martedì 1 maggio 2018

IL 1° MAGGIO 2018: FARE LA F€STA AI WORKING POORS



1. Festa del 1° maggio 2018. 
Fingeranno di chiedersi perché ancora si festeggia, e di indignarsi per la sicurezza sul lavoro, ma non diranno una parola sull'€uropa e sulle riforme strutturali incessanti che distruggono competitivamente l'occupazione, la tutela del lavoro e il salario indiretto (sanità e assistenza pubblica) e differito (sistema previdenziale pubblico). 
Non diranno una parola su quella "macchina di livellamento", verso la neo-povertà dei working-poors. che, come evidenziava Lelio Basso, svuota le istituzioni rappresentative democratiche a favore della sovranità di centri extraistituzionali, privati e esteri, antitetici alla Costituzione fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare.

2. Ci limitiamo a fornire un po' di dati sufficientemente aggiornati tratti da uno studio della Fondazione di Vittorio (v. più sotto). Come breve premessa, prendiamo spunto dalla natura di questa fonte per rammentare un intervento di questo illustre sindacalista e membro dell'Assemblea Costituente, che sul nascente federalismo €uropeo dei trattati liberoscambisti, già nel 1952, esponeva le criticità insostenibili che sarebbero poi state acuite nei decenni dai trattati successivi, portando alla restaurazione del mercato del lavoro perfettamente flessibile e deflazionista che oggi rende beffarda la stessa celebrazione del 1° maggio da parte di chi non si è mai opposto a questa stessa deriva, negatoria dei principi inderogabili della Costituzione del 1948:
"Di Vittorio compie una ricognizione dell'interesse nazionale, rispetto al liberoscambismo internazionalista propugnato da subito dal federalismo europeo, che fa leva su un elementare, quanto dimenticato, effetto distruttivo del comune sforzo di tutti i ceti produttivi. Questa perorazione, fatta nel 1952, in occasione dell'adesione italiana alla CECA, è tanto attuale da rivelarsi, oggi, ancor più profetica:
"Non è leale, ha continuato l'oratore, sostenere che solo i comunisti sono contrari al Piano Schuman. In Germania esso è sostenuto solo dai grandi capitalisti direttamente interessati ed è contrastato anche dai socialdemocratici, i quali giustamente lo considerano un ostacolo alla riunificazione del Paese. In Francia gli stessi industriali del complesso del Creusot sono contrari al pool perché minacciati direttamente. In Belgio il pool è avversato da esponenti di tutti i partiti. In Italia si sono dichiarati contro il pool la stragrande maggioranza dei lavoratori e perfino la Confindustria. Il senatore Jannaccone, e cioè un autorevole economista liberale, ha detto che il Piano è sorto da un'idea americana ed è caratterizzato dalle sottigliezze giuridiche francesi e dalla nebulosità tedesca. Il certo è dunque che non ha nulla di italiano! Né vale, ha continuato Di Vittorio, accusarci di "collusione" con gli industriali, giacché è noto che la classe operaia lotta contro gli industriali per la divisione del reddito delle industrie e non per la distruzione delle industrie.
In Italia il Piano Schuman è sostenuto soltanto dal ceto polico dirigente."
(Di Vittorio chiede di sospendere la ratifica del "Piano Schuman", L'Unità, 17 giugno 1952).  
2. E dunque: la crisi da austerità fiscale dell'eurozona, con l'aggiustamento conseguente, consistente in svalutazione interna, salariale, ha portato a questi livelli di diffusione dei lavoratori a termine. E al costante diminuire dei lavoratori indipendenti a causa della costante compressione della domanda interna:


3. I crescenti contratti di lavoro a termine, data anche l'insostenibilità fiscale, dettata dall'€uropa, delle incentivazioni fiscali al lavoro a tempo determinato (definizione eufemistica dopo il Jobs Act), sono anche sempre più "brevi":


4. Dilaga il part-time involontario, fonte principale del fenomeno dei working poors, e strutturazione di una condizione di sottotutela sostanzialmente assimilabile a quella della disoccupazione; nell'ambito della quale tali lavoratori, specie se a termine, andrebbero a rigore conteggiati (v. qui, p.6):


5. Il "gioco di prestigio" statistico dell'occupazione precarizzata e dei salari da sottoccupazione pauperistica, emerge dal fatto che le unità di lavoro (ULA), cioè i posti effettivi di lavoro, e le connesse ore lavorate, sono oggi, nonostante la sbandierata ripresa, a malapena ai livelli della disastrosa parte finale del 2011, quella che ci ripiombò, in nome del "fate presto" €uro-imposto, nella fase più acuta della "doppia recessione":


6. E sempre parlando di "festa del lavoro" questa è l'effettiva dimensione della "ripresa" di cui sicuramente oggi parleranno nelle piazze:


30 commenti:

  1. Contratti precari per una vita precaria. Contratti a breve termine per una vita a breve termine.

    Contratti flessibili per una dignità flessibile. Da piegare e calpestare.

    Contratti per una vita mercificata ed alienata.

    A tutti i lavoratori che non ricercano e non fanno domande: ve lo meritate.

    Non è vero che "non funziona niente", "governo ladro": non funzionate voi per primi che non siete in domanda in questa congiuntura storica.

    Il lavoro è vita: quindi è produzione di Coscienza.

    Sì può essere occupati e non essere lavoratori. Sì può essere disoccupati ed esserlo portando coscienza rivoluzionaria.

    Buon primo maggio a tutti coloro che lavorano portando consapevolezza.

