giovedì 6 ottobre 2016

LA "FILOSOFIA" RIFORMATRICE DELLA VENICE COMMISSION E LA RIFORMA COSTITUZIONALE




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Gesù rispose loro: “Badate che nessuno vi inganni!
Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo:
“Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno
(Matteo, 24, 4-5)


Questo splendido post di Francesco Maimone esige un chiarimento preliminare che consente di coglierne uno dei punti fondamentali. Un punto particolarmente attuale e incisivo, sulle nostre vite, in questo momento storico. 
Si tratta della distinzione tra Costituzionalismo giuridico e Costituzionalismo politico. Questa distinzione rinvia a un (inquietante) interrogativo: perché porre ossessivamente l'accento sulla libera rielaborabilità, in base ad un presunto pensiero filosofico-razionale, di qualsiasi testo costituzionale, svilendo la sua funzione di fonte normativa suprema, e quindi svincolandosi dal metodo di interpretazione, logico-concettuale, sistematico e storico, proprio del diritto?
Perché in tal modo si costruisce un sistema a priori di politica allo stato puro, antigiuridica ed apparentemente libera, il cui postulato implicito è che si possa trarre solo dalla politica e dal processo elettorale l'ambito dei "vincoli" che sarebbero accettabili (come costi) da una società; mentre la politica, a sua volta, è legittimata, a questa libertà assoluta, dal "merito tecnocratico" di chi la incarna o ne designa i rappresentanti in sede elettiva.
La risposta, in un certo senso l'abbiamo anticipata, in un passaggio di questo post, parlando del contenuto e della funzione della sovranità (che rimane altrimenti un concetto equivoco e piegabile agli scopi più eterogenei): 
Per connotare questo contenuto e questa funzione, in base al principio che ognuno ha le sue competenze commisurate all'oggetto delle indagini e della ricerca che compie, evitiamo di ricorrere alla "mera" filosofia (specie se vivente nella logica del rinvio bibliografico, reciproco e incontrollabile, interno al mainstream liberista anglosassone, cioè sussidiario e derivante dal paradigma economico instaurato dalle forze economicamente, e quindi culturalmente, dominanti, cioè l'oligarchia): ed infatti, risolvere un problema giuridico-costituzionale, qual è quello della definizione della sovranità, è un problema proprio della scienza (sociale) giuridica, basata sullo studio dei dati positivi costituiti dalle norme. E ciò, per quanto la "teoria generale del diritto" sia strettamente connessa alla "filosofia del diritto", senza coincidere con essa.
La filosodia...prescinde dal porsi il problema dell'interpretazione e della sistematizzazione, effettuata in via induttiva (e non solo deduttiva, sulla base di assiomi filosofici), dell'insieme delle norme positive esistenti. Vale a dire, interpretando e sistematizzando" i "fatti sociali normativi", effettivamente rilevabili dalle fonti di produzione (si dice "de jure condito") proprie del complesso degli Stati...
Un secondo aspetto va sottolineato prima di intraprendere la lettura del post (con rilettura altamente consigliata): come curiosamente appare accadere anche in altri casi (es; pareggio di bilancio, applicazione del fiscal compact, Unione bancaria con burden sharing), l'elaborazione €uropea, nel caso quella della Venice Commission, finisce per avere effetti pratici e tangibili solo...in Italia
Si parla spesso in termini generali, se non vaghi, di tali riforme; ma poi, il vero destinatario di tutte queste algide formule (processi decisionali, governance etc...), invariabilmente riduttive dei diritti sociali e potenziatrici della decisione politica "pura", assunta in nome del "prendere comunque decisioni", legittimate  a priori dal superiore bene, tecnocraticamente predeterminato, si riversano in cambiamenti profondi del quadro della democrazia costituzionale del 1948. E non è un caso, dobbiamo ritenere a questo punto della vicenda...

Infine, un terzo, fondamentale, aspetto: quando si afferma, da parte della Venice Commission, che il potere di revisione costituzionale, dato il "relativismo" storico-politico di ogni concetto giuridico-costituzionale, non dovrebbe essere limitato e che non dovrebbero neppure preferibilmente sussistere disposizioni costituzionali non revisionabili, ne possiamo arguire che, come per le riforme del mercato del lavoro, quelle  costituzionali (tra l'altro quasi del tutto coincidenti, negli obiettivi, con quelle del lavoro), dentro l'UEM, non avranno mai fine; almeno finché non sarà espunto dalle Costituzioni ogni "diritto" che "mette in scacco il bene comune". 
Dunque, visto che, secondo questo indirizzo, affermato dall'UE in modo pressante, il "bene comune" consiste nell'abolizione del valore giuridico assoluto dei diritti - da relativizzare come subordinati a qualsiasi ragione "politica" ritenuta prevalente dall'elite tecnocratica-, l'attuale riforma costituzionale non è che una tappa, e neppure la più traumatica, del percorso di mutamenti costituzionali che ci verranno inesorabilmente imposti in nome della "governance" €uropea
Internazionalista e dei mercati.

I PRINCIPI SUPREMI DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA ALLA PROVA DELLA POSSIBILE REVISIONE FORMALE (Commissione di Venezia e costituzionalismo di “Star Wars”)
1. Prove generali in attesa della soluzione finale?
Il recente e perdurante fenomeno di rappresaglia censoria opposta alla divulgazione scientifica e democratica di Quarantotto costituisce l’occasione per segnalare un incombente pericolo di obliterazione persino sul piano formale di quei principi fondamentali (ed immodificabili) sanciti nella nostra Costituzione e che da tempo ormai sono stati disattivati sul piano sostanziale. Anche una tale definitiva opzione non deve apparire come surreale, dal momento che le “finissime menti” giuridiche neo-ordoliberiste [1] l’hanno già teorizzata, paludandola in documenti ufficiali dal linguaggio orwelliano. 
E’ probabile che detta opzione venga assunta, tramite il consueto “metodo Juncker” e per il tramite degli accondiscendenti luogotenenti nazionali, allorché €SSI abbiano sentore di un ulteriore allentamento della (ottimisticamente residua) coscienza democratica, indotto per mezzo di qualche altro “shock economico” (prossima crisi bancaria?); tanto che, al riguardo, l’imminente referendum costituzionale sembra presentarsi come una delle ennesime “prove generali” approntata allo scopo. Per questa ragione una vigilanza cosciente impone la necessità continua di svelare e decriptare ideologismi omotetici con il fine di scongiurare il perpetuarsi di quella grande frod€ totalitaria spacciata per democrazia, un inganno che ormai da troppo tempo è in pista e che non accenna a retrocedere.

2. La Commissione di Venezia (a romanticismo zero)
La Commissione di Venezia (denominata “Commissione Europea per la democrazia attraverso il diritto”) é un “… organismo del Consiglio d’Europa che assiste gli Stati nel consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche … La Commissione contribuisce in modo significativo alla diffusione del patrimonio costituzionale europeo, che si basa sui valori giuridici fondamentali del continente, e garantisce agli Stati un "sostegno costituzionale” …” [2].
A chi abbia imparato a comprendere le origini e le finalità intrinsecamente antidemocratiche del progetto €uropeista [3] non dovrebbe risultare difficile realizzare come anche detto organismo sia in realtà un organo tecnocratico incaricato di definire ai popoli europei le linee di indirizzo per la loro progressiva e violenta apertura al governo sovranazionale dei mercati, mediante “suggerimento” degli opportuni adeguamenti funzionali da apportare al più alto livello della legislazione. 
Pertanto, tradotto in termini comprensibili, la Commissione – in funzione di “braccio giuridico” al servizio delle reviviscenti forze neofeudali - si è assunta il compito di fare da “bàlia” agli Stati sovrani nel consolidamento e rafforzamento del verbo neo-ordoliberista favorendo una sua diffusa costituzionalizzazione. 
E ciò sul presupposto aprioristico (ed autoritario) secondo cui i singoli Stati sovrani avrebbero tout court bisogno di tale amorevole assistenza, orientata in senso teleologico, come di consueto, alla dissoluzione dei fondamentali principi consacrati nella Costituzioni postbelliche e considerati come estremo argine da rimuovere per l’affermarsi delle supreme leggi mercatistiche. In perfetta consonanza ideologica, nondimeno, con la psicosi oligarchica di J.P. Morgan che, come noto, ha individuato proprio in quelle Costituzioni il nemico da neutralizzare in quanto ritenute di impedimento alla crescita economica [4].
Nel dicembre 2009 la Commissione ha partorito un Report on constitutional amendment (Relazione sulla revisione costituzionale) [5], informandoci di aver avuto nel corso degli anni l’opportunità di riflettere sulle procedure di revisione costituzionale nell’ambito di pareri rivolti a singoli Paesi, ma che solo con il suddetto Paper, per la prima volta, la stessa è stata chiamata a “studiare il problema in modo generale ed astratto” (punto 14) per “identificare e analizzare alcune caratteristiche fondamentali e le sfide della revisione costituzionale” nonché per offrire alcune riflessioni normative” (punto 17).
Nell’ambito del documento, alcune teorizzazioni in ordine alla funzione delle Costituzioni e, in pari tempo, ai limiti della loro revisione, confermano drammaticamente la reale natura che è insita nel consesso €uropeo al quale l’Italia, suo malgrado, si autocostringe in modo masochistico ancora a partecipare.

2.1 A cosa serve una Costituzione?
Bisogna subito premettere che, in assonanza con il descritto compito della Commissione, l’intera Relazione si ispira ad una precisa dottrina giuridica ultraliberista (se non proprio anarcocapitalista) di matrice anglosassone che va sotto il nome di Costituzionalismo politico
Prendendo spunto da un interessante lavoro di M. Goldoni [6] è possibile sintetizzare di seguito quali sono i nuclei concettuali che caratterizzano la stessa:
“… Il primo riguarda un diverso rapporto fra diritto e politica, in cui, a differenza di quanto sostenuto dal costituzionalismo giuridico, la politica precede, in senso assiologico, il diritto. … questa prospettiva impone una maggiore attenzione da parte dei costituzionalisti per la filosofia politica e, viceversa, più consapevolezza da parte dei filosofi politici dell’importanza della questione che attiene alla legittimità delle procedure decisionali
Il secondo riguarda il ruolo dell1a partecipazione politica e del disaccordo nel processo democratico. La legittimazione dell’autorità si fonda sulla capacità di trovare una risoluzione al problema del conflitto nonostante la presenza di un dissenso pervasivo
Il terzo nucleo, per certi aspetti il più caratterizzante, riguarda il modello istituzionale più adatto ad un costituzionalismo politico. Esso propone, fondamentalmente, il rigetto quasi totale del controllo giurisdizionale di costituzionalità e l’adozione di un neoparlamentarismo come assetto migliore per la tutela dei diritti e per il controllo degli altri poteri[7].

