domenica 23 ottobre 2016

MA DI COSA SI STUPISCONO GLI €UROPEISTI ITALIANI? E SI RENDONO CONTO DI COSA STANNO COSTITUZIONALIZZANDO? WEIDMAN Sì


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1. Nel precedente post abbiamo posto in rilievo la contraddizione tra il volere la "flessibilità" di bilancio, o comunque una gestione nazionale più autonoma e discrezionale del livello del deficit, magari facendo leva sul "presunto" incoraggiamento di Obama, e l'atteggiamento invariabilmente intransigente delle istituzioni UE a trazione germanica, inserendo, simultaneamente in Costituzione "l'obbligo di attuare le politiche europee" come mission delle Camere e contenuto tipizzato della funzione legislativa.
Allo stesso modo, oggi, all'interno dei nuovi sviluppi del malcontento ostentato dal nostro presidente del Consiglio, sulla materia dell'immigrazione, verso l'atteggiamento €uropeo ("chiacchiere", porte chiuse e assenza di "civiltà").

In base a una realistica, e giuridicamente corretta, lettura del contenuto dei trattati €uropei e del contesto applicativo che i rapporti di forza, - che non possono più essere ignorati, oggi meno che mai-, quali potranno mai essere queste "politiche dell'Unione"?
La risposta ce la fornisce un documento di interpretazione autentica di provenienza germanica, cioè dallo Stato che ha (stra)vinto la "competizione" (commericiale, liberoscambista) che, come avevamo segnalato, e prima di me il prof.Guarino, si sarebbe instaurata tra gli ordinamenti dei paesi aderenti all'Unione disegnata da Maastricht, e che dunque, come in ogni organizzazione liberoscambista, avrebbe comportato un vincitore imperialista e dei "perdenti" in posizione del tutto analoga a quella dei paesi coloniali.

2. Segnalato da Marco, vi riproduco perciò il video della conferenza tenuta da Jens Weidman all'Istituto intitolato a Walter Eucken - ("The idea of ordoliberalism was introduced for the first time in 1937 in Ordnung der Wirtschaft, a periodical published by Walter Eucken, Franz Böhm and Hans Großmann-Doerth. From 1948 on it was further developed in the journal ORDO")
La conferenza verteva sul tema "management della crisi e politiche ordoliberiste". 
Era l'11 febbraio 2012: Weidman, in concreto, di fronte ai problemi posti dalla crisi dell'eurozona, ci dice che "ci vuole più €uropa", ma chiaramente non indica quello che intendono, tutt'ora (almeno nelle dichiarazioni mediatiche), gli €uropeisti italiani. 
Per Weidman, - e certamente la sua posizione è altamente indicativa della linea politica dell'interlocutore tedesco-  la costruzione €uropea è essenzialmente ispirata al paradigma ordoliberista (come ripete ossessivamente: ad es; minuto 14.10 14.40 ed altri "ordoliberalismus"), di cui Eucken è stato, sul piano della cariche e dell'azione come governante tedesco, uno degli esponenti più emblematici.

Sulla scorta di questa premessa, la democrazia, secondo Weidman, esiste nei limiti della realizzazione dell'ordoliberismo e, "ci vuole più €uropa", è una soluzione che non implica, paradossalmente (ma non troppo, nella visione costituzionalizzata dalla Germania), l'esautoramento dei parlamenti nazionali - per primo quello tedesco che rimane il giudice di ultima istanza della correttezza e dell'efficienza degli altri partners-, nell'attuare le politiche €uropee, cioè l'ordolibersimo tedesco, ma una forte aderenza alla visione del mercato e della competitività additata dai tedeschi..in nome dei trattati in quanto ordoliberisti.

3. Dunque, non un governo federale di trasferimenti, ma la germanizzazione di ogni linea di governo e di politica economico-fiscale rispetto alle rispettive comunità nazionali
E Weidman, in un crescendo di dure, se non sprezzanti, critiche ai vari principali paesi membri dell'UE, sostiene una (singolare) concezione della cooperazione politico-economica €uropea che si riduce all'obbedienza incondizionata ai desiderata tedeschi e al rimprovero per non essere abbastanza ordoliberisti; e infatti redarguisce il Regno Unito, la Francia e soprattutto l'Italia. 
Il problema dell'eurozona, per Weidamn, è l'eccesso di debito pubblico e l'enorme debito pubblico italiano, secondo lui, è imputabile all'eccesso di spesa dovuto alla condizione di "matrimonio" tra Tesoro e Bankitalia, dimenticando, con grande negligenza, irridente i fatti e i dati, che è invece proprio il "divorzio" tra questi due, e l'applicazione delle teorie monetariste esplicitamente insite nell'ordoliberismo (ben prima dell'arrivo della US-wave guidata da Milton Friedman), ad aver determinato lo spaventoso decollo della spesa degli interessi e l'ammontare record del debito italiano, all'interno del ben diverso "matrimonio" con la Germania determinato, inizialmente, dallo SME.
Il moderatore, nel commentare, subito dopo, l'applauditissimo intervento di Weidman, al minuto circa 39', accosta ad Eucken anche le idee di Hayek e Miksch (l'ordoliberista che, in vista del Colloque Lippmann, inventa il termine "neo-liberismo", come sanno i lettori de "La Costituzione nella palude").
https://youtu.be/nG2Drc0dm2w 


4. Questo video, con abbondanza di esplicitazioni, ci avrebbe risparmiato tanti post e tante discussioni fondate sulla (altrui) "mancanza di risorse culturali" (rammento un antieuro, giornalista "moderato", esperto di economia, su twitter, che di fronte al termine ordoliberismo da me indicatogli come paradigma dei trattati mi rispose: "che c'entra l'ordoliberismo?").
L'ordoliberismo o ordoliberalismo, com'è noto la discussione è oziosa, secondo Roepke (qui, p.2) e lo stesso Einaudi (che usa sul punto argomentazioni del tutto simili a quelle, più famose, di Hayek), escogita la formula "economia sociale di mercato", e a sinistra, in Italia, ciò è stato ritenuto sufficiente per considerare tale paradigma una "terza via" (ma v. qui, p.6), una sorta di neo-liberismo dal volto umano. 
Ma i fatti, rivelano che non è così; le difficoltà di "dialogo" con le istituzioni UE dell'attuale classe politica italiana derivano proprio da questa idea malcompresa.

