Come primo post "tecnico", sperando che non risulti troppo "ostico", (ma ho enorme fiducia in goofisty, tempestisti, vocianti dall'estero:-) ecc. di cui ho già imparato ad apprezzare il "livello"), vi propongo questo articolo di Luciano Barra Caracciolo, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, già pubblicato sulla rivista "on line", di diritto pubblico, "giustamm.it" (non inserisco il link perchè è una rivista accessibile solo su abbonamento e non sarebbe attivabile).
Nel testo troverete il riferimento all'accertamento di impatto della regolazione (AIR), accostato a un'attuale forma di "democrazia diretta", in quanto "partecipata" in funzione conoscitiva e decisionale.
Ne riparleremo in un prossimo post.
E' un punto cruciale (come dimostrano l'esperienza e le delicate problematiche riscontrate negli USA,-primi fra tutti- paese in cui la metodologia è nata).
Come vedrete, il tema trattato ho molti risvolti "europei" e trova soluzioni tanto migliori quanto più si avvicinano alla lettera e allo "Spirito" della Costituzione del '48.
Buona lettura!
I TAGLI AI COSTI DELLA POLITICA. UN APPROCCIO RADICALE DI REVISIONE COSTITUZIONALE.
SOMMARIO: 1-L’ambito della revisione costituzionale; 2 -Autonomie locali e previsioni europee; 3. Ipotesi di intervento di modificazione costituzionale; 4- Vantaggi in termini di efficienza funzionale e risparmi finanziari; 5- Risparmi diretti e “di sistema”.
PREMESSA
Nell’affrontare il problema dei costi della politica, al fine di portare il livello dei risparmi in chiave risolutiva rispetto alle esigenze di bilancio dello Stato, in un’ottica che pare essere al centro delle priorità dell’azione finanziaria del governo, occorre muovere da alcune premesse di diritto costituzionale e europeo.
1- L’ambito della revisione costituzionale.
La Costituzione, secondo l’art.139, che definisce i limiti della revisione, non può essere mutata quanto alla “forma repubblicana”. Tale locuzione può essere intesa, in una lettura sistematica, fino a includervi i principi fondamentali (artt.1-12 Cost.), cioè i principi fondanti da cui quella “forma” non è, storicamente e concettualmente, scindibile.
Nella forma repubblicana entrano altre parti della Costituzione ma in riferimento al susseguente, nella partizione della Carta, ”Ordinamento” della stessa forma repubblicana, inteso cioè come moduli organizzativi di funzioni e organi di livello costituzionale, che “devono” esserci, ma che non sono “fondativi” della forma repubblicana in modo assoluto, come per i principi fondamentali (che essendo fondanti non risultano “comprimibili” nella loro integrale espressione contenutistica).
La “revisionabilità”, cioè, non altera la “forma repubblicana” nei limiti in cui coinvolga una previsione costituzionale “ordinamentale”considerata nella parte che non rifletta direttamente i principi fondamentali e l’esistenza e l’attivazione di determinate funzioni e organi .
Tale “revisionabilità attenuata” -che è quella oggetto dei numerosi disegni di revisione susseguitisi negli ultimi decenni, senza che sia peraltro emersa una seria ponderazione dei limiti qui evidenziati- riguarda:
la Parte I, “diritti e doveri dei cittadini”:
Titolo I “rapporti civili” artt.13-28;
Titolo II “rapporti etico-sociali”, artt.29-34;
Titolo III “rapporti economici”, artt.35-47; Titolo IV, “rapporti politici”, artt.48-54;
la Parte II “ordinamento della Repubblica”:
Titolo I, “il Parlamento”artt.55-82;
Titolo II, “il Presidente della Repubblica, artt.83-91;
Titolo III, “il Governo”, artt.92-100;
Titolo IV “la Magistratura”,
artt .101-113;
Titolo V, “le Regioni, le Province, i Comuni”, artt.114-133;
Titolo VI, “Garanzie Costituzionali”, artt.134-139 (N.B. tuttavia, a rigore, gli artt.138 e 139, sulla revisione costituzionale, rientrano tra le grund-norm, previsioni chiave che garantiscono la immutabilità della forma repubblicana e quindi non sono “logicamente” assoggettabili a revisione, integrando i principi “fondamentali” degli artt. 1-12 come fondanti la stessa “forma repubblicana”).
Insomma, a parte i principi fondamentali, la Parte I e la Parte II, sono soggette a un certo grado di revisione, laddove la forma repubblicana corredata dei principi fondamentali non è mutabile, ma esistono varie possibilità di organizzarne l’ordinamento legislativo e governativo, il potere giudiziario, le autonomie territoriali, e le garanzie costituzionali, purchè non siano, appunto, posti in pericolo i principi fondamentali intesi nella loro piena portata.
Valore assimilabile ai principi fondamentali (cioè livello di forza costituzionale rafforzata, non rivedibile) hanno taluni principi, purchè recepiti in Costituzione, del diritto internazionale generale e dei Trattati legati al fenomeno del diritto europeo, laddove però, riflettano appunto “principi fondanti” della Costituzione italiana e non anche una delle più possibili soluzioni alternativamente compatibili con i principi fondamentali della Costituzione e dello stesso diritto internazionale ed europeo.
In tal senso, oltre a un complessa vicenda di integrazione tra giurisprudenza della Corte costituzionale e quella di giustizia europea, depone il valore “ricognitivo” dell’art.117, comma 1, Cost.:”La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali…”
2 -Autonomie locali e previsioni europee.
Tra gli obblighi cui si è da ultimo accennato assume rilievo, ai presenti fini, quello derivante dalla “Carta europea delle autonomie locali”, ratificata dall’Italia con legge 30 dicembre 1989, n.439 (ancorabile oggi all’art. 4, par. 2, del Trattato sull’Unione europea, c.d. TUE).
Orbene tale “Carta” nel suo valore vincolante, riguarda le autonomie locali, assunte come enti esponenziali delle comunità locali.