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    1. Abbassare il livello dell'istruzione per produrre lavoratori meno esigenti. Far lavorare minorenni che dovrebbero stare sui banchi.

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    2. Aggiungo che una mia collega universitaria ha chiamato.uno studente in alternanza scuola-lavoro 'il mio schiavetto'.

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  2. Sarebbe interessante paragonare anche i salari tra 2009 e 2018.

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  3. sia i salari come entità che come percentuale sul PIL che come mediana.

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    1. E' un discorso un po' diverso.
      In sostanza, le crisi determinano (tendenzialmente) un iniziale incremento della quota salari su PIL per via della depressione di quest'ultimo e del grado di rigidità del mercato del lavoro pro-tempore.
      Poi si parte (in ambiente neo-liberista/gols standard istituzionalizzato) con l'aggiustamento fiscale e deflattivo e, quindi, con l'ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro: specialmente in funzione dei conti con l'estero (limitare importazioni e, successivamente, aumentare le esportazioni).
      http://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/quota-salari-e-regime-di-accumulazione-in-italia/

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    2. Grazie, è un tema che m'interessa molto. Quindi si tratta di verificare dopo qualche anno.

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    3. P.S.: ci sarebbe una lettura per sistematizzare tutte queste informazioni (e evitare figure da sprovveduti)? un manuale di macroeconomia? Buon numero di lettori si è formato da autodidatta sui casi concreti, attraverso i vostri libri, ma ovviamente essi non possono dare un quadro completo di tutte queste tematiche.

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    4. Mi sono appena letta quella bellissima (per me) sintesi, a parte delle deformazioni linguistiche assurde: perché parlare di wage share anziché di quota dei salari o di "sensitività" invece di reazione, reattività? Anche se mi restano numerose curiosità, non riesco a credere che non si sapesse già da tempo (per alcuni aspetti persino a livello proverbiale, vedi il famoso "più son ricchi e più son tirchi") e si sia dovuto aspettare lo svolgimento di questa crisi restauratrice per dimostrare una cosa logicamente così evidente!

      Comunque non riesco a riprendermi dalla sorpresa e dalla gioia di riuscire a capire a grandi linee testi del genere. Sto leggendo questo che consiglierei a chi volesse approfondire Kalecki con taglio ragionevolmente divulgativo. Il primo capitolo, parzialmente biografico, mi è parso senza particolari difficoltà, però ho intravisto nel secondo temibili formule a due piani.

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  4. Be', in molti casi si tratta di "esperienza formativa"!
    Anche in un call center si può "apprendere": magari capisci che non sai vendere (e qui la selezione Naturalcapitalista ti sta mandando dei segnali) oppure impari splendide espressioni dialettali utilizzate 600 km più a nord...

    Per non parlare delle team working skills che uno può sviluppare mentre lavora in un ristorante.

    La paga, si sa, è un fattore secondario.
    Un lavoro precario è migliore di un lavoro rischioso.
    Un lavoro rischioso è migliore del non-lavoro.
    Il non-lavoro (o "parassitismo") è migliore della morte.

    Alla fine, c'è (sempre?) "chi sta peggio di te".

    Pensa ai comunisti mangiabambini!

    Il Mercato, e solo il Mercato, tuo unico Dio, salverà tutti. Basta aspettare il lungo periodo.

    Io, intanto, ho ancora diversi post da recuperare. Chissà, forse l'anno prossimo...

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  5. Buongiorno Presidente.

    Ho aperto twitter…ma ho chiuso subito…

    Voglio dire… qualcuno dovrebbe leggere Calamandrei

    Calamandrei: Un'ultima osservazione, e avrò finalmente terminato. Onorevoli colleghi, c'è nella Costituzione un articolo 131 (poi divenuto, nella diversa forma finale, l'art.139, ndr.) che dice: «La forma repubblicana è definitiva per l'Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale».
    Voi sapete che il progetto ha adottato il sistema della Costituzione rigida, cioè della Costituzione che non potrà essere variata se non attraverso speciali procedimenti legislativi, più complicati e più meditati di quelli propri della legislazione ordinaria: in modo che le leggi si potranno distinguere d'ora in avanti in leggi ordinarie, cioè in leggi che si possono abrogare e modificare con un'altra legge ordinaria, ed in leggi costituzionali che sono leggi per così dire più resistenti, leggi modificabili soltanto cogli speciali procedimenti di revisione stabiliti dalla Costituzione. Ma con questo articolo 131 par che si introduca una terza categoria di leggi: quelle che non si potranno giuridicamente modificare nemmeno attraverso i metodi più complicati che la Costituzione stessa stabilisce per la revisione.
    Dunque, la forma repubblicana non si potrà cambiare: è eterna, è immutabile. Che cosa vuol dire questa che può parere una ingenuità illuministica in urto colle incognite della storia futura? Vuol dire semplicemente questo: che, se domani l'Assemblea nazionale nella sua maggioranza, magari nella sua unanimità, abolisse la forma repubblicana, la Costituzione non sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe distrutta; si ritornerebbe, cioè, allo stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario, e in cui quindi i cittadini, anche se ridotti ad una esigua minoranza di ribelli alle deliberazioni quasi unanimi della Assemblea nazionale, potrebbero valersi di quel diritto di resistenza che l'articolo 30 del progetto riconosce come arma estrema contro le infrazioni alla Costituzione.