5. Ma, sul piano di quel fatto culturale di indubbia rilevanza che è l'espressione programmatica delle idee fondanti (di un'oscura utopia, come segnala Rosa Luxemburg, anticipando i tempi, p.6), Einaudi ci aveva già delineato, nelle sue "Prediche inutili", gli effetti auspicati dell'ordoliberismo come paradigma-guida della costruzione federalista €uropea e l'aveva fatto riportandosi il pensiero di Ludwig Erhard, di cui Eucken fu ascoltato consigliere economico in plurime sedi di governo, come modello ottimale a cui fare riferimento: ne abbiamo già lungamente parlato ma ve ne riposto alcuni passaggi salienti, in tema di ordine naturalistico del mercato ed effetti sociali dell'adozione di una moneta regolata che equivalesse al gold standard:
"La politica di mercato diventa «sociale» grazie al mezzo adoperato all’uopo. Mezzo è la concorrenza e basta questa, senz’altri amminicoli, ad ottenere l ’effetto «sociale». Siccome i politici si contentano dell’aggettivo, l’Erhard volontieri indulge all’innocuo vezzo linguistico (p. 2):
"Attraverso la concorrenza si consegue una socializzazione del progresso e del guadagno e per di più si tiene desto lo spirito di iniziativa individuale.”
“Il sistema di una economia sociale di mercato inspirata ai principii liberali ha avuto un successo di gran lunga superiore a qualunque specie di dirigismo (pp. 54-55):
La riuscita di un triplice accordo che dovrebbe essere l’ideale di ogni economista di moderno stampo liberale: aumentando la produzione e la produttività e in proporzione con essa anche i salari nominali [mi auguro non vi sfugga che questa è esattamente quella che Paolo Pini ha chiamato la “regola di piombo” sui salari di Mario Draghi], l’accrescimento del benessere, grazie a prezzi stabili o magari decrescenti, va a beneficio di tutti...
...Il beneficio della liberalizzazione e il maleficio del controllo delle divise vanno d’accordo come il fuoco e l’acqua. Il controllo delle divise è per me il simbolo del male quale che sia la veste sotto la quale appare; dal controllo delle divise traspirano la maledizione e l’odore della preparazione bellica e della guerra, dal cui disordine distruttore esso è nato.
Le sanzioni automatiche valgono più di quelle concordate fra stati. Ai tempi del regime aureo la cattiva condotta economica e finanziaria di un paese dava luogo senz’altro, senza uopo di accordi internazionali, alle necessarie sanzioni (p. 169)...".
Al tempo della valuta aurea non venivano impartiti ordini né da istituzioni né da persone. Esisteva il comando anonimo, impartito dal principio regolatore, dal sistema. Esso però non era gravato da idee di sovranità nazionale, né dalle fisime di una possibile autonomia politico economica, né da preconcetti o suscettibilità di qualunque genere.”.10. E, nel prosieguo dell'esposizione, si comprende anche come, se poi invece del comando anonimo servono i memoranda del MES, come la Corte di Giustizia ci insegna, va bene lo stesso. 


6. Prosegue l'esposizione di Einaudi sull'ordoliberismo da lui condiviso:
 ...“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozionc che né uno stato né un popolo possono vivere al disopra delle «proprie condizioni ».Se si vuole che la moneta sia stabile, importa innanzitutto mettere in ordine la propria casa. Perciò l’Erhard è scettico rispetto al toccasana dell’europeismo se questo non è preceduto ed accompagnato dall’ordine interno (p. 169)
O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208): quanto mai pericolosa
Conclusioni di Einaudi... 
“Gli estratti da me insieme cuciti nelle pagine precedenti chiariscono il significato sostanziale dell’aggettivo «sociale» ficcato in mezzo alle parole « politica di mercato », che sono il vero sugo della dottrina di Erhard...anche il qualificativo «sociale» è un semplice riempitivo. A differenza di quello del Martini, che è di gran peso per la persistenza dell’aggregato umano, il riempitivo «sociale» ha l’ufficio meramente formale di far star zitti politici e pubblicisti iscritti al reparto «agitati sociali».”

7. Tutti concetti che ben avrebbero potuto essere enunciati da Weidman nella sua conferenza qui riportata. 
Insomma, solo una miopia e difetto di comprensione di un processo che dura da sei decenni, inalterato nella sue linee guida irrinunciabili, e molto ben accette in importanti ambienti economico-culturali italiani, potrebbero giustificare il disappunto e la delusione da parte del nostro presidente del consiglio, come se le reazioni degli interlocutori UE fossero qualcosa di imprevedibile e sorprendente, e non invece un comportamento assolutamente coerente.
 
Ma, una volta che i fatti obblighino a prendere atto di questa coerenza immutabile e della precisa connotazione che implicano, in termini di politiche economico-fiscali e del lavoro (che coincidono con quelle di gestione degli immigrati, inutile fare le belle statuine e negare questa realtà), a maggior ragione, che senso ha costituzionalizzare l'adesione all'€uropa e l'obbligo di attuare le politiche €uropee?

8. Volendo, "politicamente", lo si può fare; è, nella sua sostanza, una scelta già implicita nello SME e in Maastricht
Però poi occorre assumersene la responsabilità e non soprendersi di esiti, nefasti per l'Italia, che sono esattamente quelli ripromessi dalla costruzione €uropea e sui quali, da tanto tempo, gli ordoliberisti tedeschi, ma anche Einaudi e i suoi epigoni italiani, (che non sono mai mancati, prima a destra poi a sinistra), avevano fornito spiegazioni chiarissime e inequivocabili.
Stupirsi e sollevare questioni, a questo punto, è solo questione di inconsapevolezza: e di non aver studiato, quando si era ancora in tempo...

28 commenti:

  1. « che senso ha costituzionalizzare l'adesione all'€uropa e l'obbligo di attuare le politiche €uropee? »

    Ma infatti nessuno del "NO" al referendum lo fa notare: perché tutta la "sinistra storica" è stata microcchipata con "europeismo" == "comunismo".

    Il Fogno.

    Ma è chiaro che ci son persone di profondo senso "democratico" e solidaristico che non comprendono che non è possibile passare dal liberismo al socialismo senza una guerra, una rivoluzione volenta dei rapporti sociali in un contesto di coscienza profonda e diffusa? Queste persone pensano: « intanto cediamo la sovranità ad un livello superiore » (la differenza tra limitare la sovranità esterna per godere dei benefici di un ordine internazionale ispirato "all'uguaglianza tra nazioni" e cedere la sovranità democratica che appartiene al popolo ad istituzioni internazionali di carattere commerciale, sfugge).