Ma, per essa, tali sono, con evidenza, solo quelli “preesistenti” alle vicende politiche dello Stato costituzionale, aventi cioè un valore di autonomia che prescinde dalle vicende storiche che caratterizzano la “statalità” di più ampi territori, mutevole e non coincidente con la continuità “antropologica” delle comunità locali, intese come insediamenti urbani organizzati e costanti nel tempo, cioè come “città”.
Ciò è confermato nelle specifiche disposizioni della Carta europea che tutela le “autonomie locali” da interferenze di livello superiore, statali o regionali, (art.4, par.4), e lascia chiaramente intendere che il concetto dell’autonomia locale oggetto di disciplina non coincida con quello di qualsiasi livello territoriale intermedio “superiore”, fino agli Stati.
Argomenti si possono anche ritrarre dagli articoli. 8, che limita la “supervisione” ai casi previsti dalla costituzione per le sole “autonomie” locali, e 10, che considera l’associazionismo delle “autonomie” senza menzionare enti autonomi “intermedi” che ne sarebbero la risultante.
Valore sistematico decisivo, se non di interpretazione autentica, ha poi la successiva Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” (2010/C-2010), incorporata nel Trattato, che all’art.40, tutela soltanto il diritto di eleggibilità di ogni cittadino europeo con riferimento ai “comuni” in cui risieda, senza fare, in alcuna sua parte, riferimento a enti autonomi territoriali di più ampia dimensione.
In tal senso, l’attuale previsione dell’art.114, comma 1, Cost. (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”) non assume dunque valore di principio fondamentale, immutabile: né alla luce dei principi fondamentali costituzionali (come si dirà meglio) né alla luce delle previsioni comunitarie a valore costituzionale rafforzato.
Ed infatti, quanto a principi fondamentali della Costituzione, l’art.5 Cost. è di per sé in perfetta linea con la Carta europea, perché “vincola” la Repubblica a “riconoscere e promuovere” solo le autonomie locali preesistenti allo Stato repubblicano, ciò nel senso storico-sociologico illustrato e recepito anche nella Carta, col risultato che solo gli enti denominati Comuni sono “preesistenti”, e quindi suscettibili di essere “riconosciuti” e non creazione “politica” storicamente mutevole.
Per il resto l’art.5 Cost., unica norma tra i principi fondamentali "nazionali" che si occupi della materia, predica il “più ampio decentramento amministrativo” nonché l’adeguamento della legislazione “alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”, con ciò rendendo prescrittivo solo un complessivo principio di “vicinanza” dei procedimenti normativi e delle funzioni amministrative al livello territoriale, perfettamente in linea con l’ampio ed elastico principio di “sussidiarietà” di fonte europea, cioè vicinanza funzionale dell’azione dei pubblici poteri ai cittadini, non legata ad una soluzione necessitata di entificazione di autonomie territoriali più vaste dei comuni.
Ne discende che, ferma restando l’autonomia dei comuni, come espressione del concetto di “autonomia locale”, tutto il resto è assoggettabile a revisione, purchè non siano lesi i principi del decentramento e della sussidiarietà, cioè della vicinanza agli amministrati delle funzioni pubbliche anche solo statali, e sia garantito un certo grado di “autonomia”, cioè la possibilità di emanare norme giuridiche regolanti gli interessi rappresentati, che è insopprimibile solo per i comuni e, per il resto, dipende dalla legislazione dello Stato in quanto conforme alle previsioni costituzionali, comunque, in tale parte, soggette a legittima revisione.
3. Ipotesi di intervento di modificazione costituzionale.
Alla luce di questo excursus di premesse, si può ipotizzare una revisione costituzionale così congegnata:
a) abolizione delle regioni e delle province quali enti a governo politico, ridisegnandoli come enti di “autogoverno”, nel senso “originario”\anglosassone (GB), - mantenendone l’“esistenza” e inalterata la“funzionalità”operativa, cioè il contenuto essenziale ricavabile dalla Costituzione- cioè come enti che:
i) pur “statali”, nel senso di inserirsi nella organizzazione dello Stato-ordinamento della Repubblica (esponenziale dello Stato-comunità, nella considerazione dell’interesse pubblico e del benessere generali), siano strutturalmente vicini ai cittadini realizzando la sussidiarietà, ma non siano dotati di autonomia legislativa, cioè di partecipazione diretta alla funzione politica normativa, bensì solo di autonomia regolamentare attuativa delle leggi statali e di legittimazione partecipativa all’elaborazione della legislazione statale nelle materie “concorrenti”(conservazione del sistema di consultazione Stato-regioni, con diversa legittimazione partecipativa alle varie “conferenze”);
ii) per garantire il raccordo con le comunità territoriali corrispondenti, e l’adeguamento al principio di autonomia flessibile previsto dall’art.5 Cost e dalla Carta, l’autogoverno, che è “buona amministrazione ”territoriale, potrebbe implicare l’elezione, da parte della comunità territoriale corrispondente, del solo vertice preposto all’organo (di decentramento) che, data la sua forte vocazione tecnica dovrebbe avere una coerente disciplina della eleggibilità passiva;
iii) in sostanza, (come verrà specificato al punto seguente), il consiglio regionale verrebbe sostituito da associazioni dei comuni interessati (su base provinciale o regionale) in funzione istruttoria e deliberante; le giunte e l’organo promulgatore-controllore in ultima battuta, sarebbero incarnati dal presidente, elettivo, dell’ente “maggiore”;
b) come detto al precedente punto, per mitigare la ridotta “autonomia” politica di regioni e province e per incrementare il peso degli enti locali nella realizzazione della sussidiarietà, si prevede che questi concorrano nell’esercizio delle funzioni regolamentari sulla base di deliberazioni preparatorie costitutive (adozione di regolamenti e atti di pianificazione di respiro provinciale-regionale) promananti da “associazioni e consorzi” (art.10 Carta europea) dei comuni rientranti nell’ambito territoriale considerato;
c) il “vertice elettivo” dell’organo decentrato statale esprime l’indirizzo dell’organo-ente in autonomia rispetto all’indirizzo ministeriale, ma nel quadro della legislazione statale, del settore di volta in volta corrispondente, e può modificare le proposte in sede approvativa solo nei limiti della maggior razionalità ed efficienza, secondo il principio di proporzionalità applicato alla sussidiarietà, e, trattandosi essenzialmente di potestà tecnico-discrezionali, ciò si risolverebbe in una verifica di coerenza delle deliberazioni preparatorie con le risultanze istruttorie “partecipate” dai cittadini;
d) tale principio di “proporzionalità” è meglio realizzabile, rispetto al caotico attuale assetto politico, attraverso la sottoposizione delle regole da introdurre, ad “Accertamento dell’impatto delle regolazione” (AIR), svolto, in fase di avvio, dagli uffici tecnici-amministrativi dell’ente “maggiore” e gestito in fase istruttoria “partecipata” dalle assemblee dei consorzi\associazioni tra comuni.
