martedì 5 settembre 2017

"C€NTRI DI IRRADIAZION€" VS LEGALITA' COSTITUZIONALE: VANIFICARE IL SUFFRAGIO UNIVERSALE


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1. L'intensissima narrazione mediatica della situazione socio-economica italiana sta indirizzando la campagna elettorale verso contenuti i cui esiti risultano altamente prevedibili, se si tengono a mente le esperienze di quella parte della storia che più da vicino ricalca la fase attuale. 
Ci riferiamo, (in senso non frattalico ma fenomenologico), a quella (lunga e ricorrente) fase del '900 che vedeva la coesistenza del suffragio universale e, contemporaneamente, l'agire connaturato delle forze del capitale per neutralizzarne l'effetto destabilizzante sui rapporti di forza strutturali, piegando l'esercizio del voto alla creazione di un sistema di legalità illusorio e sedativo. 

"Lo Stato borghese è lo Stato liberale per eccellenza. OGNUNO PUÒ IN ESSO ESPRIMERE LIBERAMENTE IL SUO PENSIERO ATTRAVERSO IL VOTO. Ecco alla lunga a che si riduce la legalità formale nello Stato borghese: all'esercizio del voto
La conquista del suffragio alle masse popolari è apparsa agli occhi degl'ingenui ideologi della democrazia liberale la conquista decisiva per il progresso sociale dell'umanità. Non s'era mai tenuto conto che la legalità aveva due facce: L'UNA INTERNA, LA SOSTANZIALE; l'altra esterna, la formale.

Scambiando queste due facce, gli ideologi della democrazia liberale hanno ingannato per un certo periodo di anni le grandi masse popolari, FACENDO CREDERE AD ESSE CHE IL SUFFRAGIO LE AVREBBE PORTATE ALLA LIBERAZIONE DA TUTTE LE CATENE CHE LE LEGAVANO. In questa illusione disgraziatamente non sono caduti soltanti i miopi assertori della democrazia liberale. Molta gente che si reputava e si reputa marxista ha creduto che l'emancipazione della classe proletaria si dovesse compiere attraverso l'esercizio sovrano della conquista del suffragio.

Qualche imprudente si è persino servito del nome di Engels per giustificare questa sua credenza. Ma la realtà ha distrutto tutte queste illusioni. La realtà ha mostrato nel modo più evidente che LA LEGALITÀ È UNA SOLA ED ESISTE FIN DOVE ESSA SI CONCILIA CON GL'INTERESSI DELLA CLASSE DOMINANTE, VALE A DIRE, NELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA, CON GL'INTERESSI DELLA CLASSE PADRONALE.
..”.

2.1. Lo stesso Gramsci, nei quaderni dal carcere, descrive la situazione standard della legalità formale che mira a ridurre la democrazia all'esercizio del voto. 
In questa descrizione possiamo ritrovare tutti i caratteri della situazione attuale, pur in presenza di (sempre più deboli) segnali di crisi del funzionamento dello schema. 
Gramsci replicava alle obiezioni, già al tempo non nuove, mosse dal fascista Da Silva, al sistema del suffragio universale.  
Obiezioni che sono esattamente le stesse agitate oggi dagli €uropeisti contro la Brexit, i "populismi" e l'esito del referendum sulla riforma costituzionale: secondo Mario da Silva il difetto era che "il numero sia in esso legge suprema", cosicché la "opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze". Da qui la risposta di Gramsci:
"Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell'opinione di ogni elettore sia "esattamente" uguale. 
I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa si misura? 
Si misura proprio l'efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale".
Ed infatti:
"Le idee e le opinioni non "nascono" spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di irradiazione e di diffusione, un gruppo di uomini o un anche un uomo singolo che le ha elaborate e le ha presentate nella forma politica di attualità.". 

2.2. Ne discende, con un'ovvietà tanto evidente quanto agevolmente oscurabile da parte di tali "centri di irradiazione", che:
"La numerazione dei "voti" è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che "dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze" (quando lo sono). 
Se questi presunti ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiedono, non hanno il consenso della maggioranze, saranno da giudicare inetti e non rappresentanti gli'interessi "nazionali", che non possono non essere pravalenti nell'indurre la volontà in un senso piuttosto che nell'altro. "Disgraziatamente" ognuno è portato a confondere il proprio particolare con l'interesse nazionale e quindi a trovare orribile ecc. che sia la "legge del numero" a decidere.  
Non si tratta quindi di chi "ha molto" che si sente ridotto al livello di uno qualsiasi, ma proprio di chi "ha molto" che vuole togliere a ogni qualsiasi anche quella frazione infinitesima di potere che questo possiede di decidere sul corso della vita dello Stato.".  
D'altra parte, la posizione di Gramsci sul sistema mediatico e sui "giornali borghesi" (Boicottateli, boicottateli, boicottateli!) non poteva che essere coerente con questa constatazione dei rapporti di forza.

3. In realtà, al di là della suggestione degli argomenti (puramente) propagandistici tesi a rendere inviso all'opinione pubblica il processo elettorale, quanto descritto da Gramsci, corrispondeva con esattezza alla stessa "autodescrizione" dei principali teorici dell'assetto politico liberale, cioè liberista e marginalista. Ce lo sintetizzano bene le fonti, a suo tempo, selezionate da Francesco:

“… In tutte le società regolarmente costituite, nelle quali vi ha ciò che si dice un governo, noi oltre al vedere che l’autorità di questo si esercita in nome dell’universo popolo, oppure di un’aristocrazia dominante, o di un unico sovrano, punto questo che più tardi esamineremo con miglior cura e del quale valuteremo l’importanza, troviamo costantissimo un altro fatto: CHE I GOVERNANTI, OSSIA QUELLI CHE HANNO NELLE MANI E ESERCITANO I POTERI PUBBLICI SONO SEMPRE UNA MINORANZA, E CHE, AL DI SOTTO DI QUESTI, VI È UNA CLASSE NUMEROSA DI PERSONE, LE QUALI NON PARTECIPANDO MAI REALMENTE IN ALCUN MODO AL GOVERNO, NON FANNO CHE SUBIRLO; ESSE SI POSSONO CHIAMARE I GOVERNATI…” [G. SOLA in Introduzione a G. Mosca, Scritti politici. Vol.I, Teorica dei governi e governo parlamentare, Utet, Torino 1982, 203].
Gaetano Mosca era un “elitista”, un un positivista metodologico (e realista politico), come sostiene G. Sola in Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., 13. 
Ma sulla stessa scia: “… Lasciando da parte LA FINZIONE DELLA «RAPPRESENTANZA POPOLARE» E BADANDO ALLA SOSTANZA, tolte poche eccezioni di breve durata, da per tutto si ha una classe governante poco numerosa, che si mantiene al potere, IN PARTE CON LA FORZA, IN PARTE CON IL CONSENSO DELLA CLASSE GOVERNATA, MOLTO PIÙ NUMEROSA…” [V. PARETO, Fatti e teorie, Vallecchi, Firenze, 1920, 444]. Anche Pareto, teorico marginalista, era guarda caso un “elitista”.
Orbene, da Mosca (ma anche da Pareto) Einaudi apprende due principi: 
“… Primo: il governo del paese non è e non può mai essere retto dalla maggioranza del popolo e neppure da una genuina rappresentanza della maggior parte dei cittadini. 
QUESTA È UNA UTOPIA PERICOLOSA E DISTRUGGITRICE DELLA CONVIVENZA SOCIALE. 
IL GOVERNO POLITICO DEVE ESSERE IN MANO DI UNA MINORANZA ORGANIZZATA…Dalla buona scelta della classe politica dipende la fortuna di un paese. […] 
Secondo: IL PREDOMINIO, necessario e utile, della classe politica, HA BISOGNO, per conservarsi, DI UNA IDEOLOGIA, a cui il Mosca dà il nome di ‘formula politica’: E QUESTA PUÒ ESSERE LA FORZA, LA EREDITÀ, IL DIRITTO DIVINO, LA SOVRANITÀ POPOLARE. 
PRESSO A POCO, TUTTE QUESTE FORMULE SI EQUIVALGONO, essendo esse puramente la manifestazione esteriore verbale delle vere ragioni per le quali la classe politica afferma la sua capacità a governare le moltitudini” [L. EINAUDI, Parlamenti e classe politica, Corriere della Sera, 2 giugno 1923, ora in Cronache economiche e politiche di un trentennio, vol. VII, 264-265). 
E ciò perché, per Einaudi, “Lo stato rappresentativo è…fondato sull’esistenza di forze indipendenti e distinte dallo stato medesimo: RESTI DI ARISTOCRAZIA TERRIERA, CLASSI MEDIE CHE TRAGGONO LA LORO PROPRIA VITA DALL’ESERCIZIO DI INDUSTRIE, DI COMMERCI E DI PROFESSIONI LIBERALI, RAPPRESENTANTI DI OPERAI ORGANIZZATI DI INDUSTRIE NON VIVENTI DI MENDICITÀ STATALE. Se queste condizioni sono soddisfatte, noi abbiamo un governo veramente libero; in cui i funzionari non sono l’unica classe politica esistente, ma una delle tante forze, dal cui contrasto e dalla cui cooperazione sorge la possibilità di un’azione veramente utile al tutto” (Parlamenti cit.).
Bene, questo è il manifesto della classica democrazia liberal-€urista e mondialista che non tollera obiezione.