2.1.1. La citata dottrina, a ben vedere, oltre che porsi del tutto agli antipodi rispetto al più recente ed evoluto “costituzionalismo democratico” (nel cui solco è da collocare la nostra Carta fondamentale), sovverte ancor prima i connotati più peculiari di quello liberale classico. Ed infatti, per i teorici del costituzionalismo politico non esistono i “diritti”, tanto meno fondamentali:
“… “i diritti non sono briscole che mettono sotto scacco il bene comune perché essi hanno senso solo nella misura in cui contribuiscono ad esso e forniscono un ampio ventaglio di opportunità individuali per tutti i membri della comunità” … In quanto intrinsecamente politici, i diritti hanno bisogno di essere costantemente vigilati e protetti da processi politici
Inoltre, questa condizione rimanda al fatto che il dibattito pubblico sui diritti non può accettare una loro qualificazione come beni assoluti, poiché ciò contrasterebbe con l’idea che l’agire politico sia anzitutto mosso dalla volontà di trovare una conciliazione, per quanto temporanea, al conflitto fra diverse interpretazioni. Una cultura dei diritti eccessivamente legalistica rischia di ammantare le rivendicazioni personali di un atteggiamento fortemente atomistico, poco incline al compromesso…[8].
Insomma, in una simile visione tutti i possibili “diritti”, nessuno escluso (nonché la loro ipotetica tutela) sono rimessi dinamicamente alla competizione parlamentare del contingente momento storico: 
 “… Per i costituzionalisti politici la ragion pubblica assume connotati esclusivamente procedurali e … principalmente elettorali. In una società plurale e democratica, essa viene ad identificarsi, a livello istituzionale, nel parlamento e a livello procedurale, nei cicli elettorali. L’eguale partecipazione alla risoluzione dei problemi dell’agire collettivo viene garantita attraverso l’uguale diritto di voto per ciascuno e l’adozione del principio di maggioranza come unico strumento in grado di prendere realmente sul serio la partecipazione politica. Eguale partecipazione e principio di maggioranza sono elementi fra loro strettamente collegati[9].
Secondo tale costruzione teorica, di conseguenza, la Costituzione non si identifica con quel particolare testo normativo posto al vertice di un ordinamento giuridico né tanto meno contiene principi che si elevano al di sopra del processo politico (nel cui ambito, anzi, gli stessi devono essere rigorosamente attratti per esserne a sua completa disposizione).
Proprio sulla scorta dell’individuato paradigma teorico è possibile intendere alcuni passaggi contenuti nella Relazione e che, di primo acchito, ricordano (in maniera nemmeno tanto vaga) il metodo adottato e alcune argomentazioni addotte dall’attuale Governo italiano della neo-sinistra cosmetica per imporre prima la legge elettorale (c.d. Italicum) e poi la riforma costituzionale oggetto del prossimo referendum confermativo. Si è edotti, infatti, del fatto che per la stessa “legittimità del sistema costituzionale” la revisione talvolta risulta necessaria “… al fine di migliorare la governance democratica o di adattarsi alle trasformazioni politiche, economiche e sociali (punto 5).

2.1.2. La Commissione insiste altrove sul concetto e, concedendo che vi siano buone ragioni per sostenere l’esistenza di Costituzioni rigide, ne indica altrettante in presenza delle quali allo stesso tempo dovrebbe esseredesiderabile” una loro formale revisione: “… Le ragioni principali includono: - la democrazia in senso tradizionale (regola della maggioranza); il miglioramento delle procedure decisionali; - l’adeguamento alle trasformazioni nella società (politica, economica, culturale); - la regolazione nella cooperazione internazionale; la flessibilità e l’efficienza nel processo decisionale” (punto 82).
Di seguito, e facendo proprio in maniera testuale il pensiero di un certo prof. Cass Robert Sunstein (un epigono del costituzionalismo neoliberista americano), la Commissione si preoccupa al fondo di esplicitare la vera funzione di una Carta fondamentale: 
 … le Costituzioni liberali sono progettate per aiutare a risolvere tutta una serie di problemi politici: tirannia, corruzione, anarchia, immobilismo, problemi di azione collettiva, l’assenza di deliberazione, la miopia, la mancanza di responsabilità, l'instabilità e la stupidità dei politici. Le Costituzioni sono multifunzionali. […] Il compito è di creare un governo che è pienamente in grado di governare” (punto 84).
E’ lo stesso prof. Sunstein, a questo riguardo, che si è impegnato a precisare in maniera romanzata il suddetto enunciato in un suo libro pubblicato nel settembre 2016 ed intitolato “Il mondo secondo Star Wars”. 
Il giurista americano, in particolare, utilizzando la trama ed i personaggi della nota saga fantascentifica, si è cimentato in alcune riflessioni sull’importanza che hanno istituzioni efficienti in un regime democratico. Premettendo che “Star Wars non è un trattato politico, ma ha certamente un messaggio di natura politica” e che “in fin dei conti contrappone un Impero e una Repubblica”, questo è resoconto: “… L’Imperatore Palpatine riesce a cumulare il potere solo grazie alle incessanti e assurde baruffe tra i membri del potere legislativo repubblicano (che esercita un indubbio fascino su alcuni americani del XXI secolo, costretti ad assistere agli stessi conflitti). Padmé aveva colto il problema: “Non sono stata eletta per vedere il mio popolo soffrire e morire mentre la vostra commissione dibatte su questa invasione”. E Anakin: 
“Ci vuole un sistema in cui i politici si siedano attorno ad un tavolo e discutano i problemi, stabiliscano cosa fare per il bene comune e poi agiscano”. Ma, ribatte Padmé, cosa fare se non ci riescono? “E allora” replica Anakin, “bisogna costringerli”…[10].
2.1.3. Il messaggio che trapela non potrebbe essere più cristallino: una Repubblica può trasformarsi in dittatura se le istituzioni non sono in grado di prendere decisioni per una efficiente risoluzione dei problemi
E non è per niente singolare, in proposito, che dopo la pubblicazione del libro, la grancassa mediatica italiana abbia ovviamente colto al volo l’occasione per trarne le conseguenze e riferire in modo grottesco che “anche il maestro Yoda di Sunstein voterebbe sì al referendum (!)” [11]. La guerra neoliberista, si sa, viene combattuta con ogni mezzo.
Ora, i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che: 
“… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene[12].
2.1.4. In particolare sul mito della governabilità...
 E’ a causa di tale format che nei decenni, tramite la ben collaudata tecnica della “doppia verità” veicolata dagli accondiscendenti carrarmati mass-mediatici, si è andato via via rafforzando quel 
… fuorviante connubio tra logiche decisionistiche ed esaltazione della c.d. democrazia immediata, nellambito del quale la retorica del “primato della politica” è sempre di più servita a dissimulare una situazione in cui “la politica in realtà decide poco o nulla di ciò che veramente è rilevante, e se le si chiede un incremento di efficienza, tale efficienza finisce col risultare funzionale alla sollecita realizzazione di obiettivi e disegni di riforma definiti in altre sedi. Limpressione è, in realtà, proprio che ci sia una stretta connessione tra il trasferimento delle decisioni chiave ad istanze non responsabili (nella forma del dominio del mercato, o nella forma attenuata e neutralizzata del dominio della “tecnica) e la trasformazione – rectius la semplificazione, la banalizzazione – della democrazia parlamentare nella sua versione “maggioritaria” e ultracompetitiva”.  
2.1.5. ADDE di Quarantotto: 
Ed infatti, una volta introdotto il concetto, opacamente rappresentativo, della "democrazia immediata", connessa al primato della politica contrabbandata come "libera"...di perseguire SOLO l'efficienza (senza "lacci e lacciuoli", costituzionali "d'altri tempi"), si predica una politica all'occorrenza costretta a decidere, con le buone o anche con le cattive. 
Perché la cosa giusta è decidere-attuare e null'altro: di conseguenza si passa alla critica della democrazia partecipativa e dialogata tra interessi sociali differenziati

Conciliare e graduare tali interessi intorno al valore di vertice del lavoro e della sua dignità, come con ponderatezza aveva imposto la nostra Costituzione, diviene un inutile orpello, un intollerabile rallentamento, di fronte alla sicurezza a priori delle soluzioni, e dell'urgenza di "attuarle". 
In un'orgia mediatica di lamentele instillate nel singolo cittadino, si diffonde la para-logica che non importa CHI faccia, e in nome di quali interessi: l'importante è "fare".
Dilaga così in automatico l'invocazione della "governabilità", senza interessi di riferimento, se non quelli assurti a prioritari nelle "altre sedi", rigorosamente tecnocratiche:

La mitologia della governabilità risponde, infatti, nel complesso allidea di un buongoverno ex parte principis e non ex parte populi, poiché, propugnando un elevato grado di separazione e di auto-legittimazione dellapparato politico-istituzionale, mette in discussione la stessa teoria democratica e il suo posto nello Stato costituzionale. Al primato della Costituzione vengono così contrapposte, secondo necessità e nei termini di un logorante “processo decostituente”, l’onnipotenza della politica ovvero la preminenza della tecnica, in virtù di schemi organizzativi e di dispositivi di funzionamento tesi a veicolare la presunta neutralità e apoliticità delle decisioni tecniche e, specularmente, a dissimulare le valutazioni e le scelte politiche nascoste dietro la facciata della tecnica[13].
2.1.6. Per riassumere quanto sin qui esposto, ci tocca prendere atto che la funzione di un testo costituzionale sarebbe – nel fantascientifico teorema della Commission de Venise in salsa statunitense - quella di garantire (mediante le relative e imprenscindibili riforme ad hoc) il mito della “governabilitàil quale, si badi, finisce non a caso per coincidere in tutto con quello oligarchico-elitario della democrazia idraulica di Hayek, ovvero: un Paese può essere definito governabile, per €SSI, solo in quanto il risultato elettorale consenta di adottare decisioni già assunte.  
Di conseguenza, quanto più i “rozzi cittadini” vengano estraniati dalle decisioni che li riguardano, con l’affidamento del relativo potere decisionale alle élites di illuminati proprietari, tanto più un Paese risulterà governabile ed efficiente.

2.1.7. Non dovrebbe sfuggire, d’altro canto, come una tale distopia faccia parte di un fenomeno involutivo ben più complesso e che Lelio Basso lucidamente intercettò già negli anni ’40 allorché avvertiva che a livello planetario  
… il mondo capitalistico … procede verso forme monopolistiche e di alta concentrazione…” e che quanto più il fenomeno va avanti in modo accelerato [14]… tanto più diventa incompatibile con un regime democratico … Le forme democratiche possono sussistere, ma sono svuotate di ogni contenuto e di ogni reale efficacia, in quanto il potere politico tende ad identificarsi sempre più col potere economico e ad essere sempre più espressione degli interessi dei pochi gruppi monopolistici … Questo processo, che si verifica in tutti i paesi capitalistici… si trova oggi coordinato su scala mondiale dalla guida dell’imperialismo americano che tende ad unificare il mondo, sia i paesi coloniali che i paesi a economia capitalistica, sotto una comune norma di sfruttamento…”.

2.1.8. Lelio Basso ne traeva le conseguenze adducendo che “… in ogni singolo paese politica internazionale (e cioè vincoli di subordinazione verso l’America e di inserimento nel “grande spazio” dello sfruttamento americano), politica economico-Sociale (tendente a favorire i gruppi monopolistici più forti e quindi, in via normale, quelli di portata internazionale, garantendone i profitti a scapito del tenore di vita dei lavoratori e dei ceti medi e a scapito dell’indipendenza delle piccole, medie e talvolta anche relativamente grandi imprese), e politica interna (tendente ad escludere le classi lavoratrici da ogni reale influenza sul potere e successivamente ad eliminare ogni serio controllo parlamentare e di opinione pubblica, asservendo i sindacati, la stampa, ecc.) sono in realtà tre aspetti di un’unica politica[15].