D’altra parte questa tipologia “oggettivata” di istruttoria degli atti normativi e pianificatori è conforme al criterio dettato dagli stessi trattati UE, dato che è esplicitamente enunciato nel protocollo 2 allegato ai trattati stessi, intitolato: “sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.
Detto protocollo, appunto, pone il principio dell’AIR come metodo preventivo di dislocazione e organizzazione dei “poteri locali” e dei vari livelli di governo territoriale. E introduce, come vedremo, una netta connotazione di democrazia diretta.
A queste “assemblee” sarebbe fornita, così, la base, trasparente e oggettivata, su cui svolgere la partecipazione dei destinatari, mentre, al vertice elettivo, successivamente, il parametro del controllo in fase approvativa.
4- Vantaggi in termini di efficienza funzionale e risparmi finanziari.
I vantaggi di un tale sistema, da introdurre con la revisione costituzionale qui ipotizzata, sono enormi, evidenziando che l’aspetto preliminare comune e costante di tutti tali vantaggi è che si tratterebbe di una manovra di riduzione della spesa concretamente non depressiva, l’unica realizzabile (il “taglio” delle pensioni si traduce comunque in un più o meno ampio decremento del risparmio pubblico e privato, indicato anche in studi Bankitalia, e in un prolungamento della disoccupazione “giovanile”).
Ecco i principali vantaggi:
1) taglio integrale dei costi di consigli e giunte regionali e provinciali. Soldi però resi disponibili per migliorare il livello dei servizi, non per effettuare semplici manovre di riduzione del deficit deprimendo però la domanda interna, cioè il PIL;
2) taglio integrale dei costi delle strutture di staff, pletoriche e clientelari, legate a tali organi, nonché delle relative “consulenze” (con gli stessi vantaggi di "riallocazione" delle risorse suddetti);
3) tramite le procedure di AIR partecipate, introduzione di una maggior democrazia diretta e di una più trasparente ed efficiente gestione dell’attività normativa e pianificatoria;
4) trasferimento del personale impegnato nelle strutture di diretta collaborazione con consigli e giunte negli uffici operativi (di “line”), con incremento dell’efficienza dell’azione amministrativa decentrata e risparmi potenziali consistenti, su nuove assunzioni e trattamenti economici aggiuntivi, che spesso sono attribuiti con facilità a tale personale (risparmi generali deriverebbero pure dall’assoggettamento del personale alla contrattazione del comparto statale-ministeri, tendenzialmente meno “largheggiante” nelle retribuzioni a parità di livello);
5) concepiti come organi statali di decentramento, dialoganti con comuni e associazioni di comuni, questi enti sarebbero resi più efficienti dalla eliminazione delle difficoltà di identificazione delle materie di rispettiva competenza legislativa tra Stato e regioni, dato che la legislazione primaria sarebbe tutta di spettanza statale e su tutte le materie ora regionali sarebbe di principio e “concorrente”con norme regolamentari (gerarchicamente più forti di quelle degli enti locali minori ma solo se non varchino i limiti di loro autonomia sanciti nella revisione costituzionale).
Si pensi alla semplificazione, da uniformità e univocità legislativa, di materie come la VIA (valutazione impatto ambientale), l’incentivazione energetica e all’impresa in generale, localizzazione e realizzazione coordinata delle infrastrutture e via dicendo;
6) l’uniformità e la maggior chiarezza normativa si coniugherebbe alla uniformità e reale depoliticizzazione delle decisioni pianificatorie e provvedimentali, che divengono strutturalmente più resistenti a interessi locali “particolari” (quindi intrinsecamente più razionali ed efficienti) e meno affette da illegittimità (se non “illiceità”) dovute alla scarsa trasparenza insita nella contingente formazione di maggioranze politiche.
Le stesse decisioni sarebbero, per converso, espressione di più intensa democrazia diretta e più attente al concreto interesse della comunità, “misurato” obiettivamente e considerato in modo “imparziale”, con massimizzazione dell’efficienza (art.97 Cost.);
7) il controllo statale su tali “propri” organi decentrati “atipici e ad autonomia speciale” (controllo che è in sé misura preventiva degli sprechi e di illegittimità\illiceità gravi), sarebbe limitato, nella sua incidenza invasiva delle autonomie, dalla garanzia partecipativa dei cittadini in sede normativa e pianificatoria di livello regionale o provinciale, rafforzata e oggettivata dalle procedure di AIR e rappresentata dalle associazioni dei comuni in funzione di deliberazioni preparatoria (ogni comune conserverebbe comunque le attuali proprie competenze pianificatorie di “adozione”, non essendo toccate dalla modifica qui proposta);
8) in conformità del predetto ampliamento della democrazia diretta (ben più forte, come grado di realizzazione della sussidiarietà rispetto alla autonomia con sistema elettivo rappresentativo) si può sancire la regola generale di referendum propositivi e abrogativi (regolati con legge dello Stato in base a previsione costituzionale) rispetto alle norme emanate da tutti tali livelli territoriali (inclusi i comuni), come, d’altra parte, prescrive, in termini di direttiva, l’art.4 della Carta europea delle autonomie locali, rimasto in gran parte in attuato;
9) semplificazione tributaria-finanziaria, per riscossione e perequazione, poichè tutti i tributi ridiventerebbero statali, tranne quelli direttamente spettanti ai comuni e, in più, in relazione a esigenze di spesa strutturale snellite e più agevolmente controllabili (logistica, mezzi, personale).
