giovedì 22 agosto 2013

IL FALSO MITO "PUBBLICO VS. PRIVATO" E LA SPESA PUBBLICA "DI NASCOSTO"

Vi sottopongo (tradotto da Sofia) un articolo di Mariana Mazzuccato, tratto dal Financial Times del 22 agosto 2013. La Mazzuccato è professore di "politiche della ricerca in scienza e tecnologia" presso l'università del Sussex, ed autrice del libro "Lo Stato imprenditore. Sfatare il mito "Pubblico contro Privato", (che non ci risulta tradotto e pubblicato in Italia).
Vi lascio alla lettura di questo articolo, che ci dà alcune notizie e dati apparentemente sorprendenti (almeno per i "mainstream von Hayek" di ortodossia italiota), e vi rinvio al commento post-lettura
.


Il dibattito intorno all'austerità - ed al rapporto tra deficit pubblici, debiti nazionali e crescita - ha perso un punto cruciale. A meno che i paesi siano sull'orlo di un attacco sul mercato obbligazionario, l'importo del debito o la dimensione del deficit interessano meno del capire quali siano le attività che venogno finanziate (effettivamente) dai contribuenti. Se la spesa supporta aree che aumentano i tassi di crescita attraverso l'aumento della produttività e l'innovazione - come l'istruzione, le competenze, la ricerca e le nuove tecnologie - allora il rapporto di lungo periodo tra debito e prodotto economico potrebbe essere inferiore (e lo stato in forma migliore) rispetto ad una spesa meno produttiva.

Le nazioni che hanno ottenuto la crescita di una innovazione "guidata" dall'intervento pubblico non hanno solo creato le condizioni per l'innovazione - finanziamento di istruzione, formazione e infrastrutture - o rimediato ai fallimenti del mercato, finanziando la ricerca di base. Essi hanno inoltre attivamente fornito supporto diretto agli innovatori.

Questo è vero anche nell'America del "capitalismo sfrenato".
La rivoluzione IT non si è veertificata con il governo federale ai margini di tale processo.
Gli USA hanno sostenuto il microchip, così come Internet e, più recentemente, le nanotecnologie e le biotecnologie. Ognuno di tali campi di ricerca è stato finanziato attraverso le agenzie pubbliche come il Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), il National Science Foundation and il National Institutes of Health.
Questa spesa (pubblica) ha funzionato perché era "mission oriented": lo Stato ha raccolto l'idea e l'ha sostenuta, (tanto da) da mandare un uomo sulla luna per affrontare il cambiamento climatico. E quando il governo può intraprendere missioni con budget sufficientemente grande, è più facile assumere menti brillanti e pensare in grande - come ha fatto DARPA con Internet.
E 'altrettanto piacevole lavorare presso Arpa-E, una agenzia di ricerca gestita dal Dipartimento dell'Energia (DoE) degli Stati Uniti, quanto in Google. Non è una sorpresa che il DoE sia stato recentemente gestito da un fisico premio Nobel.

Data l'incertezza insita nell'innovazione, attrarre competenze non significa ottenere sempre il successo. Per ogni successo, ci sono molti fallimenti; ma sono i successi che portano a tecnologie generali, di base, che possono guidare decenni di crescita, quelli che vale la pena aspettare.

Attrarre competenza e accettare il fallimento a breve termine sono sfide.
La Cina deve mirare a fare buon uso dei 1.700 miliardi di dollari che sta spendendo su cinque aree emergenti, dai nuovi motori, a IT e tecnologie ecocompatibili.
Nella considerazione di molti, vi sono molti dubbi sulla capacità dei governi di "cogliere" la giusta direzione. Sarebbe, per costoro, più saggio lasciare tali decisioni al mercato, dicono, come se quest'ultimo, per suo stesso DNA possedesse l'orizzonte di lungo periodo, il capitale e l'esperienza richiesti.
"Burocrati inutili", sentiamo dire, "basta mettersi in cammino".
Questo scetticismo ha un fascino politico: i contribuenti sono costantemente alimentati con il messaggio di un goffo Leviatano.
E ciò rende più difficile per i governi trovare il coraggio di pensare in grande. Li incoraggia a nascondere quello che fanno, anche quando si sta seguendo una grande visione.