2.2. I limiti alla revisione costituzionale. Oltre le colonne d’Ercole.
La Commissione di Venezia offre però il meglio di sé allorquando teorizza sui “limiti” della revisione costituzionale. La tesi ci viene spiegata in termini paradossalmente “marxisti”, e cioè insistendo sul fatto che è la modifica della struttura economico-sociale che richiede il conseguente mutamento della sovrastruttura.
Una revisione costituzionale, più in generale, sarebbe perciò giustificata dal fatto che a volte le Costituzioni sono imposte da regimi politici al tramonto “… al fine di proteggere i loro interessi contro la volontà democratica dei loro successori …” e, anche nei casi in cui ciò non accade, comunque tutte le Costituzioni mature rifletterebbero “… non l’impegno della generazione presente, ma piuttosto quella delle generazioni precedenti. I critici hanno fatto notare che troppa resistenza alla revisione e alla riforma implica un principio democraticamente discutibile permettendo che la società sia "governato dalla tomba" (a volte mitizzata) lasciando che siano i "padri fondatori"… a determinare i problemi politici e le sfide di oggi” (punto 87). In definitiva, “non è possibile per i creatori di una costituzione creare un testo che è eterno, e che può servire la società attraverso i processi di sviluppo e trasformazione ” (punto 83).
Fissata tale premessa metodologica, la Commissione di Venezia prende altresì atto non solo che la maggioranza delle Costituzioni moderne prevedono un “procedimento aggravato” per la loro revisione (diretto riflesso della loro “rigidità”), ma soprattutto che alcune parti delle stesse (disposizioni o principi) sono dichiarate non revisionabili, come sancito, per esempio, nel caso dell’art. 139 della Costituzione italiana (punti 206-208-211). 
Ebbene, tale fenomenologia non risulta per nulla ben accetta agli occhi dei giuristi di Venezia in quanto ci spiegano che “… Una democrazia costituzionale dovrebbe in linea di principio acconsentire ad una discussione aperta sulla riforma dei suoi più elementari principi e strutture di governo. Inoltre, fintanto che la Costituzione contiene regole severe in materia di revisione, allora questa fornirà normalmente una garanzia adeguata contro l’abuso e se la maggioranza, seguendo le procedure prescritte, vuole adottare la riforma, si tratta quindi di una decisione democratica che in generale non dovrebbe limitarsi ...” (punto 218). Anche in tale espressioni sembrano risuonare recenti e sinistre voci italiche.
I Commissari giungono pertanto all’apoteosi della loro “stellare” teoria allorché senza mezzi termini affermano che 
 “… Alla luce di quanto precede, i principi e concetti protetti dalle disposizioni non revisionabili dovrebbero, in una certa misura, essere aperti all'interpretazione dinamica. Concetti come "sovranità", "democrazia", "repubblicanesimo", "federalismo" o "diritti fondamentali" sono tutti concetti che nel corso degli anni sono stati oggetto di continua evoluzione, sia a livello internazionale che a livello nazionale, e correttamente dovrebbe continuare a essere così negli anni a venire .... Ad esempio, la nozione di "democrazia" e quella "principi democratici" non è intesa nel 21° secolo come lo era nel 19 ° o 20 ° secolo. Lo stesso vale per concetti come "sovranità" e "integrità territoriale" che, secondo il diritto internazionale in maggior parte europeo, assumono un significato diverso da quello che avevano solo pochi decenni fa” (punto 221).
La cavillosità formalistica del ragionamento si sviluppa in ulteriori passaggi alla stregua di corollari null’affatto innocenti, come quello secondo cui solo alcune disposizioni costituzionali (tra tutte quelle prese in rassegna dalla Commissione) sarebbero dichiarate espressamente non revisionabili – si veda sempre l’art. 139 della Costituzione italiana - mentre la maggior parte delle rimanenti non sono esplicitamente dichiarate tali (punto 222), e quello secondo cui, di conseguenza, “… Se non vi sono disposizioni speciali sulla inemendabilità, di solito può essere arguito che tutte le parti della Costituzione sono soggetti a possibili modifiche …” (punto 223). Sull’argomento, le conclusioni della Commissione sono lapidarie:
… La modifica costituzionale dovrebbe preferibilmente essere emanata con revisione formale … Quando sostanziali modifiche informali (non scritte) si siano sviluppate, queste preferibilmente dovrebbero essere confermate da successive modifiche formali” (punto 246). I principi fondamentali sono stati disattivati di fatto? Tanto vale ratificare sul piano formale tale “sviluppo”
Dovrebbe essere possibile discutere e modificare non soltanto le disposizioni costituzionali sul governo (cioè gli assetti istituzionali), ma anche disposizioni in materia di diritti fondamentali e tutte le altre parti della Costituzione (punto 248)
Principi e disposizioni di inemendabilità dovrebbero essere interpretati e applicati in modo restrittivo (punto 250)”.
Ora, l’analisi contenutistica della Relazione redatta dalla Commissione di Venezia (che, non bisogna mai dimenticare, è un organo ufficiale dell’UE) ci svela - in termini fenomenologici e qualora ve ne fosse ancora di bisogno – la natura pericolosamente regressiva di quest’istituzione €uropea dal volto buono.
L’ideologismo giuridico esaminato, e ritagliato in tutto “a misura di mercato”, dimostra infatti come i redattori della Relazione siano probabilmente contaminati, nella migliore delle evenienze, da un grave analfabetismo (non solo) giuridico di ritorno e, nella peggiore, da irresistibili e coscienti pulsioni reazionarie. Non è questa la sede né l’ambito per affrontare in profondità temi di diritto costituzionale ad elevata complessità tecnica che sarebbero aggravati altresì da approfondimenti comparatistici. Tutto ciò non impedisce tuttavia di inviare a quei redattori della Relazione (nonché alle loro altolocate “muse" anglosassoni) un’ideale cartolina sul significato e la funzione della nostra Costituzione, argomento i cui nuclei tematici sono stati già ampiamente approfonditi da Quarantotto nel corso di questi anni, ma che sinteticamente ripetuti in questa sede di certo non possono nuocere.

3. Brevi chiarimenti alla Commissione di Venezia ed allo “Jedi” Sunstein
Per comprendere la vera essenza della nostra Costituzione non possono essere ignorati alcuni presupposti storici ed economici che la precedono.
La Costituzione italiana, infatti, non si atteggia solo come un momento di soluzione contingente e transeunte rispetto agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, dal momento che quest’ultima - con i suoi totalitarismi nazi-fascisti - ha rappresentato, a sua volta, la degenerazione dialettica di un problema ben più basilare che è quello riguardante gli assetti ed i conflitti della c.d. società capitalistico-borghese (laddove per borghesia deve intendersi la classe antenata del capitalismo moderno ed oggi globale finanziarizzato, detentrice dei mezzi di produzione latamente intesi ed ispirata alle teorie classiche dell’equilibrio economico e alle sue successive elaborazioni).
Lotta di resistenza, Assemblea Costituente e Costituzione sono, in tal senso, lo sviluppo logico di un unico processo che vide il Popolo italiano impegnato - in un raro e nobile momento di autocoscienza – nel tentativo di risolvere in modo definitivo quei conflitti pluridecennali.
In chiave storica, la Resistenza italiana non può perciò essere letta esclusivamente come opposizione eroica della comunità nazionale ad un particolare regime autoritario storicamente denominato “nazi-fascismo”

Una siffatta interpretazione, proprio per quanto sopra anticipato, sarebbe riduttiva e superficiale. Nella Resistenza italiana, di contro, si condensò soprattutto la volontà popolare di tagliare definitivamente i ponti con gli istituti politico-istituzionali del liberalismo economico-autoritario e del dominio di classe del capitalismo, per sostituirvi una società democratica che fosse improntata certamente sui diritti di libertà, ma che fosse basata ancor prima sui diritti sociali (c.d. di terza generazione) [16] e sulla perequazione economica di tutti i cittadini.
E’ Lelio Basso che meglio ci spiega senza equivoci il sentimento che animò i Resistenti: 
“… La lotta contro il fascismo condotta per un ventennio dalla classe operaia e dagli intellettuali di avanguardia, divenuta nel 1943 la lotta dell'immensa maggioranza del popolo italiano era una lotta per la conquista di un regime di democrazia. Anche se la nuova generazione, nata cresciuta ed educata sotto il fascismo non sapeva che cosa veramente fosse un regime democratico, che cosa veramente significasse democrazia, tutti coloro che combatterono veramente il fascismo, sapevano che essi combattevano per un rinnovamento totale, della vita italiana. Essi avevano tutti, almeno confusamente, una grande speranza nel cuore: che i mali di cui l'Italia aveva sofferto durante il fascismo avessero definitivamente a cessare e che una nuova fase si aprisse per la storia del nostro Paese. E poiché il fascismo era venuto sempre più svelandosi per un regime di dittatura e di oppressione poliziesca, di sfruttamento economico e miseria, e infine di guerra, l'antitesi del fascismo appariva come un regime di vera libertà, DI PROGRESSO SOCIALE E BENESSERE ECONOMICO e di pace. Era questa, del resto, l'aspirazione comune alla grande maggioranza dei popoli d'Europa che nel corso di una generazione avevano conosciuto due guerre mondiali e, bene spesso, un regime di dittatura fra le due guerre …[17].
Ed ancora, “il sentimento più comune agli uomini della Resistenza fu certamente quello di un popolo chiamato a prendere in mano i propri destini … Ricostruzione dal basso, impegno e responsabilità di ciascuno per assolvere nel miglior modo il proprio compito, liquidazione definitiva del passato: questo fu il lievito della Resistenza… un altro, forse più profondo valore, fu conquistato quasi d’impeto in quei mesi: il senso della responsabilità personale, principio e fondamento di ogni vita democratica. Il fascismo aveva non solo soffocato colla costrizione esterna ogni forma democratica, ma, quel che è peggio, aveva cercato di soffocare e di spegnere nel conformismo, nell’indifferentismo o nell’ipocrisia, il senso dell’autonomia e della dignità individuali la coscienza che ciascuno deve avere del proprio diritto e dovere di scegliere, di decidere, di assumere delle responsabilità... il popolo sentì di nuovo la propria tremenda responsabilità, sentì che nessuno poteva rimanere estraneo o indifferente, sentì il dovere di impegnarsi per sé e per i figli, per i vicini e per i lontani, per il presente e per il futuro. Se la democrazia è la maturità dei popoli, la Resistenza è stata una vera scuola di democrazia… Il fascismo era stato dittatura tirannica, centralismo burocratico: l’Italia di domani avrebbe dovuto per contro sviluppare al massimo il senso dell’autonomia, delle autonomie locali e delle autonomie istituzionali, sbarazzarsi dei prefetti, della tutela burocratica, dell’accentramento statale. Il fascismo aveva introdotto dappertutto il comando, la gerarchia, l’autorità, aveva rafforzato enormemente il prepotere padronale nelle aziende, aveva degradato i lavoratori: l’Italia di domani avrebbe dovuto dare nuovo slancio all’organizzazione sindacale, alle lotte operaie, avrebbe dovuto soprattutto riaffermare la dignità dei lavoratori all’interno della fabbrica, farne dei soggetti coscienti dello sforzo produttivo, partecipi alla gestione delle aziende e alla responsabilità della produzione. Il fascismo aveva favorito scandalosamente i “padroni del vapore”, i grandi magnati dell’industria e della finanza, ne aveva moltiplicato i profitti a detrimento della condizione operaia, aveva imposto i patti di lavoro, aveva imposto i salari e gli stipendi, aveva aggravato e legalizzato lo sfruttamento: l’Italia di domani avrebbe dovuto essere invece l’Italia dei lavoratori, avrebbe dovuto assicurare a tutti nuove condizioni umane di vita, dare piena attuazione alle esigenze sociali dei tempi nuovi, spezzando il prepotere delle oligarchie finanziarie... 
Su questi punti essenziali: SOVRANITÀ E RESPONSABILITÀ DIRETTA DEL POPOLO, MASSIMO SVILUPPO DELLE AUTONOMIE, DEMOCRAZIA ANCHE SUI LUOGHI DI LAVORO, VASTE RIFORME SOCIALI, si può dire che vi fosse un orientamento comune delle più varie correnti, ed esso formava il contenuto di quella rivoluzione dal basso che era nell’animo di tutti ...[18].

A guerra conclusa, pertanto, la soluzione radicale a quei conflitti e la realizzazione delle aspirazioni della Resistenza non avevano bisogno di espedienti, bensì di soluzioni “… Si vuol sapere dove si va, perché e per chi si lavora e si patisce ancora. Sta bene un altro inverno di miseria, di freddo e di fame, ma poi? Che cosa ci attende? Ancora la vecchia società borghese più marcia di prima, ancora il vecchio mondo capitalistico più reazionario di prima, ancora la vecchia burocrazia, il vecchio stato, tutto il vecchio mondo più fascista di prima? QUESTO SI CHIEDE IL PAESE, QUESTO SI CHIEDONO LE MASSE che hanno lottato e sofferto per venti mesi, che hanno sopportato i più generosi sacrifici di sangue proprio perché il loro paese fosse finalmente libero, proprio perché il sudore loro e dei loro figli non servisse più ad impinguare una classe dirigente che aveva fatto così clamoroso fallimento[19].

Questi di seguito descritti sono infatti lo stato d’animo e le attese degli Italiani come riportati da Lelio Basso in quel particolare momento storico allorché si insediò la Costituente, momento eccelso di auto-identificazione primigenia del Popolo e di incardinazione di ogni futura legalità: “… oltre la situazione economica obiettiva, è da prendere in considerazione anche la situazione psicologica delle masse, tenute per molti mesi a freno nelle loro anche urgenti rivendicazioni, in vista della grande conquista politica della Repubblica e della Costituente. Non c’è dubbio che le masse, che a questo evento hanno sacrificato ogni altra richiesta, si aspettavano di ricavarne qualche miglior risultato per le proprie elementari esigenze di vita. Non per nulla su molti muri della penisola si sono viste delle grandi scritte con le parole “Pane, lavoro e Costituente o altre simili che associavano le rivendicazioni economiche a quelle politiche … Le masse si sono battute per la repubblica, ma per una repubblica che fosse effettivamente una conquista democratica, vigilante sulle necessità del popolo, e non uno strumento di difesa dei ceti privilegiati. La repubblica l’han fatta strappandola ad una formidabile coalizione di interessi che si era stretta intorno alla monarchia; come potrebbero non chiedere a questa repubblica che si preoccupi almeno di non lasciarle morire di fame? …[20].