4. Questo meccanismo "standard" - il cui default conduce alle varie forme di autoritarismo (dei "mercati") espresso invariabilmente dalla "destra economica" - è quello che la nostra Costituzione, almeno nelle intenzioni espresse dai Costituenti, intendeva neutralizzare
Se infatti si disattiva il meccanismo sedativo della "democrazia liberale" - in cui i "centri di irradiazione" controllano abbastanza agevolmente l'esito del suffragio universale, come evidenzia, d'altra parte Rodrik, (presumibilmente senza aver letto Gramsci) -, si previene anche, e specialmente, il suo sistema autoritario di "default".

4.1. Questo disegno di riequilibrio definitivo del senso stesso del voto, in quanto armonizzato "istituzionalmente" nella democrazia sostanziale, è descritto da Basso proprio in un rammaricato consuntivo dei lavori dell'Assemblea Costituente. 
Un consuntivo intriso, appunto, di rammarico perché il "riequilibrio" non riuscì pienamente e, questo fatto (realmente epocale), lungi dal costituire il marginale ostacolo ad una concezione utopistica, spiega direttamente come e perché oggi ci ri-troviamo in questa situazione, allontanati dalla democrazia necessitata: cioè perché ci ritroviamo in una democrazia che semplicemente non è, perché deprivata della sua "forma necessaria" e del suo "contenuto coessenziale", come dice Mortati a pag.143, vol I, delle sue istituzioni di diritto pubblico

4.2. Vi riporto il discorso di Basso proprio perché oggi mi pare riattualizzato in ogni suo passaggio (e mantenendo l'impegno a dedicare un post a tale discorso, preso oltre un anno fa):
«Trent’anni fa, in un cielo ancora carico di nubi, spuntava l’alba della repubblica. 
A quell’evento io avevo contribuito, essendo stato il primo dirigente della sinistra ad essermi battuto per la tesi del referendum istituzionale, perché nella prudenza dei compagni, socialisti e comunisti, che volevano affidare la scelta alla assemblea costituente, scorgevo il pericolo di una defatigante trattativa di vertici che si sarebbe magari conclusa con un cattivo compromesso fra il ricatto clericale da una parte e, dall’altra, la volontà di non rompere l’unità antifascista.
Affidata direttamente al popolo, quella decisione di trent’anni fa acquistava una maggior forza dirompente e avrebbe forse potuto, se fosse stata guidata con maggior decisione, disperdere anche le nubi che si addensavano sull’orizzonte. 
Affidata direttamente al popolo che è, qualunque cosa ne possano pensare i giuristi, l’autentico depositario della sovranità, quella decisione assumeva un preciso significato di rottura col passato e sanzionava, anche sul piano formale, la volontà popolare di rottura espressa con le armi durante la Resistenza.
Purtroppo le cose andarono diversamente e la costituzione che, dopo la resistenza e il referendum repubblicano, avrebbe dovuto completare il trittico che esprimesse il volto di un’Italia interamente rinnovata, fu invece segnata dal compromesso grazie alla resistenza delle forze conservatrici che avevano avuto tutto l’agio di riprendersi e riorganizzarsi, principalmente al riparo dello scudo crociato. 
Un po’ semplicisticamente si può dire che il compromesso significò una costituzione molto coraggiosa nelle promesse (i principi fondamentali) e prudente nelle realizzazioni (l’organizzazione dello Stato)...
I miei ricordi si riferiscono soprattutto al lavoro della prima Sottocommissione (della Commissione dei 75), incaricata di redigere appunto la parte relativa ai principi generali e ai diritti di libertà civile e politica.
Personalmente fui relatore, e quindi coautore, con La Pira sui diritti di libertà civile ma partecipai attivamente a tutto il lavoro della Sottocommissione e, oltre agli articoli di mia particolare spettanza, ne proposi anche altri in sede di rapporti politici. 
Di quel periodo conservo alcuni ricordi particolarmente vivi.
In primo luogo l’atmosfera in cui si lavorava, che fu, press’a poco fino alla fine dei lavori della Sottocommissione, un’atmosfera di leale collaborazione fra i principali gruppi politici: gli ultimi echi di quella ch’era stata l’atmosfera della Resistenza e che doveva spegnersi di lì a poco, grazie soprattutto alle iniziative di Saragat e di De Gasperi e alle sollecitazioni di Washington.

Ma vorrei qui anche ricordare i due articoli, proposti esclusivamente da me senza la collaborazione di La Pira, che mi riuscì di far passare nella Costituzione, che sonò gli attuali articoli 3 capoverso e 49. Sono articoli che hanno fatto consumare in questi trent’anni molto inchiostro ai giuristi, anche perché entrambi si collocano in una visuale assai diversa, per non dire contraria, da quella in cui si colloca il profilo generale della nostra costituzione.
L’art. 49 è quello che ha riconosciuto il ruolo costituzionale dei partiti, fin allora considerati semplici associazioni private, costituzionalmente non rilevanti. Era, credo, la prima menzione dei partiti in una costituzione occidentale, e fu poi seguito dall’art. 21 della Legge fondamentale germanica. 
Ma maggiormente innovativo fu il capoverso dell’art. 3, considerato da molti giuristi come la norma fondamentale (“Grundnorm”) della costituzione e da altri come una semplice affermazione senza valore. 
Ricordo, per i lettori non giuristi, che il primo comma di quello stesso articolo ripete una norma standard di tutte le costituzioni sull’eguaglianza dei cittadini
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. 
Siamo qui, è chiaro, in presenza di una eguaglianza puramente formale: la legge rimane eguale per tutti, ma la sua applicazione è diversa, perché la società è composta di persone disuguali. 
C’è forse la stessa libertà di stampa per il multimiliardario che può fare il “suo” giornale e la comune dei mortali? L’esperienza ci mostra che anche in carcere c’è una profonda differenza di trattamento fra l’imputato comune, ancor oggi soggetto a maltrattamenti, e il generale che va diretto in infermeria e viene rapidamente scarcerato. Nonostante la conclamata uguaglianza di diritto, i cittadini sono ben lungi dal fruire di diritti uguali.
Ed ecco allora il senso del secondo comma dello stesso art. 3 da me introdotto
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. 
Messo immediatamente di seguito al primo, questo comma ha un netto significato polemico: la Costituzione stessa riconosce che un principio fondamentale, come quello dell’eguaglianza, non è e non sarà rispettato in Italia finché non muteranno radicalmente le condizioni economiche e sociali. 
Ma la stessa polemica si rivolge, può dirsi, contro tutta la Costituzione: nessuna libertà è effettiva finché sussistono le attuali condizioni; il voto dei cittadini non è uguale finché perdurano ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini; la stessa sovranità popolare, base della democrazia, è un’illusione se non tutti i lavoratori possono partecipare effettivamente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Da ciò discende un’altra conseguenza importante. 
L’ordine giuridico è stato sempre edificato a difesa dell’ordine sociale, per impedire o punire i tentativi di modificarlo; ora, per la prima volta, abbiamo nell’ordinamento giuridico una norma che condanna l’ordine sociale esistente e impone allo Stato di correggerlo. 
In altre parole se nella concezione tradizionale la pretesa di modificare l’ordine sociale costituiva un’offesa all’ordinamento giuridico, oggi è vero il contrario: è la volontà di conservazione dell’ordine sociale che costituisce un’offesa allo stesso ordinamento giuridico. Non dirò naturalmente, che la prassi di questi trent’anni si sia conformata a quest’ordine costituzionale. Ma l’affermazione rimane e sta a noi esigerne l’applicazione, anche con il voto del 20 giugno. La Costituzione - diceva Lassalle agli operai tedeschi - siete anche voi perché siete una forza e la Costituzione è, in ultima istanza, un rapporto di forze.»

5. I più attenti lettori potrebbero chiedersi come mai mi soffermi a richiamare, ancora una volta, concetti e analisi che sono alla base della "legalità costituzionale" italiana. Alcuni potrebbero persino chiedersi quanto questi concetti e queste analisi siano collegabili alle prospettive elettorali attuali. 
Ma occorre considerare che il "grado di separazione" dell'elettorato da questa legalità costituzionale (superiore ed intangibile da ogni altra), per un evidente fattore mediatico-culturale, non è mai stato così ampio: lo stesso continuo agitare il concetto di "legalità", oggi tanto in voga, risulta un espediente per la restaurazione acritica della ben diversa "legalità" dello Stato liberale criticata da Gramsci e Basso. Parrebbe un controsenso, ma è facile constatarlo. 
Molti, ancora, si chiederanno come il discorso ora svolto si possa collegare alla questione dell'euro e de L€uropa. Ebbene, se se lo chiedono, non è stato allora inutile richiamare queste analisi e questi concetti
Anche se ancora non ne prendono atto.  

5.1. Ma presto, probabilmente proprio a seguito delle prossime elezioni, saranno indotti a farlo. O a ritirarsi dalle proprie posizioni attuali.
Gli sviluppo storico-politici non necessariamente rispondono ad una piena consapevolezza, da parte dei suoi principali protagonisti, delle "necessità" che impongono certi obiettivi politico-economici. Lo scenario, infatti, è inevitabilmente offuscato, nei suoi stessi contorni, - cioè nell'individuazione degli interessi materiali cui si vorrebbe dare rappresentanza- dai "centri di irradiazione" di cui abbiamo visto il ruolo all'inizio. 
La sovranità, cioè il benessere e la giustizia sociale riguardanti il popolo italiano nel suo insieme, non sono perseguibili senza tenere conto degli inesorabili rapporti di forza contrappositivi che ripropone l'assetto dei trattati; quindi se, e solo se, tale assetto sia realmente compreso come restaurazione dell'ordine liberale dei mercati, assurto alla sua "naturale" dimensione internazionalizzata, per definizione volto a neutralizzare il suffragio universale. Ieri come oggi.
Appunto perciò ci torneremo.