5- Risparmi diretti e “di sistema”.
Si segnala come i risparmi complessivi così ottenibili sono immediatamente di entità tale da avere un effetto di sensibile correttivo della spesa pubblica, non depressivo, atteso che, come si è dianzi precisato, lo stesso “ammontare” di funzioni e servizi sarebbe anzi gestito con maggior personale, recuperato e meglio distribuito, e, grazie anche a "maggiori risorse" reperite (vera "spending review") maggior uniformità e snellezza.
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Le spese degli organi istituzionali di regioni e province (indennità, forme di retribuzione diretta, logistica) sono pari a circa il 50% delle spese istituzionali nazionali della “politica elettiva”.
Il resto di tali voci complessive di spesa è suddiviso tra il Parlamento che ne rappresenta il 20,3%, nonchè i consigli e giunte comunali col 30%, somma che peraltro assorbe il 55% dell’addizionale IRPEF comunale!. L’ammontare totale dei tagli per spese di organi politico-elettivi di regioni e province porta a 1,6 miliardi di euro di risparmi immediati, (dati UPI confrontati con dati UIL, sulla base di diverse voci analizzate dal Ministero dell’interno e Corte dei conti: la cifra globale assorbe circa il 19% del gettito dell’addizionale IRPEF regionale) ottenibili senza, si ripete, tagliare servizi e funzioni, che comunque potrebbero essere più facilmente razionalizzati con ulteriori risparmi.
Ciò senza contare i risparmi da consulenze e personale di staff non appartenente ai ruoli degli enti, nonché di erogazione, al personale politico elettivo (e non), di fringe benefits (telefonino, rimborsi spese), risparmi che dovrebbero equivalere a qualche centinaio di milioni.
E senza conteggiare, ancora, le spese di “rappresentanza”, in senso lato, dei consigli e delle giunte per viaggi, convegni, mantenimento di sedi a Roma, sedi a Bruxelles e relazioni internazionali tenute informalmente (spese che, probabilmente, se oggetto di seria indagine si scoprirebbero superiori a quella per le stesse “indennità”).
I costi di consulenze, incarichi e collaborazioni presso regioni, comuni e province (queste ultime, invero, in misura modesta) sono complessivamente di 3 miliardi annui e quelli per il personale di staff di circa 1,5 miliardi (in base alle medesima fonti sopra citate).
Su tali cifre globali di spesa, imputando una percentuale del 50%, corrispondente a quella per i costi “istituzionali” degli organi di vertice degli enti considerati (prudenziale, perché nel precedente calcolo era incluso anche il costo delle due Camere), si arriva a circa 2,2 miliardi. A cui vanno aggiunti i risparmi da riduzione del parco “auto-blu” e di future indennità pensionistiche.
Si può ipotizzare, per risparmi diretti ed immediati, un ammontare approssimativo tra i 3,5 e i 4 miliardi, a regime, cioè per ogni periodo futuro di esercizio del bilancio (a fronte, si ripete, dello stesso livello quantitativo di funzioni e servizi, con probabile miglioramento del livello, per imparzialità e speditezza). Si tratta di un risparmio di poco inferiore a quello atteso da varie ipotesi di riforma delle pensioni.
Ma i risparmi da maggior efficienza, ridislocazione e minor complicazione dei processi decisionali pubblici (tra l’altro non soggetti a crisi assembleari e soluzioni di continuità) sarebbero ben più ampi, risolvendosi in una sostanziale misura di rilancio dello sviluppo.
D’altra parte le ricadute sarebbero tali e tante, (anche in termini di segnale all’Europa), che potranno emergere, oltre all’evidenza intuitiva, solo da un accurato esame dell’andamento della spesa regionale (principalmente), in relazione alla “depoliticizzazione” del risultato pianificatorio, normativo e amministrativo, in un “ambiente istituzionale” in cui priorità dell’assegnazione delle risorse e esercizio della discrezionalità non siano più frutto di geometrie politico-clientelari, ma formulate secondo criteri omogenei in funzione della efficacia ed efficienza della gestione.
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
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Posso confermare che proprio come con Goofy, dopo il primo impatto in cui prevale lo smarrimento, a poco a poco tutto diventa nitido e chiaro. Così chiaro e ovvio che come tutti gli studi e le teorie chiare e ovvie, quella delle AVO per citarne una, anche un simile ordinamento delle regioni temo diverrà un difficile obiettivo da realizzare. Però ora ho capito delle cose in più e l'obiettivo di questo blog, per quanto mi riguarda, è realizzato. alla prossima.
RispondiEliminaGrazie.
EliminaReal-politik a parte: ma ci pensi che se migliaia di persone (qua, grazie a voi, ci stiamo andando subito vicini...e non credevo) iniziano a pensarla in un certo modo, e diffondono con intelligenza (se no non sareste arrivati qui) una certa idea padroneggiandola coi giusti argomenti, quello che pare "irreale" inizia a diventare un'arma della democrazia?
Posso metterci le idee e offrire argomenti tecnici spendibili: ma il "motore", le ruote e i fari della democrazia, siete voi. SIETE VOI TUTTI ("chiamami Giovanni" diceva l'unico spettatore del comizio :-))!
Il vostro impegno può portare a risultati insospettabili oggi
Egregio Quarantotto,
RispondiEliminaprima di tutto, grazie per il blog! Finalmente avremo la possibilità di leggere i tuoi commenti in una forma più completa ed ordinata rispetto ai tuoi - peraltro sempre molto interessanti - interventi su altri siti.