    « Quando ci sarà un unico stato mondiale facciamo la Rivoluzione... »

    Chissà perché, però, i socialisti la menavano con la "coscienza".

    Una massa kalergica di individui atomizzati, e privi di qualsiasi identità e coscienza, dispersi tra macroregioni sulla superficie della terra, senza più la conoscenza delle materie storico-umanistiche, dovrebbero - secondo i "sognatori" - fare una grande rivoluzione che ristrutturi i rapporti di produzione in ottica egualitaria?

    Gli è stato detto: « compagni, l'URSS è crollata e il capitalismo ha sterminato i popoli socialisti, in parte biologicamente, in parte spiritualmente: ma noi siamo furbi. Facciamo la globalizzazione con i liberali democratici, tipo i Clinton, quando tutti gli Stati nazione sarano distrutti e i proletari di tutto il mondo si saranno affratellati senza più le frontiere brutte e fasciste, freghiamo i capitalisti: in una volta sola facciamo la Rivoluzione... »

    Non riesco manco più ad incazzarmi.

    Provo pena.

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    1. Arturo ci aveva rammentato il "jacquattalismo" come esempio teorico paradigmatico di questo atteggiamento.
      E concorderei con una postilla: risulta paradigmatico proprio perché estero-proveniente e, come tale, adottabile in forma adorativa parareligiosa.

      Per poter arrivare, senza praticamente colpo ferire, a questa iperconvizione di massa (che passa peraltro per essere una raffinata strategia da intellettuale a la page), è prima occorso il lungo decennio craxista-caf(fiano), in cui ogni possibile rimasuglio della coscienza di classe è stato estirpato con abili promesse di salto verso l'alto di classe sociale per tutti. O almeno alla portata di tutti (una versione spaghetti-liberal del tatcherismo).

      Quando l'ordine sovranazionale dei mercati ha preso il sopravvento, quella stessa massa (...di raffinati intellettuali di sinistra), aveva ormai perduto i mezzi culturali per capire cosa ci fosse VERAMENTE scritto nel manifesto di Ventotene (e pure in quello di Marx ed Engels...ma per moitvi opposti).

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    2. Difficile pensare a una instillata uguaglianza comunismo=europeismo, per il semplice fatto che la "sinistra" italiana rappresentativa non è comunista e non parla di comunismo (men che meno poi di rivoluzione) da diversi decenni. Se l'europeismo è diventato a sinistra una confusa bandiera negli anni novanta e ancor più dopo il 2000, cioè quando il comunismo era già da tempo una parola che si aveva paura a maneggiare, perché avrebbe richiesto di fare dei conti con il passato che non si volevano fare, è proprio perché si poteva agevolmente scindere europeismo da un comunismo con cui nulla aveva in comune, non sovrapporvelo. Altrimenti sarebbero stati i dirigenti per primi a non voler utilizzare quel concetto.

      Se mai, sono alcuni di coloro che si richiamano al comunismo a essere oggi tra i pochissimi a denunciare nella campagna referendaria il mandante vero della riforma nel liberismo UE.

      E' invece purtroppo vero che a sinistra una formazione approssimativa, pressapochista e confusa, anzi orecchiata, ha fatto sovrapporre i concetti di stato come insieme di istituzioni oppressive e repressive, magari foriere di nazionalismo (e anche la guerra yugoslava che certo molto ha ravvivato simili timori andrebbe magari riletta alla luce di quanto sappiamo oggi sulle politiche tedesche?) e cessione di sovranità a organismi sovranazionali (scambiati magari per un'ONU al quadrato) come luce positiva che allontana da noi il male dello stato... semplicemente per spostarlo, con annessi e connessi repressivi e oppressivi, altrove! E, bisognerebbe forse aggiungere, a vantaggio di ancora altri interessi. Come credere che la vantata abolizione di Equitalia possa significare la fine dell'imposizione fiscale. Non parliamo poi della Costituzione sconosciuta o dell'idea che nel 1948 sulla composizione degli interessi avessero potuto pesare rapporti di forza sino ad allora inediti: concetti totalmente impensabili in quell'armamentario mentale.

      Insomma l'ignoranza.

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    3. Concordo con le analisi.
      Purtroppo va rilevato che il cosiddetto "Fronte del NO" si concentra molto sul fenomeno a valle (forma di governo, abolizione del bicameralismo, numero dei parlamentari), trascurando invece quello a monte, che -a livello costituzionale- si estrinseca attraverso due passaggi: a) pareggio di bilancio (nuovo art. 81, approvato con maggioranza bulgara eterodiretta via spread che dimostra come, in fondo, lo "stato di eccezione" sia più che sufficiente ai fini di ESSI), ed il recepimento degli "obblighi europei" come vera e propria fonte costituzionale dal nuovo articolo 117 (e il principio di reciprocità delle limitazioni di sovranità di cui all'art. 11? Che fine fa? "Neutralizzato" in partenza da una dottrina già pronta a ritenere prevalente l'una norma sull'altra?). Obblighi che Weidmann dice chiaramente senza se e senza ma: chi non vede è perché non vuole, non perché non può.

      Le obiezioni più ricorrenti, infatti, non sono di fondo e rimangono per lo più confinate nel perimetro politico già tracciato dall'ordoliberismo. La riforma non va bene perché "non si risparmia davvero", oppure perché "le leggi si approvavano rapidamente anche prima" (leggere 'Anschluss' di Giacché insegna a cosa serve avere un parlamento efficiente e rapido nell'approvare le leggi: di certo non a fare gli interessi di quel popolo che dovrebbe rappresentare....). Nessuno, per contro, che ponga obiezioni di reale principio.

      I Costituzionalisti hanno ben chiara la compromissione del metodo democratico, ma non collegano, tuttavia, l'involuzione istituzionale all'evoluzione economica in chiave liberista. Non so fino a quanto comprendano la scissione che si è verificata tra liberalismo economico e quello politico.

      E' incredibile, poi, vedere la "sinistra" investire politicamente in tutto questo. Ma a ben vedere, di che sinistra stiamo parlando? La mia personale (e sintetica) sensazione è che, a partire dal '68, la sinistra italiana si sia trasformata in un'immenso partito radicale ("sinistra del costume", appunto, come dice Fusaro, saldamente liberista in economia e atlantista in politica estera), sostanzialmente suicidando se stessa.

      Detto questo, per me se il referendum non passasse sarebbe già meglio di niente. Ma quel risultato andrebbe comunque letto alla luce dello stato di eccezione imperante.