Immaginate come sarebbe diverso il dibattito sanitario degli Stati Uniti se i contribuenti sapessero che il governo regola non solo la sanità, ma anche i fondi della ricerca dietro nuovi farmaci più radicali: il NIH (agenzia pubblica statale) ha speso 32 miliardi di dollari nel solo 2011 sulle conoscenze di base biotech-farmaceutiche.

Quando il Fondo monetario internazionale fa le raccomandazioni sulla spesa pubblica, dovrebbe prendere in considerazione i modelli di crescita economica.
Dopo tutto, il problema, in molti paesi indebitati, non è che lo Stato ha speso troppo, ma che ha fatto una spesa troppo poco produttiva: l'Italia gestiva un deficit modesto prima della crisi, ma i suoi due decenni di crescita zero della produttività (e prodotto interno lordo) hanno portato il suo rapporto debito-output a salire a livelli insostenibili.

Come faranno il 40 per cento tagli nel bilancio di ricerca della Spagna dal 2009 ad aiutare il paese a diventare una "nazione di innovazione", in grado di competere con la Germania, dove la spesa per la ricerca (pubblica) è aumentata del 15 per cento?
Ci sono molti sprechi in questi paesi, ma se le "riforme strutturali" non sono accompagnate da aumenti degli investimenti produttivi in aree strategiche, non ne conseguirà la crescita.

Su questi problemi non si può essere ingenui: non basta chiedere allo Stato di fare di più. In paesi come gli Stati Uniti, che hanno beneficiato di una di strategia industriale "attiva" (anche se "nascosta"), vi è una relazione disfunzionale tra il settore pubblico e privato, nella quale il rischio viene socializzato e le ricompense privatizzate.

Mentre la maggior parte delle tecnologie radicalmente innovative che rendono l'i-Phone così "smart" sono stati finanziate dal governo, Apple paga relativamente poco in tasse alle casse pubbliche . Dove sono oggi Xerox Parcs e Bell Labs, co-investitori accanto allo Stato nelle grandi opportunità del futuro?

Un modello economico coerente di crescita deve distinguere tra rapporti simbiotici e rapporti parassitari tra Stato e settore privato. Questo prevede che lo stato risparmi il settore privato dal rischio, ma ciò significa rischiare e poi godere dei frutti insieme.

Allora. Noterete - è la cosa che forse più colpisce in questo articolo- come la deriva "von Hayek" (più o meno cosciente...che siano tea-party o persone di età tale da essere consapevoli delle "radici" di un certo atteggiamento "Statoinefficientespesapubblicadebitocastacorruzione", non importa: gli effetti sempre a "quel" liberismo programmatico sono dovuti), sia giunto ad un punto paradossale: lo Stato federale USA deve addirittura "nascondere" (per motivi politico-elettorali!) il proprio intervento nel pubblico interesse generale dell'economia.
Anche se questo intervento, nella realtà, ha dimensioni e direzioni tali da smentire recisamente l'idea che "il governo dei mercati" (v.H.) sia la naturale (e primordiale) sede di efficiente autodeterminazione della società. E che quindi i meriti della tecnologia - compresa quella della mitica Apple- siano dovuti alla intrinseca maggior capacità scientificò-applicativa delle grandi imprese. Luogo comune smentito dai fatti, accertati da chi, per mestiere, si occupa "scientificamente" di queste cose!
Il fatto è che v.H., così come i suoi epigoni post-moderni (e come tali "eccentrici" rispetto alla logica ed alla verità) hanno in mente un mondo industriale primonovecentesco: anteriore alla psicanalisi...e al "fordismo". Anzi, proprio per questo, addirittura "ottocentesco", conformemente alla sua idea dell'impero austro-ungarico come nostalgico modello sociale "ideale".
In questo mondo, le fabbriche sono tutte "cacciavite" o giù di lì: l'innovazione tecnologica è lasciata alla grande impresa in funzione esclusiva della concorrenza, e quest'ultima alla internazionalizzazione, e quindi alla tolleranza dei monopoli, visti come "naturalmente" transitori: e, come tali, nella realtà dei fatti, portati ad una scarsa innovazione, se non nei limiti di epocali innovazioni che si creano, come nel primo novecento, per quasi causali colpi di ingeno di personalità "stravaganti" e estrose (come nelle storie a fumetti di Qui, Quo e Qua).