Ho letto l'articolo che hai pubblicato, e devo dire che, lavorando in un settore (la sanità) da troppi anni ricca preda degli appetiti dei politicanti di turno (e prossimo probabile obiettivo, stando alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, della mannaia dell'austerità espansiva), non ti nascondo la grande soddisfazione che tanti di noi proverebbero in caso di definitiva "liberazione" dalle nefaste influenze della politica regionale.
Oltre ai costi diretti che giustamente riporti nel tuo lavoro, è utile ricordare che, sui 170 miliardi di budget regionale, ben 114 sono dedicati al capitolo della sanità. Non sono sicuro che esista letteratura in merito alla dispersione di risorse (per usare un eufemismo) dovuta all'influenza della politica nella sanità. Ma pensiamo, per fare degli esempi concreti, al sottobosco di posizioni dirigenziali altamente remunerate e consegnate a persone totalmente incompetenti, con il solo merito di essere amici del governatore di turno?
Certo, questo tipo di considerazioni rischiano di cadere nel pericoloso luogo comune del "coruzzionestatobruttospesapubblicaimproduttiva". E' quindi necessario - Goofy docet - riferirsi sempre a dati verificabili ed analisi dettagliate (e mi sembra che la tua impostazione sia decisamente orientato in questa direzione). Certo, l'obiettivo di una legge di riforma costituzionale come prima proposta mi sembra alquanto ambizioso...ma con un inizio così, non vedo l'ora di leggere i post successivi!
Buon lavoro. Chicco
Ambizioso? Ma pensa che l'articolo che da' corpo a questo post è stato pubblicato da oltre un anno. E pensa che varie dichiarazioni ai giornali di esponenti del governo, e dei partiti più vari, ne hanno "implicitamente" richiamato taluni passaggi.
EliminaPerchè non partire dalla Costituzione? Cioè dal punto di "innesto" del problema? Persino l'euro, affrontato in tale ottica, si sgonfia più facilmente.
Le regioni sono un problema istituzionale, finanziario pubblico, e legislativo, enorme. Non hanno mai costituito una "soluzione".
In particolare, per la "sanità-SSN", il sistema di "convenzionamento", la determinazione dei costi di "rimborso", i criteri di individuazione e distribuzione sul territorio delle prestazioni, integrando pubblico e convenzionato con incredibili commistioni tra interesse degli utenti e profitti "selvaggi", sono tra i motori del più prolungato e spietato affarismo a danno dell'interesse generale.
Ma su ciò cercheremo di fare un post specifico. Però non "deduttivistico", a tesi precostituita e con l'intenzione di ignorare l'art.32 Cost.
Questo non lo dobbiamo permettere.
Ci sarà da divertirsi.
E se, forte degli strumenti che goofy ci ha elargito, vuoi cimentarti in un tuo contributo, qui la porta è "programmaticamente" aperta :-)
Bell'inizio! Da rileggere più volte per capire bene. Infatti ci inciampò spesso: mi spieghi in soldoni il punto ii) ? Cosa si intende per "coerente disciplina della eligibilita' passiva" ?
RispondiEliminaOttimo punto.
EliminaPeraltro meritevole di ulteriori riflessioni che portino a focalizzare il tipo di "classe dirigente" di cui la comunità ha bisogno, per meglio curare i propri interessi pubblici "specifici" (cioè dislocati naturalmente su "quel" livello territoriale).
Il passaggio da te sottolineato si collega con immediatezza alla "legittimazione tecnica" della nuova figura di "Presidente" della regione.
Hai presente i direttori generali delle ASL e i vari manager "inventati" per le società pubbliche o partecipate da regioni e enti locali? Non vorremmo che, per via addirittura elettorale, la politica ci propinasse figure del genere (giornalisti inclusi).
E' chiaro che se, per esempio negli USA, devo elegere il District Attorney (il Procuratore della Repubblica) dovrò scegliere tra avvocati di chiara fama.
Con questo non si intende realizzare una "tecnocrazia" (se non altro occorre sempre passare per il consenso elettorale): solo evitare di considerare "buono" per l'incarico chi sia semplicemente privo di precedenti penali (e magari di rinvii a giudizio). Non ti sembra che ormai, paradossalmente, appaia una "rivendicazione forte" persino pretendere il minimo "etico"?
Certo tutti i cittadini devono poter accedere "alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza" (art.51 Cost.).
Tuttavia l'autogoverno, in senso anglosassone, è preposizione elettiva a un organo non strettamente politico, bensì "amministrativo-gestionale".
La stessa fissazione, a monte, di un "indirizzo", se (come ipotizzato per rendere efficiente l'ente) venisse a mancare la componenete assembleare elettiva, ridiviene materia di "buona amministrazione" ai sensi dell'art.97 Cost.
E, nella società della complessità, non ci serve il fiuto "politico" del ras locale che prende voti e fa listini e listoni.
Ci serve competenza, expertise.
E quindi i principi di ragionevolezza e di eguaglianza sostanziale, potrebbero condurci a rendere eleggibili persone che abbiano almeno un titolo di studio, non preso sulla carta mentre si fa "solo" politica a vita, ma esplicato in una onesta esperienza lavorativa...
Non importa, poi, che i candidabili siano ricchi e di successo, se poi non capiscono nulla di funzione pubblica e credono che l'ente pubblico sia "come un'azienda".
Insomma occorre calibrare l'accesso egalitario alla carica elettiva (elettorato passivo) con titoli e esperienza professionale connessi alle funzioni da esercitare. Trovando una sintesi cònsona al nuovo modello di organo decentrato che la regione diverrebbe.
Ho chiarito?
Diciamo un pò come quando si sceglie l'amministratore di condominio...
EliminaSi valutano le offerte, si sceglie l'amministratore più qualificato e lo si "controlla" con assemblee schedulate opportunamente e con un pool di "consiglieri" eletti dalla base. L'amministratore ha un budget, deve rendere conto delle spese fatte ecc ecc.