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    4. Sei sempre sicuro che non vuoi partecipare - come relatore- a qualche convegno di recupero della cultura costituzionale? (Se non ora quando?) :-)

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    5. Va precisato che il PCI dagli anni'70 almeno si propone e si dichiara il partito che difende lo stato e le sue istituzioni (allora non europee). Non per questo si trasforma automaticamente in partito radicale, basti pensare alle infinite e talvolta ridicole esitazioni sui temi dei diritti civili che durano ancora oggi, malgrado le strigliate della UE in persona. E' senz'altro vero che qualunque cosa ricordi la lotta di classe, per dirla senza eufemismi, scompare dal discorso politico di tutta la sinistra, PCI o no, o delocalizzandola nel confortante altrove dei paesi sottosviluppati, il che dà occasione di fustigare i nostri pretesi ma in fondo miseri edonismi e di trasformare la nostra impotenza in gratificante azione caritativa, o sublimandola in un'Europa che dovrebbe costruire chissà quale "altro" modello di convivenza, o appunto, e ciò è il peggio, inabissandosi in una sostanziale ignoranza dei modelli giuridici e dei diritti della Costituzione italiana, proseguendo così la sua sostanziale inattuazione a livello di consapevolezza diffusa.

      La saldatura tra no allo stato e sì all'Europa allora dove passa, a livello medio basso, non di dirigenza? In parte, sicuramente per le guerre yugoslave in cui paradossalmente si esplica un attivismo fortissimo della sinistra italiana non strettamente partitica; ma da lì riprende probabilmente forza un'idea di sovranazionale che distemperi le tensioni nazionaliste, nello stesso momento in cui l'Onu viene sempre più screditata e sostituita dalla Nato. Tuttavia la diffidenza verso la UE resta forte fin nei primi anni 2000, in cui si parla parecchio di libera circolazione anche dei lavoratori, non necessariamente extracomunitari, di zone speciali e di privatizzazione dei servizi. Simbolo del liberismo UE a sinistra è allora la direttiva Bolkenstein. Che verrà poi ritirata (credo), ma al suo posto sulla UE cala il silenzio, fino al fiscal compact. Forse questo passa anche per i postumi di Genova 2001, quando si scompagina in un generale parapiglia un mondo di fatto dispersosi. Si preferisce spesso evadere nello spazio dell'altrove quando il nostro appare impossibile da modificare, quando non abbiamo più gli attrezzi mentali per ipotizzare dei cambiamenti: e potrebbe essere stato così anche allora, con l'accento sempre più esclusivamente posto sulle povertà estreme e le "migrazioni".

      Paradossalmente le una tantum come i prelievi dalle tredicesime o dai c/c risvegliano meno l'attenzione di questo tipo di sinistra... anche perché avendo da tempo perso gli strumenti per decifrare un discorso economico e la stessa coscienza della sua centralità non essa è più in grado di recepire le implicazioni strutturali profonde dell'operazione. Né di ricordarsi chi le aveva ben presenti venti anni prima.



      Praticamente e detto da profana il FdN si concentra una volta di più sulla parte rappresentativo-elettorale, dimenticando democrazia partecipata e diritti resi possibili dalla prima parte della C. in barba al pareggio di bilancio. Contribuisce a far passare sempre più l'idea che l'essenziale sia mettere una scheda da qualche parte, come se non si sapesse che si è votato sotto tante dittature.
      Mi è capitato persino di sentir parlare in una riunione di reddito di cittadinanza "perché noi non lo abbiamo, siamo indietro e persino in Grecia ci sono misure più protettive chieste - ma toh! - dalla UE"!!!

      Comunque ci tocca ancora sperare che ce la facciano, a essere convincenti, perché con un sì sarebbe peggio e qualunque discorso più difficile.



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  2. p.s.

    ho messo "democratici" tra virgolette proprio perché sono le costituzioni democratiche a permettere in modo incruento - e forse l'unico "modo" in assoluto - la ristrutturazione dei rapporti di produzione e la socializzazione del potere economico e politico.

    Possono essere definiti democratici - nel senso sostanziale del termine - costoro?

    Esiste un problema morale?

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    1. Direi che esiste un problema energetico: indebolendo la propria consapevolezza, a causa dei mezzi culturali e mediatici utilizzati questa volta per schiacciare il conflitto sociale, muta lo stesso concetto "sociale" di democrazia.

      La democrazia sostanziale diviene un concetto, sottolineo "normativo", al di là delle possibilità energetiche e di comprensione e tutto scivola in un nominalismo apparentemente soggettivistico ma eteroguidato (che è quello che dilaga in questi giorni sulle TV).

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  3. Nel 2009 uno studente, già “ordoliberalizzato”, chiede ad Amato: Non pensa che la Costituzione italiana vada riscritta al più presto, anche perché manca una matrice liberale, che oggi rappresenta più o meno il 40% degli Italiani?

    AMATO: Dove mancherebbe una matrice liberale?

    Studente: Nella Costituzione italiana, visto che è stata redatta più o meno da legislatori cattolici e comunisti

    AMATO: Questo è assolutamente vero. Io Le consiglierei la lettura di un piccolo saggio che scrissi qualche anno fa, intitolato Il mercato nella Costituzione, in cui tentai di spiegare un punto su cui oggi tutti dicono essere d'accordo: noi cittadini abbiamo bisogno di regolamentazioni, abbiamo bisogno della maggior tutela possibile degli interessi collettivi, ma L'ECONOMIA DI MERCATO È IL CEPPO PRINCIPALE SUL QUALE PUÒ ESSERE COSTRUITO UN CONCRETO SVILUPPO, UN VERO BENESSERE. Questo punto di vista, quando la Costituzione fu scritta, VENIVA CONDIVISO DA LUIGI EINAUDI E DA ALTRE TRE PERSONE, in tutta l'Assemblea Costituente*. Tutto sommato il linguaggio elastico della Costituzione si rivelò talmente elastico, che noi italiani riuscimmo, progressivamente, a consolidare la nostra economia come un'economia di mercato, sia pure accanto a tanti aspetti propri di una economia pubblica, e si riuscì a fare questo senza bisogno di modificare la Costituzione. Le disposizioni costituzionali andarono dilatandosi e allargandosi. È un punto sul quale bisognerebbe tornare.