    http://orizzonte48.blogspot.com/2013/03/solo-calamandrei-parlo.html

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    1. Per capire a fondo: rispetto all'attualità (cui ti riferisci), il ragionamento di Calamandrei più rilevante è quello che segue alla prima parte da te citata.
      E cioè:
      " Sennonché io mi domando, e con questa domanda termino, questo mio lungo discorso: se si è adottato questo sistema per le norme che riguardano la forma repubblicana, dichiarando queste norme immutabili, non credete che questo sistema si sarebbe dovuto adoperare a fortiori per quelle norme che consacrano i diritti di libertà? Era tradizionale nelle Costituzioni nate alla fine del secolo XVIII che i diritti di libertà, i diritti dell'uomo e del cittadino, venissero affermati come una realtà preesistente alla stessa Costituzione, come esigenze basate sul diritto naturale; diritti, cioè, che nemmeno la Costituzione poteva negare, diritti che nessuna volontà umana, neanche la maggioranza e neanche l'unanimità dei consociati poteva sopprimere, perché si ritenevano derivanti da una ragione profonda che è inerente alla natura spirituale dell'uomo.
      Ora, se la nostra Costituzione ha adottato questa misura di immutabilità per la forma repubblicana, credo che dovrà adottare questa stessa misura (e mi riservo a suo tempo di fare proposte in questo senso) anche per le norme relative ai diritti di libertà."

      Con la precisazione che, in seguito, come dimostrano altri suoi celebri discorsi successivi, in Costituente e fuori da essa, Calamandrei stesso avrebbe utilizzato non il termine "diritti di libertà" ma diritti fondamentali, il primo dei quali, - nella sua posizione maturata nel confronto con Basso, Ghidini e Ruini-, è quello all'effettività del diritto al lavoro come obbligo di intervento dello Stato (la vicenda è illustrata ne "La Costituzione nella palude" e vari post).

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    2. Vero Presidente

      Tra l’altro qualche settimana fa…. discutevo di questo con un amico:

      Quarantotto2 ottobre 2015 07:13

      Il fenomeno della capacità di Calamandrei di cambiare idea e di dare atto delle argomentazioni su posizioni che inizialmente lo vedevano perplesso è in un certo senso straordinario; quantomeno nel panorama italiano.
      Ha, che mi venga in mente, un parallelo solo in Alvin Hansen che da autorevole "marshalliano" ammette la correttezza dell'analisi di Keynes e dà una svolta al New Deal...

      Normalmente, questo non capita: si parte da una visione, spesso nata da vicende psicologiche personali, e senza coltivare mai alcun dubbio, la si porta con sè dalla giovinezza (con impavida irrazionalità) fino alla tomba (essendosi risparmiato ogni contatto con i fatti scientificamente validabili).

      Statisticamente poi, chi si mette dalla parte del più forte, ha per di più l'occasione di avere successivamente ragione e di potersi rivendere come rivincita la propria sconfitta.
      Certo, sarebbe da vedere con chi si schiererebbe oggi, ma i suoi epigoni non lasciano spazio all'immaginazione.

      Statisticamente, i più forti vincono e, perciò, possono riscrivere la Storia.
      Cosa che Montanelli, che chissà perchè passa per una voce controcorrente (si "turava il naso" per..i più forti e un "pochino" liberisti pro-tempore), mentre era un comodo eroe autorazzista (quindi facilmente apprezzabile dai più), non si fece mancare...

      Quarantotto2 ottobre 2015 10:56

      E "l'onnipotenza dei partiti" come principale problema italiano (dopo i disastri economici causati dalla oligarchia liberista e interventista!), cioè, in sè, lo slogan principe degli hayekiani, è la ragion pratica stessa dell'Einaudi che inneggia a fascismo mentre si consolida.

      Secondo Montanelli, dunque, la Costituzione antifascista doveva muovere i suoi passi, irrinunciabilmente, dai medesimi fondamenti della restaurazione liberista che contraddistinse il fascismo (!).
      Insomma, gli pareva giusto riscrivere all'infinito gli editoriali pro-Mussolini e anti-Stato brutto, sindacalizzato, clientelare e inefficiente, di Albertini e Einaudi nei primi anni '20.

      https://orizzonte48.blogspot.com/2015/10/lottenebramento-della-luce-diritti-di.html?showComment=1443762831843#c7495418195713226142

      p.s. da leggere il commento precedente di Bazaar… e magari guardare anche il video.

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  6. Poi…c’è ancora chi rompe le @@ sulla “governabilità”

    Veramente…. Non se ne può più:

    Arturo1 novembre 2016 19:38

    Quello della "governabilità" è uno degli slogan, inaugurato, o, meglio, ripreso, dalla Trilaterale, e poi destinato a perseguitarci per decenni.

    In quel saggio sul ventennale della Costituzione che ho citato, Mortati, che qualcuno ha avuto la faccia di bronzo di tirare in ballo fra i presunti padri nobili della riforma, afferma, pensate un po', che non c'è bisogno di alcun rafforzamento dei poteri del governo, perché i poteri necessari allo svolgimento delle sue funzioni in Costituzione ci sono già tutti. Non solo negli artt. 76 e 87, ma anche e soprattutto nell'art. 41: "Efficacia culminante, nel senso espansivo dei poteri di Governo, assumono poi i programmi ed i controlli, non già solo autorizzati ma imposti, secondo la logica del sistema, dall’ ultimo comma dell’ art. 41, che non possono, per la loro stessa natura, se non incentrarsi, entro le linee fissate dalla legge, nel potere esecutivo.” (C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali in in Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 478).