Certo. E questo solo se si ricalibra a livello costituzionale l'ambito razionale di quello che debba essere considerato "politica" o, più opportunamente, "alta amministrazione" (al servizio dei cittadini...condomini :-))
EliminaCiao Quarantotto,
RispondiEliminaleggevo su Goofy i tuoi commenti, sempre utili e acuti, ma adesso, con questo nuovo blog (a proposito, i miei complimenti!), mi aumenti però il carico di lettura... Vabbe' il nemico (termine sdoganato dar cavajiere nero in persona, quindi...) non scherza, e noi dovremmo essere quanto meno all'altezza
Sono riuscita ieri notte a leggere il tuo primo post "tecnico", in verità lottando perché non mi si chiudessero le palpebre. Poi sono crollata. Stamattina all'alba mi sono svegliata e mi si era delineata chiara nella testa la portata del post - nascosta in un linguaggio tecnico una vera rivoluzione!
RispondiEliminaAdesso lo devo assimilare bene, e a causa della mia deformazione professionale da "postazione secondaria" (leggi scuola serale) proverò a sintetizzarne il senso e a rilanciarlo nel mio blog. Poi se sbaglio mi correggerai...
Carmen Je t'adore (non sono mollicone, mi accusano del contrario piuttosto).
EliminaLa risposta a te vale anche come RISPOSTA A "TEMPLARE" (dove sei? Rimani in ascolto!).
Voglio dire: lo vedi che la "scuola serale" (oh!: la più nobile e elogiabile delle attività didattiche) la deve fare chi è del mestiere?
Siccome mi sono richiamato , FIN DALL'ESORDIO, a un'opera collettiva, CHE NON ESCLUDE CERTO LA COSTANTE COOPERAZIONE CON ALTRI BLOG, L'IDEA DI Carmen mi riempie di contentezza.
Proverò a usare il linguaggio che "arrivi" a tutti. Ma laddove ci metterò un pò di tempo o non sarò capace, il metodo "collettivo" perseguito mi auguro che permetterà VERAMENTE A TUTTI (la conoscenza è di tutti) di dotarsi degli strumenti che metteremo a disposizione.
GRAZIE CARMEN! "EVVAI" TEMPLARE! :-)
Grazie 48..sono e rimarrò in ascolto..e diffonderò.
EliminaA proposito di linguaggio volevo chiederti se era possibile, e compatibilmente con il tuo, vostro tempo, preparare un documento breve, preciso, in punti, dove vengono spiegate le "vere ragioni" della crisi. Magari un paio di paginette in A4 sottoscritte da te, Piero, dal prof. Bagnai o chiunque abbia voglia di firmarsi, da distribuire in fabbrica tramite i delegati sindacali ..magari anche solo all'ingresso dello stabilimento....uno stabilimento Finmeccanica con platea vastissima. Quel documento potrebbe essere diffuso anche in altri modi, via web..negli ipermercati...dappertutto...
E' fattibile..
Saluti Santo
Caro Santo,
Eliminauna mia amica (ex operaia in cantiere navale), che interviene anche qui, per le esigenze di attivismo nella sua cittadina, ha già fatto un lavoro del genere e fa "volantinaggio" davanti a scuole, luoghi di lavoro e mercati.
In realtà, si è ritrovata a fare delle "dispense", che distribuisce, riassumendo di sua iniziativa quello che le è sembrato più essenziale da comunicare e che ha tratto dal blog goofy.
Però non c'è riuscita in 2 pagine.
Voglio dire: i blog sono stati fatti, primo goofynomics, proprio per condurre un lungo discorso di paziente spiegazione e le informazioni selezionabili sono "tante".
RIASSUMERE IN SPAZI RISTRETTI ANALISI COMPLESSE E' IL LAVORO PIU' DIFFICILE (Einstein sfidava chiunque a riassumere la relatività in 1000 parole)
Però capisco la tua esigenza.
Hai due impostazioni a disposizione:
1) ridurre al minimo la "spiegazione", farla tua e diffonderla come tua iniziativa, cioè qualcosa che vuoi comunicare tu, citando i blog;
2) considerare più importante di tutto ciò, il fatto che esistano dei "personaggi" della rete che firmino, perchè la loro "paternità" farebbe assumere più valore al tutto.
Nel primo caso ti posso far avere le dispense (se la mia amica sarà d'accordo) perchè ti servano almeno come "traccia" e puoi riassumerle ulteriormente. Ma se vuoi provare, ti aiuto se me lo sottoponi.
E comunque se questa è la tua scelta e trovi difficoltà, posso ANCHE fornirti una rapida spiegazione da due pagine (comunque, mi devi dare una mail e non ti garantisco che sia capace di farlo con linguaggio "semplice" :-), ma ci posso provare).
TIENI CONTO CHE, COME FA LA MIA AMICA, PUOI APPUNTO BENISSIMO METTERE COME FONTI, INVITANDO A LEGGERLI, I BLOG DA CUI PUOI DICHIARARE DI TRARRE LE INFORMAZIONI.
Nell'ipotesi 2 (cioè l'importante è che ci siano dei firmatari "autorevoli"), è una iniziativa "di informazione" non tua personale MA SAREBBE ASCRIVIBILE OVVIAMENTE AI FIRMATARI<; ma dovresti trovare il consenso di tutti gli interessati e pure metterli d'accordo tra loro sul contenuto.
Piero, che sta già "ufficialmente" organizzando un movimento (di cui non sono parte, dovendo discuterne di persona), potrebbe fornirti la sua personale adesione e il relativo materiale. Ma devi ovviamente chiederlo a lui.
Personalmente, non faccio attività politica "diretta", diciamo sul territorio e in modo "ufficiale", ma mi limito a fare informazione in rete, della quale ognuno potrà fare l'uso che ritiene giusto.
Però, come spero di essere riuscito a spiegare, possiamo mettere a punto qualcosa, una volta che mi dici bene cosa scegli di fare.
alla fine non era così difficile come sembrava...mi è rimasta una curiosità sui modi partecipativi dei cittadini, a parte gli eventuali referendum. sarebbero previsti incontri con la cittadinanza, magari organizzata in associazioni, possibilità di voto su normative e decisioni?