    Vuole sapere la mia opinione? Penso che al momento attuale sarebbe sbagliato mettere mano ad una modifica del dettato costituzionale ispirata a questo proposito, perché, in effetti, resistenze, resipiscenze, diffidenze, nei confronti di un pieno riconoscimento dell'economia di mercato, anche all'interno degli stessi schieramenti principali, continuano ad esserci, e, se si dovesse affrontare il problema, come questione di principio (il che sarebbe inevitabile, dovendo scrivere delle norme da XII Tavole, come dovrebbero essere quelle di una Costituzione) si rischierebbe di trovare ancora innanzi al proprio cammino, con grande delusione, fantasmi del passato.

    È già accaduto, quando, anche nel nostro paese si cercò di riscrivere il cosiddetto principio di sussidiarietà, il principio politico - economico che esprime in tutto il mondo, per tutti gli economisti, (siano di Destra o di Sinistra), l'idea che le attività economiche in una economia di mercato dovrebbero essere tendenzialmente private e che lo Stato dovrebbe occuparsi di economia soltanto per tutelare degli interessi che i privati non siano in condizione di gestire o di proteggere da soli, e per disporre delle regolamentazioni contro i monopoli. Purtroppo questa formula non è passata (N.d.R: inceve passò con la riforma costituzionale del 2001). A mio avviso, allora, È MEGLIO CHE QUESTA "LAVA", QUESTO SEDIMENTO DI DIFFIDENZE, SI RAFFREDDI COMPLETAMENTE, PRIMA DI AFFRONTARE UNA QUESTIONE DI PRINCIPIO COSÌ ASPRA COME QUELLA CHE LEI HA APPENA SOLLEVATO…” [E’ necessario riscrivere la Costituzione?, Il Grillo, 22 febbraio 2009 all’indirizzo http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=262#Attualità].

    (*Il saggio richiamato nell’intervista è Il mercato nella Costituzione, in Quaderni Costituzionali, 1992, 1, 8 ss., nel quale Amato affermava “… nella cultura dei costituenti il mercato era tendenzialmente un disvalore, difeso solo perché inesorabilmente accoppiato alla libertà politica. Più tardi, GRAZIE PRINCIPALMENTE ALL‟INGRESSO DEI PRINCIPI COMUNITARI, il mercato - inteso come competizione e concorrenza - è stato acquisito nella sua valenza positiva di promotore di efficienza economica e organizzativa. La Costituzione scritta è perfettamente in grado di ospitare questa aggiornata visione…”). Questo signore siede in Corte Costituzionale. (segue)

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  4. Mario Monti al “Sola24ore” del 22 agosto 2008 dichiarava:

    “… Quando promuovevo in Italia “l’economia sociale di mercato” NEGLI ANNI ’80 e mi chiedevo perché L. Erhard avesse avuto successo in Germania con gli stessi principi che Einaudi non era riuscito a far prevalere in Italia, andare verso l’economia sociale di mercato era per l’Italia una sfida. Quel modello di stampo tedesco stava diventando – CON IL TRATTATO DI ROMA E POI CON QUELLO DI MAASTRICHT, ALLORA IN FASE DI CONCEPIMENTO – la costituzione economica europea. Includeva ASPETTI ANTITETICI al pensiero e alla prassi dell’Italia di allora: stabilità monetaria, banca centrale indipendente, disciplina di bilancio, mercato aperto e concorrenziale. Certo, c’era anche il “sociale”, ma perseguito ordinatamente con un sistema fiscale redistributivo; NON DISORDINATAMENTE, CON PREZZI POLITICI ED ALTRE INTERFERENZE DELLO STATO NEL MERCATO. Per l’Italia, andare verso l’economia sociale di mercato VOLEVA DIRE ANDARE VERSO LA DISCIPLINA e verso l’Europa. QUESTO FONDAMENTALE PROCESSO, LENTAMENTE, EBBE LUOGO. Oggi il richiamo all’economia sociale di mercato, in particolare in Italia, dà a volte l’impressione di essere pronunciato con un’ispirazione opposta. Si è un po' insofferenti verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato, a allora si “rivendica”, in contrapposizione alla prova non buona data di recente dal modello americano … la legittimità, anzi la necessità, di maggiori dosi di socialità e di discrezionalità politica…” [https://s3.amazonaws.com/PDS3/allegati/monti3-sole2457610.pdf].

    Questi signori sono stati sempre coscienti del fatto che la nostra Costituzione è incompatibile con l’ordoliberalismo, ma lo hanno ugualmente promosso e foraggiato contro i cittadini sovrani. Sono tutti colpevoli.

    Oggi che la “lava” si è quasi del tutto raffreddata, sono pronti per innestare in via definitiva l’ordoliberismo in Costituzione.

    Ho forti conati di vomito

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    1. Ma lo "studente" (che alza la palla all'uopo), nel frattempo, si è meritato un mondo in cui non avrà retribuzione dignitosa, una decente pensione e, entro, poco, neppure l'assistenza sanitaria pubblica.

      Almeno glielo auguro: per poter coronare il suo "sogno" del "mercato", che sicuramente provvederà a lui in modo amorevole e razionale. Specialmente razionale...

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  5. Scusate per la citazione un po' lunga, ma è di una tale cristallina franchezza che merita:

    “La Costituzione è il punto di intersezione fra la concezione cattolica e la concezione marxista dei rapporti tra società ed economie, tra società e Stato. Le accomuna il disconoscimento del mercato in quanto istituzione capace di orientare l’attività produttiva verso il conseguimento degli interessi generali e la individuazione nello Stato dello strumento più idoneo per orientare la produzione al­l’interesse generale.
    La presenza della «terza cultura», quella di Luigi Einaudi, ha lasciato tracce meno profonde nell’impianto costituzionale. Tra esse riveste primaria importanza l ’articolo 81, nel quale Einaudi, confortato dal consenso di Ezio Vanoni, Pella ed altri democristiani, vedeva garantito il principio del bilancio in tendenziale pareggio. In realtà, l’automatismo che si riteneva di aver istituito poggiava su un errore concettuale. A quei tempi infatti si pensava che eventuali spese aggiuntive per la pubblica amministrazione potessero derivare soltanto dall’ istaurazione di nuove leggi. Per questo, l’obbligo di indicare la fonte della copertura per una spesa venne estesa soltanto alle leggi di nuova istituzione. Non si immaginava che la tumultuosa e improvvisa crescita della legislazione sociale degli anni Settanta avrebbe fatto sì che le maggiori spese derivassero piuttosto dal bilancio stesso, dalla forza inerziale della spesa autorizzata da leggi a carattere pluriennale, e quindi dall’impianto della legislazione vigente che si trova al di fuori del vincolo di copertura.
    L’errore concettuale deriva dal fatto che Einaudi e Vanoni avevano a quei tempi esperienza di uno Stato rigorosamente «minimo». Anche il rinnovo dei contratti per i pubblici dipendenti era un atto unilaterale dell'amministrazione, e non il frutto di un negoziato con i sindacati.