42 commenti:

  1. “Sulla concreta finalità politica dello Stato liberale c’è questa citazione di Mortati (Lezioni sulle forme di governo, Cedam, Padova, 1973, pag. 44) che mi piace parecchio: “Esso infatti si era proclamato agnostico, neutrale e non interventista, ma si trattava di affermazioni irrealizzabili in pratica, se intese nella loro portata radicale; uno Stato fondato su una concezione politica puramente negativa non può esistere, appunto perché ogni Stato presuppone una scelta tra i vari interessi sociali che si ritengono bisognevoli di soddisfazione, e tende ad operare delle sintesi politiche, dirette ad equilibrare fra loro gli interessi stessi.
    Pertanto anche lo Stato liberale realizzava tale scelta positiva, in quanto assumeva in concreto il fine di assicurare la libera esplicazione e la massima espansione dei ceti detentori delle forze economiche; e proprio l’assunzione di tale fine implicava che i suoi interventi fossero svolti non solo a garantire il più ampio svolgimento della libertà economica e ad assicurarne i frutti, ma anche a promuovere le condizioni idonee ad ottenere il massimo vantaggio a chi tale libertà esercitava.
    Questo spiega come le forze economicamente dominanti, le uniche che di fatto potevano beneficiare della libertà medesima, invocassero, riuscendo ad ottenerlo, il positivo intervento dello Stato non solo nel campo dei servizi pubblici (che andarono sempre più estendendosi, provocando, fra l ’altro, il formarsi di una struttura burocratica sempre più vasta e complessa, ormai istituzionalizzata in un corpo a sé stante ed indipendente dagli organi rappresentativi), ma anche in settori che avrebbero dovuto rimanerne esclusi se la ostentata neutralità fosse stata rigidamente applicata. Esempio tipico è dato dal protezionismo doganale, tendente a difendere le forze economiche nazionali contro la concorrenza straniera provocata dal continuo
    estendersi del commercio e dei mercati. Da ciò si vede come il neutralismo, teoricamente propugnato dallo Stato liberale, tenda in pratica a trasformarsi in protezionismo. Lo Stato cioè diventa il garante non tanto della libera iniziativa individuale quanto del mantenimento dello status quo per quel che riguarda l’assetto economico e proprietario; in particolare tende a divenire il protettore di coloro che godono del possesso economico contro i tentativi di sovvertire tale situazione da parte di quanti provengono dai ceti non possidenti.
    Una conferma significativa della funzione che lo Stato — il quale si proclama liberale — viene ad assumere sotto la spinta delle forze sociali che lo alimentano, la si riscontra nel fatto che, ad esempio in Francia, i detentori del potere economico non ostacolano ed anzi favoriscono il « cesarismo » prima di Napoleone I e poi di Napoleone III.”

    http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html?showComment=1465733120996#c2998697949076119674

    grazie Arturo

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    1. E riproduciamo il seguito del dibattito che ne seguì :-)
      Arturo12 giugno 2016 14:09
      Credo che questa citazione sul “liberalismo reale” andrebbe affiancata a quelle di di Galbraith e Caffè sul “mercato reale”. La "riscoperta" del liberalismo pre democrazia sociale si presenta nella stessa forma della riproposizione dell’economia di mercato pre keynesiana, cioè la pretesa, non a caso einaudiana, di distinguere capitalismo storico ed economia di mercato. Ancora Caffè (Le “pene” del moderno capitalismo, “L’Ora”, 15 gennaio, 1985 ora in La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pagg. 69-69): “Stigler, che ha una conoscenza notevolmente approfondita dei grandi economisti italiani degli anni trenta, è sicuramente al corrente di uno scritto famoso di Luigi Einaudi che contrappone il capitalismo storico all’economia di mercato. Gli uomini di affari che ricercano regolamentazioni protettive di carattere sezionale, in questo schema einaudiano, apparterrebbero al «capitalismo storico», non ad una effettiva economia di mercato. Ma può esservi un capitalismo astratto che operi al di fuori della storia?”

      Ovvero, detto in termini semplici, il problema di coniugare libertà ed uguaglianza da una parte e stabilità e crescita dall’altra sono già stati risolti dalla democrazia sociale interventista keynesiana. La “riscoperta” del liberal-liberismo si presenta come una riproposizione di soluzioni vecchie, fallimentari e classiste, tra l’altro attraverso un modulo retorico, la separazione del modello puro dalla sua incarnazione storica, che i liberali hanno sempre sdegnosamente e sarcasticamente negato ai loro nemici. E quindi se a fructibus eorum cognoscetis eos, l’imperialismo, il fascismo e due guerre mondiali come base di conoscenza mi sembrano sufficienti: di una terza faremmo anche a meno.

      Quarantotto 12 giugno 2016 16:10
      Grazie anche per il raccordo coi precedenti commenti, che risulta, a distanza di tempo, sempre prezioso.
      Rimarchevole è la convergenza e la omogeneità di argomentazioni, storiche e economiche, che venivano usate da questi differenti "analisti" di una passata epoca, a quanto pare (relativamente più) felice.

      Il capitalismo storico, sia che si serva dello Stato nazionale, in una fase di consolidamento non solo delle proprie "quote di mercato" ma anche del potere istituzionale, sia che rinvii alla sovranità internazionalistica dei mercati, ha sempre la stessa natura: "il mantenimento dello status quo per quanto riguarda l'assetto economico e proprietario".
      Ciò che viene pomposamente chiamato, a posteriori, "efficienza allocativa".

      Da notare, però, che consegue sempre a fasi di revanche, nel controllo istituzionale, che comportano massicce redistribuzioni in danno del fattore lavoro.

      Effettuata la redistribuzione, poi, si può passare alla fase dell'efficienza allocativa, naturalmente TINA.
      Al massimo, con l'ausilio di associazioni e "chiese" varie, (oggi il "terzo settore", in quanto reclama anche la contribuzione dello Stato per retribuire l'altruistico "sforzo"), si può avere una qualche forma di CARITA'. Cioè una moderatissima RESTITUZIONE DI PARTE DEL BOTTINO. Forse...

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    2. Peraltro, non ti sfuggirà che il punto del post non è, naturalmente, ribadire questo aspetto (già scandagliato in anni di post e commenti).

      Il punto è che, DATE CERTE CONDIZIONI (alle quali siamo rocambolescamente arrivati e che si compendiano nella disattivazione del modello costituzionale), la rivendicazione di sovranità, se deve divenire programma politico, risponde anch'essa ad altre conseguenziali condizioni altrettanto DATE.

      In pratica, non ci si può illudere di riscoprire la ruota ad ogni "tornata" della Storia, all'interno della fase del capitalismo istituzionalizzato.
      Anzi, questa istituzionalizzazione può corrispondere, per necessità, solo a due modelli alternativi:
      1) l'eguaglianza formale, con la prevalenza del contrattualismo e della finalità dell'efficienza allocativa (cioè la conservazione delle posizioni di forza acquisite); ed allora la democrazia si esaurisce nel votare di tanto in tanto, fermo che il processo di "numerazione" è già rigidamente predeterminato da tale assetto dei poteri di fatto, e non istituzionalmente da correggere;

      2) l'eguaglianza sostanziale, da cui scaturisce un intervento dello Stato che implica il suo impegno di allargare la partecipazione politica nel suo stesso controllo istituzionale, previa redistribuzione del potere economico. Cioè il nostro modello costituzionale.

      Se si crede che si possa combattere (per così dire "da dentro") il primo assetto, allorché si contesta la privazione della sovranità monetaria e fiscale che INEVITABILMENTE ne consegue, senza affrontare il problema della natura "conservativa" dello stesso, e quindi ignorando il problema dell'eguaglianza sostanziale, si è destinati a perdere il "processo di numerazione".

      Al massimo si potranno ottenere dei limitati riequilibri interni alle varie fazioni che condividono l'obiettivo del controllo istituzionale "liberale" (in tal senso può valere la distinzione tra grande e piccolo capitale: un'operazione descrittiva che indica come il "piccolo" capitale dimentichi facilmente, in un processo identificativo immancabilmente suicida, come debba invariabilmente la sua espansione all'azione dello Stato redistributivo).

      Questa è una conseguenza talmente scontata che, a mio parere, andare incontro a tale prospettiva senza porsi il relativo problema, cioè non ricercando la legittimazione nell'attuale legalità costituzionale, può condurre solo all'assorbimento dell'iniziale rivendicazione di "sovranità" entro qualche variante politica dell'istituzione mercatista.

      Il che prefigura, nell'ipotesi migliore, solo una TRANSITORIA correzione del paradigma dello Stato monoclasse: il sistema tenderà poi a ritornare, come nella più scontata tradizione neo-classica, al suo "naturale" equilibrio oligarchico.
      E il processo elettorale si sarà rivelato la consueta, ed auspicata, finzione propugnata dagli "ottimati".