La cosa inquietante è che questa ideologia di fondo - perchè tale è la scelta sclerotizzata di un modello sociale da imporre normativamente-, si annida prepotente nelle menti della governance europea, convinta solo a parole dei benefici della innovazione tecnologica, ma occhiutamente rivolta a limitare ogni tipo di spesa statale, anche in questo essenziale campo, sia con l'indiscriminato sindacato sui livelli del deficit, ignorando le pallide clausole dei trattati che consentirebbero di ecettuare investimenti pubblici di questo genere dal calcolo del deficit: art. 126 parr. 2 e 3 del TFUE. E di "eccettuare" tali investimenti senza alcuna speciale autorizzazione, o concessione sussiegosa, ma proprio in applicazione di un criterio elastico ricavabile, con un pò di "sale in zucca" dai trattati (persino!).

Ma non si può chiedere questo "sale" ai vari Olli, Wolfgang e compagnia bella. E nemmeno ai nostri "zeloti" quando vanno in libera uscita a Bruxelles o ai "Consigli UE", dove si inginocchiano in professioni di fede sul "risanamento irrinunziabile" e in "mea culpa" sulla nostra responsabilità nella creazione del debito per eccesso di spesa pubblica.

E mi conforta che alcuni di voi stiano riscontrando come l'assurdità di questo atteggiamento sia vagamente cosciente pure nelle fila dei puddini.
Almeno nelle dichiarazioni sommessamente rilasciate a margine del dibattito politico...che si occupa, come ben sappiamo, di tutt'altro. Salvo però (quegli stessi) programmare una riforma del Titolo I della Costituzione, quello della Cost. "economica", che costituirebbe, ora e subito, il substrato di norme fondamentali e immodificabili che consentirebbero non solo di opporsi alle assurdità "contabili" €uro-deliranti e procicliche, ma anche di rilanciare subito il generale settore della ricerca pubblica e del credito agevolato agli investimenti generali in IR%S.
Perchè, come dice anche la prof. Mazzuccato, è questione di "MODELLI DI SVILUPPO" e di opportune politiche "industriali", che in Europa, a differenza che nel resto del mondo civilizzato - e non dominato da von Hayek- non si possono più fare. E che certo, come è altrettanto sottolineato nell'articolo, il FMI o l'OCSE non prescriveranno mai di fare. "Essi" sono "internazionalisti" e lo Stato va smantellato a prescindere, come diceva Totò: dovesse dimostrare di essere l'ultimo baluardo dei diritti fondamentali e del benessere delle comunità dei cittadini...

Ma per avere un rigurgito di dignità in sede europea e, contemporaneamente, di legalità costituzionale, dovremo attendere altri tempi. Altre classi politiche.
Voi pochi eletti che seguite anche in questa afa di fine agosto, diffondete senza sosta. Almeno, con tracce provenienti da extra-UEM, con parole di italiani in gamba costretti o "indotti" a scegliersi lidi più favorevoli allo sviluppo neuronale, qualche solida ragione da far valere ce l'avrete



12 commenti:

  1. Enrico Moretti, docente di economia alla University of California di Berkeley su La Stampa del 28 luglio 2013
    Titolo: L’America riparte da Internet Le città hi-tech creano più lavoro.

