martedì 17 aprile 2018

LA RATIFICA: IL PARLAMENTO AL TEMPO DELLO STATO DI ECCEZIONE PERMANENTE NELL'APPROVAZIONE DI OGNI €URO-TRATTATO

l'amore ai tempi del colera
http://www.eroicafenice.com/libri/lamore-ai-tempi-del-colera-gabriel-garcia-marquez/



1. Partiamo da questo tweet che risulta certamente suggestivo. 

Il Trattato di Maastricht fu firmato, il 7 febbraio 1992, a Camere appena sciolte e da un governo Andreotti incaricato solo del disbrigo degli affari correnti.

h/t Sergio Cesaratto

— Alessandro GRECO (@Pgreco_) 15 aprile 2018

La circostanza evidenziata è vera: ma, a rigore di ordine delle rispettive competenze politico-costituzionali, da una parte dell'Esecutivo - che gestisce i negoziati internazionali, sulla base di una mera presunzione, della corrispondenza del suo operato all'indirizzo politico nazionale, insita nella concessione della fiducia parlamentare-,  e dall'altra, del Legislativo - che esprime l'effettiva volontà, democraticamente rappresentativa, di vincolarsi a qualsiasi trattato rilevante ai sensi degli artt.80 e, ancor più fondamentalmente, 11 della Costituzione - i nodi rilevanti sono altri.


1.1. Sotto il primo profilo (operato legittimo, ma sempre risolutivamente condizionato, dell'Esecutivo nella fase di negoziato), la risposta di Vladimiro è formalmente corretta (sebbene non espliciti appieno il punto qui precisato):

Ma negoziato prima, dal governo Andreotti nella pienezza delle sue funzioni (negoziò anche Carli)

— Vladimiro Giacché (@Comunardo) 15 aprile 2018

Cercheremo di evidenziare alcuni aspetti che ci paiono pregiudizialmente ben più rilevanti in tema di ratifica dei trattati relativi a organizzazioni internazionali di natura economica e, dichiaratamente, liberoscambisti (o meglio, come si esprime l'art.80 Cost., di legge di autorizzazione parlamentare a tale ratifica).


2. Come abbiamo visto più volte, il primo problema riguarda la stessa "idoneità" giuridico-costituzionale della legge di ratifica a introdurre nell'ordinamento le regole di un trattato che abbia contenuti quali quelli che contraddistinguono i trattati europei.
La questione era stata evidenziata per primo da Lelio Basso (già in relazione al trattato del 1957), che aveva compiuto la distinzione, - essenziale ai fini della legittimità della ratifica ai sensi dell'art.11 Cost.-, della introduzione di limitazioni (e giammai "cessioni") specificamente dirette alla "sovranità interna", e non a quella "esterna": le uniche legittime (a certe condizioni, peraltro), in quanto propriamente relativa alla sovranità esercitata nei rapporti tra Stati nel diritto internazionale.


3. Ma su un piano più formale, sebbene egualmente dirimente, la inidoneità della legge di ratifica ex se in relazione all'oggetto e ai contenuti dei trattati europei era stata ben illustrata dallo stesso Giuliano Amato (qui, ex multis, p.4):

"Fortunatamente, e paradossalmente, buona parte del problema ce lo ha già risolto...Amato (qui, p.6.1.):

"Cito in argomento un autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato (Costituzione europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15): 

Quando si ratificano i trattati internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che attiene al governo degli affari interni. 

Il processo di ratifica così com'è è congegnato è allora del tutto inadatto ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari interni

Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e non è una legge in senso formale.

Ma il vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg. 85-6).


4. Ma, ove non fossero sufficienti queste illustri voci, pur espressione di orientamenti costituzionali così diversi, a far comprendere il paradosso giuridico-ordinamentale del vincolo dei trattati, andiamo a esaminare le specifiche condizioni storiche in cui fu espressa la volontà legislativa parlamentare in occasione delle due più importanti ratifiche degli ultimi decenni.