    Einaudi, l ’inflazione e i comunisti. Perché la parte economica della Costituzione è sbilanciata a favore delle due culture dominanti, cattolica e marxista? Forse per prudenza, forse per caso, De Gasperi ed Einaudi avevano costruito in pochi mesi una sorta di «Costituzione economica» che avevano posto però al sicuro, al di fuori della discussione in sede di Assemblea Costituente. Saggiamente, ad esempio, Einaudi aveva evitato che si facesse menzione della Banca d’ Italia nel testo costituzionale. E fu una fortuna, se si pensa che alla Costituente si valutò l ’ipotesi di affidare la vigilanza sul sistema del credito all’Iri piuttosto che all’istituto di emissione.
    La «Costituzione economica» fu il coronamento della cosiddetta «stabilizzazione della lira» e in qualche modo ne rovesciava i contenuti. Ebbi modo di discutere con Donato Menichella ciò che accadde nei mesi tra l’autunno del 1946 e la fine del 1947. La convinzione che Menichella aveva maturato è che Einaudi prima dell’agosto 1947, avesse lasciato deliberatamente correre il credito bancario, che andava a finanziare accaparramenti di merci, importazioni di beni e di consumo e, ovviamente, aumenti dei prezzi. Contemporaneamente, Einaudi consentì che il Tesoro utilizzasse a piene mani lo strumento della monetizzazione del disavanzo, giustificata pubblicamente nelle Considerazioni finali del maggio 1947, nelle quali fece il gioco delle domande retoriche, «avrebbe potuto il governatore...?»."

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  6. "Einaudi favorì la galoppata dell’inflazione, perché era impossibile attuare una politica di spesa pubblica (non vi erano i fondi in Tesoreria) e perché egli non condivideva politiche keynesiane. Un’ondata di liquidità sospinse una ripresa economica, inflazionistica, e forse contribuì ad evitare la rivoluzione armata comunista.
    Einaudi sapeva di giocare con il fuoco. Attuò quella politica per pochi mesi, in una situazione di vuoto giuridico e istituzionale primordiale, hobbesiana. L’inflazione fu lo strumento per far accendere gli spiriti vitali dell’economia e riattivare impianti industriali i quali, secondo Einaudi, non avevano affatto subito distruzioni irreparabili dalla guerra. Questa situazione di caos primigenio consentì di polverizzare l’indebitamento che lo Stato italiano si portava dietro. Poi, all’improvviso, Einaudi promosse un’azione di segno esattamente opposto con strumenti distribuiti a tutti i livelli normativi.
    1) Fece nascere il Comitato per il credito e il risparmio che sottrasse al sistema liquidità con l’istituzione delle riserve obbligatorie. La Fiammata inflazionistica si spense in pochi mesi, manifestando così la sua origine strettamente monetaria. Einaudi aveva fatto sfogare l’inflazione repressa, per poi stroncarla con uno strumento di controllo quantitativo della moneta che avrebbe dovuto tenerla a bada per sempre.
    2) Dopo aver finanziato lo Stato con l ’emissione di moneta, promosse il decreto 7 maggio 1948, n. 544, con il quale si proibiva la pratica delle anticipazioni straordinarie, e si istituiva un semplice strumento che consentiva elasticità di cassa, ma che poneva un freno ad una politica sistematica di monetizzazione del debito.
    3) Promosse l ’approvazione dell’articolo 81 della Costituzione per garantire che, in futuro, l’amministrazione pubblica non si trovasse mai più nella situazione di dover monetizzare il disavanzo. Il bilancio tendeva al pareggio e garantiva contro future fiammate inflazionistiche causate da improvvise occorrenze monetarie dello Stato.
    4) Punto di approdo di tutta la strategia, la decisione di aderire alle istituzioni monetarie internazionali con una lira non più destinata a una spirale di svalutazioni continue.
    5) Einaudi volle infine che una buona legge come la legge bancaria del 1936 fosse mantenuta al centro dell’ordinamento finanziario, con alcune interpretazioni innovative. Infatti, l ’impianto concettuale del lavoro di Beneduce e Menichella rispondeva a preoccupazioni di carattere patrimoniale, e di tutela dei depositanti. Essa venne, invece, piegata ad una nuova interpretazione, anche macroeconomica. Il legislatore aveva attribuito alla Banca d’Italia il potere di introdurre limiti quantitativi all’espansione del credito bancario, ma era estranea allo spirito della legge la concezione secondo la quale il credito bancario produce l ’espansione della moneta, e dunque dei depositi."

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  7. Si trattava di una strategia magistrale in difesa dello «Stato minimo» borghese, con un’alternanza di manovre che oggi diremmo di «stop and go», che attuò una sorta di primo divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Tuttavia, era una strategia extra costituzionale, nata e gestita tra la Banca d’Italia e il governo, e dunque legata a una dialettica istituzionale propria di uno Stato borghese, che non avrebbe retto ai mutamenti dei decenni successivi.
    Le forze propulsive che hanno spinto l ’evoluzione della società italiana nel corso dei decenni successivi si sono costantemente ispirate al solidarismo cattolico e al collettivismo marxista. Dal loro intreccio ha ricevuto impulso la politica della gratuità delle prestazioni pubbliche. La nostra adesione alle istituzioni internazionali, alla Cee in particolare, ha costituito un freno, abbastanza forte da condizionare ma non tanto forte da impedire l ’ allargamento della presenza pubblica nell’ industria, l’adozione di comportamenti inflazionistici.”. (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17).

    Ma per fortuna c’è l’happy end: Maastricht.

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    1. Dove si vede come anche Carli non avesse capito quanto avesse contato, in termini pratici, il ripudio del liberismo e del neo-liberismo (inclusivo della teoria quantitativa della moneta nelle proposizioni di Einaudi e gli ordoliberisti), avvenuto in Costituzione.

      Ripudio che non aveva nulla a che fare con l'avversione alla libera iniziativa economica privata, come dà invece ad intendere l'Amato di cui sopra, confondendo, ocme sempre, l'equilibrio keynesiano di domanda e offerta aggregate, con quello marginalista -marshalliano, fondato sulla generalizzazione dell'equilibrio prezzi-costi marginali della singola impresa.

