«La vittoria a
sorpresa di R.Brinkhaus [a capogruppo alla Camera] deve mostrare ad Angela
Merkel che la [sua] fine è vicina»
1. Il risveglio dell’ovvio nelle coscienze
di chi è pagato per non aver coscienza.
Da Berlino a New York sembra
che l’ovvio – se non proprio il banale – si faccia breccia nella
consapevolezza degli intellettuali delle nazioni dominanti.
Questo articolo su
politico.eu
di Konstantin Richter si profila come un interessante punto di vista
sulla dinamica economico-politica della Germania.
Il nostro rileva come la percezione
dell’opinione pubblica sulla politica economica e sulle relative performance
della Germania sia assolutamente fuorviata dalla propaganda tedesca.
Richter mette in luce come l’ideologia
propria del capitalismo tedesco sia diversa da quella del mondo anglosassone,
segnatamente da quella statunitense: «la nostra economia è condotta dall’ansia»
a differenza di quella statunitense il cui «successo economico» è «basato
sulla mera avidità o sull’ambizione epica o sul desiderio, come da Silicon
Valley, di creare la prossima grande innovazione».
I media tedeschi sono focalizzati su altri
problemi sociali, come quelli creati dall’immigrazione di massa, oppure su
lontani problemi di cronaca internazionale, sorvolando sui segnali che arrivano
dalla sfera economica nazionale; e vengono ricordati:
1 – lo scandalo degli accordi di
cartello volti alla falsificazione delle quantità di emissioni emesse dai
motori delle maggiori case automobilistiche tedesche;
2 – le condizioni disastrose in cui versa Deutsche Bank che «è
l’istituzione che ha gestito praticamente la grande impresa tedesca
controllando grosse quote delle società più importanti». Commerzbank
non è messa meglio.
3 – Tyssenkrupp è sotto attacco
dagli investitori;
4 – Bayer si è esposta con
l’acquisizione ad alto rischio di Monsanto;
5 – il settore automobilistico non ha
investito in innovazione.
Quando all’inizio del terzo millennio la
Germania veniva chiamata dalla stampa estera «il malato d’Europa», il
catastrofismo propagandato agevolò le riforme del mercato del lavoro e dello
Stato sociale di Gerard Schröder, con la relativa compressione delle dinamiche
salariali volta alla “svalutazione competitiva”.
Il nuovo modello tedesco di economia di
mercato – che noi per inciso sappiamo essere il classico vecchio modello
mercantilistico teutonico – ha rassicurato con le sue performance l’opinione
pubblica.
Richter fa notare che questo stato di
euforia nasconde l’insidioso lato nascosto del modello di sviluppo tedesco:
nessuno parla più del problema demografico, della mancanza di personale
qualificato – strettamente legati al modello mercantilista – o del declino di Deutsche Bank.
Soprattutto Richter osserva come il
gigante tedesco abbia i piedi d’argilla: come è stato ottenuto l’incredibile
surplus tedesco se il vantaggio competitivo su cui sono basate le esportazioni
non è stato ottenuto tramite gli investimenti?
Non solo con la svalutazione del
lavoro ottenuta da Schröder.
La rivelazione di una dura presa di
coscienza è così espressa: «il successo degli esportatori tedeschi è ancora basato sulla
superiorità dei loro prodotti? O è solo la droga anestetizzante dell’euro debole?»
La risposta a questa domanda la
conosciamo: l’euro è spaventosamente sottovalutato per il mercato tedesco,
regalando un vantaggio competitivo alla Germania che risulta essere
destabilizzante per l’intera economia mondiale.
Ma i risvegli sui temi che la frontiera
intellettuale italiana ha da tempo acquisito e divulgato, non si fermano al
tragico karma alemanno: il nobel Krugman ci porta in altre vette
dell’ovvio che, fuori da questi spazi, non è così banale: la dialettica tra
microeconomia e macroeconomia che – dopo decenni di neoliberalismo –
siamo abituati a non percepirla più, considerato che le due discipline risultano
confusamente sovrapposte, non permettendo di distinguerne i diversi ambiti; ciò
sappiamo essere naturale in quanto caposaldo del pensiero liberale è il
cosiddetto individualismo metodologico che, nelle scienze economiche, si
manifesta nello sviluppare modelli microfondati sul comportamento
individuale al posto di ragionare per aggregati.
