale; ma non di meno, L€uropa si preoccupa di renderla lo stesso disastrosa per l'Italia, e anzitutto per il suo sistema bancario, grazie alla ventilata introduzione di un rating e di una quota massima di detenzione dei titoli (qui, p.14), comunque graduati secondo il rischio: una condizione di rischio (altrimenti inesistente) programmaticamente amplificata dal sistema voluto da Maastricht, appunto coi suoi limiti al deficit, fino al pareggio di bilancio, e col conseguente impedimento della crescita istituzionalizzato con la banca centrale indipendente "pura", cioè col divieto di bail-out sugli Stati e il parallelo divieto di acquisto dei titoli dei singoli Stati da parte della BCE.
7. Ora, è del tutto evidente che "il denaro lo dobbiamo a noi stessi" (con tutto quello che ne consegue), come ci dice Krugman, in quanto si mantenga il potere di emissione monetaria.
Ma anche qualora di tale potere si sia deprivati in via istituzionale, - perché si ritiene che la lotta all'inflazione, secondo il mito supremo della "stabilità monetaria", (direttamente tratto dal gold-standard)-, l'idea che il debito si trasmetta alla generazioni future risulta lo stesso contraddittoria nelle stesse premesse economico-istituzionali de L€uropa: il problema del debito rifluisce, in tal caso, sulla sua sostenibilità, non sul mero fatto che esso cresca. L'importante, infatti, è che il PIL con cui il debito è messo in rapporto, negli stessi indicatori della moneta unica e del Fiscal compact, cresca nominalmente in misura superiore al fabbisogno (deficit) nominale.
"Quando ero giovane mi sono divertito a calcolare una simile
soglia [ndQ: mirata a rendere sostenibile il debito mediante la sua stabilizzazione - in "stato stazionario"- in rapporto al PIL] usando il modello keynesiano dinamico di Tobin e Buiter [1978], e l’ho
pubblicata sul Giornale degli economisti
nel 1995.
L’evidenza indicava che in Italia, nel decennio post-divorzio, si
sarebbe incorsi in un rischio di “esplosione” del debito solo se il rapporto
debito/Pil avesse superato il 200%. La soglia però era molto sensibile a certi
parametri: ad esempio, l’aumento di un punto del tasso di interesse reale la
faceva scendere al 125%, mentre l’aumento di un punto della pressione fiscale
la portava al 244%. Di fatto, scorrendo gli anni fino al 1994 si vedeva che in
nessun anno questo indicatore “keynesiano” rilevava una situazione di insostenibilità
del debito italiano.
In Bagnai (2005) ho
rifatto i calcoli, e la situazione era cambiata: la soglia keynesiana era più
bassa e si situava attorno al 138%. Ad altri paesi andava molto peggio: la
soglia assumeva valori pesantemente negativi (a indicare che ogni valore
positivo del debito era comunque insostenibile). Si trattava, guarda un po’, di
Spagna e Irlanda, due paesi dei quali tutti dicevano mirabilia perché allora il
loro rapporto debito/Pil era così basso. Ma per l’indicatore keynesiano non c’era
da stare allegri. Che coincidenze!
Al di là di queste coincidenze, rimane il fatto che la
definizione di un valore “sostenibile” del debito, di un “livello di guardia”,
è e rimane un’operazione estremamente arbitraria: finché non esisterà un unico
modello accettato dell’economia (cioè mai), non esisterà un unico modo
accettabile di definire questo livello. Punto.
Quindi sì, i numeri di Maastricht non sono fondati su una
particolare teoria economica. Questo lo riconoscono più o meno tutti,
aggiungendo che la Francia e la Germania hanno scelto una soglia del debito al
60% del Pil perché questa rifletteva la loro esperienza storica.
Ma quale?
Francia e Germania arrivano alla firma del Trattato di Maastricht con rapporti
debito/Pil inferiori al 40%. Quindi le cose non stanno così: nel fissare la
soglia del 60%, quella che ora è incorporata nel Fiscal compact, Francia e
Germania non hanno guardato al loro debito pubblico. L’esperienza storica,
però, c’entra ugualmente, e se siete sopravvissuti fino a qui siete anche in
grado di capire perché (non è una grande scoperta, vi assicuro).
Negli anni ’80 Germania e Francia avevano avuto rapporto
fabbisogno/Pil vicini al 3%, con tassi di crescita nominale superiori al 6%.