Quanto passeremo in rassegna, ci dice come non sono tanto la perdurante legittimazione fiduciaria del governo-negoziatore (dunque "sottoscrittore"), e la situazione di "piena investitura" del governo proponente al momento della legge di ratifica a essere rilevanti in modo decisivo. Infatti, in conseguenza dell'irriducibile anomalia costituzionale dei contenuti dei trattati, lo sono, prima di tutto, le circostanze relative alla capacità del parlamento, e dei suoi singoli appartenenti, di manifestare una volontà aderente al quadro costituzionale entro cui ci si muove: e questo sia in termini di adeguata rappresentazione cognitiva, cioè giuridico-economica, dell'oggetto della deliberazione, sia in termini di libera formazione di tale volontà.


4.1. Questo aspetto risulta particolarmente attuale perché evidenzia un nodo irrisolto, che si conferma pienamente nella vicenda della larga approvazione del fiscal compact come norma costituzionale, si consolida (funestamente, per i risparmiatori italiani) con l'acritica adesione dell'Unione bancaria, si estende nelle vicende attuali di "pregiudiziale €uropeistica" nella formazione di un governo in esito alle ultime elezioni, e proietta la sua (gigantesca) ombra sulla stessa prospettiva di accettazione passiva delle future riforme dei trattati stessi.

In sostanza, si assiste, con ricorrente regolarità, a questo schema: il "vincolo esterno" crea una situazione di "stato di eccezione", un'emergenza continua tale da "dover" risultare, de facto, insindacabile entro i parametri fondamentali della Costituzione, e il parlamento nel suo insieme, vota in un clima in cui prevale, immancabilmente, un misto di timore (mediaticamente indotto) per incombenti disastri derivanti dalla mancata approvazione, e di distrazione del cittadino "medio", così come del parlamentare "medio", ad opera di presunte priorità determinate da accidentali vicende di politica interna (di cui si stenta a riconoscere la connessione, pur evidente "a monte", con la stessa questione del vincolo esterno).


5. Veniamo dunque alla ratifica del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, Trattato c.d. sull’Unione europea: esso fu ratificato con Legge 3 novembre 1992, n. 454 [Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 24 novembre 1992], e, peraltro, fu successivamente modificato dal Trattato di Amsterdam, fatto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, ratificato con Legge 16 giugno 1998, n. 909 [Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 1998]. Successivamente fu modificato, o meglio variamente "novato" (cioè con sostanziali avanzamenti dell'onere del vincolo esterno) dal Trattato di Lisbona, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, a sua volta ratificato con Legge 2 agosto 2008, n. 130, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 8 agosto 2008.


5.1. Al momento della votazione finale della legge di autorizzazione alla ratifica di Maastricht (29 ottobre 1992) era in carica (quindi nei suoi "pieni poteri), dal 28 giugno 1992, il governo Amato (I).

La votazione parlamentare, peraltro, si svolse in questo curioso clima politico e con queste significative modalità (oggettivamente coercitive e distrattive: ogni dettaglio di ieri può trovare una corrispondenza nell'oggi):  

"Quinto tra i paesi europei ieri l' Italia ha ratificato il trattato di Maastricht sull' Unione europea.

Il risultato finale del voto alla Camera (403 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti) è stato giudicato "incoraggiante" dal ministro degli esteri Emilio Colombo, anche se l' esito positivo era ampiamente scontato, dopo che anche la Lega si era pronunciata a favore dell' Europa. Ma molto meno incoraggiante è stato il modo di approvazione del trattato e il clima che si respirava a Montecitorio. Anche prima che la notizia bomba del ' caso De Lorenzo' facesse irruzione tra i deputati, ieri i parlamentari nei loro capannelli parlavano di tutt' altro. Chi della direzione del proprio partito, (quella Pds del giorno avanti, quella socialista che si tiene oggi, quella democristiana che avrebbe potuto essere e non è stata) chi delle nomine bancarie, chi della Rai da commissariare. La parola ' Maastricht' , era difficile da captare nell' aria, mentre è stato possibile cogliere al volo un "ma che si vota oggi?"