D’altronde, come amava dire la Thatcher
– pasdaran del liberismo antioperaio e discepola di Hayek – «non
esiste la società: esistono soltanto gli individui».
2. Risvegli: «La macroeconomia è meglio di
ciò che pensate, la microeconomia è peggio, ed i dati sono limitati»
Krugman fa notare l’assoluto fallimento
della comunità scientifica degli economisti nel dare supporto alla politica al
fine di evitare, gestire, ed uscire dalla crisi che, da più di dieci anni, sta
dilaniando la vita di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.
Il massimo che gli economisti riescono a
produrre come autocritica è chiedersi se «non sarebbe necessario dare un
maggiore ruolo ai mercati finanziari nei loro modelli».
Pochi, però, «hanno
fatto ciò che avrebbero dovuto», ossia, «mettere in discussione
interamente la direzione che ha preso la macroeconomia in questi ultimi
quarant’anni».
L’economista americano ci informa che
generalmente tra economisti la vulgata è – sulla falsa riga del meno-stato-più-riforme,
più-disastro-economico, meno-stato-più-riforme, più-disastro-economico,
ecc., in un circolo vizioso e viziato dagli interessi immediati delle classi
egemoni – che il fallimento delle ricette economiche sia stato dovuto a troppa-macroeconomia-troppo-poca-microeconomia.
Per cui il circolo vizioso e viziato di meno-stato-più-riforme,
con tutti i vari corollari microfondativi della microeconomia applicati
alla crisi, ha trovato pure la leva del circolo vizioso (e viziato) di troppa-macroeconomia-troppo-poca-microeconomia,
ricette-inutili-quando-va-bene-e-catastrofiche-quando-va-male, e via,
viziosamente, nelle bolge infernali della stagnazione quando va bene, della
recessione e della depressione quando va male.
Paul Krugman ci dice che «l’esaltazione
della micro come l’unica “vera” teoria economica dà alla microeconomia troppo
credito e ciò è di gran lunga la causa dei
modi in cui la scienza economica ha fallito».
L’imbarazzante conclusione di queste
dinamiche, ci informa il premio Nobel, è stata che influencer, tanto
all’esterno quanto all’interno della professione economica, hanno deciso che la
scienza economica è un «nonsense» – insomma, non è proprio una scienza –
e, quindi, sarebbe stato molto meglio affidarsi a «coloro che erano immersi
nel mondo reale, ovvero ai grandi capitani d’impresa»; da cui l’epopea
mediatica accompagnata dalla maestosa immagine: “lo ideale dell’omo
virile” schumpeterianamente emerso dalla selva di cadaveri lasciati dal darwinismo
mercatista: in breve, l’epopea degli espertologi.
Oppure – osserva l’illustre economista –
di converso e per amor di positivismo, ci si è «concentrati sui
risultati empirici e si è tralasciato i modelli».
Secondo Krugman gli aitanti
espertologi del mondo dell’imprenditoria (e delle grandi organizzazioni
sovranazionali, aggiungiamo noi) sono stati, «nell’ultimo decennio, più
dannosi che inutili, mentre le vocine nell'aria udite dagli squilibrati (sic)
con potere decisionale hanno, come al solito, dato un pessimo consiglio».
Parole di Paul.
Mentre – guarda un po’ – se «l’evidenza
empirica è importante e ce n’è sempre più bisogno, i dati non parlano pressoché
mai per se stessi; punto che è stato ampiamente dimostrato dai recenti eventi
di politica monetaria».
Insomma, di fronte all’evidenza del
disastro economico-sociale che ci circonda, dove una banda di «squilibrati»
– quattro noci in un sacco (avrebbe Togliatti in Costituente a proposito
dei liberali) – ha dirottato e preso in ostaggio gran parte dei Paesi a
democratizzazione avanzata, pare che qualche Nobel abbia iniziato timidamente a
far dell’epistemologia delle scienze sociali.