Nel decennio 83-92 il fabbisogno in Francia era stato di 2.8 punti di Pil, e la
crescita nominale del 6.8%. Con valori come questi, il valore di stato
stazionario del debito sarebbe stato:
Diciamo che dentro una soglia di 0.6 potevano pensare di
starci comodi. La Germania non aveva numeri particolarmente diversi. È molto
probabile quindi che i due numeri di Maastricht siano scaturiti da un
ragionamento di questo tipo. L’esperienza storica suggeriva valori di f=3. La disinflazione ancora in atto
(almeno in Francia) suggeriva che la crescita nominale si sarebbe potuta
attestare attorno al 5% (diciamo: un 3% di crescita reale con un 2% di
inflazione). Quindi:
che, arrotondando, fornisce il
fatidico 60%.
Nel Trattato di crescita non si parla, ma solo di f e d.
Resta però il fatto che se di queste tre grandezze (crescita nominale, rapporto
fabbisogno/Pil e rapporto debito/Pil) ne fissi due, la formula (5)
automaticamente ti determina l’altra. Detto in altre parole, nel momento in cui
il Trattato di Maastricht fissa d=0.6
e f=0.03, lo stesso Trattato matematicamente impone che la crescita
nominale sia
(il 5.26%). E infatti, se volete
verificarlo, vedrete, utilizzando la solita (5), che:
Ecco. I numeri di Maastricht nascono
dalla (5), dalla formula che indica qual è il valore di stato stazionario del
debito pubblico, una volta che ci si mettano dentro i valori di fabbisogno e
crescita che i paesi leader pensavano di poter sostenere.
Un ragionamento anche corretto, se vogliamo, per la sua
attenzione al lungo periodo, ma che non teneva conto di due cose: la prima è
che al momento della stipula del trattato altri paesi europei avevano valori di
fabbisogno e crescita incompatibili con un debito al 60% del Pil; la seconda è
che anche nella stessa esperienza dei paesi leader
i valori di fabbisogno e crescita che si verificarono dopo la stipula del Trattato erano incompatibili con una soglia del
60%, che infatti venne sforata dalla Germania nel 1999 e dalla Francia nel
2003.
Anche i ricchi piangono?
Diciamo così. Ma il percorso che ci ha condotto fin qui
dovrebbe averci fatto capire qual è l’idiozia di Maastricht: dettare implicitamente un valore del tasso di
crescita, inchiodato al 5.26% per decreto, come se la crescita fosse un dato
esogeno. Ma la crescita esogena non lo è, e si si discosta dal valore
implicitamente decretato da Maastricht sono dolori, perché matematica vuole che
ci siano solo due alternative: o si accetta che il rapporto debito/Pil sfori il
60% (e questa è stata la strada scelta all’inizio), o si impone che il rapporto
fabbisogno/Pil sia inferiore al 3% (e questa è stata la strada scelta dal
Fiscal compact in poi)."
8. Potremmo allora dire, di fronte al fatto che nessuno, da un certo punto in poi, aveva più ratei di crescita tali da rendere sostenibile l'impianto fiscale di Maastricht, che il tutto si può riassumere in un problema di ideologia ed etica: cioè se si crede o meno nella teologia della deflazione essendo l'inflazione "la più ingiusta delle imposte". Appunto, come predicava Einaudi, (v. addendum), e come, - ben prima di questa sua frase lapidaria, tanto amata dalla "sinistra" dei mercati liberalizzati-, si era già detto nelle Conferenze "mitiche" dei banchieri centrali che (v. p.7), nel dopo prima guerra mondiale, avevano deciso che il gold standard fosse l'unica virtù possibile e al diavolo il mercato del lavoro.
Con l'inflazione "vera", cioè generata da fisiologici movimenti della domanda interna, degli investimenti e dell'aumento di occupazione effettiva, siamo oggi a questo punto:
9. Se dunque si crescesse in compresenza di una simultanea moderata inflazione, - che non sia una deflazione o comunque una situazione in cui nemmeno più si riesce a raggiungere, con l'inflazione "core", (v. grafici sopra: quella effettiva, e non importata dai prezzi di commodities estere e dal cambio del dollaro con cui le pago), il giugulatorio tetto del 2%-, vorrebbe dire che le future generazioni non si troverebbero in situazione di perpetua disoccupazione strutturale.
Queste generazioni potrebbero aspirare a redditi dignitosi e, quindi, a risparmiare e persino a sottoscrivere il debito pubblico (avendo magari acquistato una casa di abitazione e estinto un mutuo), senza doversi solo preoccupare che l'imposizione fiscale sia un crescente peso insostenibile: e ciò perché, prima di tutto, famiglie e imprese, cioè cittadini di questa e delle future generazioni, divengono soggetti insolventi al credito bancario, cioè accumulatori di risparmio privato negativo.