    Il che però presuppone una corretta lettura del rapporto Costituzione-parlamento-governo. Quello che viene infatti spesso definito, sprezzantemente, come "eccessivo garantismo" della parte organizzativa, per esempio le molte riserve di legge, è solo il frutto della scelta di attribuire anche al parlamento, cioè alla rappresentanza popolare, un fondamentale ruolo attivo nella determinazione/attuazione dell'indirizzo politico-costituzionale, anziché farne prerogativa esclusiva del governo, come appunto in epoca fascista, esasperando una linea che era peraltro già propria del liberalismo. E non solo del liberalismo "statualista" continentale, come lo chiamano gli storici del diritto e come di solito si tende a pensare (anche a causa di una discutibile lettura compiuta da Orlando), ma anche inglese: "il segreto che rende efficace la costituzione inglese può essere individuato nella stretta unione, nella fusione pressoché completa del potere esecutivo con quello legislativo...............o il gabinetto riesce a legiferare, o scioglie l'assemblea. E' una creatura che ha il potere di distruggere il proprio artefice...........esso è stato fatto ma può disfare; pur dipendendo da un altro per la sua creazione, quando è all'opera può distruggere il creatore". Questo è Bagehot, tanto per la cronaca (che era pure un banchiere: sarà un caso?).

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/11/accentramento-del-potere-nellesecutivo.html?showComment=1478025533512#c7853795470219328439

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    1. Ma ti pare che questo ordine di considerazioni possa mai essere compreso (e prima "studiato") dall'attuale classe politica, formatasi essenzialmente, nella sua parte più còlta (!), sugli editoriali (in ordine sparso bi-partisan) di Galli della Loggia, Feltri (senior e junior), Scalfari, Giavazzi, Severgnini, Riotta e, al massimo, Zagrelbesky?

      La desertificazione delle risorse culturali è troppo avanzata perché, in qualsiasi modo e angolazione (dx o sx che sia) siano anche vagamente in grado di ricollegare i problemi macroeconomici, industriali e monetari alla democrazia sostanziale costituzionale ed alla sua disapplicazione.

      Rassegniamoci: il sistema collasserà, in sede italica, per via esogena.
      E la spremitura dell'ital-tacchino potrà continuare, nella trasversale ideologia "liberale", almeno fino alla soglia di quella crisi finale.

      Certo, non avendo capito cosa sia la democrazia keynesiana e la sua trasposizione in modello normativo supremo, potranno confusamente richiamarsi persino a una posticcia "prevalenza della Costituzione sui trattati", ma, non avendo appunto capito la sostanza, continueranno a perdere consenso rapidamente non appena "assurgano" comunque al governo...

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    2. Ha ragione lei Presidente….e mi scuso per lo sfogo…

      Ma voglio dire… lo capisco io questo commento (non mi sembra molto difficile)

      Quarantotto13 giugno 2016 10:12

      Tuttavia, porre la questione su un piano etico rischia il soggettivismo filosofico ("accademico", che finisce per essere immancabilmente il riflesso di un pensiero dominante, espressione dei rapporti di forza mediatico-culturali).

      Sul piano giuridico-fenomenologico, a noi basta poter dire che, SE non si vuole rinunciare alla sovranità popolare fissata nell'articolo 1 Cost. (e su questo punto occorrerebbe chiarezza e assunzione di responsabilità collettiva), reclamare la nostra sovranità implica voler continuare, almeno in teoria, a risolvere in modo armonico e solidaristico il conflitto sociale (o "contrasto di interessi" inevitabile all'interno di una società pluralisticamente considerata). Cioè il voler continuare ad avere il "vincolo costituzionale".

      Se si vuole definitivamente rinunciare alla democrazia sociale, per tornare a una democrazia "liberale", dunque, bisogna che, chi prende tale decisione politica, dicesse chiaramente che si svuole svincolare il potere politico da ogni superiore limite giuridico: cioè, che si vuole reinstaurare ciò che Calamandrei indicava come la situazione della "politica allo stato puro", pre-giuridico, che presuppone che la Costituzione sia "distrutta" e che si instauri un nuovo ordine di fatto.

      Da qui la naturale diffidenza verso chi dà per scontata la legittimità di un riferimento ad una prevalente "Costituzione materiale", che, al di fuori di ben precisi limiti, è pura eversione rispetto al Potere Costituente, ancora legittimo, del 1948.

      L'importante è che gli italiani se ne rendano conto: questo passaggio a un nuovo ordine estracostituzionale è insito, e usa come suo strumento, l'Unione europea.
      Non l'Europa, a cui apparterremmo sempre e comunque, in termini culturali e geo-politici.
      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html?showComment=1465805569082#c8892975766435515339

      p.s. ho ancora problemi a “navigare”…..ci sentiamo presto Presidente.

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    3. A proposito di "liberali": Cassese è un nome che mi sembra stia girando un po' troppo.

      Potrebbe essere proposto come presidente di un governo mondiale senza Stato?

      Pieno di « organizzazioni fluide »...

      « The centrality of the state to the notion of public powers has become an optical illusion »

      « While states have a stable division of powers between their different organs, global institutions have, at most, a division of functions between the different organs. »

      Non ho mai riso così tanto... poi quando ho letto « adhocrazia » mi stavo per catapultare dalla sedia da tanto che mi sganasciavo:

      « It is instead an example of “adhocracy,” in the sense that it adapts to the functions to be performed, sector by sector. Functions, organizations, the internal balance of powers, and the relationship between public and private all vary according to specific needs. »

      Gli specifici bisogni degli "attori globali": più soft law per tutti.