      E tutto questo, dato che alle "fantasie" storico-economiche degli ordoliberisti sfugge che la "lievitazione" del settore industriale privato italiano fu dovuta all'immediato e robusto sostegno all'occupazione e alla domanda dato dalla grande, e amplificata, industria pubblica.

      Le politiche deflattive di Einaudi non c'entrarono in nulla: semmai, - nella consueta ossessione per la competitività e per le riserve di valuta pregiata, trascinatasi dai tempi in cui acclamava il fascismo-, acuirono il conflitto sociale, consentendo un rafforzamento del partito comunista rispetto alla situazione di prevalenza dei socialisti in Costituente.

      Lo stesso Carli cadeva in questo equivoco: scambiare Rosa Luxemburg per Stalin.

      Tutt'oggi questa è la vulgata prevalente che infiora le "ricostruzioni" espertoniche ordoliberiste di destra (dov'è un mantra fisiologico, oltre che esercizio di ignoranza dei dati normativi e macroeconomici), ma più che altro di sinistra. Naturalmente sognatrice e €uropeista.

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    2. E pensare che basta una lettura dei documenti dell'epoca per chiarire l'"equivoco".

      Per esempio sulla relazione della Presidenza della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente, un documento ripetutamente citato nei lavori dell'Assemblea, leggiamo:

      “Fu esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.

      Si è già rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.

      La Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa cooperazione.

      La possibilità di occupazione nella attuale situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e da una politica di lavori pubblici. L’orientamento teorico della Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro.”


      L'autore peraltro era un comunista. A conferma di quella convergenza attorno al lavoro di cui parlava Mortati.

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    3. E dunque, se rammenti quanto qui esposto fin dagli inizi, invalse, a un certo punto della nostra Storia, lo strano uso di far interpretare non solo i trattati UE, ma la stessa Costituzione dai banchieri centrali.

      I "costituzionalisti", in gran numero, si sono adeguati; e divennero sempre più politologi&sociologi, studiosi del pensiero politico proveniente dagli USA, invece che del dato normativo.

      Finché la Venice Commissione assunse vesti di predeterminazione dell'indirizzo costituzionale (in ogni senso)!

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    4. Comunque grazie.
      La tristezza di tutto questo, va aggiunto, è la creazione di un circuito perverso di "ignoranza": la scissione tra Keynes e la Costituzione, sul piano operativo, divenne poi un paradigma anche per gli economisti. Sicché il mainstream neo-liberista (in cui includo il neo-keynesianesimo), poté invadere indisturbato ogni settore delle scienze sociali. Tanto che oggi Keyens non viene più insegnato: al limite è citato frettolosamente come folle sostenitore della spesapubblicabrutta...

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    5. Peggio: Keynes oramai è quello "delle buche"... schernito, portato quasi alla macchietta. Se pensiamo a solo quanto il pensiero di economisti del suo rango e suoi studiosi hanno dato al pensiero economico attuale... altro che "economia sociale di mercato"... basata su concetti ERRATI... ma che parliamo a fa'... io so solo che voterò un NO grosso così al referendum. Spero che anche la maggioranza degli italiani lo faccia.

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    6. Certo, una dottrina liberista, da Mazziotti a Esposito, che considerava il diritto al lavoro un obiettivo "sovietico" c'è sempre stata. Non era però maggioritaria e tantomeno unica.

      E non era nemmeno originale: anche nel 1848 (certo è curiosa questa ricorrenza numerica...) francese, dove fu per la prima volta esplicitamente rivendicato il diritto al lavoro, questo era considerato un attentato alla proprietà e una violazione di presunte "leggi eterne" dell'economia (avevo riportato citazioni di de Tocqueville in questo senso).

      Il problema che però il liberalismo non poteva e non potrà mai risolvere, a meno di diventare democratico-keynesiano, mi pare, l'aveva già colto benissimo Sismondi quasi due secoli or sono, ossia quello di fare in modo che "l'immensa maggioranza di coloro che fanno parte del corpo politico veda nell'ordine la propria sicurezza" (G. Procacci, Governare la povertà, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 117). Ovvero la stabilità dei prezzi non è compatibile con la stabilità sociale e politica.

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  8. Se nel frattempo non e' gia' emigrato, cosi' potra' decantare le virtu' estere, vantarsi di essersi fatto da se' e parlare male del proprio Paese. E' l'ingegneria neoliberista.

    Hanno gia' bruciato due generazioni. Quanto dovremo andare avanti cosi'?

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  9. Qualcosa mi ricordavo delle dichiarazioni di Amato. Forse non per caso tutto questo arriva dopo la morte dell'ultimo dei Costituenti. Se anche avesse potuto vedere questa restaurazione ancien régime è peraltro molto dubbio che si sarebbe pronunciato in merito.

    Insomma, bisognerà che vada a cercarmi dove mai nei trattati del 1957 si prefigurasse l'ordoliberismo, così forse arriveremo alla radice dei pretesi spiriti fondatori traditi.
    Ovviamente si parla delle radici ideologiche nella Palude, ma demistificare nel suo complesso questa falsità sarebbe molto utile.

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    1. Se cerchi attentamente nel blog, l'abbiamo già fatto.
      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/08/lincomprensione-delluropa-alla-corte.html
      E ovviamente, quanto alla ragioni della "gradualità" strategica (e poi tattica) della "costruzione", rammentiamo i "nipotini di Stalin" alle porte dell'occidente Nato: argomenti sui quali troverai ampi ragguagli in questo blog, fin dai suoi inizi...

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    2. Grazie per la segnalazione, del resto in questo mare magnum si è parlato ormai di tutto; il bello viene al momento di ritrovarlo.

      Dunque il trattato del 1957 prevedendo la libera circolazione dei capitali preparava di conseguenza ciò che ci è crollato addosso. Ho (ri)letto il post e i link alla sintesi, però il testo (art 3 comma c, art 189) l'ho trovato altrove, in una versione intermedia credo della fine anni '60 (si parla ancora di CEE). Il link al trattato dalla sintesi della fonte ufficiale appare rotto, del resto il sito UE è un tipico eurodisastro, quindi non so se i riferimenti corrispondono del tutto.