9.1. Se invece l'inflazione core indica chiaramente che sto comprimendo la crescita, proprio per mantenere la stabilità monetaria, minacciata dalle asimmetrie generate dalla intenzionale disfunzionalità dell'unione monetaria, che si pone al servizio della crescita export-led only, perseguendo una conseguente forsennata deflazione salariale (che si ottiene amplificando una (già) alta disoccupazione strutturale), le generazioni future non avranno il problema del debito pubblico ma quello della mancanza di lavoro e di redditi tali da consentirgli di sopravvivere dignitosamente.
Il resto sono chiacchiere da bar: è del tutto chiaro che la bufala del debito pubblico che grava sulle generazioni future non sia altro che un effetto provocato deliberatamente da condizioni istituzionali che valgono dentro l'euro e solo nell'euro.
E valgono perché i parametri di Maastricht, e a fortiori, quelli del fiscal compact sono un non-senso che impedisce la crescita, mentre, contemporaneamente, si ritiene indispensabile impedire l'intervento fiscale a sostegno della crescita, dovendosi, prima di tutto, rendere sostenibile la moneta unica, (e la sua disoccupazione "competitiva")...rendendosi insostenibile il debito pubblico.
E quindi vincolando gli Stati, anzitutto, a correggere l'indebitamento privato, commerciale e finanziario, con l'estero, tramite la leva fiscale, anche a costo di distruggere il futuro delle prossime generazioni; in pratica, stabilizzando un livello di disoccupazione che, nel suo protrarsi strutturale, erode la base produttiva, cioè il capitale fisso delle imprese, che vedono costantemente contrarsi la domanda interna a livelli che le pongono fuori mercato, in modo definitivo.
10. Dare una risposta a Moscovici è dunque relativamente facile, ove si volesse veramente essere credibili e non semplicemente negoziare un ritorno a Maastricht: una facezia sconclusionata, come mostra l'analisi di Alberto sui relativi parametri fiscali, che impongono di arrivare al fiscal compact, una volta che ci si renda conto che NESSUNO è in grado di ottenere la crescita implicata da tali parametri dentro l'eurozona.
La risposta, l'unica che abbia una logica e una legittimità costituzionale, è quella di un superamento obbligato della moneta unica.
Il conflitto generazionale non esiste, e lo abbiamo detto tante volte: esiste l'impoverimento generale di interi popoli.
E quindi esso impatta oggi sulle generazioni già in vita, sottoposte a una "sottrazione" progressiva di risorse, rese appositamente "scarse": una sottrazione (esclusivamente conservativa dell'euro) che non ha mai fine, se non con l'eliminazione fisica dovuta alla morte (la più prematura possibile nei calcoli fiscali degli €uristi come Attali e non solo, v. p.4).
10.1. Tutti i cittadini italiani, senza distinzioni generazionali, sono coinvolti, solo con una maggior o minore durata nell'arco delle loro vite (per mere ragioni casuali di nascita), negli effetti delle politiche dettate dal "vincolo esterno": cioè nell'intensificazione della mancata crescita e della disoccupazione strutturale, aggravata dall'immigrazione in funzione di calmiere acceelerato del costo del lavoro.
E da tutto ciò nasce una nuova struttura economico-sociale, asservita alla competizione, sui mercati esteri, di tutti contro tutti: compresi, anzi prima di tutto, i paesi dell'eurozona nei reciproci confronti.
Un "nuovo ordine" (internazionale dei mercati) che rende sempre più disperata la condizione di chi dovesse nascere in questi anni. Ma proprio perché nascerebbe, o già oggi crescerebbe, dentro questa orribile imitazione del gold standard, più rigido!, voluta da L€uropa. Cioè da Moscovici, che ne è solo l'ennesimo guardiano semiringhiante che mente sapendo di mentire.
Ma tutti ci credono lo stesso; e il sistema mediatico, come abbiamo visto, non è in grado di organizzare alcuna risposta perché si nutre di spesapubblicasprechievasionefiscalebrutte, condizionando l'agenda politica di una classe dirigente che, semplicemente, non ha le risorse culturali per reagire efficacemente.
11. Abbiamo visto come la moneta unica sia alla base di tutto questo impoverimento e di questa distruzione della struttura produttiva italiana. Ne abbiamo segnalato (v. i links finora inseriti) i legami istituzionali dettati dalla trasformazione in norme dell'ideologia degli anni '20 del secolo scorso.
Ma sul piano logico-giuridico, il concetto stesso di solidarietà generazionale, per quanto improvvidamente e acriticamente accolto dalla nostra Corte costituzionale, piegandosi alle formulazioni nate dai trattati €uropei, - e da null'altro, perché la nostra Costituzione non prevede il concetto-, non ha alcun senso, come aveva dimostrato Luciani già nel 2008 ("GENERAZIONI FUTURE, DISTRIBUZIONE TEMPORALE DELLA SPESA PUBBLICA E VINCOLI COSTITUZIONALI", in Diritto e società, n.2/2008).