RispondiEliminaQuali paesi adottano già un sistema simile? (La Svizzera, immagino )
In realtà, se guardi al complesso dell'articolo, si tratta principalmente (ma non solo), della procedura di accertamento dell'impatto della regolazione (AIR), nella sua accezione di procedura "aperta". Nasce negli USA: porta a un sacco di problemi. MA PROPRIO PERCHE' RISCHIA DI RENDERE EFFETTIVA LA PARTECIPAZIONE CO-DECISIONALE APERTA ALLA "GGENTE".
EliminaSai la tendenza è vedere la "partecipazione-democrazia diretta", in sede amministrativa come un altissimo costo: in parte è vero, anche perchè si dilatano gli appetiti di "potere interdittivo" (talora "ricatto") di associazioni varie di cittadini-utenti, sui cui criteri di formazione e governance= chi le controlla, non tutto è sempre chiaro.
E POI IL POTERE ECONOMICO-FINANZIARIO NON CI METTE NULLA A "CREARE" GRUPPI DI PRESSIONE CON ETICHETTE VARIE (ci siamo capiti? guardati già ora intorno) CON SUPER-AVVOCATI E "SINDACATI GIALLI"...INSOMMA BISOGNA VIGILARE.
Ma è un rischio che si può correre, se nel frattempo lo Stato si ripotenzia professionalmente.
Su questi temi (AIR e riqualificazione di expertise dello Stato) SONO IN ARRIVO PROSSIMI POST.
Stay tuned: we'll get there together!
Vediamo se ho capito qualcosa e se riesco a capire meglio.
RispondiEliminaLe regole sarebbero determinate tramite procedure di AIR partecipate ,ossia scaturenti da interazione tra uffici tecnici-amministrativi dei nuovi enti e associazioni di cittadini interessate (prima domanda: come e chi decide quali sono queste associazioni?).
Tali regole dovrebbero essere poi approvate dalle associazioni dei comuni (seconda domanda: associazioni composte con che criteri? sarebbero previste soglie dimensionali minime perchè i comuni esprimano rappresentanti in questa assemblea?)
Infine tutte le norme deliberate sarebbero come regola generale potenzialmente soggette a referendum propositivi o abrogativi (terza domanda: con quali modalità sarebbero indetti questi referedum regionali,provinciali o comunali e con quali quorum? Non comporterebbero elevati costi anche in termini di tempi necessari alla definitiva definizione delle regole?).
Hai correttaemente inquadrato pressocchè tutto. Peraltro tutti i problemi da te sollevati non sarebbero da risolvere direttamente in una Costituzione (di questo stiamo parlando) che, come in molte altre occasioni (id est, disposizioni ontologicamente "di principio"), dovrebbe rinviare alla "legge" per la attuazione appunto dei principi.
EliminaPeraltro, quando avremo affrontato in dettaglio, con apposito post, il problema dell'AIR, capirai perchè non ha senso rimettere in contestazione con un referendum quella che diviene così una decisione "tecnica" obiettivata da dati e analisi pubbliche, e partecipata (per il modo in cui dati e analisi sono acquisiti through public scrutiny).
Per ora basti dire che il "corpo elettorale" ha una sostanza essenzialmente politica-pura per la insopprmibile natura diffusa-fluida del substrato sociale generale, ed è portatore di interessi differenziati tra loro, senza criterio predeterminabile di definizione delle priorità: ci ritorneremo. Però è un problema generale delle tecniche di democrazia "diretta" di livello politico, cioè libero "nei fini".
Quindi il referendum successivo a un'istruttoria così partecipata e aperta sarebbe da riservare laddove le valutazioni emerse ponessero oggettivamente questioni insolubili in base a criteri scientifico-razionali.
Un caso-limite, contando che la decisione mediante referendum non può far emergere un percorso motivato e comprensibile che serva da guida alla successiva applicazione in sede amministativa-gestionale (nel pubblico interesse).
E infatti, gli esiti di un referendum, non ancorato a istruttoria tecnica e intrinsecamente "immotivato" nel suo oggettivo percorso decisionale, sono facilmente aggirabili dal "potere" degli interessi più "pesanti" (come tragicamente constatiamo in troppe occasioni).
La formula "consorziale" o "conferenziale" dei comuni del territorio interessato, poi, implica naturalmente la considerazione di ambiti ampi o "più" ristretti della dimensione territoriale (es; può essere opportuna una base "provinciale"). Esistono già oggi procedure di pianificazione (es; in materia di cave) che sono compiute su basi provinciali e approvate dalla regione (consiglio e poi giunta).
Nel sistema ipotizzato, tutto sarebbe semplificato dalla riqualificazione dell'ente regionale, scisso dalla dimensione "politica" e responsabilizzato proprio sul solo livello della bontà tecnica dell'operazione normativa o pianificatoria...
Non di immediata comprensione, occorre rileggere con pazienza. L'intento divulgativo non era, chiaramente, tra gli obiettivi dell'autore, ma forse ciò dipende dal tipo di pubblico a cui pensava scrivendo...
RispondiEliminaPer riassumere anch'io quello che ho capito da sprovveduto, si tratterebbe di abolire regioni e provincie come enti con potere legislativo, sostituiti da enti con funzioni normo/attuative a guida non più politica, ma a forte vocazione tecnica e coadiuvati dai comuni del territorio, che associati darebbero luogo a una nuova sorta di consigli regionali. La premessa dimostra (per quel che mi è dato capire) che ciò rientra nell'abito della revisionabilità costituzionale, ed è quindi fattibile.
Sottoscrivo le domande di Oscar Dabbagno, in particolare la terza sui referendum. Il dubbio di costi in termini di tempo, ma anche economici, è lecito (vero però che potrebbe essere una percezione errata, visto che in Svizzera ne fanno largo uso).