L’Assemblea Costituente si assunse pertanto, portandolo egregiamente a termine, un preciso compito, quello di tradurre gli ideali della Resistenza in principi che avrebbero dovuto impedire una volta e per tutte all’Italia di rivivere in futuro le sofferenze causate da un sistema liberoscambista senza controllo e dedito in modo spietato allo sfruttamento illimitato della forza lavoro. Fu così che nel “tabernacolo” dell’Assemblea Costituente nacque la Costituzione italiana che decretò, si ribadisce, la sconfitta del nazi-fascismo, ma come uno dei tanti epifenomeni di rovine associate all’archetipo onnimercificante del liberalismo economico.
Ecco perché, nell’instaurare un ordine nuovo, il Popolo italiano aveva decretato che la sua sovranità (art. 1 Cost.) [21] in tanto avrebbe avuto veramente senso in quanto fosse stata finalizzata alla realizzazione dei diritti sociali (con il lavoro in primis, art. 4 Cost.) o, che è lo stesso, in quanto fosse stata diretta con ogni sforzo all’attuazione della democrazia sostanziale (art. 3, comma II, Cost.), cioè redistributiva e pluriclasse, il tutto veicolato da politiche di pieno impiego d’ispirazione keynesiana. Erano le nuove forze sociali e politiche organizzate (mediante i partiti e i sindacati) che si erano finalmente assunte l’impegno di elaborare – immettendosi nel circuito delle rinnovate istituzioni di governo – gli indirizzi politici, economici e sociali contrastanti con il ristretto interesse di una sola classe che tradizionalmente ha visto contrapposto il meccanismo di accumulazione della ricchezza al lavoro.

Tale è l’incontrovertibile essenza e ragion d’essere della Costituzione italiana, la cui funzione, quindi, è da ricercare non tanto nell’arida disciplina giuspositivistica delle “geometrie istituzionali” dello Stato-apparato e nella governance idraulico-sanitaria così predilette dagli €urordoliberisti americanizzati (interessati a svuotare del suo contenuto sociale le speranze della Resistenza), quanto quella di fissare i principi fondamentali nella costruzione dell’unità politica e nella realizzazione indefettibile dei fini che il Popolo sovrano si è incondizionatamente prefisso. I principi non sono “fondamentali” o “supremi” solo perché contenuti formalmente in disposizioni dal rango gerarchico sovraordinato, ma perché sottendono un COMPLESSO DI VALORI consensualmente posti a fondamento di una determinata società quali fattori giuridici di identità collettiva (e di progresso).
I principi supremi sono quindi la traduzione sul piano normativo di quel complesso di valori (= essenza e ragion d’essere della Costituzione) caratterizzato per la sua natura prenormativa, tanto che le norme contenenti principi/valori possono essere definite metanorme. Ciò non significa, come bene è stato sottolineato, che la lettura “per valori” della Costituzione determini “… l’emigrazione dal campo della indagine giuridica ed il necessario ingresso nell’incerto mondo della speculazione politico filosofica…”, ma è “… la conferma che anche i valori vogliono evocare il punto di arrivo del processo di crescita e di perfezionamento di una tradizione culturale che … si è tradotto in un progetto di civilizzazione dei rapporti umani attraverso il diritto ed i suoi paradigmi la cui irreversibilità è attestata … dalle costituzioni europee…[22].

Insomma, per i principi supremi della Costituzione non vale la relazione “struttura-sovrastruttura” così come semplicisticamente (ed in modo più che interessato) vuol farci credere la Commissione di Venezia
La norma sulla normazione … è fonte stessa delle istituzioni (che sono regola organizzativa della società): non è mera fonte di "legittimazione" delle istituzioni, tipizzate in precedenza dall'assetto sociale, cioè dalla struttura pregiuridica. Quindi, il fenomeno normativo, in tale (unica) ipotesi, trascende la sua stessa ordinaria funzione di "dare regola stabile" all'assetto comunque precostituito, e dà una regola che determina l'assetto delle istituzioni e delle regole che esse possono produrre”, come pure è stato spiegato a più riprese da Quarantotto con il conforto di autorevoli basi dottrinali [23].
Di conseguenza, dovrebbe comprendersi perché quei “principi-valori supremi” contenuti negli artt. 1-12 della Costituzione (frutto della “diretta azione costituente del popolo [24]) ed alla luce dei quali vanno interpretate tutte le altre, non sono soggetti a revisione, sono cioè sottratti alla disponibilità del legislatore-potere costituito (nonché dell’interprete), come affermato dalla Consulta che ha fatto riferimento sul punto proprio ai principi che appartengono all'essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione italiana” o, ancora più sinteticamente, esprimendosi in termini di “valori primari dell'ordinamento[25].

Nel delirio avvolto dal relativismo etico-morale e dal realismo mercatistico, alla Commissione di Venezia non potrebbe ovviamente essere richiesto di andare al di là della concezione di un mondo del tutto reificato.
A questo punto, però, un’ultima ed inquietante domanda si pone a valle dell’intero discorso che potrebbe aprire scenari veramente inauditi: nel caso in cui il virus incubato nelle pieghe della Relazione veneziana dovesse manifestarsi con i suoi distruttivi sintomi neo-ordoliberisti, saprebbe oggi il Popolo italiano opporre i necessari anticorpi?
__________________________
[3] http://orizzonte48.blogspot.it/search?updated-max=2016-08-30T13:11:00%2B02:00&max-results=6&start=15&by-date=false; http://orizzonte48.blogspot.it/2016/08/ventotenes-vaudeville-la-penosa-agonia.html
[5] Il testo, solo in lingua inglese, è reperibile all’indirizzo http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD(2010)001-e
[7] Così M. GOLDONI, Cos’è il costituzionalismo politico?, 2-3, reperibile all’indirizzo http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2010_n10/3-05_studi_M_Goldoni.pdf.
[8] Così M. GOLDONI, op. cit., 10-11
[9] Così M. GOLDONI, op. cit., 14
[10] Così C. R. SUNSTEIN, Il mondo secondo Star Wars, EGEA, Milano, 2016, 117 e 119
[12] La crisi della democrazia, Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale, Franco Angeli, Milano, 1977, 109, reperibile all’indirizzo http://www.mauronovelli.it/La.crisi.della.democrazia_HUNTINGTON.pdf.
[13] Così E. OLIVITO, Le inesauste ragioni e gli stridenti paradossi della governabilità, 9-10, su Costituzionalismo.it, reperibile all’indirizzo http://www.costituzionalismo.it/articoli/543/
[15] L. BASSO, Ciclo totalitario III, in Quarto Stato, 1-31 luglio-15 agosto 1949, 3-6
[16] Si veda L. BARRA CARACCIOLO, Euro e(o) democrazia costituzionale, Roma, 2013, 53 e ss.
[17] L. BASSO, La relazione Basso sulla lotta socialista per la democrazia, Avanti, 14 dicembre 1947
[18] L. BASSO, Il principe senza scettro, Milano, 1958, 90-93
[19] Così L. BASSO, Due Totalitarismi - Fascismo e Democrazia Cristiana, La liberazione, Milano, 1951
[20] Così L. BASSO, Due Totalitarismi, cit., La Repubblica
[22] Così R. NANIA, Principi supremi e revisione costituzionale (annotazioni sulla progressione di una controversia scientifica), 8, reperibile all’indirizzo http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2016/03/R-Nania-Principi-supremi-e-revisione-costituzionale.pdf
[24] Così R. Nania, op. cit., 5
[25] Corte Costituzionale sentenze nn. 1146 del 1988 e 35 del 1997

37 commenti:

  1. Un ringraziamento per questo meraviglioso articolo.

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  2. E' affascinante notare come nell'ambito del costituzionalismo neoliberale convivano da tempo due paradigmi apparentemente opposti: uno è il decisionismo, con tratti più o meno dissimulatamente plebiscitari, in nome "del"l'autonomia" ed del"l'efficienza decisionale", per dirla con Miglio; l'altro è un irenismo cosmopolita che esibisce orrore verso ogni soggettivismo politico.

    La Venice Commission pare dunque intenzionata a rispolverare il primo. Vedi appunto il sunnominato Miglio, anche lui nemico giurato della legalità costituzionale del procedimento di revisione, in nome, ovviamente, della "sovranità popolare" (la forma sociologica di attuazione della quale è una delle pagine più interessanti del lavoro, che vi riporterò un'altra volta): "Alla luce delle considerazioni svolte fin qui, è chiaro che il terzo comma dell’articolo 138 della vigente Costituzione italiana è ‘legale’ ma non ‘legittimo’ (si veda sopra il § 35); potrebbe essere ‘legittimo’ in una Costituzione non ‘democratica’: ma non lo può essere nel contesto della nostra (che i costituenti esplicitamente vollero ‘democratica’), perchè contraddice il principio della ‘sovranità popolare’, e proprio nel momento più essenziale del suo esercizio: il ‘potere costituente’."

    Il secondo filone - mi pare (ma non solo a me) - fa leva proprio sull'interpretazione per valori, impiegata non per presidiare, ma per scardinare il testo costituzionale. L'han denunciato, fra gli altri, Pace, Azzariti, Guastini, D’Atena.
    Come osserva Pace, è vero che le norme costituzionali si fondano su valori, ma questi restano nell’ambito del pregiudirico, “vivono, per così dire, allo stato fluido” finché non sono positivizzati, prendendo “la forma di norme-principio o di regole”.

    Dove sta il punto di incontro dei due filoni? Mi pare abbastanza ovvio: nello svuotare il testo della sua effettiva portata precettiva. Eloquente una citazione di Mezzanotte (Le fonti tra legittimazione e legalità, in Queste istituzioni, 1991, pagg. 50 e ss.): ”La Costituzione si è […] finalmente svelata per quello che è: non programma normativo, non un insieme di norme che intessono di sé il sistema di legalità, ma enunciazione di valori pluralistici. Paradossalmente, se non ci fosse una Costituzione, oggi avremmo in ogni caso bisogno di una Corte costituzionale; non a caso la testualità sembra rappresentare sempre meno il dato rilevante della giurisprudenza costituzionale, pure in un momento in cui assistiamo alla più forte tendenza della Corte ad inserirsi in un gioco dialettico molto stretto con il sistema di legalità”.

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  3. Ed ecco che Silvestri (La diretta applicabilità delle norme comunitarie: implicazioni teoriche, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Annuaio 1999, CEDAM, Padova, 2000, pagg. 181 e ss.) può così affermare che ordinamento nazionale e comunitario formerebbero “un continuum ordinamentale” “incomprensibile nei termini del tradizionale soggettivismo statualistico imperniato sulle due idee di Stato-persona e di sovranità”, segnato da una “spersonalizzazione totale del potere” e fondato su “valori fondamentali che stanno alla base dell’Unione in quanto elementi costitutivi delle «tradizioni costituzionali comuni».”

    E chi controlla la precomprensione di ciò che è o che incarna i valori, da una parte o dall’altra, controllerà ciò che è diritto.

    (Grazie a Francesco per il post e per le bellissime citazioni bassiane, di non facile reperibilità. A questo proposito volevo chiederti, hai delle raccolte, biblioteche fornite a portata di mano, preziose collezioni private...? :-)).

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    1. Non potendosi postulare un processo costituente fondato su un inesistente volontà popolare, - poiché non è "serio", nei fatti, affermare l'esistenza di un popolo €uropeo come fonte volontaria comune di un trattato che...mette in competizione i popoli tra loro-, si passa ad una spregiudicata operazione "ricognitiva" contraria ad ogni logica interpretativa giuridica: si affermano le "tradizioni costituzionali comuni".