Da allora la situazione è solo peggiorata: per tutti gli italiani, impoveriti da un sogno senza alcun senso e da un'ideologia penetrata in modo devastante ad ogni livello istituzionale.
Da allora la situazione è solo peggiorata: per tutti gli italiani, impoveriti da un sogno senza alcun senso e da un'ideologia penetrata in modo devastante ad ogni livello istituzionale.
Immagino che questo paper sia già stato spulciato, ma per rispondere a Moscovici si potrebbe anche dire che "Only when wages grow with productivity growth will consumption expenditures grow without rising debt levels... there are several studies that find positive effects of wage increases on productivity growth, suggesting that the long-term effects of wage expansion are likely to be favourable to the economy...
RispondiEliminaAll of these policies go against orthodox economic wisdom and, under the perceived pressure to reduce public budget deficits, current economic policy seems to be moving in the opposite direction, with calls for government austerity policies, which are most likely to affect the middle class and the poor, and calls for structural reforms – a euphemism for more flexible labour markets and reduced wage rates. However, in times of crisis and with a lack of effective demand, what economies need is more state involvement, not less. A successful policy package to economic recovery needs to have sustained wage growth as one of its core building blocks...".
Che dire, come la manina di Totti, Lavoie/ Stockhammer - Moscovici 4 a 0... peccato che i due siano "fuori classifica"...
BANCHE E STATO CI DEVONO 2,19 MILIONI DI EURO A TESTA
RispondiEliminaIl debito Pubblico, sono nostri soldi stampati dalle banche, quindi ci devono 2.300 MLD del debito, oltre ai 3.500 MLD di interessi pagati sul debito dal 1945 ad oggi, in più 62.640 MLD di tasse illecite, non dovute, conseguenti, più 63.000 MLD euro di creazione monetaria mancata dal 1981 ad oggi, sono la bellezza di 131.440 MLD di euro, quindi, 2.19 Milioni di euro a cittadino !
Mi pare una versione un po' confusa...specialmente con riguardo a funzione e sottoscrittori del debito pubblico anteriore al "divorzio"
EliminaSi anche se ce li dessero cambierebbe poco 2.19 miliardia cittadino immessi cosi dall'oggi al domani sarebbero mangiati dall'inflazione in tempo zero.
EliminaPerfino Milton Friedman (!!) ammetteva che la storia dell'onere per le generazioni future è una bufala: quosque tandem?
RispondiEliminaAbbiamo un problema: chi l'avverte la nostra Corte costituzionale?
EliminaA proposito: il sintetico ragionamento di Milton implica che esista pur sempre una condizione per la quale le generazioni future sopporterebbero effettivamente il peso (aggiuntivo delle tasse che comunque dovrebbero pagare se e in quanto produttori di redditi) del debito pubblico cumulato nel passato.
EliminaTale condizione è che non possano più votare e che la classe di governo non debba più rispondere perciò della perdita di consenso derivante dal perseguire smantellamento del welfare unito a disoccupazione.
Siamo dunque in pieno paradigma L€uropeo.
O, nella più ottimistica e elettoral-cosmetica delle ipotesi in piena realizzazione del programma dei 5S, in quanto si adottino il RdC e una legislazione cosmetica imperniata su un'agenda sostanzialmente irrilevante per i problemi strutturali dell'economia italiana.
Quindi, a ben pensarci, Moscovici ha ragione: solo che l'ha per ragioni che i giornaloni si guardano bene dall'esprimere.
A proposito di Corte costituzionale, non è certo un caso che gli ultimi tre giudici eletti dal Parlamento (Barbera Modugno e Prosperetti), siano tutti, con diverse sfumature, collocati sulla linea della ridefinizione dei diritti in chiave neoliberista. Il giuslavorista Prosperetti, in particolare, spicca fra gli altri per le sue posizioni orientate alla interpretazione in chiave ‘evolutiva’ dei diritti sociali e per la sua insofferenza all’idea stessa di diritti acquisiti. Nel commentare criticamente la sentenza n. 70 del 2015 (in tema di adeguamento automatico dei trattamenti pensionistici), rilevava che essa farebbe assurgere la conservazione dei trattamenti pensionistici “a principio di rango costituzionale” (quale orrore), e segnala che i diritti acquisiti sono concetto “che sembrava essere ormai archiviato con riferimento alla complessa dinamica dei diritti sociali”. Intollerabile poi che lavoratori con salari ridotti dalla crisi economica “debbano mantenere ricche pensioni immodificabili", e pertanto “il diritto alla pensione acquisirà sempre più le caratteristiche di diritto finanziariamente condizionato". Ecco, è sulla base di tali posizioni, più volte espresse e ribadite su libri e articoli, che il Prosperetti è stato eletto alla Corte, dove peraltro si trova in ottima compagnia, con l’unico mandato di smantellare pezzo per pezzo la parte sociale della costituzione. Salvo poi pronunciarsi, da perfetto ordoliberista, in favore di misure di integrazione del reddito dei lavoratori, destinato ovviamente a diventare sempre più scarso, misure che beninteso graveranno sulla fiscalità generale, e indeboliranno ulteriormente qule che resta del welfare. Ma del resto la globalizzazione esige qualche ‘piccolo sacrificio’ da parte del 95% dei cittadini, e i giuristi alla Prosperetti (o alla Amato) sono i migliori e più tenaci difensori del restante 5%.