      Cosa può desiderare di più «efficiente» il genere umano se non vivere in una medievale adhocrazia tecnocratica?

      Un impero dove le norme si propagano per fluitazione?

      Un mondo dove tutto è fatto su misura per... i marchi globali?

      « In the Metrozone series of novels by Simon Morden, The novel The Curve of the Earth features "ad-hoc" meetings conducted virtually, by which all decisions governing the Freezone collective are taken. The ad-hocs are administered by an artificial intelligence and polled from suitably qualified individuals [meritevoli, ndB] who are judged by the AI to have sufficient experience. »

      Dei Gaudì dell'organizzazione sociale! Datemi un'estetica e vi restituirò un'etica... e viceversa :-)

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    4. Credo che si diverta moltissimo. E più esagera in questa sorta di dadaismo logico-giuridico più si diverte.

      Se non altro nel constatare che più si inoltra nelle iperboliche costruzioni teoriche, e le rende controintuitive al massimo grado, più riscuote fiducia ed elogio...dalle istituzioni nazionali che in pratica distrugge.

      Era dai tempi di "Amici miei" che non si vedeva una tale scanzonata attitudine creativa.
      E infatti ci chiediamo: "Cos'è il genio?"...

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    5. 48, perdona l'ignoranza ma la funzione non è una manifestazione comunque di un potere e del suo esercizio? o del potere in sé, o in quanto esecuzione della decisione di un potere altro (per carità: della soft law, se di questo si tratta, non so nulla più di quel che hai scritto in risposta a una commentatrice adepta della medesima, quindi non la sto difendendo, sto solo cercando di capire).

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  7. Leggevo un vecchio saggio di Marcuse del ’34. Cita e chiosa un interessante articolo del ‘33: “«Noi consideriamo inevitabile... l’abbassamento del tenore di vita e riteniamo che il problema più urgente da meditare sia quello di come intendere questo evento e di come reagire ad esso». Non è quindi lo sforzo volto ad eliminare la miseria delle masse che sta a cuore a questa teoria; essa considera anzi l’aumento della miseria come suo inevitabile presupposto. Qui il nuovo «realismo» è giunto più che mai vicino alla verità. Esso continua a seguire fedelmente questa verità: «La prima cosa necessaria è la consapevolezza di tutti che da tutti si esige povertà, limitazione, e soprattutto rinuncia ai “beni della civiltà”». La ragionevolezza di questa esigenza non può in verità essere ammessa da tutti: contro «di essa si rivoltano ancora, per il momento, degli istinti biologici individuali». Il compito principale della teoria sarà quindi quello di «mettere a tacere» questi istinti (ibid.). Con acutezza il teorico riconosce che ciò non può avvenire in grazia della «facoltà della ragione», ma che avverrà invece «non appena la povertà sarà di nuovo simbolo di un valore etico, non appena la povertà non sarà più né una vergogna, né una sventura, ma un comportamento dignitoso e naturale di fronte ad un destino duro e universale» (ibid.). E il teorico ci rivela anche la funzione di questa e di altre «etiche» simili: essa è il «piedistallo» di cui «ha bisogno l’uomo politico... per prendere le sue misure in modo sicuro» (ibid.).” (H. Marcuse, Cultura e società. Saggi di teoria critica 1933-1965, Einaudi, Torino, 1969, pagg. 28-9)

    La fonte di questa teoria del “pauperismo eroico”, come lo chiama Marcuse, è questa: un giornale nazista.

    Il capolavoro degli odierni nuovi barbari (e mi auguro ricordiate queste citazioni riportate da Zunino) è gridare alla barbarie se qualche vittima prova a difendersi come può dalle loro scorrerie.

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  8. Il lavoro è il FONDAMENTO DI TUTTA LA STRUTTURA SOCIALE, e la sua partecipazione, adeguata negli organismi economici, sociali e politici, è condizione del nuovo carattere democratico”. [G. LA PIRA, prima Sottocommissione, seduta del 16 ottobre 1946].

    Ed ancora, lo stesso La Pira, il 18 ottobre 1946: “Come i muri maestri di una casa poggiano sulle fondazioni, COSÃŒ LA STRUTTURA SOCIALE DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA POGGIA SUL FONDAMENTO DEL LAVORO”. Persino un liberale come Lucifero non ebbe alcunché da obiettare su una tale affermazione. La discussione si ebbe su come bisognava articolare il principio (futuro art. 1 Cost.) e se inserire o meno lo stesso in un Preambolo.

    Erano tutti dei pazzi ideologizzati a parlare di lavoro come fondamento e ad accostare tale termine “all’essere sociale”? Non credo proprio: vi fu la naturale convergenza verso lo stesso principio ONTOLOGICO mediato dalle catastrofiche esperienze storiche. E la forma repubblicana di cui all’art. 139 Cost., nella sua immutabilità ed eternità, credo che proprio a questo serva. La forma giuridica (costituzionale), come strumento formale, protegge questa verità. E l’immutabilità nonché l’eternità della forma che tutela il principio è quanto di più distante ci possa essere da qualunque forma di ideologia (che, per definizione, è di per sé partigiana, quando non lapalissiana falsa coscienza).

    Anche Calamandrei credo intendesse affermare ciò nel passo riportato opportunamente da Quarantotto, allorché parlava di “realtà preesistente alla stessa Costituzione, come esigenze basate sul diritto naturale” (sarebbe troppo pretendere che utilizzasse un lessico socialista. Ma il senso, a volerlo intendere, è chiarissimo).