E se ieri il voto ha richiamato in Parlamento un numero notevole di deputati, non si può nascondere che nei giorni scorsi, durante il dibattito di merito a qualche deputato è capitato di parlare all' aula deserta

E sì che, dopo la decisione di partecipare alla guerra nel Golfo, questa è la più importante scelta di politica estera presa dall' Italia negli ultimi anni e impegnerà il futuro del paese per almeno il prossimo decennio. Alla fine lo stesso Colombo, come il pidiessino Claudio Petruccioli, sono arrivati alla conclusione che sarebbe meglio riformare la procedura che regola i dibattiti parlamentari (...!).

E ancora ieri, durante l' intervento di Colombo, il presidente della Camera Giorgio Napolitano hadovuto richiamare più volte gli onorevoli per permettere al ministro di proseguire: "Colleghi, vi prego, riducete il vostro brusio". 

Molti possono essere i motivi dell' indifferenza dei parlamentari.

Il senso di una decisione già presa altrove, i dubbi sulla effettiva praticabilità dell' Unione monetaria dopo la tempesta monetaria del mese scorso, l' europeismo sempre proclamato dai politici italiani. Ieri il ministro Colombo nel suo intervento ha voluto comunque ripetere che "il trattato di Maastricht, con tutti i suoi limiti, rappresenta comunque un considerevole passo in avanti verso il nostro ideale d' Europa". 

E ha spiegato il rifiuto del governo alla proposta di Marco Pannella, sospendere cioè l' approvazione del trattato fino al vertice di Edimburgo del 10 dicembre, con la necessità di tener fede all' impegno preso dai 12 a New York dopo il referendum francese: "Approvare Maastricht nei tempi stabiliti e senza modifiche o rinegoziazioni di sorta".

Il governo ha respinto anche tutti gli ordini del giorno che comportavano emendamenti o "riserve" sul trattato che va "approvato o respinto così com' è" come ha spiegato anche il presidente della Camera Giorgio Napolitano...".

6. Al momento della votazione del trattato di Lisbona era invece in carica il governo Berlusconi IV.

Qui c'è da notare che tale ratifica avvenne con un inusuale voto all'unanimità, sia al Senato che alla Camera!

Le due votazioni "plebiscitarie", dal punto di vista parlamentare, arrivarono nell'arco di soli 8 (otto) giorni - tra il 23 e il 31 luglio 2008 -, smentendo, come al solito, la curiosa idea che il bicameralismo perfetto sia di ostacolo alle decisioni "importanti", incidenti sulla sovranità democratico-costituzionale, e sulle riforme strutturali. Queste le principali reazioni dei grandi protagonisti dell'epoca:

L’approvazione unanime della legge di ratifica del Trattato di Lisbona rappresenta un titolo d’onore per il Parlamento italiano e un fattore di rinnovato prestigio per il ruolo europeo del nostro paese”, ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una nota.

Mi auguro che il voto italiano stimoli il completamento del processo di ratifica prima dell’avvio della consultazione elettorale per il Parlamento europeo”, ha aggiunto il capo dello Stato. 

Soddisfatto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha commentato: “E’ il contributo dell’Italia al rilancio dell’Europa che sta attraversando una fase di difficoltà. L’auspicio è che il voto di oggi possa servire anche agli altri Paesi che ancora devono completare l’iter parlamentare”.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha auspicato, parlando a margine di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, che “il trattato entri in vigore prima delle elezioni europee del prossimo anno”.

Per il ministro la ratifica del trattato è “un importante segnale di coesione nazionale” e, ha scritto in una nota, “rafforza il ruolo propulsivo e propositivo del paese per un’Europa dotata di istituzioni capaci di decidere e di attuare politiche necessarie ed urgenti all’altezza delle inquietudini e delle concrete aspettative dei cittadini”. 