RispondiEliminaMa vogliamo parlare anche dei nostri cari amici Visco e Patuelli ?
RispondiEliminaIl primo: “… sulla società nazionale di gestione degli attivi (Bad bank) discussa in questi giorni all'Ecofin . È una misura «potenzialmente utile purché rapidamente definita» ha detto il Governatore di Bankitalia e per avere successo «il prezzo di trasferimento degli attivi non dovrebbe essere troppo distante dal loro reale valore economico». Secondo Visco l'adesione delle banche «dovrebbe avvenire su base volontaria”. Spero non voglia dire che se un credito deteriorato ha valore nominale 10 ma è prezzato 5, la bad bank ti deve dare 10…
Il secondo: “… Senza euro finiremmo come Sudamerica. Nessun passo indietro poi sull’euro, di cui il presidente Abi ha rivendicato i meriti. «Non condividiamo la demonizzazione preconcetta dell’euro: senza la moneta unica in Italia non esisterebbero tassi così bassi da quasi vent'anni» ha detto Patuelli, aggiungendo che «è impossibile mandare indietro le lancette della storia rincorrendo anacronistiche nostalgie di una moneta che era debole, instabile, con continui rischi di cambio. Si finirebbe nelle cattive abitudini sudamericane, invece che fra le migliori democrazie occidentali”. E certo, prima era l’Africa, ora è il Sudamerica… ma poi a loro che je frega?
I loro bonus e lauti stipendi li prendono lo stesso, tanto poi a pagare è la gente come noi che lavora allo sportello, mica i manager… che poi, ma se questa sull’Euro non è una fake news, allora cos’è?!?!?! Senza parole…
I tassi bassi, uniti alle svalutazioni in bilancio dei crediti deteriorati (che L€uropa sta ridisciplinando in senso ampliativo...delle minusvalenze da coprire con le riserve v.IFRS 9, valevole dal 1.1.2018), sono alla radice della perdita di profitti e di valore delle banche italiane.
EliminaNulla di male che per chi fa parte del management: si tratta solo di offrirsi come gestori indispensabili per i nuovi azionisti stranieri e come tagliatori di personale in perenne esubero.
Chiaro che agli azionisti stranieri la svalutazione dell'investimento per un paventato ritorno alla valuta nazionale, non fa piacere: certo, non dopo aver fatto tanta fatica a comprare a due soldi e proceduto al disboscamento del personale nonché ad aver acquisito NPL a prezzi stracciati, con le varie controllate.
E nemmeno fa piacere al management di essere pagato in una divisa che prevedono svalutata rispetto a quella di nazionalità dell'azionista di controllo.
Ovviamente, in tutto questo, dell'economia reale e delle incontrollabili dinamiche di rischio creditizio che si acutizzeranno rimanendo nell'eurozona e nell'Unione bancaria, non frega nulla a nessuno.
Alle brutte interviene lo Stato e tra ricapitalizzazioni, garanzie pubbliche e qualche aggiustamento sui crediti d'imposta, il gioco può continuare...
Mah, chissà se anche per loro la pacchia continuerà in eterno...