    L’Uomo, come essere che si distingue dall’essere inorganico nonché dall’essere organico (animale), si caratterizza per essere homo faber, dove il lavoro è il tratto che lo caratterizza proprio dal punto di vista fenomenologico:

    Caratteristica specifica dell’uomo è la prassi sociale, il lavoro per appropiarsi della natura, per sottomettersela e modificarla, e, INSIEME CON LA NATURA, MODIFICARE SÉ STESSO e i rapporti sociali, il lavoro come processo di creazione e AUTOCREAZIONE in vista di uno scopo coscientemente voluto e sulla base di un progetto” [L. BASSO, Socialismo e rivoluzione, Milano, 1980, 55]. Il lavoro è quindi forma originaria di prassi, attività teleologicamente orientata. ll lavoro non è una categoria logica, ma una una categoria della realtà, cioè un'attivita pratica che è capace determinare e modificare l'essere. L’oggetto, ma anche lo stesso soggetto. Con il lavoro l’uomo realizza (oggettivizza) e “si realizza” (citofonare lo Hegel, Scienza della Logica, che spacca il capello in quattro per le categorie fondamentali poi riprese da Marx). (segue)

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  9. Ed ancora Lelio Basso, citando Marx “…Nei Manoscritti del 1844 aveva precisato che non ogni forma di attività produttiva, ma “la libera attività consapevole è il carattere specifico dell’uomo”. E aveva specificato meglio questo concetto paragonandolo con l’attività dell’animale: “l’animale fa immediatamente uno con la sua attività vitale, non si distingue da essa, è essa. L’uomo fa della sua attività vitale stessa l’oggetto del suo volere e della sua coscienza. Egli ha una cosciente attività vitale: non c’è una sfera determinata con cui immediatamente si confonde. L’attività vitale consapevole distingue l’uomo direttamente dall’attività vitale animale”, dove l’accento, per caratterizzare l’uomo, è posto appunto sulla consapevolezza.

    A un paragone analogo ritornerà nel Capitale, il paragone famoso tra l’ape e l’architetto, in cui l’accento è posto ancora una volta sull’attività cosciente dell’uomo, attività conforme a un progetto. In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l’uomo e la natura, nel quale l’uomo, per mezzo della propria azione, media, regola e controlla IL RICAMBIO ORGANICO FRA SE STESSO E LA NATURA: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in forma usabile per la propria vita. Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sé e cambiandola, EGLI CAMBIA ALLO STESSO TEMPO LA NATURA SUA PROPRIA. SVILUPPA LE FACOLTÀ che in questa sono assopite e assoggetta il giuoco delle loro forze al proprio potere.

    Qui non abbiamo da trattare delle prime forme di lavoro, di tipo animalesco e istintive. Lo stadio nel quale il lavoro umano non s’era ancora spogliato della sua prima forma di tipo istintivo si ritira nello sfondo lontano delle età primeve, per chi vive nello stadio nel quale il lavoratore si presenta sul mercato come venditore della propria forza-lavoro. NOI SUPPONIAMO IL LAVORO IN UNA FORMA NELLA QUALE ESSO APPARTENGA ESCLUSIVAMENTE ALL’UOMO. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell’elemento naturale; egli realizza nell’elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà. E questa subordinazione non è un fatto isolato. Oltre lo sforzo degli organi che lavorano, è necessaria, per tutta la durata del lavoro, la volontà conforme allo scopo, che si estrinseca come attenzione…
    ” [L. BASSO, Socialismo e rivoluzione, cit., 55-56].

    La storia, come ci insegna Marx, non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini. Ed è il nostro stesso essere storico che ci illumina. (segue)

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  10. Nessun altro animale fa quello che riesce a fare l’uomo: l’animale è il suo ambiente e vi si adatta passivamente (provino i liberisti a portate un orso polare in Africa!); l’uomo, come essere generico, “ha un ambiente” e vi si adatta attivamente, popolando l’orbe terraqueo (basterebbe rileggersi, anche in chiave mitica, il Protagora di Platone o il Prometeo incatenato di Eschilo, quest’ultimo per il discorso strettamente connesso alla tecnica. Sì, perché l’uomo, in quanto per natura homo faber, è un essere tecnico, anche se adesso la tecnica, a quanto pare, gli ha dato alla testa. Non potrà rendersi immortale, si rassegni l’elite sociopatica con la storia del “transumanesimo”: Prometeo, da questo punto di vista, ha dato agli uomini “false speranze”). E l’adattamento attivo, nell’uomo, in origine nasce dal bisogno.

    Lo scopo che danno gli uomini alla loro attività è evidente: libero sviluppo della personalità di tutti e di ciascuno, nella realizzazione dell’infinita potenzialità contenuta nell’essere umano. “Il pieno sviluppo della nostra personalità”, “un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”, così ancora Marx nel Manifesto. Ricorda qualcosa l’art. 3, comma II, Cost.? La “eudaimonia” greca cosa caspita sarà mai?