7. Va anche detto che la scena politica, a partire da giugno 2008, era tutta presa dal decreto "blocca processi" e dall'infuriare delle polemiche contro i "magistrati di sinistra", mediatiche e politiche, condite da un'insolita lettera del presidente del Consiglio al presidente del Senato, che si protrassero per tutta l'estate e anche dopo.

Si giunse, nel corso di luglio, al lodo Alfano che, mettendo da parte gli emendamenti "blocca processi", prevedeva l'immunità per le quattro più alte cariche dello Stato e la sospensione dei processi a loro carico durante la permanenza nella carica.

La relativa legge fu promulgata dall'allora Capo dello Stato, con grande profluvio di esegesi di precedenti sentenze della Corte costituzionale, proprio il 22 luglio 2008, cioè il giorno prima della votazione di ratifica del trattato di Lisbona: e si può immaginare con quanta attenzione non dico critica, ma almeno consapevole del contenuto, da parte di parlamentari, media e "accademico-culturale" ("cento costituzionalisti" avevano firmato un mega-appello contro il lodo Alfano, ma nessuna equivalente pubblica problematica fu posta per il trattato).

19 commenti:

  1. "LORO "hanno imparato dai prestigiatori :distrarre il pubblico per concludere il "gioco"

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  2. Piccola nota storica.
    Colombo era Ministero del Tesoro durante la crisi di bilancia dei pagamenti del 1964.
    Crisi, imputata dagli americani, al surplus tedesco.
    Colombo fece pressioni su Moro affinché si facesse austerità e si abbandonassero i progetti di riforme (lo Statuto dei lavoratori, correggetemi se sbaglio), dopo aver ricevuto a sua volta pressioni da Marjolin (allora Commissario Europeo per gli affari Economici e Monetari), per via della situazione della BdP italiana.
    La CEE faceva pressioni affinché si riducesse l'inflazione (orrore) anche a costo di tagliare gli investimenti pubblici e produrre disoccupazione (il sentimento fraterno europeo si sentiva già da allora), in barba anche a degli studi prodotti dalla CEE stessa che dicevano che la situazione stava comunque migliorando.
    Qui la storia per intero:
    http://www.sissco.it/download/attivita/paper_Cavalieri.pdf
    Da questo testo di desume che:
    A) il mito delle origini "buone" dell'Europa ancora una volta è falso (se ci fosse bisogno di ulteriori conferme);
    B) già allora avevano la fissazione per la stabilità dei prezzi, anche a costo della disoccupazione;

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    1. http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/la-democrazia-sovrana-la-condizionalita_7.html

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    2. Grazie, questo post mi era sfuggito.

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    3. Come detto altrove, avendo tempo si dovrebbe riscrivere da cima a fondo la storia del centrosinistra: sono convinto che uno studio serio- impostato con gli strumenti di analisi offerti da questo formidabile blog- mostrebbe dei processi di lunga durata (per citare Braudel) comuni a tutta la dinamica europea, dal 1957 ad oggi.

      Il 1964 è ad esempio un anno decisivo: dopo le elezioni del 1963 e la prima, seria riforma di struttura (ENEL)- nonostante le regalie imposte da Carli al grande capitale espopriato- si blocca l'intera azione del governo Moro a causa dell'azione congiunta di BI, capitalismo nostrano (fuga in svizzera e panico imposto in borsa) e bilancia dei pagamenti.

      Quell'anno doveva concretizzarsi la riforma Sullo sull'edilizia (che avrebbe in pratica promosso un'immensa statizzazione dei terreni edificabili), la programmazione economica e la riforma del diritto azionario. Strano allora che nel luglio tintinnino le sciabole?

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  3. Ricordo che l'attenzione in quel periodo fu concentrata su questo:
    https://it.wikipedia.org/wiki/Bombe_del_1992-1993
    e su questo:
    https://it.wikipedia.org/wiki/Mani_pulite

    La ratifica del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, Trattato c.d. sull’Unione europea, fu seguita appena dieci giorni dopo dall'inizio di 'mani pulite'.