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    3. (NON so se è commento OT)…. Ma capisco bene Presidente, e spero che capiscano anche gli altri:

      “Ciao Quarantotto, io credo, ne sono pienamente convinto, che la Costituzione Italiana sia il punto più avanzato che la coscienza collettiva umana abbia mai raggiunto. Credo fermamente che il discorso di Lelio Basso dovrebbe essere il Patrimonio Spirituale del nostro Paese, che andrebbe fatto imparare a memoria in tutte le scuole d'Italia, come s'imparavano le poesie, e poi andrebbe studiato e poi ancora meditato.

      La nostra Costituzione è un punto di cesura con il passato. E’ la prima volta nel nostro Paese che cambia il rapporto di forza lavoro/capitale a favore del primo, passiamo da uno Stato Liberale, a parte la parentesi fascista, a uno Stato Democratico pluriclasse, passiamo dalla democrazia formale alla Democrazia sostanziale, passiamo dallo Stato esclusivo da cui bisogna difendersi , ad uno Stato inclusivo, che mira ad accogliere all’interno delle sue istituzioni tutti i cittadini, dall’ultimo montanaro delle Alpi all’ultimo contadino siciliano, passiamo da uno Stato fatto di padroni e servi/bestie a un Stato fatto di Cittadini, passiamo da un Io individuale, ad un Io sociale, l’uomo inteso come centro di relazioni sociali.
      Passiamo da uno Stato, dove alla viglia della prima guerra mondiale la ricchezza era distribuita in modo che il 10% possedeva il 90% delle proprietà, ad uno Stato che come compito istituzionale s’imponeva di riequilibrare a favore del 90% questo rapporto.
      Passiamo da un uomo/servo al servizio dell’economia e del profitto, ad una economia al servizio dell’essere umano, che grazie ad essa, diventa cittadino facente parte integrante della vita politica/economica del Paese.”

      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/02/il-risparmio-secondo-luropa-e-la.html?showComment=1455176477120#c3396659952701826899

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    4. Mauro Gosmin, naturalmente...
      Come vedi, siamo in pochi a discuterne. E solo qui.

      In realtà, il punto sopra chiarito mostra come queste non siano solo astratte elucubrazioni. Non lo erano prima; non lo sono a maggior ragione oggi, allorché assumono un significato totalmente pratico.

      Tra circa un anno, in molti parleranno di questi argomenti: sicuramente sui social e su altri blog. Riscopriranno la ruota per effetto della nera disperazione (autoattribuendosene la scoperta in anteprima nazionale).

      Quindi, ora, non gliene fregherà un granché a nessuno. Si prendono pillole rosse che danno "visione" di breve periodo...

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    5. Caro Presidente… lei lo sa come la penso da sempre :

      E in fondo la questione dell'euro va vista solo su questo piano: uscirne per rimanere nel dominio incontrastatto dei "nipotini di Von Hayek" è un'operazione di facciata. Una beffa. Uscirne per ripristinare la sovranità dei diritti, costituzionale e universalistica, è la vera frontiera della democrazia.

      http://orizzonte48.blogspot.com/2013/11/il-rilancioliberoscambista-ue-usa.html?spref=tw

      aggiungo giusto la parte finale di questo commento di Bazaar, (e io sono d’accordo con lui):

      “Che poi tra "i nostri" (?) ci sia un branco di cretini ideologicamente antisocialista, quindi lontano dallo spirito della Costituzione che è ciò che ha unito e unisce gli Italiani, è risaputo ed è stato segnalato.

      Vedi, chi non si rifà coscientemente alla Costituzione, potrà essere parte del gregge sovranista e noeuro, ma non potrà mai essere democratico. Ossia rimarrà de facto collaborazionista ed eurista.”

      http://orizzonte48.blogspot.it/2017/09/schmitt-gramsci-e-laufhebung-impossibile.html?showComment=1504432009052#c6382559275288397887

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    6. Grazie a te, Luca, che ricordi i miei commenti meglio di me. :-)

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    7. Eh, ma Luca ha una capacità di archiviazione e ricerca unica - e strabiliante- con riguardo a orizzonte48.
      Ora è passato a fare la banca-dati direttamente sul blog (cosa molto utile), dopo avermi costretto a "rincorrerlo" con le sue citazioni su twitter (da cui s'è preso una pausa "di salute"...)

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    8. Caro Presidente… ormai è da tempo che cerco di studiare solo ed esclusivamente su questo blog per le cose dette prima….

      Voglio dire…. come si fa a non capire questo commento di Bazaar?

      "...la particolarità di una democrazia moderna, che, per essere tale "nella sostanza" - come faceva notare Mortati - necessitava un ordinamento lavoristico con una forte Stato sociale. Ovvero, si fondava l'intero ordinamento, con convergenza di tutte le forze politiche, sulla Sinistra economica: sinistra economica che propugna la necessità della giustizia sociale affinché la democrazia possa essere chiamata tale.

      I liberali - ovvero la destra economica - oltre alla "giustizia commutativa" storicamente non chiedono altro: anzi.
      Quindi, la domanda che sorge spontanea consiste in: « ma se tutti convergono sui caposaldi storici "socialisti", che legittimità e che spazio hanno nel panorama costituzionale le "istanze liberali"» (in democrazia "compiuta", beninteso, ndr.)?

      Risposta: tendenzialmente nessuna.

      I liberali alla Einaudi avrebbero dovuto difendere gli interessi di classe in una dialettica che avrebbe dovuto escludere la radicalità sostanziale della ideologia storica, risultata definitivamente screditata dalla crisi del '29 e dalla seconda guerra mondiale: avrebbero dato un eventuale contributo nel "come" raggiungere gli obiettivi.
      Non più "quali" obiettivi.

      Infatti, a differenza degli stati liberali "classici" come USA e UK, che avevano adottato le politiche keynesiane nel trentennio d'oro senza "obblighi costituzionali", smantellando tutto lo stato sociale in breve tempo e senza troppi problemi (Reagan e Thatcher), per l'Europa il vecchio ordine (a vertice USA) ha tenuto "un piede nella porta" con la Germania ordoliberista, e, tramite i trattati di libero scambio dipinti di rosso da Spinelli, Rossi e utili geni del caso, tramite il "vincolo esterno", ovvero il "balance of payment constraint", ovvero tramite SME ed euro, la classe dominante internazionale, con il capitale internazionale "vassallo" e per definizione collaborazionista, si sono avviati a "ricordarci la durezza del vivere".
      Perché la democrazia è tale se, e solo se, esiste lo Stato sociale con le sue protezioni. (v. Mortati).”

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/10/la-comprensione-che-non-ce.html?spref=tw

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    9. Aggiungo…. A quante persone non entra in testa questo concetto?

      “Ebbene, il liberalismo (linguistico: da suggestione derivante dalla intraducibilità univoca dell'inglese "iberalism", compatibile in italiano sia con liberismo che liberalismo), ha il difetto di volersi occupare dello stesso contenuto delle scienze sociali (nel frattempo divenute autonome) senza appunto riconoscerne la affermata autonomia e senza "conoscerne" la vera elaborazione, che è ormai il bagaglio ideologico del sistema di potere "effettivo" e non "ideale" (appunto Croce).

      Chi specula su "libertà" e dignità morale dellindividuo come fondamento di una società giusta, non fa altro che applicare il senso comune imposto dall'assetto di potere capitalista, senza poterlo più mettere in discussione (dopo Marx, specialmente, diventa un esercizio, tutto italiano, che relega persino il materialismo storico e la distinzione struttura-sovrastruttura, nel campo del possibile idealismo).

      Ma, per farla breve, si tratta di una duplice, inavvertita (dal liberale) derivazione:
      - sul piano sociologico, perchè il liberismo ha prima ancora, già automaticamente ed espressamente elaborato il concetto di controllo cultural-propagandistico come sua parte strumentale essenziale (per il controllo dei parlamenti di fronte all'allargamento dell'elettorato)
      - sul piano logico concettuale, perchè i liberali (politico-filosofici) assumono come fatto morale (epistemologico) dei dati che non sono altro che la registrazione (per lo più inconscia) di un tipo di società che ipostatizzano senza alcuna seria indagine storica.

      Insomma, si può dire che i "liberali" come fenomeno di filosofia poliica esistono, certo, ma ciò assume solo un carattere descrittivo (tautologico: se esistono non lo si può negare) e privo di autonomia nella spiegazione dei fenomeni: certo, a livello intuitivo individuale, non tutto quello che dicono è apparentemente assurdo o inaccettabile, purchè non se ne contestino le premesse ellittiche e non indagate.

      Ma Croce si interessa, senza volerlo, di ipostatizzare le "gerarchie"" della borghesia (liberista): non si rende conto che queste riposano sui liberisti-economisti, che, con ben altro rigore metodologico e politico, impongono il mercato del lavoro-merce e la deflazione per avere interessi reali positivi a favore del capitale (sempre più finanziarizzato).

      Per di più le gerarchie sociali, acriticamente "naturalistiche", le postulano dal lato difensivo e vittimistico: contestarle, dicono, pone in pericolo il pacifico ordine sociale raggiunto da un nuovo tipo "brava gente comune" contro scellerati eversori (che sarebbero una costante, le cui cause, percuò, non vale la pena di indagare).

      Ma tendono a concepire questo schema per un fatto (inconsciamente?) molto personale.

      Si tratta di piccolo borghesi intellettuali che assurti a facitori del controllo sociale liberista (formatori dell'opinione pubblica e quindi appostatisi nella "media" borghesia intelletuale) voglino in sostanza conservare il proprio piccolo privilegio contro aggressioni che sentono violente e espressione di degenerazione "bestiale" della natura umana.