EliminaChe poi, anche 'sta cosa dell'Eurone che ci ha protetto, tassi bassi... a parte il fatto che i tassi bassi dell'Eurone hanno permesso la bolla greca, spagnola, portoghese, irlandese, etc... I nostri ragazzi dimenticano poi i contributi italiani al MES, et similia che ci hanno ciucciato quanti miliardi di euro?!?! E questo grazie all'Eurone, che oltre a ciò c'ha imposto aumenti inumani di tasse e balzelli... ma potessero parlare dei 765miliardi di euro di avanzo primario dal 1992 al 2017, cioè OLTRE 30 MILIARDI (58mila miliardi di lire del vecchio conio) all'anno regalati!!! E se volessero parlare, oltre alla regalie alle banche italiane decotte dall'Euro, dei 30miliardi annui circa che il sistema del welfare pensionistico ciucca al contribuente italico, cifra che si evince fra prestazioni erogate e contributi lavorativi incassati... A quanto siamo circa? 60miliardi di Euro l'anno rubati agli italiani? Hai voglia con essi ad investire!! Ma questo Visco e Patuelli non lo dicono... perchè? Eh perchè appunto, come ben dici, hai voglio poi con le lirette a comprarsi lo yacht o il macchinone, o la casetta da milioni di euro... che poi fa ridere come persone così colte non capiscano che con avanzo primario e avanzo di parte corrente, l'Italia altre che Sudamerica... i tassi bassi, l'Italia, ce li avrebbe avuti in ogni caso!! Paradossalmente anche senza Banca Centrale dipendente. Bastava la volontà politica. Ma la volontà politica è stata invece quella della svendita. E così è stato.
EliminaAh, per dire, i 765miliardi di avanzo primario cumulato è un dato preso dal Sole24Ore di oggi, non dal manifesto dei sovranisti incalliti... tanto per gradire ai "tennici"... la Corte Costituzionale, Visco e Patuelli dovrebbero leggere di più forse...
EliminaAh, e giusto per rispondere a Visco, suggerisco lettura di questo studio...
Eliminama questa uscita di Patuelli quanto è recente? Io mi ricordo un suo intervento dove diceva addirittura cose del tipo che:
EliminaSe questa UE diviene un cappio, bisogna liberarsene con un atto risoluto"
Ovviamente intendeva cappio per le grandi banche italiane. ed era una intervista uscita sulle trattative dell'unione bancaria...credo poco dopo l'introduzione del bail-in.
Intervento di questa mattina all'Assemblea Abi, dove si riuniscono le ridotte euriste "Visco ha sottolineato alla platea di banchieri e imprenditori che in Italia «lo sviluppo è frenato dalle rigidità e dalle inefficienze del contento in cui operano le imprese, dalla debole dinamica della produttività. Va proseguito - è stato l'invito del Governatore - il processo di riforma, che richiede impegno da parte di tutti, lungimiranza e interventi volti a lenire i costi della transizione». Il giudizio dei mercati sulle prospettive delle banche italiane «è migliorato negli ultimi mesi - ha osservato - riflettendosi in una robusta ripresa dei prezzi delle azioni».
EliminaInefficienze (la corruzione e i soldi esportati nei paradisi da lorsignori ricconi forse?!?!), produttività ferma (ma non dipende da output?!?!?), riforme (ma se siamo il paese che ne ha fatte di più?!?!)... un disco rotto... ma se poi ci mettiamo che le azioni sono salite:
a) via BCE per cui "Oggi il rialzo dei tassi di mercato ha dunque l’effetto opposto: aumenta il margine di interesse. Secondo una simulazione effettuata da Paola Sabbione, analista di Deutsche Bank, se salgono di 100 punti base i tassi su tutta la curva (cioè sulle scadenze brevi e in parallelo su quelle lunghe) alcune banche europee avrebbero benefici enormi. La spagnola Bankia aumenterebbe il margine di interesse netto del 17% circa e l’utile per azione del 30% circa. In Italia la banca più beneficiata sarebbe Intesa Sanpaolo: lo stesso istituto ha comunicato che il suo margine di interesse, in questo scenario, aumenterebbe di 1,1 miliardi.".
b) via buyback
le parole di Visco, per chi ne "sa" un pochino, suonano come una bella pigliata per il c..o...
Scontano l'effetto Weidmann: quindi festeggeranno pure il rating dei titoli pubblici prossimo venturo.
EliminaSono curioso di vedere cosa diranno, considerando che ancora non hanno visto nulla della nuova disciplina di valutazione in bilancio delle sofferenze.
"Strano" perché finora hanno mostrato di capire molto bene, e con grande lungimiranza, la disciplina €uropea...
A volte non posso trattenermi dall'esprimere tutta la mia gratitudine e ammirazione per il suo lavoro anche a rischio di sembrare adulatorio. Interessanti le considerazioni del prof. Ciccone sulla indifferenza dell'aumentato stock di debito sulla situazione patrimoniale delle future generazioni (qualora esse siano le effettive detentrici dei titoli di credito relativo). Ma la ricchezza reale di queste generazioni non é aumentata del valore relativo alle infrastrutture realizzate con il debito e da esse godute ?