Krugman porta l’esempio dei due fisici Julian
Schwinger and Richard Feynman: Schwinger riuscì per primo a
venire a capo dell’elettrodinamica quantistica, ma i suoi metodi erano
incredibilmente complicati.
Feynman ci arrivò egualmente ma con un
approccio molto più semplice – i suoi famosi diagrammi – che davano il
medesimo risultato ma erano molto più semplici da usare.
Nessuno vide mai Schwinger usare
questi diagrammi, ma si mormora che avesse una stanza chiusa a chiave in cui
teneva i diagrammi di Feynman che usava in segreto.
Ecco, la macroeconomia moderna ricalca
questo aneddoto: immaginate però che Schwinger
controlli tutte le riviste e sia in una posizione per cui può prevenire che
nessuno possa pubblicare con il metodo più semplice.
Cos’è l’equivalente dei diagrammi di Feynman?
Ciò che tutti gli studenti del primo anno
dei corsi di economia politica studiano sotto il nome di “modello IS-LM”.
Bene: tutti gli economisti che lavorano in
istituzioni che si occupano di macroeconomia ragionano, pensano, e discutono
tra loro in funzione del modello IS-LM; ma, quando hanno bisogno di
pubblicare sulle riviste, vengono costretti a «microfondare» il loro
modello.
E un esempio lo facciamo noi: è come se si
volesse dimostrare il principio di Archimede non considerando il volume
complessivo dell’acqua spostata dopo averci immerso un solido, ma cercando di
capire la reazione fisica dell’acqua studiando il comportamento di ogni singola
molecola.
Ecco, la formula di galleggiamento, invece
di risultare una semplice equazione con un paio di rapporti, si presenterebbe
come un’orgia di equazioni differenziali… non risolte.
E diciamo noi, non risolte perché
alla classe egemone non interessa che sia risolto alcunché. Perché la classe
egemone ha scommesso sull’affondamento del Titanic (alias, “mercato globale”)
e, se la nave non galleggia, i profitti e la sua influenza politica
aumentano.
Il delirio matematico permette di
dimostrare tutto ciò che fa comodo a chi può finanziare il delirio matematico
stesso.
Immaginatevi, quindi, quale potrà essere
la deontologia media dell’economista che ce la fa. Che ha un nome
prestigioso...
Ora, le analisi basate sul modello IS-LM
non danno grandi informazioni in tempi normali, ma forniscono precise
previsioni – spesso
previsioni molto preziose per le priorità delle persone – durante i
tempi di grave crisi.
Ad esempio, se c’è un grande shock avverso
della domanda, come quello che è avvenuto nel 2007/2008 quando è scoppiata la
bolla dei mutui subprime, si manifesta un cambiamento di regime per cui
né la politica monetaria né la politica fiscale hanno i medesimi effetti come
in tempi normali.
Ad esempio, la macroeconomia keynesiana
afferma che una volta che i tassi di interesse sono vicini allo zero, le
politiche monetarie servono a poco o nulla.
Insomma, il famoso quantitative easing
delle banche centrali non servirà a produrre inflazione.
Se per esempio si va a spiare (nella
stanza chiusa a chiave di cui si diceva più sopra) i modelli di Tobin
sul sistema bancario, scopriremmo che grandi aumenti della base monetaria non
serviranno nemmeno molto a mettere in circolo moneta.
Ciononostante alcuni economisti sono
impazziti nel cercare di spiegare come mai Bernanke alla Fed
abbia aumentato di cinque volte la base monetaria e – nonostante gli
ammonimenti sul deprezzamento del dollaro e l’allarmismo sull’inflazione – iprezzi siano rimasti al palo.
Eppure, commenta Krugman, «questo
è esattamente ciò che ci si sarebbe dovuti aspettare».
...
E sulla politica fiscale?
La macro tradizionale afferma che – quando
i tassi di interesse scendono intorno allo zero – non si sarebbe dovuto
verificare alcuno spiazzamento, che i deficit non avrebbero dovuto far salire i
tassi d’interesse, e che i moltiplicatori fiscali sarebbero stati più grandi
che in condizioni normali.