      In un colpo solo, con questo assunto, indimostrabile sul piano costituzionale comparato dei principi di e "sul" mercato che distinguono in profondità costituzioni diverse, si afferma la natura costituzionale di un trattato liberoscambista e si oscura l'inevitabile dispiegarsi dei rapporti di forza nello stabilire i contenuti di simili trattati.

      Una rimozione di realtà storica (della politica economica che sottosta all'internazionalismo dei mercati) e del problema di una conoscenza adeguata delle strutture economiche che sono predicate dal trattato costituzionalizzato che solo così può essere reso, addirittura, omogeneo alle Costituzioni riguardo alla loro funzione di tutelare gli interessi compositi delle comunità sociali.

      La "spersonalizzazione del potere", naturalmente, finisce per riguardare le pubbliche istituzioni nazionali (e i processi democratici sottostanti), private della rispettiva sovranità, mentre il dilagare dell'ordine del mercato liberoscambista è in realtà un'attribuzione di potere molto personalizzata: solo che lo è rispetto a soggetti privati, e di preminente potere economico, che restano nell'ombra di questo incoerente ragionamento para-logico.

      Il segreto sta un ingannevole nominalismo: si usa una semantica giuridica, - appunto attinente a "concetti indeterminati"- apparentemente comuni-, per designare precetti e assetti sociali non posti in relazione di integrazione-compatibilità col testo costituzionale.

      Ma a dei costituzionalisti ciò deve riuscire particolarmente agevole, dato l'ostentato non obbligo di comprendere le "conseguenze economiche della pace" (presunta) €uropea.

      Purtroppo, anche i costituzionalisti che difendono su un piano logico-concettuale la precettività costituzionale, sono confinati in questa incomprensione...della "precomprensione".

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    2. Caro Arturo, in questo neo-nichilismo globalizzato (a trazione rigorosamente U.S.A.) convivono sotto un unico tetto diverse metastasi (tutte convergenti) dell’unico tumore neo-liberista. Le tue citazioni come sempre puntuali ce ne danno conferma. Si tratta solo di scegliere quale metastasi utilizzare per infettare tutto.

      Vediamo schierati giuristi come R. Bin il quale - spiegandoci anche lui cos’è la Costituzione - ammette che alla stessa sia sotteso un pluralismo di valori, ma giunge in maniera tutt’altro che innocente ad affermare che non vi sarebbe alcuna gerarchia tra gli stessi i quali, anzi, sarebbero in continuo conflitto: “… Se la costituzione incorpora il conflitto tra valori e interessi inconciliabili, ciò significa anzitutto che non assegna supremazie gerarchiche a nessuno di essi: il “RELATIVISMO” È LA FILOSOFIA UFFICIALE DELLA COSTITUZIONE, I CUI UNICI VALORI “SUPREMI” ATTENGONO AL MANTENIMENTO DEL RELATIVISMO STESSO, del pluralismo non “riducibile” ad unità …” (http://www.robertobin.it/ARTICOLI/COSTITUZIONE.htm#_ftnref67). Ciò deriverebbe dal carattere compromissorio della nostra Costituzione. Chi avesse la pazienza di leggere l’intero scritto segnalato, si renderà conto dei concetti raccapriccianti in esso contenuti e di come Mortati e Crisafulli vengano disintegrati per giungere ad aderire proprio alla tesi di…..Sunstein.

      Un tale stato dell’arte sarebbe per Bin confermato dai criteri interpretativi utilizzati dalla Corte Costituzionale (ovvero, bilanciamento di interessi, ragionevolezza, teoria dei controlimiti). Questo mi conferma che quei criteri interpretativi servono da “decaffeina”. Già, perché bisogna intendersi: o i principi sono supremi oppure non lo sono, perché la supremazia presuppone una gerarchia. E’ una questione di logica.

      Per questo ritengo che la Corte Costituzionale non abbia assolutamente fatto abbastanza per opporsi alle predette tesi dei vari Bin e Sunstein. Per capirci: che cosa vuoi bilanciare di fronte al disoccupato che prende a morsi la fame? Come si fa ad essere ragionevoli? Qual è il “nocciolo duro” dei diritti fondamentali nella teoria dei controlimiti? Ce lo dica la Corte Costituzionale (perché fino adesso non mi pare che l’abbia fatto), altrimenti non si capisce. La tutela del nocciolo duro per un disoccupato è il diritto ad un panino al giorno (possibimente in fila alla Caritas)? E per il malato di tumore che non ha i mezzi per curarsi, il nocciolo duro è due aspirine al giorno e impacchi di acqua calda rimessi all’elemosina dei “corpi intermedi” figli della sussidiarietà catto-liberista (paludata pur essa in Costituzione)? (segue)

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    3. Se così è (perché l’ECONOMIA NEO-ORDOLIBERISTA - che è l’altro vero piatto della “bilancia ragionevole controlimitante” - ci dice che è così), beh allora la si pianti di parlare della mitica persona e della sua dignità come valore supremo (perché in tal modo è degradata già a valore relativo, anzi non è nemmeno più un valore). E’ retorica orwelliana, costruita – e in maniera nemmeno tanto esemplare - con sofisticati ragionamenti giuridici degni di miglior sorte. Se è così, non abbiamo bisogno di altri trattati giuridici, sappiamo tutto, abbiamo già le opere di Darwin, di Hayek e dei loro sodali. ESSI si sono preoccupati di modificare debitamente la struttura e adesso, guarda caso, ci dicono che bisogna necessariamente modificare senza limiti la sovrastruttura. Un capolavoro.

      Perciò sarebbe interessante se la Corte ci spiegasse perché in tutti questi bilanciamenti ragionevoli e controlimitanti è sempre il 99% dei cittadini a dover essere ridotto alla fame, mentre l’1% può continuare ad arricchirsi indisturbato (a danno di quel 99%). Il relativismo neoliberista porta a tali aporie LOGICHE e queste ultime portano al peggio. Insomma, i giudici costituzionali si guardino allo specchio e ci dicano cosa vogliono fare da grandi: vogliono essere uomini o caporali? Perché nel prossimo futuro alla Corte potrebbe non bastare più dire “non sono d’accordo con la Commissione di Venezia perché esistono “i valori supremi dell’ordinamento costituzionale”. Questi sono stati già disattivati nei fatti da un bel pezzo. ESSI ora vogliono proprio cancellarli dal punto di vista materiale, ADEGUARE LA FORMA ALLA SOSTANZA (non sono per niente sicuro che i cittadini abbiano ben chiaro il concetto). E quei criteri interpretativi (alcuni dei quali di importazione nordamericana) a me sembrano essere un pericoloso cavallo di Troika.

      Alle teorie di Bin si accodano quelli che “il multiculturalismo” (alla V. Baldini http://archivio.rivistaaic.it/dottrina/teoria_generale/Baldini.pdf), altro volto del relativismo cosmetico alla Kalergi. Ci è piovuta addosso la globalizzazzzzione e la pace perpetua dell’€uro, allora dobbiamo convivere in una società aperta con tanti altri “valori” (che ESSI si preoccupano di importare sistematicamente anche con i gommoni). Non possiamo arroccarci sulla nostra Costituzione, vecchia, sorpassata, nazionalistica, non adatta ai tempi, che andava bene solo negli anni sessanta. Se ci sono tutti questi valori frutto della “naturale” globalizzazione, allora bisogna mediare ragionevolmente ed essere inclusivi. Come? Come ci ha spiegato la presidentessa Boldrini (https://www.youtube.com/watch?v=E7QePDmPHfk)

      Che si proceda.

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    4. Ed è una mitopoiesi che "arricchisce" chi la compie.
      E i poveri e gli impoveriti non hanno più voce: strani effetti del pluralismo relativista (che è poi oligarchismo costruzionista).

      Ma siamo rimasti davvero in 4-5 a riuscire a capirlo?

      QUESTA è LA VERA TRAGEDIA (pensa a 7 milioni di donne in piazza in Polonia per l'aborto e a quanti dovrebbero essere gli italiani cui hanno sottratto "elegantemente" l'intera gamma dei diritti sociali ex-fondamentali)

      ...A futura memoria

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    5. Già, Bin...

      Lo ricordo (nella stessa lectio cui accennavo in un altro commento) alterarsi e quasi urlare scandendo al microfono che "il potere È, non si oblitera né è possibile una mediazione tra i soggetti del suo esercizio... Se parliamo di sovranità dei mercati e ne accettiamo il principio, dobbiamo sapere che si sta rimovendo quell'argine che è costituito dai principi costituzionali e se ne sta privando il popolo, per sottrazione di potere allo Stato".
      (Potrei peccare di imprecisione, ma il ricordo è nitido, la sostanza era questa - e poco mancava che battesse il pugno sul tavolo; credo di conservare ancora l'mp3, posso attestare ciò che affermo: le parole chiave erano potere sovranità mercati Stato).

      Che gli è successo?
      Ha cambiato teoria, o è cambiato il Presidente del Consiglio?

      Terribile. Credevo nell'accademia.

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    6. Che poi, a guardar bene, non c'è nessuna necessaria connessione logica fra relativismo etico e nichilismo interpretativo: mi pare solo l'ennesimo esempio di quel non sequitur affabulatorio che mischia disinvoltamente filosofia e interpretazione giuridica.

      Peraltro i bilanciamenti, quando si viene all'economia, la Corte Costituzionale semplicemente non li fa o comunque non li dichiara: prende indiscutibilmente per buona la dichiarazione del legislatore circa gli obiettivi perseguiti, rimettendone alla sua discrezionalità l'equilibrio con "altri" principi costituzionali. Una parte della dottrina l'ha anche denunciato con molta chiarezza: ve ne darò notizia dettagliata.

      Quanto all'enfasi sulla "dignità", tanto cara a Rodotà (che fa anche rima), ricorderei che, come l'interpretazione per valori, si tratta di un parto del costituzionalismo tedesco, esplicitamente codificato nell'art. 1 del Grundgesetz (la Legge Fondamentale). Peccato che l'applicazione concreta della medesima sia, per usare un eufemismo, piuttosto carente sul piano dei diritti sociali: "Consultando una delle numerose rassegne della giurisprudenza della Corte costituzionale federale alla voce dignità dell’uomo si ha la sensazione che questa, come principio costituzionale autonomo, ha avuto rilievo relativamente ridotto nella giurisprudenza costituzionale, soprattutto perché fin dalle sue prime decisioni la Corte costituzio­nale federale stabilì che l ’art. 1 vuole proteggere la dignità dell’uomo solo negativamente contro eventuali aggressioni, però non comporta una tutela di fronte a delle necessità materiali; conseguenza questa di una concezione dell’art. 1 comma primo LF quale norma di tutela della persona umana per casi limite, come la degradazione, il marchio, la persecuzione, la tortura, la deportazione, il genocidio.” (C. Amirante, Diritti fondamentali e sistema costituzionale nella Repubblica Federale Tedesca, Lerici, Roma-Cosenza, 1980, pp. 8-9. Vecchia, ma per niente invecchiata monografia sul costituzionalismo teutonico che fornisce l'ennesima prova di quante cosette si siano "dimenticate").

      Quindi moritevene dignitosamente di fame o di cancro e amen.

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    7. Dimentica (anche il costituzionalismo d'antan, che fa ormai tanta "nostalgia"), che la "dignità" in positivo ha pure avuto applicazione giurisprudenziale teutonica sotto il profilo della "buona fede" nell'esecuzione dei contratti: id est, la mitologica "tutela del consumatore".

      E' chiara, in questo tratto, l'indifferenza verso le "necessità materiali" (se non sei consumatore e compartecipe del grande equilibrio naturalistico del mercato, non vieni "in rilievo" per la norma); ma è chiara anche l'ignoranza dell'economia che, al tempo, poteva pure apparire un'innocua e incolpevole lacuna dei costituzionalisti, ma che oggi li riduce a parlare di un "nuovo" (di globalizzazione arrembante), che è invece solo l'ordoliberismo "reale" fattosi istituzione.

      Il caro vecchio ordoliberismo €uropeista. Che tanto nuovo non è: a conoscere l'economia, appunto.