      La struttura dei rapporti di produzione non gli interessa; gli interessa fissare, senza troppo indagare, una meritocrazia - che offrono come soluzione generale e quindi politica-, che bolli come innaturale la eguaglianza sostanziale e ragionano, a posteriori rispetto al fatto compiuto, di assetti istituzionali (niente affatto meritocratici, ad avere i mezzi di analisi degli economisti) che, conservando l'ordine sociale pseuso-naturale e "etico", forniscano una ideologia di lotta politica abbastanza di massa per far vivere sonni tranquilli al capitalismo sfrenato.”


      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/la-comprensione-che-non-ce.html?showComment=1443940052728#c7845726467871419280

      e comunque sono io che ringrazio tutti voi.

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    10. Vero: mi unisco anche io ai ringraziamenti.

      Non solo per la conoscenza approfondita del dibattito nel blog, ma anche per come le citazioni vengono fatte: in modo puntuale e assolutamente a tema, cioè proprio nel modo di chi conosce approfonditamente la moltitudine di concetti che si sono stratificati nel corso degli anni.

      Complimenti. Grazie.

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    11. Grazie Bazaar, come dicevo…. io sto solo imparando da tutti voi, mi dispiace a non essere riuscito (anche con il Presidente) a far comprendere questo bellissimo post (naturalmente parlo su twitter):

      “3.6. Il punto è che i deliri sconclusionati di chi colpevolmente si è prestato a propagandare un'ideologia degna di essere erede dell'antisemitismo nazista come quella dello “Scontro tra civiltà”, sono funzionali alla sconfitta irreversibile, che si manifesta allo stesso modo di un genocidio portato a compimento.

      E chi attenterebbe alla nostra sovranità? Chi predica la cessione delle sovranità democratiche come in guerra? Il profeta dell'Islam nel Corano?

      3.7. Chi lo scrive nero su bianco – ma, si sa, la lettura porta via tempo alla musica leggera e alla discoteca – sono von Hayek e i filantropi sociopatici che hanno finanziato la Mont Pelerin Society e il Movimento Federalista Europeo.

      Che, guarda un po', appartiene alla stessa classe che ha anche manifestamente le mani sporche di sangue per le vicende che riguardano l'ISIS.

      Aizzare i conflitti sub-sezionali tra cristiani (non credenti) e musulmani (non praticanti) è la stessa pratica imbecille che fare a botte tra fascisti (tali perché si lavavano e portavano i capelli corti) e comunisti (con il papà che lavorava in banca): divide et impera.

      3.8. Questo è il senso ultimo dei deliri visionari del fondatore di Paneuropa.


      «Oriana, scusati...»

      (Chiaramente il post è per definizione inutile alle menti elementari e ai «grulli», data la kantiana “I legge della termodidattica”)

      «Per Giove, preferisco andare fuori strada con Platone, piuttosto che condividere opinioni veritiere con questa gente», Cicerone”

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/03/lo-scontro-tra-civilta-come-arma-pop-di.html?spref=tw

      ho notato una cosa… che la maggior parte delle “menti elementari” (anche se seguono su twitter il Presidente), lo voglio dire senza fare polemica, sono simpatizzanti proprio di quel partito che ci dovrebbe far uscire dall’euro…… perché?

      Dopo aver letto questi 2 tweet (di una persona che seguo e molto attenta a queste cose… ho “staccato la spina” da twitter:

      “Radio Padania continua sull'islamofobia. Basta ascoltare per capire che dietro c'è solita lobby. Non ci libereremo mai da €. Spaventoso”

      “Lega Nord, invece di no€ e no immigrazione, indottrina su islamofobia. Io capisco il gioco. Non avranno il mio voto.”

      p.s. Capisco se il Presidente non vorrà pubblicare questo commento.

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    12. Non ho seguito la discussione su Twitter che citi. Ma se il problema è la Lega che parla di rischio islamizzazione in Europa non capisco il nesso con le "menti semplici".
      Io questo rischio lo vedo:
      1 per afflussi ingenti di immigrati musulmani, il numero fa la differenza
      2 perché causa mentalità buonista predominante in linea con tutta Europa si ritiene possibile integrazione come multiculturalismo, culture giustapposte l'una all'altra senza alcun riguardo se la nuova arrivata sia compatibile con l'ordine democratico originato dalla prima, la nostra.
      3 la cultura degli islamici spesso coincide con la religione islamica perché per lo più provengono da Paesi dove vige la sharia, o comunque dove non c'è una storia minimamente paragonabile alla nostra di laicità dello Stato.
      4 Guardiamoci intorno. Nei Paesi dove la presenza di immigrati musulmani è più massiccia e meno recente, vedi Gran Bretagna, esistono già tribunali islamici ad esempio, con tutte le storture che ne derivano.
      Anche permettere che il concetto di Stato e legalità sia declinato in ragione delle diverse culture di origine è un attacco alla sovranità. Una massa di individui che non concordano neppure nel riconoscere pieni diritti democratici alle donne, ad es, può rappresentare il popolo sovrano?!

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    13. Questa è un po' un'isola felice: tutti coloro che discutono da anni hanno continuato a cambiare il modo di percepire gli avvenimenti, valutando di volta in volta il significato e l'impatto di determinati accadimenti.

      Studiare e, magari, confrontarsi umilmente in una dialettica, è diverso che sleggiucchiare qua e là.

      Lenin è chiaro: chi non ragiona per classi non può capire nulla di politico e sociale (e, se vogliam fare un po' di esistenzialismo, potrà capire pure poco di sé): il "materialismo storico" è un concetto fondante la descrizione della realtà.

      Senza questo tipo di coscienza non ci può essere vera autocoscienza.

      Si fa fatica a dominare orgoglio e presunzione, falsa coscienza di sé e pregiudizi; si fa fatica a dominare le paure e il senso di inadeguatezza.

      È una scelta di carattere etico. La coscienza morale mette le proprie radici in queste semplici ed umanissime questioni.

      Se la morale non viene materialmente fondata, rimane solo del moralismo buono come l'oppio. Sussidiarietà psicotropa per la serena accettazione della schiavitù.

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    14. Morale...della fava, caro Luca (smigol), non è realistico pretendere su twitter lo stesso genere di comprensione e di coscienza cognitiva che trovi in questa sede.

      Nè è attendibile che ritenere che il linguaggio e il sistema di analisi di quella sede siano "comunicanti" con quelli di questa.

      In definitiva: sì, è troppo difficile far comprender certi punti di vista su twitter. Puoi solo divulgarne l'esistenza e lasciare che le cose, nella coscienza collettiva, eventualmente si evolvano (forse, chissà quando, probabilmente mai).

      Ma non bisogna prendersela se non si è capiti: lo scopo di twitter è di "sfogatoio", per le umane e più ovvie delle rabbie, e di "lotta politica", laddove prevale la forma più contingente e immediata di tale contesa.

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    15. Caro Presidente……Io non dico che il problema non ci sia…… ma…

      “Perchè l'Islam come minaccia all'Occidente nasce dagli anni '90 in poi?”

      “Attenzione, se si legge il post, ci si accorge che parla della Francia, Sì DELLA FRANCIA PENSA UN PO'.
      Cioè del principale paese coloniale nel Maghreb: e dunque, nei fatti, quello che viene alla ribalta di queste tragiche cronache.
      E il post si interroga pure sull'esistenza di immigrati di seconda generazione anteriormente a questa fase, sempre in Francia, anche negli anni '50 e '60: perchè non avevano dato problemi?

      Perchè l'Islam come minaccia all'Occidente nasce dagli anni '90 in poi?

      Gli stessi anni in cui si afferma la "fine della Storia" a trazione USA-globalizzati, e si applica Maastricht con tutti i suoi effetti di transfer, in tutta Europa, del Washington Consensus (cioè Stato-brutto aboliamolo, corruzione e troppe tasse...ecc).

      Sull'evidenza che il terrorismo islamico abbia un'origine nella strategia dei mujhaeddin (USA) anti-sovietici in Afghanistan, prosegua per la de-laicizzazione medioorientale con le guerre del Golfo e lasci in piedi il principale paese integralista, l'Arabia Saudita wahabita, senza mai porgli alcun problema (da parte della comunità internazionale "democratica"), magari è meglio informarsi.
      INFORMARSI.

      Un atteggiamento culturale si diffonde e si organizza militarmente se trova finanziatori e strateghi che hanno precisi interessi ad usare uno strumento (facile da evocare e suscitare). Piuttosto che un altro (un tempo il terrorismo serviva a dimostrare che il comunismo non poteva essere che violento e rivoluzionario, da parte di chi aveva esattamente l'interesse ad una opposta rivoluzione neo-liberista: che stiamo puntualmente vivendo).

      Rispondere a queste domande e STUDIARE questi aspetti è essenziale.

      Ma capisco non per te, Anonimo, che straparli qui di radical-borghesia: la quale attualmente è tutta per il più Europa e per l'accoglienza indiscriminata (chissà se c'entra il mercato del lavoro e la deflazione salariale competitiva), Islam buono e poi, però, dichiara guerre contro non si sa chi: e infatti poi non le fa.

      Mi attendo però che tu raduni l'esercito dei saputoni-di-buon-senso-con-la-vera-cultura e parti per la guerra.
      Poi raccontami.”

      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/11/il-terrorismo-la-durezza-del-vivere-e.html?showComment=1447698756216#c6731356999980453467

      un caro saluto a tutti…. e grazie come sempre.