Se capisco bene, questi referendum si terrebbero in merito alle norme attuative e non alle leggi in sé, visto che queste sarebbero ormai tutte di origine parlamentare.
Al punto 4) l'autore dice che si tratterebbe di una riduzione della spesa NON depressiva, in quanto i risparmi andrebbero a migliorare il livello dei servizi e non la riduzione del deficit. In questo è decisamente assertivo, e mi chiedevo se la sua è una convinzione motivata o solo un auspicio (la destinazione delle risorse, intendo, non i risparmi in sé).
Spero di non aver scritto troppe insipienze...
Scusa Quarantotto.
RispondiEliminaIl mio commento si è accavallato alla tua risposta a Oscar. Se lo ritieni superfluo omettine pure la pubblicazione.
OK. La tua sintesi della formula organizzativa è corretta: solo a vederla scritta "solleva il cuore" :-)
EliminaMa poi l'importante è che i temi affrontati (fondamentali) siano sul tappeto. . E che la mia risposta porti a riflettere che le cose non sono così semplici come certe formule "in voga" sembrano affermare...
Quello dell'autore è chiaramente un auspicio: l'articolo è di un anno fa, quando ancora si poteva almeno sperare che il nuovo governo avrebbe cercato di rilanciare la crescita e la cura pubblica dell'interesse generale.
Ma ora sappiamo com'è andata...
Caro 48,
RispondiEliminasono molto lieto che il panorama (forse il giusto termine è "orizzonte") dell'informazione si allarghi sempre più.
Molto interessante il taglio giuridico/costituzionale che vuoi dare al tuo blog, e molto stimolante il primo post, complimenti per avere scovato un articolo così di nicchia.
Effettivamente mi sono sempre chiesto quali vantaggi alla convivenza democratica e alla struttura politico amministrativa italiana avesse determinato l'avvento delle regioni nel 1970,e quali ulteriori miglioramenti(!?!?) fossero sortiti dalla riforma del
titolo V nel 2001
Sono lieto di verificare che se lo chiede anche qualcun altro!
Ciò detto però temo che la riforma costituzionale proposta dall'illustre Consigliere di Stato vada a cozzare contro la famosa storia dei tacchini e del Natale.
Infatti temo che i deputati che dovrebbrero votarla siano consustanziali ai consiglieri regionali e provinciali cheandrebbero aboliti.
Per una riforma costituzionale di questa portata penso che i meccanismi di revisione costituzionale ordinari exarticolo 138 non siano sufficienti e occorrerebbe una assemblea costituente eletta a suffragio universale (non una cosa tipo la bicamerale di D'alema, che se anche non fosse naufragatanon credo avrebbe combinato granchè)
Occorre,per intenderci,a mio modesto avviso, rifondare tutta la convivenza civile,nei suoi aspetti giuridici ed economici e per far ciò occorre qualcosa che sia simile ai legislatori ciechi di Rawls, che dettano le regole senza sapere quale sarà poi il ruolo che dovranno giocare nella partita.
Mi piacerebbe sapere se questa posizione sembra sostenibile anche a te e a qualcuno dei tuoi lettori e discuterne con voi
grazie e congratulazioni
Franco
Franco, perfettamente d'accordo.
EliminaTi dirò di più: quando leggerai, forse oggi più tardi, il post sulla "CorruzZzione", nelle sue nuove forme, capirai come sia ipotizzabile come ancor più difficile una "autocorrezione" dei tacchini...vicini al forno.
Comunque qui stiamo "iniziando" a fare un lavoro di Costituente che parte dal basso. Con chi veramente non ha oscuri interessi personali...Bella citazione di Rawls, ma forse basta una nuova atmosfera del '48 :-)
Estremamente interessante l'idea di funzionalizzare l'attività regionale e provinciale al perseguimento obiettivo di interessi pubblici univoci sul territorio nazionale siccome stabiliti a livello di legislazione nazionale, così come l'introduzione dell'AIR che possa fungere, finalmente, da necessaria istruttoria/motivazione a provvedimenti pianificatori/normativi.
RispondiEliminaNon so valutare i risparmi di costi, ma da un punto di vista di tutela delle posizioni giuridiche soggettive l'eliminazione della possibilità di leggi provvedimento regionale (spesso utilizzate per 'bloccare' l'attività giurisdizionale in presenza di doglianze dei soggetti lesi dalla decisione 'politica') e, soprattutto, la necessità di oggettivizzare l'attività pianificatoria/normativa in funzione del perseguimento dell'interesse pubblico sarebbe sicuramente un ottimo segnale al mondo produttivo che si sentirebbe maggiormente tutelato dalla possibilità di 'decisioni' politiche irragionevoli, consentendo il liberarsi di investimenti oggi spesso frenati (non parlo di IDE, ma, mi si passi il termine, di IDI - Investimenti Diretti Interni - anche se siamo a novembre).
L'unico dubbio "pratico" mi rimarrebbe nell'individuazione dei criteri di eleggibilità passiva per i vertici di questi Enti. Ma come leggo sopra è un dubbio che non ho solo io.
Gianluca, che dire?
EliminaAl tua sintesi è un efficace abstract del "progetto" e delle sue ricadute.
E non solo suppongo tu sia un giuspubblicista (pare dal linguaggio "esatto"), ma pure di livello :-)
Allora seguici e rammenta che il blog è aperto a chiunque intenda fare un suo intervento-post sui temi qui trattati
Mi scusi, signor presidente. ChennePenZa del disegno di legge costituzionale fatta da M5S http://www.huffingtonpost.it/2013/06/15/movimento-5-stelle-sanita--stato--regioni_n_3445936.html?utm_hp_ref=italy ?
RispondiEliminaBuongiorno
RispondiEliminaScusi l'OT (ma neanche poi tanto) c'è una questione un pò sempliciotta e banale che vorrei porLe
Una revisione/riforma costituzionale che trasformi il voto elettorale da diritto ad obbligo è possibile/proponibile/sensata ?
Ovviamente retribuito ...