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    8. "Per capirci: che cosa vuoi bilanciare di fronte al disoccupato che prende a morsi la fame?"
      "La tutela del nocciolo duro per un disoccupato è il diritto ad un panino al giorno (possibilmente in fila alla Caritas)?"
      C'è di peggio Francesco, ti assicuro, c'è di peggio. Hai presente le riforme tedesche Hartz improntate sull'obbligo, al fine di ottenere un misero sussidio dallo stato, ad essere disponibili ad accettare qualsiasi tipo di lavoro con qualsiasi tipo di stipendio?
      Qui siamo oramai arrivati alla Hartz stracciona e privatizzata gestita dalla tantobbuooona Caritas e da tutto il resto del carrozzone delle "ONLUS".
      Te lo dico per esperienza diretta. Anni fa chiesi un aiuto ai servizi sociali e questi mi dissero di recarmi alla Caritas, perché loro, come servizio pubblico, non potevano fare niente, ed era anche giusto così, mi dicevano, perché, negli anni addietro, tutti erano stati di manica larga, e gli assistenti sociali avevano concesso suaidi a tutti, anche a quelli che NON SE LO MERITAVANO!! CAPITO?
      Così mi sono recato alla Caritas e, dopo aver fatto la fila, parlo con una donna anziana, TANTO PIA, che mi chiede del mio lavoro, della mia formazione e delle mie esperienze.
      Io le parlo della mia laurea, delle numerose esperienze lavorative, dei numerosi corsi di formazione, ecc. ecc. E alla fine le dico che sono disoccupato, anche se ho inviato centinaia e centinaia di curriculum.
      La tipa sta a sentire e alla fine mi dice che potrà darmi un foglietto con su scritto che potrò ritirare un pacco di cibo PER TRE MESI alla parrocchia del quartiere. Ma che dopo questo periodo lei mi vorrà rivedere per controllare i miei progressi NELLA RICERCA DI LAVORO. Poi mi dice che LA LORO MORALE È QUELLA DI CONCEDERE AIUTI SOLO A CHI DIMOSTRA DI NON ESSERE DIPENDENTE DALL'ASSISTENZA E SI ATTIVA PER ESSERE INDIPENDENTE! Poi mi dice che LORO NON CONCEDERANNO PIÙ PACCHI DI PASTA E PICCOLE SOMME DI DENARO PER PAGARE QUALCHE BOLLETTA, a tutti coloro che NON DIMOSTRANO DI DARSI DA FARE PER TROVARE UN LAVORO. Al che io LE dico:"Ma chi ha trovato lavoro almeno un piccolo reddito lo ha, anche se misero, mentre chi è disoccupato non ha nemmeno quello". Lei mi risponde che non la pensa così, e che loro aiutano SOLO CHI DIMOSTRA DI AVER TROVATO UN LAVORO!! PUNTO. Hai capito la logica STERMINAZIONISTA? Se non hai un lavoro NON TI MERITI NEMMENO UN PANINO! MUORI BRUTTO PARASSITA! IN NOME DI CRISTO!
      Quindi cosa avremo? Avremo che i disoccupati faranno la fine che sappiamo e che I LAVORATORI, per via della COMPETITIVITÀ SUI SALARI, saranno diventati così straccioni che per mangiare e sopravvivere avranno bisogno della Caritas. E GLI IMMIGRATI CHE LAVORANO NEI CAMPI PER DUE EURO AL GIORNO SONO L'AVANGUARDIA DI QUESTO SISTEMA. Quindi, caro Francesco, AVRAI DIRITTO AD UN PANINO AL GIORNO, E AD UNO SOLO, SOLO SE DIMOSTRI DI LAVORARE PER QUALCHE CAPORALE CHE TI PAGA 2 EURO AL DÌ, E SE NON FARAI COSÌ NON TI MERITERAI NEMMENO LA MISERICORDIA DI DIO!
      Che poi, lo sappiamo, la MISERICORDIA DI DIO non sarebbe tale se non fosse alimentata tramite le CASSE PUBBLICHE dai CONTRIBUENTI TUTTI!

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    9. E' evidente che la "donna anziana, tanto pia" non ha pensato tutto da sola (tra l'altro, occorrerebbe chiedere a lei se sia mai rimasta disoccupata e cosa abbia fatto per trovare un qualunque lavoro che non fosse gestire i fondi pubblici erogati allla Caritas): lei risponde a delle direttive. Sarei curioso di vedere impartite da chi e come deliberate, all'origine.

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    10. "la donna anziana, tanto pia non ha pensato tutto da sola...lei risponde a delle direttive". Sì, la penso anche io così, però non l'ho detto sennò Sunstein poi mi viene a dire che io sono un complottista perché penso che ci siano delle "powerful people" che "work together in order to withhold the truth about some important practice".

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    11. Tutti questi soggetti con le sembianze da "donna anziana" mi ricordano tanto i nani sghignazzanti e la categoria degli ultimi uomini nietzschiani. Nell'incoscienza piu' assoluta tutto e' possibile. Dopo milioni di anni l'homo sapiens sapiens non ha ancora capito che cazzo ci sta a fare su questo pianeta. Caro stopmonetaunica, la tua dignita' di persona vale molto di piu' di quello che loro sono indotti a pensare. Bisognerebbe perdonarli perche' non sanno veramente quello che fanno. Io pero' non sono diventato cosi' bravo

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    12. @stopmonetaunica

      Da un punto di vista storico, che l'ultima globalizzazione sia identificabile come complotto, ovvero come cospirazione volta a sovvertire l'ordine costituito, è assodato da decenni: da Carli ad Andreatta, da Kissinger a Rockefeller, hanno dichiarato pubblicamente l'esistenza di una grande «Cabala» (Cit. di D.Rockefeller nella sua biografia)

      Purtoppo la "grande cospirazione globale" (conflitto tra classi) suona molto "complotto ebraico" (conflitto tra razze) di nazista memoria.

      Think Tank per far girar degli slogan - tipo Venice Commission - ce ne sono uno sproposito.

      Voglio dire: etichettare come reazione alla Pavlov il proprio interlocutore, è tipica del fascismo liberale: de destra e de sinistra.

      "Complottista" è l'etichetta riservata a chi preferisce essere giudicato paranoico piuttosto che convivere con una dissonanza cognitiva.

      Chomsky è persino ridicolo quando passa in TV: è taggato con la label in sovraimpressione: "DISSIDENTE".

      Ma come si fa? In pratica chi dice cose colte ed intelligenti è... un diverso... un brutto anatroccolo tollerato dal potere grazie al suo magnanimo e liberale pluralismo.

      Bagnai è il "guru noeuro": versione italica di "dissidente" con la terribile implicazione del prefisso "no": noglobal, notav, noborder... il passo ad "estremista" è breve... poco importa che spesso gli "estremisti" sono uomini della polizia segreta (Cossiga dixit), ovvero dei mercenari al soldo del privato ma... pagati con soldi pubblici.

      Ma costoro sono colti e vengono sterilizzati politicamente senza comprometterne la dignità personale.

      Chi non ha la cultura sociale necessaria o non frequenta i salotti buoni, invece si prende dai fascisti liberal del "fascista"", del "comunista", del "razzista", dello "xenofobo", e via, morelasticheggiando offensivamente.

      Perché spesso sono offese, non sono qualificazioni che criticano un determinato contenuto ideologico.

      Leo Strauss lo afferma, da filologo reazionario, che la Storia è anche storia di complotti: chi ha ucciso Giulio Cesare?

      (Certo, se invece di usare delle lame si usa del polonio, dare del complottista agli "apoti" rimane più semplice)

      Le etichette sono l'olio di ricino dei nuovi vecchi liberali: il neoliberismo è il primo autoritarismo totalitarista a dimensioni globali.

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    13. @Arturo

      « non c'è nessuna necessaria connessione logica fra relativismo etico e nichilismo interpretativo »

      L'etica dei valori è probabilmente il problema più assillante, profondo e complesso della Storia del pensiero umano: riguarda direttamente il rapporto tra spirito ed essere e l'intersoggettività dell'esperienza coscienziale.

      Il "relativismo morale" di cui parlano questi diversamente pensatori - ossia scimmie da propaganda - è liberalismo pop.

      Ossia quella porcheria culturale che confonde il cosmopolitismo multiculturale con la teoria del cattolicesimo usuraro della scuola di Salamanca sulla soggettività del valore.

      Prontamente ripresa dai marginalisti per "spazzare le fondamenta ricardiane" del socialismo. Quelle "buone", però... Ossia la teoria del valore ricardiana, quella per cui il prezzo (quindi il valore!) delle merci era da attribuirsi al lavoro necessario per la loro produzione.

      Può essere scollegato tutto ciò dal "nichilismo interpretativo"?

      Io sto con i lineamenti di filosofia del diritto di Hegel, per quanto a livello giuridico non ci sia dubbio che tu sia nel giusto.

      Il relativismo morale viene quindi ulteriormente confuso con quello culturale, e che è subito dai subalterni a causa della desovranizzazione imposta dalla libera circolazione dei capitali e dall'imperialismo che le politiche austere del neocolonialismo di FMI, WB, ecc. si portano con sé.

      Liberalismo è da sempre libertà di strangolare e bombardare.

      Il relativismo culturale si risolve appunto con l'autodeterminazione dei popoli e con lo Stato nazione, o, al limite, con particolari forme di diritto che rilevano in base all'etnia come in Eurasia.

      Il nichilismo - e questo non lo ammetteranno mai quelli della "rivoluzione conservatrice" - è implicito nel conservatorismo sociale. Il pensiero tecnico ed economico ne è solo conseguenza ed ulteriore aggravante.

      Ti dirò di più: fenomenologicamente la Costituzione rimane "rigida" indipendetemente dalla "precomprensione" della Corte costituzionale: rimane giuridicamente per quella che è fintanto che esisteranno quei quattro o cinque che la leggono con gli occhi dei nostri maggiori Padri costituenti.

      Quando saremo "sciadobannati" definitivamente, come ci allertò Calamandrei, tornerà ad essere un pezzo di carta inerte.

      Come lo spirito di coloro che cercano di modificarla.

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    14. @Bazaar: non mi parrebbe il primo autoritarismo totalitarista a dimensioni globali, a ben vedere: è il secondo, o il terzo, tenendo conto della modalità di diffusione delle due religioni monoteistiche "derivate".

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    15. Si Bazaar, di Chomsky avrò letto circa una ventina di libri; molto interessante la sua analisi del linguaggio della propaganda (d'altronde, essendo Chomsky un linguista, è pane per i suoi denti). Un esempio che egli portava era quello dei pacifisti che andavano in piazza per manifestare contro la guerra, che i media e LE PERSONE RESPONSABILI etichettavano come ESTREMISTI. Mentre chi, sui giornali, si prodigava con paroloni per auspicare l'ennesimo bombardamento e carneficina di innocenti, si autodefiniva MODERATO!. Chomsky concludeva dicendo:"Anche Orwell ne sarebbe rimasto impressionato".
      Un altro esempio era quello di istituire un contraddittorio solamente tra due falsi opposti, e la mente degli ascoltatori sarebbe stata spinta a parteggiare ora per uno e ora per l'altro polo.
      Devo dire però che il Chosmky degli ultimi anni mi ha lasciato un po deluso, sarà per la vecchiaia o sarà che gli avranno minacciato di morte familiari e amici.
      Per quanto riguarda i complotti...è certo che c'è un reale e documentato agire di ESSI, in quanto UOMINI FANSTASTIMILIARDARI CHE VOGLIONO PRESERVARE I PROPRI PRIVILEGI DI CLASSE; solo che anche i "complottisti" sono stati infiltrati al fine di far deragliare queste analisi verso teorie improbabili sugli alieni e/o teorie che vedrebbero una razza, o una religione che vorrebbe conquistare il mondo. Queste sono tutte teorie messe nei circuiti alternativi da ESSI che poi vengono facilmente confutate e screditare insieme alla possibilità dei complotti stessi, per non fare capire a chi sta iniziando a porsi degli interrogativi, che alla fine la SUPREMAZIA È DI CLASSE, ed ESSI sono dei FANTASTIMILIARDARI, che la razza e la religione la usano solo ed esclusivamente per dividere e annebbiare la mente dei subalterni. Lo stesso dicasi con il Vaticano; che non è una religione, ma è una multinazionale immobiliare e finanziaria. Lo aveva capito benissimo Nino Lo Bello quando nel suo libro "L'Oro del Vaticano" scrisse:
      "L'autore di questo libro prevede che verrà il giorno, magari tra un migliaio di anni, in cui il Vaticano cesserà di funzionare come un'istituzione religiosa e assumerà in tutto e per tutto le funzioni di una grande impresa finanziaria."