Ovviamente le cose sono andate come
dovevano andare secondo la macro keynesiana: non ci sono altri modelli
in grado di stupire per accuratezza previsionale e “controintuitività” – eppure
– non-economisti (ma anche economisti) si rifiutano di crederci.
La microeconomia non è servita a nulla, se
non a ricordare che la macroeconomia keynesiana funziona.
Ciononostante, «la teoria
microeconomica, fondata nella rigorosa
derivazione del comportamento individuale dalla massimizzazione dell’utilità, è
stata presa come il gold-standard».
La macroeconomia keynesiana, a parte
generiche proposizioni di profilo psicologistico come quelle relative alla propensione
marginale al consumo, si occupa di aggregati senza esplicitamente
descrivere cosa gli individui facciano: questa prassi è sempre stata
considerata dubbia e rozza.
Però, cari liberisti-microfondatori, dice Krugman,
«il-mondo-non-funziona-nel-modo-in-cui-pensate».
Tutte le previsioni basate sulla
macroeconomia microfondata, del tipo: “solo i flussi monetari
inaspettati dovrebbero influenzare la produzione reale”, “le temporanee
variazioni del reddito non dovrebbero influenzare i consumi”, “la spesa pubblica
dovrebbe spiazzare la domanda privata”, ecc. si sono rivelate sbagliate.
Un modo per capire che le teorie ed i
modelli usati sono errati, è il dato empirico, ovvero il muro della
realtà contro cui si va a sbattere! (Sulla pelle dei lavoratori, ovviamente).
Un altro argomento che tocca Krugman
è il principio di autorità: «Io sono un famoso professore, quindi
devi credere in ciò che dico». Commenta: «Così non finisce mai bene».
L’atteggiamento fallace opposto, invece, è
quello per cui «gli economisti non sanno niente», e, aggiungiamo noi,
chiunque può dire la qualunque, in un’orgia di espertologia che va dagli studi
televisivi al bar sotto casa.
«Gli economisti non si sono
guadagnati il diritto di essere altezzosi e superiori, soprattutto se la loro
reputazione deriva dall’abilità di fare matematica complessa: la matematica complessa è stata
particolarmente di poco aiuto ultimamente, se mai lo è stata»
Bè, caro Krugman: forse non sono
semplicemente degli squinternati coloro che si affidano ai multimiliardari per
le ricette di politica economica.
Forse è il pensiero economico dominante
che, come direbbe Marx, è sovrastrutturato al potere economico
dei multimiliardari.
Forse… nel frattempo tutti gli altri
economisti e commentatori continuino a dormire.
“la teoria microeconomica, fondata nella rigorosa derivazione del comportamento individuale dalla massimizzazione dell’utilità, è stata presa come il gold-standard”
RispondiEliminaÈ interessante notare che questa “rigorosa derivazione” è in realtà una bella quanto falsa favoletta. Il teorema di Sonnenschein-Debrau è solo un esempio della fallacia, completamente trascurata (in modo molto disonesto), della “microfondazione”. In soldoni, i neoclassici son proprio dei cialtroni che non leggono nemmeno i loro paper. Per approfondimento consiglio S.Keen Debunking Economics o anche S.Cesaratto 6 lezioni di economia.
Mi hai fatto venire in mente una famosa battuta di Joan Robinson: "I never learned math, so I had to think.". :-)
RispondiEliminaEheh proprio vero. C’è però anche chi, avendo imparato un po’ di matematica, ne nasconde i risultati se non sono in accordo con l’ideologia di partenza. Sul Keen ci sono citazioni sorprendenti a riguardo :)
RispondiEliminaHa citazioni da condividere?
EliminaDi Keen e del suo libro abbiamo parlato, diverse volte.
EliminaIn effetti è un gran bel libro, salvo il capitolo su Marx, totalmente appiattito sull'interpretazione neoricardiana, che è sbagliata. D'altra parte Cesaratto incorre nello stesso errore.
- Mark Thoma, che Keen cita come esempio di chi non era a conoscenza di paper riguardanti i fondamenti della macroeconomia:
Elimina"One thing I learned from it is that I need to read the old papers by Sonnenschein
(1972), Mantel (1974), and Debreu (1974) since these papers appear to undermine representative agent models.