      Il peso maieutico dei nipotini ormai lo si dà per scontato (-:. Perché si potesse passare pienamente all'attacco è stato necessario aspettare di demolirli, ma le "porte" erano già state piazzate ovunque. Che sogno di dignità umana abbiamo vissuto in quei pochi decenni grazie alla "concorrenza" e all'ombra delle frontiere! Trasformato poi in narcotizzazione che dura tutt'ora.

      Le pagine di Einaudi sono spaventose, se è morto pensando che fossero state inutili tanto meglio, ma ahimé inutili non furono. Legare strettamente a livello di analisi dei testi i tre (Spinelli e magari anche il lato francese, ordoliberisti e trattati) come peraltro si fa molte volte qui e nel libro è fondamentale.
      Comincio a capire il perché del termine sociopatici, definizione che sulle prime mi sembrava esagerata.

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    3. è una definizione che direi potrebbe andare anzi anche stretta.

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  10. OT (molto relativo) - Piccoli contrattempi da cascami di sovranità costituzionale:

    “La Vallonia non può dire il suo sì oggi all'accordo di libero scambio Ue-Canada, il Ceta. […] A far cambiare l'atteggiamento del Belgio non sono quindi bastate le pressioni degli altri Paesi europei. Il Belgio è l'unico Paese dei 28 Ue che non può firmare l'accordo, poiché è vincolato dal no della Vallonia, la quale, in base alla costituzione federale belga, ha il potere di veto sui trattati commerciali internazionali. Un potere che hanno anche i land tedeschi, ma che non hanno esercitato. E così una regione di 3,6 milioni di abitanti può bloccare un'intesa che riguarda 500 milioni di europei. […] Per la commissione Ue, che si è impegnata a ratificare il trattato, non solo è una brutta figura, ma rappresenta una perdita di credibilità, proprio alla vigilia del difficile negoziato con Londra sulla Brexit. […] Agli occhi dei socialisti valloni il Ceta rischia di scardinare il modello agricolo della regione e di far saltare i diritti dei lavoratori, il sistema sanitario e le norme a protezione dei consumatori e dell'ambiente. L'altro grosso ostacolo sono le norme sugli arbitraggi, previste dal Ceta in caso di controversie commerciali che, secondo i valloni, metterebbero in dubbio la capacità legislativa degli stati nazionali.”

    Chiaramente, al di là della contingenza di quello che, per quanto increscioso, è comunque un incidente di percorso certamente superabile, l’episodio non può non sollevare una grave questione di principio:

    "E' incredibile che lo 0,6% della popolazione europea possa bloccare un'intesa approvata da tutta Europa, mettendo a rischio il futuro dell'intera Unione" dice Alessia Mosca, eurodeputata Pd, membro della commissione commercio internazionale che poi aggiunge: "C'è un problema di forma democratica se un piccolo parlamento impedisce al Parlamento europeo di esprimere le proprie posizioni". […] Questa tendenza a rinazionalizzare la politica commerciale, che pure è competenza esclusiva della Ue, è preoccupante. […] Il problema, comunque, non è solo belga: anche i parlamenti regionali tedeschi potrebbero intervenire, ma per fortuna non è successo. Il rischio però esiste sempre. […] E mentre il mondo avanza, l'Europa si ferma.

    Eh già: come la mettiamo col principio di maggioranza? Come può una insignificante costituzione di un piccolo paese pretendere di voler continuare a presidiare la particolaristica volonta democratica di una trascurabilissima quota di popolazione europea? E per di più a far ciò tramite una mediazione partitica per forza di cose populisticamente orientata in quanto troppo vicina alle istanze del territorio, ovvero troppo direttamente (democraticamente) condizionabile? Ma soprattutto: come può la classe politica ancora legata all’angusto recinto di tale insignificante costituzione non addivenire spontaneamente a più miti consigli di fronte all’assurda e totalmente anacronistica implicazione di tale pretesa, ovvero la riaffermazione del principio della primazia della fonte costituzionale nazionale rispetto a qualsiasi fonte esterna democraticamente fondata e geneticamente protesa verso il perseguimento del Bene Comune?

    Mia cara Alessia, ah come ti capisco!

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  11. Quello all´inizio che presenta Weidmann è Lars Feld, uno dei consiglieri economici del governo tedesco, che molti in Italia ricorderanno per la famosa intervista al Corriere dove disse che la Germania aveva giustamente salvato le sue banche perchè sussisteva un rischio sistemico. L´Italia, in assenza di questo rischio, avrebbe invece dovuto chiamare la Troika.
    Feld dirige la fondazione Eucken, fucina di posizioni ordoliberiste, che non si deve far l´errore di pensare siano limitate alla CDU/CSU ai liberali ed alla AfD. Anche i verdi e parte della SPD sono allineati a questo pensiero. Qui ad esempio Feld è chiamato a parlare alla fondazione Böll, cioè dai verdi:
    https://www.youtube.com/watch?v=oAxekyHIIj0
    Dal minuto 18:30 in poi descrive come funziona l´unione monetaria. Afferma che la convergenza dei paesi avviene attraverso le "l´effetto disciplinatorio" dei mercati, che indirizzano gli stati verso le riforme necessarie alla convergenza verso un sistema omogeneo (cioè l´unico in cui l´euro può funzionare). Il caso greco è importante, per quanto il paese non sia economicamente rilevante, per dimostrare il funzionamento del sistema (tra i minuti 24:00 e 25:00). Il tutto è visto come cosa buona e giusta. Negative invece le introduzioni di un salario minimo in Germania - ben (!) 8,50 euro LORDI l´ora - (dal minuto 27:40 in poi) perchè diminuisce la competitività.
    Mi pare che qualcuno dall´Italia speri che con le elezioni in Germania nel 2017 possa cambiare qualcosa nella UE. A giudicare dalla diffusione delle posizioni ordoliberiste anche nei partiti d´opposizione queste speranze mi paiono infondate. Non resta che augurare alla anime belle della sinistra eurista di avere proficue consersazioni con Feld, Weidmann e soci per portarli su posizioni de sinistra, in modo da riscrivere i trattati...

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    1. Ma come no! Feld, il "mitico" cultore dell'orwelliana "Animal Farm" (ma a sua insaputa...).
      Grazie per la segnalazione e le puntualizzazioni.

      Peraltro, non sorpredenti in questa sede, ma ignote "a sinistra"; dove ancora si crede - con ormai anacronistica superficialità, nella migliore delle ipotesi- che la parola "sociale" sia sufficiente a giustificare la "terza via"...smentita da Roepke, Einaudi, Eucken, Erhard e chi più ne ha più ne metta.

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