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    16. @Bazaar: come hai capito, la mia non era né un'osservazione filosofica né sociologica. Quel che intendevo dire è semplicemente che il testo ha un significato precettivo che gli ordinari strumenti interpretativi della scienza giuridica consentono di accertare indipendentemente dalle personali propensioni filosofiche dell'interprete: il fatto che debbano ricorrere a una tecnica interpreativa tanto fumosa e antitestuale, di cui talvolta viene esplicitamente rivendicato il carattere non scientifico, quasi fosse un merito, lo dimostra a contrario.

      Mi rendo conto che è un'osservazione molto banale, ma ci stordiscono con un tale carosello di fumi, luci ed effetti speciali che un semplice "il re è nudo!" ogni tanto non credo faccia male.

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    17. @Arturo

      Proprio così: gran parte degli hegelo-marxiani della post-modernità potrebbero anche capire la supercazzola sulla soggettività del valore.

      Ma quella che tu definisci « un'osservazione molto banale » sarebbe loro incomprensibile. Troppo "empirica".... anzi, positivista!.

      (Neanche avessimo a che fare con del diritto positivo)

      L'approccio antiscientifico del filosfo e del costituzionalista patafisico, qualsiasi sia la sua falsa coscienza che crede "sistema di valori" (molto cool), non è semplicemente "non scientifico": è un volgare insulto alla logica.

      (Oltre a quella morale socratica tanto invisa ai nicciani)

      Ma se - oltre magari a sudiare la "logica" - avesse anche un pensiero logico, bé, si accorgerebbe che il suo esoterico antipositivismo, fa da contrappunto antidialettico al pensiero scientista e tecnocratico del capitale.

      Potrebbe anche comprendere che è un misero utile idiota.

      @stopmonetaunica

      Concordo su tutto e hai aggiunto anche che il "cospirazionismo" paranoico e antiscientifico è storicamente documentato come creazione delle polizie segrete: dall'Ochrana per quello che riguarda il "complottismo antisemita", a quello strumentalizzato dalla CIA per l'omicidio di JFK. Per non parlare del ruolo tra Servizi e "dietrologie" strampalate finito agli atti nei processi sulle stagioni stragiste made in Italy.

      (I porci cilindrati, grufolando tra i propri escrementi, inquinano sempre le pozze in cui si abbeverano)

      A leggere Schmitt, però, ci si accorge che il ruolo del "cattolicesimo romano" trascende quello del mero "materialismo storico" (che, come gran parte dei "rossobruni" o dei tradizionalisti, ne rifutano le premesse a prescindere).

      Ciò che nota Schmitt, è che il cattolicesimo romano non può essere ridotto alla stregua di una semplice capitalismo multinazionale: ciò che osserva negli anni '20 è che la capacità giuridica internazionale non è data semplicemente dal potere economico, ma proprio dalla "idea di rappresentazione".

      (È illuminante quando osserva che la chiesa non controlla pozzi petroliferi o altre vere fonti di potere)

      Quella della complexio oppositorum è una delle intuizioni più fulminanti di Schmitt: la composizione antidialettica (senza sintesi) della politica cattolica (che riteneva il continuum dell'essenza giuridica antico-romana, come se fosse una specie di possessione diabolica dell'impero romano stesso).

      La Chiesa cattolica È la dissonanza cognitiva.

      La chiama « burocrazia dei celibi ». È un genio.

      Mette in relazione il comportamento sessuale con la « volontà di decisione ». Ossia con quella che si rivela essere una forma totalitaria di autoritarismo.

      Purtroppo Schmitt, rifiutando il materialismo storico (e non semplicemente una grezza escatologia di un certo marxismo) è razzista ed antisemita: è ossessionato da Disraeli che afferma che « il cristianesimo è ebraismo per il popolo ».

      Quindi, poiché con Disraeli pensa di aver trovato una forma di commistione tra sionismo e liberalismo anglosassone - cerca nella Chiesa il Catechon: rifiutando il materialismo storico - e quindi la bruttura stessa e la schiavile miseria della condizione umana, non afferra che Disraeli non cerca - come crede lui - di Capovolgere la "storia": dice il vero.

      Ma non perché cerca di affermare la storia universale ebraica a detrimento di quella cristiana: semplicemente ché a livello esoterico ed escatologico certi aspetti del "materialismo storico" sono il riflesso indistintamente - non "dei monoteismi" - ma DEL Monoteismo.

      E il liberismo, è esso stesso il Monoteismo e la sua naturale - artificiosa - essenza totalitarista.

      Il Monoteismo è uno ed "N"-ino.

      E non ha nulla a che fare con l'ontologia di Leibniz e Gödel.

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    18. Grazie Bazaar per avermi riportato la riflessione di Schmitt a proposito di quell'Abisso chiamato Cattolicesimo Romano. Sicuramente illuminante la sua definizione di « burocrazia dei celibi » come forma totalitaria di autoritarismo. Sicuramente il cattolicesimo è anche questo. Non conosco però approfonditamente il pensiero di Schmitt, ma se negli anni '20 egli "osserva che la chiesa non controlla pozzi petroliferi o altre vere fonti di potere" forse aveva sottostimato il potere materiale (da cui ne deriva "l'idea di rappresentazione") del Vaticano.
      Oltre a ciò, è parte della storia documentata, che proprio alla fine degli anni '20, con la stipula dei Patti Lateranensi e l'aiuto di Nogara, la Santa Sede sia diventata una vera e propria potenza finanziaria internazionalista:"L’arrivo di Nogara portò ordine e competenza. All’ASSS (Amministrazione speciale della S. Sede) fu conferita la gestione delle somme derivanti dalla convenzione finanziaria stabilita dai Patti lateranensi, oltre che dei proventi dell’Obolo. Nogara si avvalse sia della Comit depositaria della liquidità e dei titoli di Stato (750 milioni di lire e 1 miliardo in titoli), sia di altre case bancarie europee e statunitensi, con una particolare predilezione per la banca Morgan e le sue filiali di Parigi, Londra e New York.

      La sua indiscussa abilità al servizio delle finanze vaticane gli consentì di trasformare l’ASSS in una banca d’affari operativa su scala nazionale e internazionale. Le attività si ramificarono in investimenti azionari in Italia, in Europa e nelle Americhe in particolare in USA e Argentina, dove la presenza cattolica era massiccia. Negli Stati Uniti, dove la raccolta dell’Obolo era assai rilevante, nonostante la crisi del 1929, Nogara gestì gli investimenti con prudenza, oculatezza e rapidità se sul finire del 1930 l’intera somma liquida di 750 milioni era stata quasi completamente investita in azioni e obbligazioni ad alto reddito.

      L’apporto di banche e case bancarie straniere non fu l’unico strumento. Nogara provvide a creare in Svizzera e nel Lussemburgo società finanziarie di proprietà dell’ASSS per operare con maggiore speditezza: la Profima S.A. Société immobilière et de partecipation di Losanna, la Società affari mobiliari (Samo) di Lugano e il Groupement financier luxembourgeois S.A (Grolux) di Lussemburgo, oltre che assicurarsi la mediazione internazionale della Banca della Svizzera italiana, eletta a nominee dell’ASSS."
      http://www.treccani.it/enciclopedia/bernardino-nogara_(Dizionario-Biografico)/
      E poi tutto lo sterminato patrimonio immobiliare, così come documentato da orizzonte48 qui:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/12/il-giubileo-degli-avanzi-e-degli.html
      Per non parlare del fatto che, anche se il Vaticano non sembra gestire direttamente il potere in certi luoghi, come gli Stati nazionali, di fatto vi piazza di sovente, come del resto tutte le Big Banks e le Corporations, i suoi uomini "laici" di fiducia, tra i quali, in Italia, possiamo benissimo nominare Ciampi, Prodi, Andreatta, Draghi, Monti, Letta, ecc. ecc., e lo sappiamo cosa hanno fatto questi uomini al nostro paese.
      Il Vaticano è davvero uno e N-ino!

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  4. Nel mentre leggo e ringrazio vi riporto quello che di Sunstein già sapevo:
    " His 2001 book, Republic.com, argued that the Internet may weaken democracy because it allows citizens to isolate themselves within groups that share their own views and experiences, and thus cut themselves off from any information that might challenge their beliefs, a phenomenon known as cyberbalkanization. He recanted many of the views expressed in the book before his confirmation as administrator of the Office of Information and Regulatory Affairs in order to receive Senate confirmation."
    https://en.wikipedia.org/wiki/Cass_Sunstein
    Bisogna chiarire che internet è già abbastanza controllato da Essi per divulgare il Pensiero Unico che tutti devono pensare. Nella citazione qui sopra è evidente che Sunstein non si preoccupa del pensiero unico divulgato da tutti i media mainstream posseduti da Essi, ma di coloro che possono pensarla diversamente e si riuniscono in cybergruppi, cioè come accade con orizzonte48, ma anche con goofynomics, e la sua preoccupazione è questi cittadini potrebbero diventare pericolosi perché isolerebbero se stessi dal pensiero mainstream e perciò "indebolirebbero" la democrazia.
    La sua teorizzazione è che questi gruppi "isolati" dovrebbero essere infiltrati dall'interno da qualcuno che cambi "their beliefs"!!

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    1. Ogni sistema orwelliano teorizza l'infiltrazione di "devianze" per definizione considerate fuori controllo: la tattica non riesce perché muove dall'ingenua convinzione che la propaganda e la doppia verità siano una condizione cognitiva normale nell'essere umano.

      Così non è, poiché i fatti tendono, prima o poi, a rendenre insostenibile, nel riscontro delle singole vite travolte dall'impoverimento, la propaganda mainstream, facendo emergere la sua natura oppressiva materiale e spirituale.

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  5. La conferma di quanto detto sopra arriva da ulteriore documentazione.
    Nel 2008 Sunstein scrisse un lavoro in cui la sua preoccupazione erano le Conspiracy Theories, e la cosa terribilissima da scongiurare assolutissimamente per lui erano certe idee che tendevano a propagarsi al di fuori della Democrazia del Pensiero Unico:"Many millions of people hold conspiracy theories; they believe that powerful people have worked together in order to withhold the truth about some important practice or some terrible event". Perché, lo sappiamo tutti, le Powerful People, non vogliono nient'altro che il nostro "bene comune".
    http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1084585
    Quindi, se pensiamo che esistono powerful people che lavorano insieme, cioè sono solidali all'interno della loro classe di appartenenza, al fine di portare avanti i loro interessi, e nel fare ciò eliminano la democrazia e distruggono le Costituzioni nazionali, siamo dei fottuti teorici del complotto antidemocratici che si riuniscono in gruppetti isolati; e per tale motivo le nostre convinzioni sono tarate.

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  6. Un bellissimo post, da rileggere e rileggere. Interessanti anche le notazioni di Arturo.

    In un certo senso, la cosiddetta interpretazione per valori si è rivelata meccanismo sottilmente perverso. Se non ho capito male, mentre il testo della norma rimaneva fissato nella sua rigidità, l'opera di precomprensione lo ha praticamente neutralizzato. Dato che, a livello normativo, non si registrano cambiamenti, è difficile (soprattutto per il profano) accorgersi che -in sostanza- lo stanno privando della garanzia rappresentata dalla Costituzione.
    Mi viene in mente, ad esempio, che a partire dall'estate del 2011 il Presidente della Repubblica non si è più limitato, come da testo costituzionale, a certificare e verificare la volontà delle forze politiche arrivando in sostanza a determinarla (e mutando de facto la forma di Governo), senza che ciò producesse alcuna reazione, a nessun livello..... casomai l'unica "reazione" consentita è quella di.... reinterpretare le disposizioni alla luce dei nuovi fatti politici che si sono prodotti!

    Riguardo al richiamo di una concezione squisitamente politica della sovranità e all'appellarsi -in sostanza- al principio della "Volontà generale sempre retta", per implementare -nei fatti- una forma "hayekkiana" di stato, rientra tutto -credo- nella mirabile sintesi fatta su twitter dal Pedante: "per fare lo stato minimo, ci vuole lo stato onnipotente".