    Considerando che storicamente la mafia è stata sempre contigua ai servizi USA e le conseguenze politiche di 'mani pulite' è difficile non sospettare che tutto fosse parte di un piano più ampio.

    Anche se i pupi ancora oggi non hanno o fingono di non avere capito...

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    1. Attenzione: il 7 febbraio si ebbe la (mera) "sottoscrizione", la cui rilevanza è illustratata nel post: essa segna il perfezionamento del testo ma non la sua impegnatività per gli ordinamenti statali interessati (che appunto subentra con la successiva ratifica; cioè tendenzialmente una legge parlamentare, talora anticipatta da un referendum. Per es; l'Irlanda, con tale referendum, in un primo tempo, respinse il testo di Maastricht "sottoscritto").

      Ciò detto, il clima in questione fu senz'altro rilevante: a onor del vero, Federico Dezzani ne ha fatto un'interessante e ben dettagliata ricostruzione in una serie di post:
      1) http://federicodezzani.altervista.org/alle-radici-dellinfamante-seconda-repubblica-il-biennio1992-1993-parte-i/
      2) http://federicodezzani.altervista.org/alle-radici-dellinfamante-seconda-repubblica-il-biennio-1992-1993-parte-ii/
      3) http://federicodezzani.altervista.org/laltra-meta-di-tangentopoli-umberto-bossi-gianfranco-miglio-ed-i-progetti-secessionistici/

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    2. 10 giorni dopo veniva arrestato Mario Chiesa, un mese dopo veniva assassinato Salvo Lima. Segnali interessanti, in quel 1992 fatale.

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    3. Nell'intervista a Byoblu su Moro, Gero Grassi dice che Moro e Kennedy furono gli unici due capi di Governo che fecero emettere moneta dal Tesoro anzichè dalla banca centrale; questo fatto mi ha colpito molto, voi avete qualche informazione in merito?

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    4. Dai che ne abbiamo parlato più volte (però occorre rammentare cosa furono a) la monetizzazione e b) anche l'emissione del biglietti di Stato da 500 lire)

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    5. Curioso che Banca d'Italia si sia rifiutata di rispondere a precisa richiesta di una Commissione Parlamentare d'inchiesta...

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  4. Ancora qualche notizia sulla ratifica di Maastricht: “Agnelli, who was also one of the few Senators for life in the upper chamber, was well aware of the domestic Maastricht debate in France and the AMUE’s activities there. On 4 August 1991 [sic. Ovviamente 1992] he published an article in the newspaper Il Sole/24 Ore under the title: ‘Now Italy must quickly ratify Maastricht’. He argued that the Italian Parliament should help to overcome the political uncertainty after the Danish No and give a positive signal for the French referendum. Despite the summer holidays, this initiative led to a close co-ordination between the President of the Republic, Oscar Luigi Scalfaro, Prime Minister Guiliano Amato, the Presidents of the Senate Giovanni Spadolini, and the lower chamber Giorgio Napoletano [sic], and the different parliamentary party leaders. Amato asked the Senate to approve on 20 September, the day of the French referendum, not only the Maastricht Treaty, but also health and insurance system reforms, and budget consolidation measures. The purpose was to send a message to the rest of Europe, especially to French voters that Italy was serious about moving to EMU. Amato had already articulated this concern when he met the French Prime Minister Pierre Bérégovoy on 30 August 1992.” (S. Collignon, D. Schwarzer, Private Sector Involvement in the Euro, Routledge, London-N.Y., pag. 2003, pag. 109).