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  2. comunque grazie di esistere Presidente..... bellissimo post (come al solito)

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  3. A proposito di uguaglianza formale e sostanziale.

    Sulla rivista “Energie Nove” fondata da Gobetti, nel 1919 apparve uno scritto di Einaudi dal titolo “Aiutare i fratelli! ” e nel quale il nostro affermava che:

    Ora che la guerra è finita e la concorrenza estera ricomincerà a farsi sentire timidamente dapprima e via via poscia con maggiore intensità, è facile prevedere che alle grida ripetute nei giornali intorno alla necessità ed all’urgenza di importare, di importare largamente dall’estero alimenti, combustibili, materie prime, torneranno a subentrare voci le quali reclameranno la chiusura delle frontiere alle merci straniere concorrenti colle nostre.

    Bisogna favorire, si dirà nuovamente, i fratelli, i connazionali, dar lavoro ai combattenti reduci, impedire la disoccupazione. Che patriotta è costui che per una piccola differenza di prezzo o una forse immaginaria eccellenza di qualità preferisce il produttore straniero al vicino connazionale? La sua condotta non è paragonabile forse a quella di colui che, noverando in casa un fratello esperto ingegnere od abile sarto, si facesse fare progetti ed abiti da un qualunque estraneo? La voce del sangue, il dovere non comandano invece di dar guadagno, prima che ad altri, a chi è congiunto, amico o compatriota?...

    Il vero aiuto ai fratelli nostri italiani lo daremo spalancando le porte alla concorrenza estera. SOTTO IL PUNGOLO DI QUESTA, I FRATELLI DOVRANNO AGUZZAR L’INGEGNO E CERCAR DI PRODURRE A BASSO COSTO. L’ingegno, che gli italiani hanno in abbondanza, lo impiegheranno non per sopraffarsi nelle lotte politiche e quindi strappare, colla vittoria, regali a chi non sa farsi valere, ma nell’istruirsi tecnicamente e nel diventare capaci di produrre meglio e a prezzo più basso degli stranieri. Alla lunga, l’industria fiorente e viva di vita propria sarà il frutto di tale politica corroboratrice dell’aria aperta. I migliori educatori dei figli non sono i genitori indulgenti, bensì quelli irremovibili e severi
    …. [L. EINAUDI, Energie Nove, 1-28 febbraio 1919, Serie I, n. 7-8, 97-99]. Se gli italiani (reduci) volevano sopravvivere, dovevano piegarsi al mercato, all’austerità e alla deflazione. Altro che lotta alla disoccupazione! Era il periodo del “biennio rosso”.

    Ironia della sorte, però, in quello stesso numero della Rivista è contenuto uno scritto di Gramsci dal titolo eloquente “Stato e sovranità”. Gramsci nell’occasione replicava ad un articolo di Balbino Giuliano il quale, a suo dire, da socialista era diventato “uomo d’ordine” (in pratica, fascista). Una piccola storia di quella che sarebbe diventata l’attuale asinistra. Il discorso radicale di Gramsci dovrebbe, a mio avviso, essere inserito postumo e di buon diritto tra i verbali dell’Assemblea Costituente, la quale rappresentò lo spartiacque tra il vecchio mondo liberale (quello dell’uguaglianza formale) ed il nuovo mondo democratico (quello dell’uguaglianza sostanziale):

    …Il prof. Balbino Giuliano ha “creduto” anch’egli, un tempo, a “tutte queste cose” [NdF, socialismo e lotta di classe]; oggi non ci crede più. La sua fede e la sua fedeltà le ha dedicate a idee e concetti più alti e più vivi; egli è ritornato a Mazzini e si è convinto che la quistione sociale è essenzialmente quistione morale, quistione di coltura…; ha detronizzato il “Manifesto dei Comunisti” e ha rimesso sull’altare “I doveri dell’uomo”… (segue)

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  4. Credo che B.G. abbia “creduto” nel socialismo, non credo che B.G. “sia stato” socialista. La storia spirituale di B.G. come di Gaetano Salvemini, come di tutti gli intellettuali che hanno “creduto” nel socialismo, è anch’essa un momento della storia della società moderna capitalistica: è la dolorosa storia della piccola borghesia, di questa classe media che in Inghilterra e in Francia è arrivata al potere dello Stato, ma che in Italia e in russia non ha potuto svolgere alcun compito preciso ed è stata rivoluzionaria fino a quando la classe lavoratrice, debole e scompaginata, teorizzava la dialettica della sua specifica funzione ed era per gli intellettuali dato esteriore per costruire miti ideologici; e si è convertita “all’ordine”, appena la classe lavoratrice, compostasi in unità sociale, divenuta una potenza, ha incominciato ad attuare…il proprio divenire specifico, rompendo ogni schema prestabilito intellettualisticamente dalle mosche cocchiere della piccola borghesia.

    Il socialismo è stato per B.G. atto di fede in una legge naturale che trascende lo spirito. Il suo socialismo non è stato quindi un atto di vita, ma un puro riflesso di sentimento, una mistica, non una pratica. Egli non ha neppure superato criticamente questo momento del suo spirito: è avvenuto in lui un semplice spostamento, una sostituzione di contenuto empirico, ma l’immaturità non è divenuta maturità nonostante l’uso e l’abuso della fraseologia idealistica.

    Il determinismo economico, prima che essere fondamento scientifico dell’azione politica ed economica della classe lavoratrice, è autocoscienza storica della classe lavoratrice, è norma d’azione, è dovere morale. La dottrina della lotta di classe sarà meno viva e meno alta della dottrina mazziniana, ma è questa una valutazione astratta, puramente intellettuale: storicamente, concretamente, la dottrina della lotta di classe è superiore al mazzinianesimo di quanto la critica è superiore al sentimento, di quanto la volontà critica è superiore all’arbitrio puerile…

    B.G. è un astrattista, non un realista, è un cattolico, non un idealista. Egli consiglia ai giovani lo studio dei “problemi concreti”, e sostiene la quistione sociale essere quistione morale, quistione di educazione spirituale. Ma i suoi “problemi concreti” sono semplicemente problemi di politica empirica; la concretezza non è altro che limitazione empirica nel tempo e nello spazio, puro tecnicismo materialistico…Concretezza è organicità, e l’organicità dei problemi sociali si ritrova nella politica, che è l’atto creativo dello spirito pratico. Il sapere e il volere individuali devono sostanziarsi in “potere”, se hanno un fine concreto, se sono “galantomismo” e “lealtà”.

    IL PROBLEMA CONCRETO NON SI RISOLVE CHE NELLO STATO, e pertanto non si è “concreti” senza una concezione generale dell’essenza e dei limiti dello Stato. E POICHÉ LO STATO È UNA SOVRANITÀ ORGANIZZATA IN POTERE, non si è concreti senza una concezione generale del concetto di sovranità, senza UN’ADEGUAZIONE DELLA PROPRIA ENERGIA INDIVIDUALE ALL’ATTO UNIVERSALE CHE OPERA ATTRAVERSO LA SOVRANITÀ e si esprime in tutto il complesso meccanismo dell’amministrazione statale.
    (segue)

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  5. Il Giuliano non è un idealista; è un positivista all’inglese, con un’incipriatura di fraseologia idealistica. La quistione sociale è vista, da buon puritano, come quistione morale, di purificazione interiore, da raggiungere attraverso la cultura e l’educazione individuale. La quistione sociale non è più un problema storico, un momento necessario dello sviluppo progressivo della società umana, da superare storicamente, - sostanziando di potenza materiale e spirituale la classe lavoratrice che porrà a base della sovranità e dello Stato l’atto produttivo di beni nel quale tutti gli uomini raggiungeranno una nobiltà spirituale, SOSTITUENDO QUEST’ATTO ALL’EMPIRIA DEL “MAGGIOR NUMERO” DEMOCRATICO CHE SI ORGANIZZA ATTRAVERSO LA VIOLENZA E L’INGANNO DEMAGOGICO, - ma ridiventa il problema del male come lo concepiscono i cattolici, e lo concepiscono gli epigoni dell’illuminismo enciclopedista annidatisi nelle Università popolari.

    Per un idealista, così posto, il problema è una vacuità fraseologica, ed irrisolvibile “politicamente”; è un travestimento buffo dello spirito cristiano, è una cattiva azione, è una scaturigine di pervertimento sociale e di scetticismo individuale…La dottrina del materialismo storico è l’organizzazione critica del sapere sulle necessità storiche che sostanziano il processo di sviluppo della società umana, non è l’accertamento di una legge naturale, che si svolga “assolutamente” trascendendo lo spirito umano. E’ autocoscienza stimolo all’azione, non scienza naturale che esaurisca i suoi fini nell’apprendimento del vero…è quindi prassi, superamento continuo, adeguazione continua dell’individuo empirico alla universalità spirituale.

    Il Giuliano non è stato fedele allo spirito universale, egli che avea, da socialista, il compito educativo di adeguare gli operai e i contadini alle necessità storiche universali quali si concretano e si definiscono nella funzione storica della classe lavoratrice.