    Ed il lavoro stesso (come prassi) è relazione (quindi etica), categoria in senso storico e comunitario, cioè sociale. E’ il fondamento stesso dell’unità tra individuo e genere (in-dividuum). Il lavoro pone infatti in marcia una dialettica sociale tra gli interessi immediati del singolo essere umano e quelli a più lungo termine del genere. Ma da quando il prodotto del lavoro, come “valore d’uso”, diventa – attraverso la divisione sociale del lavoro di stampo capitalistico – “valore di scambio”, abbiamo separato gli elementi della struttura del lavoro, che in origine erano uniti. Credo che si sia creata una vera e propria frattura tra intelletto e sentimenti. Addio sviluppo della propria personalità: l’uomo realizza asetticamente scopi altrui. E quindi scissione dall’altro da sé nonché scissione da sé stessi. Alienazione o, come la chiamava Basso, disumanizzazione. Siamo tutti, più o meno consapevolmente, alienati, scissi, schizzati. Correre in farmacia (nella migliore delle ipotesi) è rimasto l’unico rimedio alla depressione che cresce.

    Riescono a capire le scimmie liberiste perché difendiamo la nostra Costituzione? Riescono a capirlo che, difendendo la Costituzione, li difendiamo paradossalmente persino da loro stessi? Si riesce a comprendere perché, allorquando discutiamo della Costituzione italiana, intendiamo difendere un autentico patrimonio dell’umanità? Si capirà una dannatissima volta perché quei principi lavoristici sono “fondamentali”, al di là della distinzione nauseabonda destra/sinistra? Se si vuole parlare a ragion veduta, si parli di ontologia marxista (l’essere-in-quanto-essere) e di socialismo scientifico, riprendendo i testi fondamentali. Insomma, bisogna ricominciare a studiare.

    Il liberismo è pura sovrastruttura; non ha alcun fondamento epistemico-ontologico. E’ solo la falsa coscienza dei ricchi con mente instabile i quali non si accorgono della loro stessa rovina. Distruggendo il lavoro e lo scrigno che lo protegge in modo sacrale (la Costituzione), le scimmie liberiste vogliono distruggere l’uomo-essere sociale. E quindi vogliono distruggere l’umanità.

    (Caro Quarantotto, il primo maggio, disgiunto dal vero significato democratico-costituzionale che questo spazio di libertà cerca disperatamente di preservare e rendere evidente, è ormai fondamentalmente una “festa di zombie, per zombie, tra zombie”. A confronto, persino Halloween è robaccia seria)

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    1. Le basi.

      Notare che nell'uomo la prassi è etica perché ha una teleologia. E tutto ciò si estrinseca nel lavoro.

      (Se inoltre si considera che la teoria è già prassi, anche la fondazione epistemica delle scienze naturali è legata alla morale)

      La telelogia comporta un atto consapevole, e il metafisico che ospita il pensiero, in un atto creativo, diventa fisico.

      Quest'atto creativo di arti e mestieri, avendo un carattere sociale, è quindi pure soggetto ad una deontologia.

      Ecco la persona umana, che, per essere tale secondo Husserl, lo deve essere in senso deontologico e teleologico.

      Questa teleologia comporta una volontà: la morale non si riflette come aderenza a prescrizioni e codificate norme teoriche, di razionalistica filosofia morale, kantiana, o rivelate secondo divini comandamenti.

      Queste non sono altro che moralismo e fonte di alienazione.

      La morale si esprime nelle virtù che permettono di far sì che la persona umana realizzi il suo progetto, il suo fine, realizzando se stessa.

      Il fine dell'uomo è l'Uomo.

      Le vere scelte morali quindi, poggiando su virtù o vizi, non competono meramente l'ambito della ragione, ma sono fondate materialmente sui sentimenti. Veri punti di unione tra la natura e lo spirito umano.

      (Una virtù o un vizio si caratterizzano dalla effettiva volontà o meno di vincere determinati sentimenti: ad es. il coraggioso è colui che vince la paura)

      Sì nota poi che l'individuo, per essere tale, deve essere dialetticamente individuato da un insieme che lo contiene, con i suoi attributi relazionali: la società.

      Un abbraccio.

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    2. La fondazione materiale dell'etica dà quindi un senso ben diverso alla deontologia:

      « La critica della religione porta alla dottrina per cui l'uomo è l'essere supremo per l'uomo; quindi si risolve nell'imperativo categorico per cui è necessario rovesciare tutte le condizioni in cui l'uomo è un essere degradato, schiavizzato, trascurato, derelitto, svilito. » "Per la critica della filosofia del diritto di Hegel", K. Marx

      Secondo il filosofo e socialista tedesco Karl Vörlander che scriveva all'inizio del XX secolo, « Nel momento in cui qualcuno iniziava a parlare a Marx di moralità, lui scoppiava a ridere ».

      Nell'economia di libero mercato, il lavoratore « ...non afferma se stesso, si nega, non si sente contento, ma infelice, non sviluppa liberamente la sua energia fisica e mentale, ma mortifica il suo corpo e rovina la sua mente. [Il lavoratore] è a casa quando non sta lavorando, e quando sta lavorando non è a casa »

      « Nel fare il mio dovere, io sono me stesso e libero »

      Questa contraddizione abnorme che emerge si può risolvere solo fondando tutte le istituzioni sul lavoro e portando contestualmente consapevolezza sul problema primo dell'organizzazione sociale.

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    3. La fondazione materiale dell'etica dà quindi un senso ben diverso alla deontologia”:

      …è evidente che una cotale concezione morale, che rifiuta ogni movente del mondo dell’esperienza, è la più potente negazione del marxismo, che ripone nella prassi, cioè proprio nell’attività sensitiva umana, lo strumento dell’umano progresso, così nel campo economico come in quello intellettuale e morale.