    In effetti, nonostante il pessimismo di Hegel, in questo caso la storia qualcosa potrebbe pure insegnarla…

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    1. Sì, appunto: che all'azione della "oligarchia cosmopolita", corrisponde la sostanziale istituzionalizzazione del potere decisionale del grande capitale finanziarizzato, in contrapposizione allo Stato costituzionale e ai suoi processi decisionali ordinari.
      Con la ben prevedibile accentuazione dello svuotamento delle prerogative parlamentari e, quindi, di inevitabile riflesso, del processo elettorale.

      E fermo restando che, a monte, l'oligarchia si presceglie accuratamente i suoi "mandatari" esecutivi di livello politico, in posizioni "chiave", attraverso un'accurata selezione: e questa, a sua volta, svuota preventivamente il processo elettorale e il parlamento, proprio attraverso un sistema verticistico di controllo, guidato, del suo operato (che diviene quello di mero "ratificatore", in senso civilistico, di scelte compiute aliunde).

      In pratica, tutto ciò che conta è la spinta a formare un'agenda, e piazzare l'esecutore affidabile che la tramuti in "ordine del giorno" dei lavori parlamentari.
      Il resto viene da sé...

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    2. Paradossalmente, il vero disgusto e ciò che ripugna la coscienza morale, non sono i nomi di politici e tecnici che come degli automi alienati si sono prestati a far funzionare un progetto mostruoso: è il dover leggere i cognomi di famiglie di dinastie di industriali e banchieri che da secoli fanno cartello per creare questo schifo di mondo per nessun'altra ragione che i loro porci comodi.

      (I loro porci comodi li possono chiamare Gaia, Riscaldamento Globale o mollezza del vivere, ma sempre porci comodi sono)

      D'altronde, cosa è più lapalissiano della costruzione europea della correttezza del paradigma marxiano?

      Il mettere "il carro davanti ai buoi" con la moneta unica, non è altro che la coscienza politica dei banchieri che son ben coscienti del fatto che la moneta è la madre di tutte le contraddizioni, essendo il fondamento della struttura sociale stessa: tutto il resto è sovrastruttura.

      Vinta la lotta sulla contraddizione principale, tutto viene elevato come sovrastruttura conseguente.

      Se vincono i ceti oppressi ne conseguono lo sviluppo della democrazia e la pace tra i popoli sovrani.

      Se vincono i liberi alienati (aka sociopatici a piede libero, aka i banchieri), le riforme sociostrutturali saranno regressive.

      Saltate le costituzioni democratiche, le sovrastrutture giuridiche, le "leggi", si dimostrano per quello che non possono non essere in un ordinamento non democratico: impedire alla maggioranza di fare quello che ha fatto in precedenza la minoranza privilegiata affinché potesse diventare una minoranza privilegiata.

      In pratica la storia dei 10 Comandamenti da Mosè ai giorni nostri.

      (Se sento qualcuno a parlare di generica "morale", fosse un san Francesco a caso, metto mano alla fondina)


      (Se non fosse per una vecchia suora indiana a cui disperato mi rivolgo per far trovare lavoro ai miei amici disoccupati cronici - appena inizia a fare i suoi riti questi vengono praticamente "bombardati" di offerte di lavoro - smetterei di prestare i miei servizi professionali a enti benefici. Certo, ho pensato pure di far diventare la suora marxista, cosicché si metta a pregare direttamente per ottenere politiche di piena occupazione: una cappella al ministero dell'economia, e il problema sarebbe risolto, con buona pace del "terzo settore"... D'altronde, si sa, anche Gesù era keynesiano mentre Pietro, dopo il terzo canto del gallo, abbracciò la fede liberista)

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    3. Questo è uno storytelling degno di essere raccontato :-)
      Astratto ma ben vicino allo Spirito dell'Uomo...