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    1. Caro Lorenzo,
      l'interpretazione "per valori" è sempre il portato di uno scivolamento verso un totalitarismo. Non a caso ricorderai che andava, un tempo, la sua contrapposizione con la giurisprudenza degli "interessi" (dato che i "concetti indeterminati" avevano un "pochino" preso il sopravvento).
      Ma il pensiero si evolve, corre verso "il futuro", e, "strano" assai, torna indietro verso il favor per i più forti.
      A reti unificate...

      PS: verificare la volontà delle forze politiche? E quali? Il PUO o PUD€ che dir si voglia? Ormai la democrazia idraulica e la "Legge dell'offerta e dell'offerta" si sono istituzionalizzate.
      La chiamano "Costituzione materiale"!

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    2. "La chiamano Costituzione materiale!": se non erro, forzando platealmente l'accezione che ne dava Mortati. Traslazione semantica, come per riforme, pace, democrazia, costituzione.

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  7. Francesco propone: « Cacofonie per nuovi e vecchi cacocratici, e Musica del '48 »

    (Non pensavate forse che fosse strano caso che il primo pensatoio della nuova vecchia cacocrazia fosse a Chicago?)

    Il punto direi che è semplicissimo: la democrazia sostanziale è un prodotto dello Stato etico hegeliano, quindi è una società "chiusa", quindi non è fluida e relativistica come vorrebbe la teoria della relatività intestinale.

    La libertà assoluta del capitale è l'unica costante nel vuoto mentale, secondo la nota legge €=mc²

    Ossia: il vincolo esterno è uguale alla massa monetaria moltiplicata per la velocità della sua circolazione al quadrato.

    Nel lungo periodo il capitale rimane vivo, dato che lo spaziotempo del mercato è illimitato ma finito: quindi anche per il saggio tendenziale di profitto vale la legge dell'eterno ritorno.

    Cogito ergo sum: chi non pensa non è.

    Questo è il senso cartesiano: filosofare è pensare coscientemente.

    La Costituzione "rigida" è tale - quindi parte strutturale dei rapporti di produzione - se e solo se non esiste precomprensione, ossia se e sole se esiste coscienza.

    L'etica dei valori è la struttura della coscienza. E quell'esoterista di Hobbes era ben cosciente che l'ordine sociale cristallizzato nelle norme giuridiche e sovrastrutturato nell'ente Leviatano, si costituiva nel momento in cui la mera politica - ossia lo "stato di natura" - trovava una sua "civilizzazione" tramite la condivisione di norme morali fondamentali (secondo il celebre: "vizi privati e pubbliche virtù").

    L'idiozia di questa reazione para-medievale, è quella di credere che disintegrare la coscienza sociale - a cui appartiene la più elevata delle coscienze morali - permetta di mantenere comunque la coscienza con valori (opposti) della classe dominante: non succederà.

    All'imbruttimento delle masse segue l'imbruttimento delle oligarchie: proprio come nell'alto medioevo in cui la nobiltà era spesso e volentieri analfabeta.

    L'anarcocapitalismo è il caos da cui generare nuovamente l'ordine vecchio.

    Il paradosso della convivenza umana sta nel fatto che è la coscienza a stabilire i rapporti di forza, ma, per prevalere e dominare, è necessario essere incoscienti.

    Il principio socialista e antiliberale di Hegel - "padrone è chi non ha paura della morte", ma "è lo schiavo ad essere il padrone del padrone" in questa virtuosistica cacocrazia pornocratica (fetish) - consiste nell'aver affermato che "un individuo non può essere libero se tutti gli altri non lo sono".

    L'«hegeliano» Schmitt, stando con Carlo Galli, constatava che il «liberalismo pretende di costruire il pubblico dal privato, la politica dall'individuo, la forma collettiva dalla Bildung (la buona formazione) del soggetto, l'ordine dal calcolo dell'utilità, la prassi dalla ragione individuale dialogante, il politico dalla libertà, e di sostituire l'idea di rappresentazione (l'Idea) con la prassi della rappresentanza di individui, o interessi o gruppi»

    Quando il liberalismo anglosassone si sarà del tutto adeguato a quello austro-cattolico, il nuovo vecchio medioevo sarà realizzato.

    Manca una nuova «burocrazia dei celibi» capace di risolvere in se stessa la «complexio oppositorum» del tradizionale «cattolicesimo romano» dotato di «volontà di decisione».

    Quindi le riforme "strutturali" termineranno: e torneranno riforme e controriforme...

    (Distinguere le supercazzole dalla filosofia non è semplice, ma - qualche volta - si può)

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    1. Chi siamo noi per sondare "il mistero del cosmo" (cit.Verdone in "Un sacco bello")? Chi siamo noi per spiegare la volontà di riformare l'essere umano e cercare di definire la modernità incessante della globalizzazione?

      Hayek in fondo si interessava, ipse dixit, di psicobiologia e Menger ci svela la connessione tra capacità di riequilibrio del mercato e struttura proprietaria feudale.

      Alla fine, gli uomini che combattono meglio sono i mercenari che vengono pagati dai banchieri che si fanno grandi elettori e che vendono loro divise, armamenti e bevande prodotte sulle terre in cui acquartierano le milizie stesse, riprendendosi la paga.

      Questo in effetti, è il modo più efficiente e ordinato di costruire il pubblico dal privato.

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  8. (Può la «legge scritta» normare la convivenza di una comunità di analfabeti?

    Pochi considerano la relazione tra il grande contributo a scienza e filosofia da parte di una specifica cultura, e aver codificato per religione una Legge *scritta* rivelata da chi viene appellato «legislatore supremo»...)

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  9. Mi rendo conto che non c'è post più pertinente di questo per riportarlo, quindi ecco qui il passo di Miglio a cui accennavo sopra.

    Il nostro da un lato, seguendo la prospettiva di Huntington, riteneva che il paese fosse "malato di un eccesso di ‘politicità’, ed ogni spinta alla ‘depoliticizzazione’" costituisse "una terapia salutare"; dall'altro rivendicava però l'esercizio della sovranità popolare costituente. Come coniugare le due posizioni?

    Presto detto: la prima parte della sua proposta (la seconda comportava un intervento extra ordinem del Presidente della Repubblica: il famoso "sbrego") prevedeva una proposta di legge di revisione costituzionale popolare firmata da almeno 50.000 cittadini. La voce del popolo così a lungo imbavagliato dalla Costituzione avrebbe finalmente potuto farsi sentire durante la campagna:

    "Se tale campagna si svolgesse nel quadro di un ampio dibattito, suscitato e tenuto vivo nei ceti responsabili del paese; se a questo fine si costituissero (e si ‘federassero’) ‘clubs’ «ad hoc» in ogni parte d’Italia, e si mirasse a raccogliere firme di cittadini che contano nella ‘società civile’, allora il peso finale delle (almeno) cinquantamila sottoscrizioni, si moltiplicherebbe e diventerebbe psicologicamente troppo rilevante per essere sottovalutato o addirittura ignorato.
    Certo, in questa direzione, potrebbe diventare decisivo il ruolo degli intellettuali operatori dei mezzi di comunicazione. Se tutti (o quasi tutti) gli « opinion-makers », ancora abbastanza indipendenti dal potere
    [democratico, benintesto] — dei quotidiani, dei settimanali, della radio e della TV — sostenessero (per una volta tanto concordi) l’idea della riforma costituzionale, come modo per rifondare la Repubblica, non difenderebbero soltanto una causa, vincente in seguito al loro aiuto, ma, costringendo la classe politica a cambiare le regole del gioco, si imporrebbero come vero «quarto potere», e garantirebbero la propria autonomia contro la prospettiva — tutt’altro che ipotetica — di una progressiva subordinazione istituzionale ai detentori occasionali dell’autorità politica. Sarebbe un ‘braccio di ferro’ dagli effetti salutari.” (Introduzione a "Gruppo di Milano", Verso una nuova Costituzione, vol. I, Milano, Giuffrè, 1983, pagg. 61 e 118-19).

    Questa è la sovranità popolare finalmente liberata dai lacci e lacciuoli costituzionali.

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    1. Vabbè, visto che arco e frecce me le hai forniti tu, caro Arturo: cosa dire del legame tra "autoritarismo decisionista schmittiano", federalisti di ogni Fogno ideologico e neoliberali pinochettiani?

      Premettendo che conosco simpatici aneddoti sul gruppo di Milano: tipo telefonate segrete da cabine telefoniche per conversazioni "al riparo dal potere della democrazia mediterranea", avendo codeste persone tal spirito libertario e rivoluzionario, a Miglio l'Italia deve riconoscere di aver avuto il merito divulgativo di aver reso "celebre" una mente brillante e in eterna ricerca come quella di Carl Schmitt.

      Che a livello scientifico, per motivi strutturali, federalismo e liberoscambismo siano la medesima cosa, lo abbiamo approfondito con un numero sterminato di fonti organicamente coerenti tra diverse discipline.

      Il sospetto che il "federalista" Schmitt, per quanto sovrastrutturalmente antiliberale, ed avverso al "pensiero economico" (come Miglio...), potesse aver influenzato i pinochettiani di Chicago, rimane forte.

      Non solo avviamente per la shock doctrine della libera circolazione dei capitali garantita dalla polizia segreta al soldo dei "marchi globali", per cui il sistema delle banche centrali divorziate e dollaro-vassalle, potendo creare "lo stato d'eccezione" si sono assicurate schmittianamente la sovranità.

      Hayek prende da Schmitt gran parte delle argomentazioni contro lo Stato sociale:

      « Notwithstanding the fact that Hayek repeatedly acknowledged his intellectual debts to Schmitt, and even though a number of central features of Hayek’s legal and political argumentation parallel Schmitt’s theorizing, Schmitt’s impact on Hayekian liberalism has been effectively ignored. [...]
      Like Schmitt, Hayek ultimately sees the interventionist welfare state as a “revolutionary” threat to a political universe dominated, to use one of Schmitt’s favorite expressions, by those with “property and education” (Besitz und Bildung). Given the welfare state’s purportedly revolutionary character, both theorists are ready to unlease a rather disturbing array of political instruments against it. Moreover, both authors seek to preserve a specific institutional complex, namely a system of private capitalism unadultered by the “alien” influence of institutional mechanisms that provide representation to the socially disadvantaged. Their theories both ultimately suggest that the quest to recapture this long vanished – indeed, mythical [il laissez-faire, ndr] – institutional complex may portend an attack on core elements of contemporary liberal [rectius "social", ndr] democracy. An analysis of the “unholy alliance” of Carl Schmitt and Friedrich Hayek thus does more than provide an exegetical explanation for the sources of the more dramatic components of Hayek’s market-oriented neo-liberalism. In my view, it potentially offers a fruitful starting point for understanding the “elective affinity” between free market economics and authoritarian politics that has become so common in the contemporary political universe.
      » William E. Scheuerman.

      Per aggiungere mal di pancia ai mal di pancia, chi ha finanziato la ricerca del Gruppo di Milano è il CESES: «la filiale italiana di Interdoc, un istituto con sede all'Aja creato nel 1963 dai servizi d'intelligence della NATO per coordinare l'offensiva anti-comunista in diversi campi (dalla propaganda alle operazioni coperte) ». Eh sì, il Mieli senior, nota quinta colonna al servizio degli occupanti, era il babbo del Mieli junior, tra le altre, inauguratore e alimentatore di tutto un filone splatter su Togliatti che ancora non si è esaurito.

      Enjoy.


      (Amate i vostri figli dal loro primo vagito...)

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    2. @baazar

      L'augurio più "profondo" all'instancabile divulgatore di "deep state", "deep policies", "deep events" ...

      (f.to Antonie Pinay)

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    3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    4. Il risultato della ricerca - non banale - è, come annotavo all'inizio del commento, una segnalazione di Arturo.

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    5. Caro Bazaar, non so se mi leggerai, ma questo tuo "ritrovamento" sulla "strana coppia" Hayek-Schmitt a fini restauratori anti-stato sociale, meriterebbe un post in sé: al momento attuale, infatti, è una parte essenziale del retroscena della riforma costituzionale. Ne ho trovato oggi conferma in un articolo di un costituzionalista (naturalmente elogiativo della riforma...)

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