      …Caduta così la possibilità di poggiare la nostra rivoluzione sulla morale kantiana, come principio etico-politico, potremmo metterla senz’altro da banda e darci alla ricerca di un altro principio che possa animare la nostra azione. Ma credo opportuno invece ricercare prima quali sono i pericoli di un ritorno a Kant per i socialisti. La morale kantiana, abbiamo detto, è pura possibilità di volere, non volontà concreta; essa non predica che il DOVERE INDETERMINATO, SENZA CONTENUTO.

      È, in altre parole, una rivelazione dell’Assoluto che si traduce nel mondo fenomenico, ma abbiamo visto che questa rivelazione è in sé immediata. Come potrà giungere l’uomo ad attuare questa morale che resta fuori di lui? Come, se non attuando la sua volontà concreta, che apparirà a lui come la rivelazione dell’Assoluto? Come, se non ponendo il proprio sovrano giudizio contro a quello che a lui parrà non ragione? Qui è il difetto capitale di tutte le morali imperative, sia quella di Kant od un’altra qualunque, che pretendono trascendere l’individuo concreto, fissandosi in un apriorismo razionalistico: esse cadono NELL’INDIVIDUALISMO ASTRATTO. Questo e non altro fu il resultato della speculazione kantiana, che solo nell’individuo riconosce libertà interna e quindi moralità, e per cui, di conseguenza, solo l’individuo entra in considerazione nella filosofia giuridica e nella dottrina dello Stato.

      Bene dunque osservava il Bluntschli che una cotale concezione fu la vera ispiratrice dell’individualismo della Rivoluzione francese e della Dichiarazinne dei Diritti: la speculazione di Kant interpretava LE RAGIONI IDEALI DELLA BORGHESIA
      ”.

      E il contenuto, al dovere indeterminato, lo dà di volta in volta la classe dominante. Da sempre. (segue)

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    4. … Per il marxismo non vi sono dati, ma solamente prodotti. Non v’è fuori di noi nessun Assoluto da realizzare; l’Assoluto, che siamo noi stessi, si realizza nel flusso eterno della vita. Non vi sono principi morali già bell’e formati, che possano scuotere le coscienze degli uomini, ma vi è la morale che si fa di continuo con indefinito processo. In ogni momento la morale non è che il divenuto d’un divenire che si perpetua nel futuro, e questo divenire è connesso a tutto il processo della società. Anche la morale È UN PRODOTTO DELLA PRASSI, UN PRODOTTO, CIOÈ, DELL’UOMO. Un prodotto che nel circolo eterno del rovesciamento della prassi può anche, in certi momenti, dominare il produttore, ma contro cui l’uomo insorge e si ribella necessariamente per aprire la via al cammino futuro.

      La morale non domina gli individui standone fuori, e non li guida nel loro cammino, ma è continuamente e faticosamente conquistata, e poi superata in uno sforzo ulteriore.

      Bandire quindi la crociata del Socialismo in nome d’un principio morale, porre questo come il prius; è assurdo dal punto di vista marxistico. Lo sforzo proletario di superare le attuali condizioni di vita per affermare la propria personale dignità non può discendere, per noi, da una concezione morale, MA È ESSO STESSO LA MORALE. Fuori dall’azione degli uomini, che è tutta quanta la storia, non v’è nessuna regola di morale superiore, nessuna supermorale, nessuna superstoria possibile.

      Non si dica che questa concezione è negatrice dei valori morali: tutt’altro. Sprezzando gli irraggiungibili ideali etici, e le debolezze sentimentali, trasportando la morale dalla regione eterea a quella dell’attività umana, essa le dà finalmente un contenuto concreto. Solo se sia considerata sotto il nostro angolo visuale, la morale può concepirsi come un fatto reale della vita dell’uomo, che di continuo la invera e la supera nel flusso perenne della storia…
      ” [L. BASSO, Valore morale del Socialismo, Critica Sociale, 1-15 gennaio 1925, n. 1, 25-28].

      E ti credo che “Nel momento in cui qualcuno iniziava a parlare a Marx di moralità, lui scoppiava a ridere”!

      Grazie Bazaar. Un abbraccio a te.

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    5. Mi pare pertinente questa notizia:
      "L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna addita il precariato lavorativo come causa principale dei problemi psicologici che attanagliano una generazione spesso ingiustamente incolpata di essere inetta"
      http://www.linkiesta.it/it/article/2018/04/28/il-precariato-minaccia-la-salute-mentale-dei-giovani-italiani-e-ora-ne/37903/

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    6. OT: "Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, subito dopo la certificazione del no del Pd ad intese con i 5 Stelle (la Direzione dem è in programma domani pomeriggio) darà l'incarico per formare governo ad Alessandro Pajno, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato."

      Confesso che non riesce a non solleticarmi il puerile pensiero che, già che ci siamo, basterebbe soltanto aggiustare un pochino la mira.

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    7. Mah, a questo punto io la aggiusterei due volte (-:, includendo anche una dimensione geografica e manderei il mirato a smontare pezzo a pezzo, in modo giuridicamente ineccepibile, questa macchina di morte per tutti i popoli che soffrono di questo moloch. Primo perché (secondo me) ci si divertirebbe un mondo, poi perché non vedo ragione per lasciare opprimere gli altri, dato che le "Costituzioni socialiste" non sono un'esclusiva italiana (sisi questa è più audace, lo sappiamo, lo sappiamo), terzo perché prenderemmo in parola coloro che affermano che non si fa il keynesismo in un solo paese, quarto perché vedere all'opera un fuoriclasse è sempre molto soddisfacente e insegna magnificamente.

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