According to this work, you cannot learn anything about the uniqueness of an equilibrium, whether an equilibrium
is stable, or how agents arrive at equilibrium by looking at individual behavior (more precisely, there
is no simple relationship between individual behavior and the properties of aggregated variables – someone
added the axiom of revealed preference doesn’t even survive aggregating two heterogeneous agents)."
- Samuelson and Nordhaus 2010 ( ben dopo i paper in cui viene dimostrato proprio l'opposto!)
"The market demand curve is found by adding together the quantities
demanded by all individuals at each price. Does the market demand curve
obey the law of downward-sloping demand? It certainly does"
A questa affermazione di Samuelson, Keen replica direttamente con le parole di Sonnenschein di 30 anni prima che appaiono in Handbook of Mathematical Economics (Shafer and Sonnenschein 1982: 671).:
"market
demand functions need not satisfy in any way the classical restrictions which
characterize consumer demand functions […] The utility hypothesis tells us
nothing about market demand unless it is augmented by additional requirements"
ma la mia preferita è quella di Friedman (F-Twist), che in maniera incredibilmente ridicola dal punto di vista del metodo scientifico (io, da fisico, ne sono rimasto inorridito) confonde "unrealistic assumptions" con "negligible assumptions":
"the more significant the theory, the more unrealistic the assumptions"
Il Capitale come rapporto sociale.
EliminaIn pratica, anche se esistono già numerosi articoli scientifici che demoliscono dalle fondamenta l'approccio neoclassico all'economia politica - che di fatto la nega microfondandola - nessuno li legge. E se qualcuno li legge (interessatamente) se li dimentica.
Insomma, gran parte delle applicazioni dell'economia neoclassica sono senza senso.
O meglio, il senso dell'essere «senza senso», lo si trova nel conflitto d'interessi che nasce dal conflitto distributivo il quale, a sua volta, è il motore primo del conflitto tra classi.
Il fallimento dell'economia è uno di quei colossali fallimenti della scienza che Husserl evidenziava.
Come l'individuo liberale è un'astrazione che nulla ha a che fare con la realtà in cui «la persona umana si individua come centro di rapporti sociali», così il metodo scientifico del positivismo liberale è un'astrazione in cui ci si scorda (interessatamente) che lo scienziato stesso è un individuo al centro di rapporti sociali.
Rapporti che dominano i risultati della ricerca scientifica stessa...
Il problema è più filosofico-morale. Sono dei pazzi schizzofrenici con manie di grandezza. Più si avvicinano alla fine più si eccitano, I motivi sono diversi e complessi, quelli giuridico-politico-economici quì li conoscete bene, ma non sono i soli. Tanto per capirci si sentono vivi solo in prossimità della morte, senza empatia, contrari alla natura che è un sistema entropico. Ecco loro sono contronatura. Krugman compreso.
RispondiElimina"i neoclassici son proprio dei cialtroni che non leggono nemmeno i loro paper"
RispondiEliminaMica solo i neoclassici.
I più antichi documenti canonici della cristianità sono le lettere di Paolo (scritte a cavallo dell'anno 50, quando erano già trascorsi una ventina di anni dalla crocifissione di Gesù, avvenuta intorno all'anno 30).
Atti ed i 4 Vangeli canonici sono opere successive.
Nello studio del teologo John Robinson (un uomo di fede), 60 pagine e qualche centinaio di note sono dedicate alle prove della datazione dei seguenti libri del Nuovo Testamento:
1 Tessalonicesi: anno 45-50
2 Tessalonicesi: anno 50-51
1 Corinzi: anno 55
1 Timoteo: anno 55
2 Corinzi: anno 56
Galati: anno 56
Romani: anno 57
Tito: anno 57
Filippesi: anno 58
Colossesi: anno 58
Efesini: anno 58
2 Timoteo: anno 58 Giacomo: 47-48 circa
Giuda: 61-62 circa
Pietro: 61-62 circa
Atti: 57-62 circa
2,3 e 1 Giovanni: periodo 60-65 circa
1 Pietro: anno 65 Marco: tra il 45-60
Matteo: tra il 40-60+
Luca: entro il 57-60+
Nel capitolo 13 della lettera ai Romani, Paolo magnifica il concetto della sottomissione ai poteri civili e l'idea molto singolare per cui il potere politico (all'epoca quello imperiale) agisce sempre come intermediario tra Dio e gli uomini.