    I problemi concreti sarebbero stati allora per lui l’educare gli spiriti immaturi della classe lavoratrice ALL’ESERCIZIO CONCRETO DELLA SOVRANITÀ DEL LAVORO, alla fondazione del nuovo Stato che ordini la sua attività sull’atto produttivo, sul dinamismo del lavoro, sostituendo lo Stato capitalista, condizionato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, adorante il Vitello d’oro, mostruoso Moloch che sacrifica la vita per spostare individualmente o nazionalmente la proprietà privata. Il problema concreto oggi…in piena catastrofe sociale….è quello di aiutare la classe lavoratrice ad assumere il potere politico, è quello di studiare e ricercare i mezzi adeguati perché la traslazione del potere dello Stato avvenga con effusione minima di sangue

    Ma questa concretezza sfugge agli illuministi dell’astratta ragione ragionante. ESSI, i profondi studiosi dei problemi concreti, reputano il bolscevismo un fenomeno russo, hanno ucciso l’uomo per il concetto, hanno ucciso lo Stato per il “problema”, e “l’ordine”, nel processo di immiserimento della coscienza storica, può finire identificandosi in un delegato di pubblica sicurezza
    ” [A. GRAMSCI, Statto e sovranità, Energie Nove, 1-28 febbraio 1919, Serie I, n. 7-8, 99-101].

    Con l’auspicio che gli asini dell’internazionalismo scambiato per globalismo siano definitivamente travolti dalla loro innata idiozia. (Di “quistione sociale” ed uguaglianza sostanziale si tornerà a parlare. Ci può contare Presidente. Quando accadrà, ci ricorderemo di Gramsci per discernere tra chi ne parlerà da illuminista enciclopedista e chi ne parlerà da democratico fedele alla Costituzione, cioè da socialista).

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    1. Purtroppo non c'è verso: quando Gramsci non si conforma (alla estrapolazione in funzione internazionalista), ti rispondono che era un marxista del XX secolo, "ateo", e come tale inattendibile.

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    2. Vero…. Infatti quanti discussioni su twitter quando postavo questo commento (grazie a Francesco):

      In conclusione, a complemento del discorso svolto da Keynes, ci pare opportuno riportare l'analisi di Gramsci (citata da Francesco), che con la sua consueta nitidezza, tratteggia, in raccordo alle stesse intuizioni keynesiane, una cornice storico-economica che, oggi, risulta più che mai attuale; la visione gramsciana, infatti, appare capace di descrivere le analoghe tensioni a cui sono esposte, sempre a causa dell'ordine internazionale dei mercati come paradigma che si deve affermare a qualsiasi costo, la pace e il democratico benessere dei popoli:
      "Lontani anni luce da Gramsci che non si era fatto attrarre da tali sirene, consapevole della vocazione globale del capitalismo mercataro e del falso mito dell’internazionalismo: “Tutta la tradizione liberale è contro lo Stato. [...] La concorrenza è la nemica più accerrima dello stato. La stessa idea dell'Internazionale è di origine liberale; Marx la assunse dalla scuola di Cobden e dalla propaganda per il libero scambio, ma criticamente” (A. Gramsci, L'Ordine nuovo, 1919-1920, Torino, 1954, 380).
      E sulla “globalizzazione”, diversamente da rapporti inter-nazionali tra Stati sovrani come concepita, già allora scriveva: “Il mito della guerra - l'unità del mondo nella Società delle Nazioni - si è realizzato nei modi e nella forma che poteva realizzarsi in regime di proprietà privata e nazionale: nel monopolio del globo esercitato e sfruttato dagli anglosassoni. La vita economica e politica degli Stati è controllata strettamente dal capitalismo angloamericano. [...] Lo Stato nazionale è morto, diventando una sfera di influenza, un monopolio in mano a stranieri. Il mondo è "unificato" nel senso che si è creata una gerarchia mondiale che tutto il mondo disciplina e controlla autoritariamente; è avvenuta la concentrazione massima della proprietà privata, tutto il mondo è un trust in mano di qualche decina di banchieri, armatori e industriali anglosassoni” (A. Gramsci, L'Ordine nuovo, cit. 227-28).

      Le conseguenze sono quelle descritte nel post, ovvero: “L'Italia è diventata un mercato di sfruttamento coloniale, una sfera di influenza, un dominion, una terra di capitolazioni, tutto fuorchè uno stato indipendente e sovrano. [...] Quanto più la CLASSE DIRIGENTE ha precipitato in basso la nazione italiana, tanto più aspro sacrificio deve sostenere il proletariato per ricreare alla nazione UNA PERSONALITA' STORICA INDIPENDENTE” (A. Gramsci, L'Ordine nuovo, cit., 262-263).

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/05/da-keynes-gramsci-il-filo-della-pace.html?spref=tw

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    3. "..una mistica e non una pratica" spiega tantissimo. In particolare perché non si riesca a farsi capire da chi pretende di rifarsi al principio di legalità ma corretto o accantonato addirittura secondo necessità con concezioni di ciò che è umano e di ciò che è inumano, facendo riferimento ai principi generali di una più elevata etica ma trascurando che questi devono funzionare nella pratica, nella vita quotidiana e reale, devono diventare politica, e che questi principi devono funzionare tutti insieme, non isolati di volta in volta a convenienza, senza entrare in contraddizione logica e morale tra loro.

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    4. E infatti, spiega tanto:

      Sprezzando gli irraggiungibili ideali etici, e le debolezze sentimentali, trasportando la morale dalla regione eterea a quella dell’attività umana, essa le dà finalmente un contenuto concreto. Solo se sia considerata sotto il nostro angolo visuale, la morale può concepirsi come un fatto reale della vita dell’uomo, che di continuo la invera e la supera nel flusso perenne della storia.

      Essa si invera e si supera proprio nella ribellione dell’uomo, cioè nello sforzo di affermare la propria personalità soffocata, cioè nell’abito dell’intransigenza, nel culto della lotta, nell’educazione del carattere, nella rivendicazione della dignità.… Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che la nostra morale e morale di classe, e allora solo potremo, in faccia alla sfrontata ipocrisia della beneficenza borghese, gridare alto e forte che la prima conquista morale È LA CONQUISTA DELLA DIGNITÀ UMANA
      ” [L. BASSO, Valore morale del socialismo, Critica sociale, 1-15 gennaio 1925, n. 1, 25-28]. La legalità costituzionale.

      Ogni altra etica, anche quella che Basso etichettava non a caso come “legalitarismo”, è una v€rnice borghese posta a presidio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Un discorso "elementare" che sembra annegato nell’oblio generale

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    5. @Luca
      Mi unisco ai ringraziamenti di Arturo. Una memoria d'acciaio al servizio della coscienza...costituzionale :-)

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    6. L'inveramento attraverso il superamento è idealismo hegeliano puro: tanto in Gramsci quanto in Basso. Poiché viene fondato empiricamente al fine di prassi politica, si può parlare propriamente di marxismo.

      Gramsci descrive in modo magistrale l'equivalenza etica e politica tra piddino e fascista.

      Illuminante.

      (Notare il giudizio politico su Salvemini, padre del socialismo "liberale" da cui nascerà l'angloamericanissimo federalismo ad usum imperii degli Spinelli e del moderno piddinesimo...)

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    7. In breve: la differenza che passa tra "credere" nel socialismo, o essere socialisti, è la differenza che passa tra un democratico ed un fascista.

      Un po' come credere o meno nelle costituzioni....

      (ennesima dimostrazione di quanto può essere importante studiare "veramente", in modo multidisciplinare, organico e coerente)

      Sarebbe interessante "ritornare" funditus anche su cosa intendesse Lelio a proposito di "referendum istituzionale".

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    8. p.s.

      Riprendendo una riflessione che si faceva in questi giorni con Arturo: il positivismo "radicale", l'atteggiamento "fenomenologico" in economia come nel diritto costituzionale, fanno la differenza tra il democratico socialista e il piddino fascista.

      Il "liberale" ("de destra" o "de sinistra", sempre liberista è) passa in modo assolutamente discontinuo tra "positivismo scemo" e "stomachevole moralismo".

      La coscienza del "materialismo storico" è ciò che fa la differenza.

      Un hegelismo non fenomenologicamente fondato, ossia non materialmente fondato in funzione della prassi politica, porta al fascismo. Anzi: "ai fascismi".

      (Questa è la puntuale risposta a chi ha provato a generalizzare una relazione tra "idealismo platonico" e "gerarchia piddina"...)

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    9. Certo: Gramsci è vecchio e superato; il filantropismo ottocentesco, invece, sì che è fresco come una rosa.

      Uno storico filologicamente ferratissimo, e a basso tasso di piddinismo, come Favilli, notava qualche mese fa:

      "Il «campo progressista», secondo le parole di Pisapia, dovrà essere capace di unire «il civismo, la sinistra, e il centrosinistra» e questo non solo è necessario, ma possibile visto che «sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono» (Corriere della Sera, 10 gennaio). È giusto prendere in parola Pisapia sulle cose che dice di avere in comune con la forza largamente maggioritaria del «campo», il Pd; il problema è il carattere «progressista» delle «cose» vista la connessione essenziale che queste non possono non aver con la «cosa» Pd. Si invoca la «discontinuità», ma ci si guarda bene dal cercare le ragioni di una «continuità» che nel suo fondo resta immodificabile.

      Un personalità del Pd, Goffredo Bettini, argomenta in questi termini la necessità dell’autocritica relativa ad uno dei punti chiave della invocata discontinuità: occorre che il Pd ponga rimedio alla «scarsa empatia» dimostrata «verso la sofferenza dei disagiati» (Blog Bettini, 7 dicembre). Parole analoghe a quelle che avrebbe usato un filantropo dell’Ottocento. D’altra parte quali sono gli strumenti tramite i quali è possibile aumentare il livello di empatia nei confronti dei «disagiati»? Gli scritti dell’ala sinistra del «campo progressista», e della parte del Pd che ha riscoperto la sua «anima» di sinistra, abbondano di esortazioni ad affinare la capacità di «ascoltare» i lamenti dei «più deboli» (Chiamparino), le esortazioni a rappresentare, nell’ambito dei progressisti, il gruppo con la maggiore «sensibilità» sociale.