RispondiEliminaIl sogno dei vari Schaueble di garantire quella fatidica crescita al 0,05 (almeno) per rendere sostenibili i parametri di Maastricht può essere garantita ,date le condizioni attuali di politica economica dettate dal Fiscal Compact, solo da un aumento consistente delle esportazioni. Mi chiedo: nell'ipotesi molto inverosimile che altre aree economiche del mondo siano disposte ad assorbire la domanda €europea, il Gollum teutonico sarebbe a sua volta disposto ad accettare moneta stampata ad libitum ? O davvero carezza il sogno di parsi ripagare con beni materiali ? Ed in ultima analisi come si può davvero parlare di stabilità anche solo monetaria.
Mi scuso per il commento molto esteso che ho dovuto suddividere in tre parti a causa dei limiti di spazio per i commenti. Vorrei articolare e supportare adeguatamente quanto affermato.
RispondiEliminaPrima parte
Apprezzo e condivido l’analisi e il messaggio di fondo del post e di quello citato del prof. Bagnai. Tuttavia, a mio parere occorre sottolineare con maggior forza che il cosiddetto debito pubblico e la sua sostenibilita’ (in termini di crescita del prodotto secondo i parametri ottimamente illustrati in goofynomics) rappresentano un potenziale problema solo per quei soggetti che si siano (masochisticamente) privati della sovranita’ monetaria e che per cio’ stesso - a mio parere - hanno cessato di essere Stati nazionali sovrani, per auto-ridursi al rango di Stati coloniali dominati.
Per uno Stato nazionale che possegga una sufficientemente forte sovranita’ monetaria lo stesso concetto di debio pubblico non ha senso di esistere. A rischio di passare per donaldiano, auritiano, o signoraggista se mai l’occhio di Bagnai dovesse cadere implacabile su queste parole, mi preme sottolineare che, sempre e solo per uno Stato sovrano:
- I titoli emessi dalle autorita’ governative non hanno la finalita’ di finanziare il fabbisogno. In altre parole il fondamento del post goofynomics “il fabbisogno e’ la variazione del debito pubblico” non e’ applicabile allo Stato dotato di sovranita’ monetaria (benche’ sia perfettamente corretto per tutti i mebri dell’Eurozona)
- I titoli emessi dalle autorita’ governative hanno due scopi principali:
Primo, fornire a cittadini ed imprese uno strumento di risparmio privo di rischio di credito e che li tuteli almeno in parte dall’inflazione (si veda in proposito questo ottimo intervento di Claudio Borghi);
Secondo, ove necessario, rimuovere dal sistema economico una parte della quantita’ di moneta che vi e’ stata immessa dalla banca centrale o dalle banche commerciali (posto che queste due categorie di soggetti creano sostanzialmente tutta la quantita’ di moneta in essere, ignorando altri piccolissimi contributi da altre fonti; si veda in proposito per esempio il testo Where Does Money Come From? o il noto report della Bank of England, Money creation in the modern economy)
Seconda parte
RispondiEliminaIn Italia per esempio, prima delle scellerate e criminali iniziative che portarono al divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia prima e all’adesione allo SME e all’Eurozona poi, il Tesoro poteva finanziare la spesa pubblica (o – come preferirei dire io – poteva ricompensare le prestazioni dei dipendenti e fornitori dello Stato) semplicemente immettendo moneta nell’economia attraverso il cosiddetto conto corrente di tesoreria. Se ne trova una disamina per esempio in due rapporti della Banca d’Italia del 2006, specialmente il capitolo 2, e del 2013 specialmente il capitolo 3. Cito alcuni passaggi:
- Sul finire del 1993 viene radicalmente innovata la disciplina del conto corrente intrattenuto dal Tesoro con la Banca per regolare i rapporti di credito e di debito nascenti dal servizio di tesoreria. Con tale provvedimento il Paese adempie agli obblighi assunti con il trattato di Maastricht che, tra l’altro, per assicurare l’indipendenza delle banche centrali nella gestione della politica monetaria, vieta loro qualsiasi forma di fi nanziamento al Tesoro.
- Il conto disponibilità del Tesoro per il servizio di tesoreria (...) non potrà presentare saldi a debito del Tesoro e tale divieto opererà tutti i giorni e non soltanto a fine mese. Qualora dalla situazione della Banca a fine giornata dovesse risultare un saldo a debito del Tesoro, dovranno essere sospesi i pagamenti.
- In vista della creazione dell’UME, al fine di assicurare l’indipendenza delle Banche Centrali dai governi nella conduzione della politica monetaria, il trattato introdusse il divieto di qualsiasi forma di finanziamento al Tesoro da parte degli stessi Istituti di emissione). Il meccanismo di finanziamento automatico sancito nel 1948 con il conto corrente di tesoreria si poneva in contrasto con tale obbligo e ciò fu all’origine dei progetti per la sua riforma strutturale.