Ma se l’imperatore per i cristiani è, come dice Paolo nella lettera DEL CANONE, il tramite tra Dio e gli uomini che vuole solo il loro bene, come può un imperatore aver fatto crocifiggere il figlio di Dio?
Non sarà magari che il più antico vangelo (Marco), comunque successivo alle lettere di Paolo, non riporta il racconto del processo a Gesù perchè erano ancora vivi troppi soggetti che ricordavano i fatti realmente accaduti?
Infatti solo negli altri vangeli, scritti molti anni dopo, si trova il racconto del processo a Gesù, in cui viene discolpato Pilato (cioè Roma) e data la colpa agli ebrei.
Eppure gli studiosi sanno benissimo che la crocifissione era la pena per la sedizione contro Roma mentre per le colpe religiose il gran sacerdote (nominato comunque dal procuratore romano) poteva solo disporre la lapidazione.
Per dire, Giacomo, il fratello di Gesù (vedi lettera ai Galati, lo storico Giuseppe Flavio ed i numerosi riferimenti a fratelli e sorelle nel vangelo stesso), fu lapidato per ordine del gran sacerdote, nominato dal procuratore romano uscente mentre il nuovo procuratore entrante era in viaggio verso la Giudea, pochi anni prima della grande rivolta ebraica che culminò nella distruzione del tempio di Gerusalemme dell’anno 70.
Comunque molto più tardi rispetto alla prima stesura fu fatta una piccola aggiunta al vangelo di Marco per metterlo in linea con gli altri tre.
Nei duemila anni successivi la nebbia del tempo, gli interessi imperiali e la propaganda paolina hanno compiuto il miracolo di offuscare l’origine del cristianesimo e di propalare il messaggio paolino insito nei vangeli canonici (Atti, Marco, Matteo, Luca, Giovanni), in sintesi:
1) il mito che il Gesù storico abbia scelto Pietro come capo della sua chiesa;
2) la presunta immacolata concezione di Gesù (altrimenti non si poteva credere che fosse il figlio di Dio e che fosse Dio lui stesso);
3) la presunta ascesa al cielo di Gesù (dopo un limitato ritorno alla vita in comune cogli apostoli ebrei originari);
4) la presunta ascensione al cielo della madre di Dio;
5) l’istituzione del potere del clero in merito di 'riconciliazione' o 'scomunica';
6) la liceità del culto politeistico, oltre che della santissima trinità, delle immagini sacre, e del nutritissimo pantheon di santi e di beati (purché però si creda in Gesù Cristo).
Le colpe dei neoclassici mi sembrano quindi di natura tutto sommato veniale...
Aveva proprio ragione Poincaré con il suo teorema dell’eterno ritorno :)
EliminaSono uno studente di economia, leggere questo post mi ricorda il perché amo questa disciplina al punto da renderla la mia scelta di vita... Un grazie di cuore.
RispondiEliminaOT: chiedo mille volte scusa di invadere così il post di un ospite con una domanda purtroppo per me pressante.
RispondiEliminaIn questo crocevia di amministrativisti qualcuno saprebbe indicarmi una norma di qualsiasi tipo che direbbe che un'amministrazione può assumere da una graduatoria scaduta a seconda delle necessità anche per dieci anni senza che vi sia un provvedimento a livello nazionale in proposito?
Io sapevo che la durata è di tre anni, salvo proroghe da parte del governo, e che il caso del 2015 è dovuto a circostanze particolari (blocco delle assunzioni e aggiungerei opportunità politica) ma non può essere preso a modello. Nel caso in questione né nel bando, né nella graduatoria si precisa alcunché in merito a una particolare durata della stessa.
Chiedo scusa di nuovo ma la situazione è un po'seria.
Grazie.
Mi sembra che questo possa aiutare (purtroppo molto poco...):
Eliminahttps://www.diritto.it/concorsi-pubblici-vanno-utilizzate-le-graduatorie/
http://www.mininterno.net/fmess.asp?idt=6635