      «Empatia», «ascolto», «sensibilità», con qualche variazione di sinonimi, rappresentano il vocabolario che esprime l’orizzonte delle cose che «uniscono» il «civismo, la sinistra, il centrosinistra». L’oggetto di queste manifestazioni «empatiche» sono i «disagiati», i «diseredati», i «deboli». Per ora ci vengono risparmiati gli «umili».

      In verità ogni tanto appare anche il termine «esclusi». Con un po’ di sforzo si potrebbe anche arrivare a vedere i «superflui».
      "

      Direi che a questo punto lo sforzo è davvero minimo.

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  6. A questi somari che non vogliono sentir ragioni, rispondiamo come fece proprio Gramsci: "Voi fascisti porterete l'Italia alla rovina, e a noi comunisti spetterà salvarla". Almenno si spera

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    1. Considerato il lavoro, ormai consolidatosi, svolto dai "centri di irradiazione" mainstream, ad ogni livello, rispondere così sarebbe darsi la zappa sui piedi :-) Rischieresti seriamente di coalizzare coloro che ormai sono politicamente divisi...E chi la regge la retorica dell'"antistatalismo libertario liceale" (di chi al tempo aveva studiato poco e male), tutto infarcito di Hegel-totalitarismi-Stalin-Hitler-Keynes-tuttibruttistatalistiallostessomodo?

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  7. Mi sa che ha ragione :-). Già me li vedo i Rondolino, i Severgnini, i Riotta e gli altri Miel(os)i della banda del giornalismo-merce. Se Kafka fosse vivo, avrebbe avuto abbastanza materiale per scrivere altri dieci romanzi!

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  8. A proposito di processo elettorale e relativi esiti ottimali, ormai sono di una prevedibilità disarmante: sicuri evidentemente di poter uscire allo scoperto senza suscitare particolari turbamenti. Il che, al punto in cui siamo, è decisamente poco confortante.

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    1. Già...e se fai attenzione al complesso del dibattito si tratta di una clamorosa conferma "in tempo reale" di quanto analizzato nel post.
      Sarà uno degli argomenti su cui torneremo...

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    2. Lei ha “la sfera magica”:

      “Perciò, sebbene si siano illusi che bastasse parlare di rinnovamento e di rottamazione porgendo volti nuovi, anche, e soprattutto, un'eventuale estremizzazione di questa cosmesi via "falso movimento", si risolverebbe in un rapido fallimento (la velocità della perdita del consenso, per ogni nuova soluzione diviene sempre più rapida e disastrosa: casta e corruzione sono stati escogitate da troppi anni per avere ancora effetti non usurati e distrattivi sicuri).

      E infatti Prodi, qui più volte citato, lo ha detto esplicitamente.
      Ergo, sono ormai a loro disposizione un limitato numero di mosse cosmetiche, inclusa quella della corruzione e della lotta alla casta, tutte egualmente fallimentari perché ad effetto transitorio e "placebo" (oggi si sono ridotti a cercare un nuovo Prodi o, alle brutte, un nuovo Monti, che siano sufficientemente portatori di un linguaggio anti-europeo ma sempre fedeli all'idea irrinunciabile di "un'altra €uropa").

      Direi che è quindi scontato che già si stia programmando "come" creare una situazione di shock per giustificare nuove forme istituzionali, preferibilmente derivanti da una grande riforma de L€uropa, che restringano e neutralizzino le elezioni nazionali.

      L'ideale, per ESSI, sarebbe quello di arrivare al più presto a rendere politicamente accettabile la sola elezione del parlamento €uropeo.
      Ma sanno anche che tale aspirazione ottimale non è soddisfacibile nel medio periodo.
      Ergo, è altrettanto inevitabile dedurne che stanno pensando a qualcosa di molto peggio...”

      http://orizzonte48.blogspot.it/2017/07/tra-barroso-e-il-back-to-spencer-qual-e.html?showComment=1499972369671#c403747329116788792

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  9. In effetti...ieri sera avevo finito di leggere il post e ho sentito Bersani che sembrava averlo appena letto e...non volerlo 'accettare'. La pericolositá di questo blog sta secondo me nella sua specifica unicitá: sulla storia, sulle teorie economiche, sui micugginismi, sulle tecnofobie, perfino sulla Costituzione come narrazione romantica...si può sempre buttarla 'in caciara'....Ma come la mettiamo con i Trattati? Scritti per non essere compresi e nella speranza che nessuno si mettesse a leggerli seriamente...
    Chi riesce a smentire la ricostruzione di "Euro e (o?) democrazia costituzionale?"...É diritto...nero su bianco...non ci sono cxxxi. Potrai avere testi che attaccano keynesismo, socialismo, tuttobrutto...ma mi trovate un testo che analizza diversamente IL TESTO DEI TRATTATI? C'è un think tank che con tutti gli specialisti a disposizione abbia il coraggio di farlo? Evidentemente non avranno mai interesse..nemmeno a proporselo.

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  10. ...mi riferivo al fatto che Bersani ha aperto sulla questione del non "vote"..come nell'immagine postata.

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    1. Al momento mi sfugge la dichiarazione di Bersani cui ti riferisci. Hai un link o qualcosa di equivalente?

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    2. https://it-it.facebook.com/PierLuigiBersani.PaginaUfficiale/

      Forse è questa da Parenzo Presidente, ma io non ho visto la trasmissione

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  11. http://www.la7.it/in-onda/rivedila7/in-onda-puntata-05092017-06-09-2017-220969

    Alla prima domanda di Telese sui rapporti con Pisapia Bersani risponde che da anni la gente non va più a votare...e ritorna un paio di volte sulla questione 'astensionismo'...solite menate...
    La trasmissione è (stata) quello che è (stata), soprattutto quando Bersani si definisce un liberale...ius soli...con Porro che gli ride in faccia spiegandogli che spiana la strada alle destre...vabbè, tutto prevedibile..ora di cena...

    Mi scuso con te che evidentemente per <> probabilmente ti riferivi a qualcosa di più "elevato".
    Mi aveva curiosamente sorpreso, guardando la tv solo la sera, la 'sincronia' tra il post appena letto e le questioni elettorali affrontate nel 'dibattito'.
    questioni discu

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  12. *evidentemente per il "complesso del dibattito [che] conferma in tempo reale [..] quanto analizzato nel post."

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  13. Ho terminato la lettura di “Freedom and The Law” e ringrazio Bazaar per avermi introdotto (qualche post fa) al fantastico mondo della Leoni’s Renaissance e fornitomi collegamenti e riferimenti teorici nella risposta mi ha criticamente orientato nella googlata di approfondimento e contestualizzazione della lettura.

    Seguendo il blog qualcosa ormai sapevo, ma andando sul sito dell' Ibl non riuscivo a cogliere complessivamente lo ‘spessore’ o la specifica traiettoria culturale della figura in questione .

    Degli autori che vengono menzionati da codesti "leonbruni", cercavo qualche anno fa [non conoscevo questo blog] un'antologia il più possibile sintetica ma non trovai nulla.
    Così ordinai, per farmi un'idea, "THE AGE OF SELFISHNESS: AYN RAND, MORALITY, AND THE FINANCIAL CRISIS", fumetto biografico su questa autrice idolatrata negli U.S.A. e che ora pare sia "riscoperta" anche in Italia [in un 'LaFeltrinelli International' probabilmente ne avranno una pila di copie] in ambito filosofico sociale e dai leonbruni boys.
    Come graphic novel di per sé risulta godibile...i contenuti tuttavia (col beneficio del dubbio che investe tutta l'"opera", trattandosi di divulgazione spicciola) avevano sviluppato in me un pregiudizio su tutta questa riscoperta di correnti che si ostinano a considerarsi (o vogliono così risultare) emarginate [le recensioni di articoli o saggi con premesse del tipo "Nell'ormai sempre più ristretto universo liberale che in Italia stenta...": ma se in questo blog non faccio altro che leggere (documentate) ricostruzioni delle vittorie del neo-liberismo tramite il contributo fondamentale….. di chi? Di questi emarginati ?[!!!] non è abbastanza quanto è stato fatto? Testi che hanno ispirato la stesura di Trattati...ma dateci tempo… […tutti morti e tutti subito?].

    Sul testo letto in ogni caso l’impressione che ho avuto è senz’altro che “la vera differenza, in realtà, è che i neoliberisti non sono altro che liberali classici con il minus di essere infinitamente più limitati intellettualmente e più ignoranti in modo manifesto e raccapricciante” (Bazaar)…
    Qualche osservazione personale appuntata ‘in calce’ la riporterò se in attinenza con post e commenti futuri.

    Al volo: Leoni parte dal noto [diciamo dal secondo capitolo, per sintetizzarlo: il brocardo “ubi societas ibi ius” non vale per il diritto privato (ma bastano le introduzioni di Campobasso, Galgano, Ferri di commerciale…senza scomodare gli storici del diritto…)] per far risultare colta la truzza provocazione 'idraulicosofica':
    "Perché mai pochi uomini al governo dovrebbero saperne più dei molti che ogni giorno lavorano, producono, scambiano merci, servizi e moneta in tutto il mondo?”

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