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  5. Leggo questo blog dalla sua nascita (ma ho commentato una sola volta) e sono quindi un suo occulto fan (se mi passa il termine). Diciamolo, le invidio cordialmente la sua cultura. Che vuol farci, io sono un tecnico-gestionale e, per quanto legga moltissimo dopo essere andato in pensione, le basi proprio non ce le ho. Muoio dalla curiosità di sapere se l'ultima parte del suo commento, virgolettata, è farina del suo sacco oppure è una citazione. L'ultima affermazione poi, San Pietro che dopo il terzo canto del gallo diventa liberista, proprio non ce la faccio a capirla, anche se mi affascina e coinvolge moltissimo, senza saperne il perché. Potenza del linguaggio. Posso chiederle al riguardo un altro paio di righe?

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    1. Credo sia una domanda rivolta a me... ecco, in realtà è solo un corsivo tra parentesi, non un «virgolettato», quindi in linea di principio non è una citazione; è fra parentesi, vuole essere un inciso, e, in questo caso, essendo posto alla fine, è una specie di p.s., di post scriptum come si fa nelle lettere.

      Quindi non è direttamente correlata alla riflessione e alle "emozioni" espresse nell'intervento, lo è - diciamo così - in modo "indiretto".

      È quindi "farina del mio sacco", ovvero una piccola allegoria che prende spunto da un aneddoto reale, esistenziale: ho posto in essere una "contraddizione".

      Il fatto raccontato è una generalizzazione di un episodio vero, apparentemente "contraddittorio" rispetto a ciò che ci si aspetterebbe in un contesto - comunque - di più o meno spassionata e lucida analisi politica, per quanto esposta con un po' di "sentimento creativo" e con tagli vicini all'invettiva.

      Il tema sottinteso è la contraddizione implicita nella struttura materiale della Chiesa, della sua millenaria missione materiale "sussidiaria" amata e ambita dagli oppressori - il cosiddetto «terzo settore» - che si contrappone con quell'etica solidaristica in senso universale come quella gesuana, quella evangelica, la cui sostanzializzazione può avvenire tramite il concetto di "solidarietà" inteso come da dettato costituzionale. Quel concetto di solidarietà legato alle fondamenta della democrazia tramite lo Stato sociale.

      Quello Stato sociale in conflitto con gli affari del "terzo settore" e smantellato programmaticamente dai trattati liberoscambisti, dall'UE, da Maastricht.

      Pietro, nel momento topico del Vangelo in cui l'impeccabilità morale sconfigge la morte dell'umanità, tradisce - per tre volte prima che il gallo canti - il mandato del "figlio dell'Uomo".

      E Pietro è colui su cui si fonda la Chiesa, ovvero l'istituzione che dovrebbe aiutare l'umanità a sconfiggere la Morte.

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    2. Se l'etica sociale evangelica dovrebbe, stando alla più alta coscienza morale dell'uomo, realizzarsi tramite il "socialismo keynesiano", mentre la Chiesa rimane imperterrita, per motivi strutturali, a fornire la stampella oppiacea all'oppressione e all'alienazione umana tramite la liberale "sussidiarietà" (oggi il "terzo settore"), allora il rinnegare Gesù da parte di Pietro - ovvero della Chiesa - trova la sua fondazione materiale con la metafora per cui, se Gesù è stato un "rivoluzionario keynesiano", allora Pietro era "liberista".

      Questa metafora dovrebbe portare a ricordare, da una parte, che dietro ad ogni paradigma economico e sociale ci sta dietro un'etica sociale, una Weltanschauung, una visione del mondo che ha come premesse una coscienza morale; dall'altra parte, riallacciandoci alle premesse aneddotiche, si ricorda che il "trascendente", il "mistico", e tutto ciò che può essere considerata una realtà non ordinaria secondo un comune consenso, ha le sue ragioni di esistere. Per quanto umanamente inconcepibile, qualsiasi sceticismo assoluto è intrinsecamente assurdo. La coscienza stessa è senso e la vita dovrebbe essere la ricerca di senso; ma senza conoscenza, scienza, e cosciente consapevolezza impedita da quagli ostacoli e da quelle debolezze materiali condannati da Gesù stesso, lo Spirito dell'Uomo si aliena. La Chiesa è stata quindi per millenni fonte di materiale e spirituale alienazione.