- Il debito monetario del Tesoro verso la Banca d’Italia, accumulato come saldo passivo sul conto corrente di tesoreria (che ammontava a 76.206 miliardi di lire), fu trasformato in titoli di Stato assegnati all’Istituto di emissione, di durata variabile e cedole annuali.
Terza parte
RispondiEliminaE ancora, e’ ben noto che la BCE ha acquistato ingenti quantita’ di titoli governativi dell’eurozona (per oltre 3800 miliardi di euro). E’ altresi’ noto - come piu’ volte osservato da Claudio Borghi - che cio’ e’ avvenuto semplicemente creando euro da versare come contropartita agli operatori da cui i titoli sono stati acquistati. E, sempre citando l’ottimo Borghi, se i titoli in mano alla BCE venissero “inceneriti” non accadrebbe nulla. Ne segue logicamente che l’autorita’ dotata di sovranita’ monetaria nell’area euro potrebbe (se lo volesse) finanziare qualsiasi ammontare di fabbisogno governativo senza la minima necessita’ per i governi di emettere alcun titolo “di debito”.
E’ chiaro quindi (almeno lo e’ a me) che uno Stato dotato di autorita’ monetaria non ha il benche’ minimo bisogno di emettere titoli governativi a copertura del fabbisogno. Questo e’ attualmente vero per tutti gli Stati del mondo con un’economia di una qualche rilevanza, ad eccezione naturalmente dei membri dell’Eurozona. Pertanto, il cosiddetto debito pubblico non rappresenta un problema inter-generazionale non tanto perche’ la crescita del prodotto e’ potenzialmente in grado di garantirne il pagamento. Ma molto piu’ semplicemente perche’ lo Stato sovrano potra’ sempre creare (dal nulla) la moneta necessaria a ripagarlo. Al massimo possiamo dedicarci alla discussione degli effetti inflattivi che cio’ potrebbe eventualmente determinare.
Mi sa che lei non conosce questo blog...Diciamo solo che di questi argomenti ne abbiamo trattato 5 anni fa. E poi tante altre volte.
EliminaPeraltro, proprio perché qui si danno per scontati i vari concetti già trattati, la sua ultima affermazione si compendia nella frase di Krugman "è un debito che abbiamo con noi stessi".
Della monetizzazione del debito abbiamo abbondantemente trattato; e peraltro lo ha fatto anche Goofynomics.
Nel post (e in tanti altri), comunque, la relazione tra indebitamento dello Stato e indebitamento con l'estero (cioè i saldi settoriali, il terzo è il risparmio del settore privato) è centrale: il "vincolo esterno" esiste anche laddove si possegga il potere sovrano di emissione. Nell'eurozona si è adottata la soluzione "gold standard" che è la peggiore per la democrazia...
Tra l'altro la ridisciplina dei conti di tesoreria BC-tesoro era stata già effettuata col "divorzio": le anticipazioni erano state ristrette e andavano "saldate", fin dalla fine del 1981, con emissioni periodiche di titoli del debito entro una breve scadenza di saldo (lo conferma Bankitalia stessa: alla fine del mese, anzicché trimestralmente come in precedenza, cosa che consentiva una limitata monetizzazione intertemporale, dati i livelli di inflazione del tempo). Infatti, non solo e non tanto il deficit, quanto l'onere del debito, sale vertiginosamente da allora...
EliminaIl recepimento di Maastricht, per via della 2a legge Amato del 1993, è dunque solo una ratifica del divorzio, la cui peculiare natura era di innovare per via di lettere private tra ministro e governatore una disciplina che la legge affidava in precedenza alle determinazioni del CICCR.
La "ratifica" ebbe se non altro il relativo pregio di sanare l'inconfigurabilità giuridica della "manovra tra amici" del 1981, fornendogli una base normativa finalmente coerente col rispetto formale della gerarchia delle fonti (che poi il tutto fosse contrario agli artt.11 e 47 Cost., non fu mai nemmeno considerato).
L'innovazione, peraltro, fu ulteriormente restrittiva: si passa dal "non obbligo" di svolgere funzioni di tesoriere (corrispondenti ad ogni forma di monetizzazione, non solo quella dello stock di debito), al "divieto" in nome de L€uropa.
Per questo qui si è precisato il concetto di "banca centrale indipendente pura" (da cui la sostanziale equivalenza al gold standard).
E per questo ri-consiglio di leggere il blog...(e di commentare i post di Goofynomics in quella sede: in questo post, il brano è stato citato PROPRIO per indicare come si atteggia il problema del debito in assenza del potere di emissione; rileggersi i pp.5-7)