      Questa riflessione vorrebbe novare la speranza in coloro che hanno fede religiosa, ma allo stesso tempo porre in dubbio ogni professione di fede: la "filosofia", nel suo stretto senso di ricerca di conoscenza e percorso sapienziale - lontani da qualsiasi forma di assolutistico razionalismo relativista e nichilista - dovrebbe prendere il posto di qualsiasi dottrina dogmatica a priori e mediata da chi è in patente conflitto di interessi.

      E il messaggio sintetico dovrebbe essere quello per cui il passaggio dalla fede, dal credo, ad una coscienza critica, non in frange il fatto che « si deve credere ».


      (È più facile scrivere delle "poesie" che farne la parafrasi...)

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  6. Che dire?
    Anche all’epoca dell’adesione allo SME, in nome della irrinunciabile lotta all’inflazione, si optò per la solidarietà di una “maggioranza di emergenza”. In nome degli impegni internazionali e della credibilità. C’era anche il terrorismo che teneva banco nelle vicende interne.

    Allora, come oggi, le istituzioni internazionali puntualmente facevano pressioni.

    Ed anche se non si tratta di ratifica di trattati internazionali (ma non per questo meno grave, anzi), rammenterei altresì il clima di allarme derivante dal check-up del FMI che, nel marzo 1981, stilava una diagnosi preoccupante dell’Italia, “molto più allarmata che in passato”. E tra la "notizia bomba" relativa alla scoperta della Loggia Massonica P2, il ferimento di Papa Wojtyla, il referendum sull’aborto ed il solito terrorismo, nel luglio dello stesso anno si consumava il divorzio Tesoro-Banca Italia (lo scrivente sarebbe venuto a conoscenza del misfatto solo qualche decina di anni dopo. Su questi schermi).

    Per tornare al tema del post, il Parlamento “non è più l'organo supremo del potere politico, ma si deve far finta che lo sia perché possa continuare a parlarsi di un potere democratico. IL POTERE EFFETTIVO, CHE TENDE A DIVENTARE SEMPRE PIÙ OLIGARCHICO, SI SERVE ORA DI CANALI EXTRA-ISTITUZIONALI per aggirare il Parlamento e PRENDERE LE SUE DECISIONI AL DI FUORI DI ESSO, soprattutto al di fuori del controllo di quella opposizione che rappresenta interessi antagonistici. Questo non significa che il parlamento non conta assolutamente più nulla; è sempre strumento d'intervento ed è una sede di lotta in cui bisogna essere presenti, ma bisogna riconoscere che il sistema opera per svuotarlo anche delle possibilità che gli sono rimaste

    Con il pretesto di rispettare antiche e venerande tradizioni, si lascia sussistere il parlamento press'a poco come era un secolo fa, e in tal guisa lo si riduce sempre più al ruolo di paravento dall'apparenza democratica, di vernice democratica che viene data su una società la quale tende, viceversa, AD ESSERE SEMPRE PIÙ OLIGARCHICA E SEMPRE MENO DEMOCRATICA
    ” [L. BASSO, Potere e Parlamento, in Potere e istituzioni oggi, Torino, 1972, 1-27].

    … La tendenza a trasformare il parlamento in una pura facciata, dietro la quale si consolida un vero e proprio regime oligarchico, è, in forme diverse, in rapido progresso. Un'analisi dei meccanismi in atto nei vari paesi sarebbe di estremo interesse, oltre che d'importanza pratica per una battaglia democratica. Per ora possiamo solo prendere atto di una cosa: la democrazia occidentale ha cessato di essere un modello” [L. BASSO, Il Parlamento come pura facciata?, in Il Messaggero, 12 luglio 1977].

    Non c'è più bisogno nemmeno di distrarre il pubblico; sono denari che €SSI potrebbero risparmiare.

    (Con questi presupposti ben noti, anche il mago Otelma indovinerebbe l’esito delle consultazioni. O forse no? )

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