    "La mia ricerca dimostra che per ogni nuovo posto di lavoro ad alto contenuto tecnologico creatosi in una città vengono a prodursi cinque nuovi posti, frutto indiretto del settore hi-tech di quella città. Si tratta sia di occupazioni qualificate (avvocati, insegnanti, infermieri) sia di occupazioni non qualificate (camerieri, parrucchieri, meccanici, muratori). Per esempio, per ogni nuovo software designer reclutato da Twitter o da Google, a San Francisco si creano cinque nuove opportunità di lavoro per baristi, personal trainer, medici e tassisti. Nella prospettiva di una città, insomma, un posto di lavoro ad alto contenuto tecnologico è molto più che un singolo posto di lavoro."

    "La mia ricerca mostra che a partire dagli Anni Settanta il destino economico delle città americane comincia a dipendere in misura sempre maggiore dal livello di istruzione dei loro abitanti. Le città con un più alto numero di lavoratori provvisti di formazione universitaria hanno cominciato ad attirarne sempre di più, mentre le città con una forza lavoro meno istruita hanno iniziato a perdere terreno."

    Poi sul Corriere della Sera leggo che Giavazzi le università le vorrebbe chiudere (!!).

    L'impressione è che vogliano farci diventare un serbatoio di manodopera a basso costo... ma è solo un impressione :)

    iva

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    1. Impressione? :-)
      Ovviamente il post illustra che la ricerca pubblica, non solo universitaria, come si è visto, è il vero motore della crescita, ma solo se si smette di guardare all'incubo del contabile (come diceva Keynes) riguardo al bilancio pubblico. secondo la logica di Maastricht

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  2. Ma quali sono gli Stati in cui la "mano pubblica" è meno presente? Insomma, quali sono VERAMENTE gli Stati "leggeri" in giro per il mondo, migliori modelli dell' "austrismo" ammirato dai "nostri"? Dove lo Stato e l' autorità pubblica in generale "non altera le dinamiche del mercato e della società" "garantendo così una crescita duratura" ( e anche il "naturle" livello occupazionale...)?

    A me viene in mente la Somalia....

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    1. Giusta osservazione: questo è proprio il concetto di "von Hayek per fessi". Cioè se voglio dominare un'altra nazione, non ho bisogno neppure di occcuparla coi carri armati. Basta lanciargli contro schiere di seguaci del "von Hayek per fessi" che ne distruggono lo Stato e il benessere-capacità di crescita. E poi intervenire come "investitore estero" lodato persino come salvatore

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    2. Una volta si chiamava "Washington-consensus" -mi pare-...la politica di "liberalizzazioni" e "apertura" del mercato (...altrui, alle proprie oligarchie...)

      Oggi lo ribattezzeremmo "Frankfurt-consensus"

      :-)

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    3. Forse sarebbe più adatta Frank-"furter" consensus :)

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  3. Mi fa piacere questa citazione della Mazzucato di cui avevo apprezzato molto la demistificazione dell'icona dell'imprenditore solitario demiurgo incarnata da Steve Jobs. Segnalo anche che la summenzionata monografia sullo Stato imprenditore è liberamente scaricabile in formato pdf dal sito della casa editrice.
    La cosa divertente è che queste fantasie hayekiane sono false anche con riferimento allo stato otto-primo novecentesco, nel senso che tra gli storici è un dato assolutamente pacifico che nello sviluppo conosciuto in quei decenni lo Stato ha avuto un ruolo essenziale: "In realtà, in tutti i paesi che si sono economicamente sviluppati il successo è dovuto allo sforzo congiunto dell'intrapresa privata e dell'attività pubblica di compensazione, sostegno e coordinamento." (V. Zamagni, Dalla periferia al centro, Il Mulino, Bologna, 1993, pag. 206). Romeo (L'Italia liberale. Sviluppo e contraddizioni, Il Saggiatore, Milano, 1987, pag. 302): "[...] a una più matura considerazione storica, i fatti che gli osservatori economici contemporanei [per es. Pareto di cui la Zamagni riporta una citazione che sembra un editoriale del Corsera] più risolutamente condannavano come indici del carattere "patologico" della vita economica ed industriale italiana appaiono invece come condizioni storiche che hanno reso possibile quella forzatura del processo industriale italiano che ha avuto una funzione decisiva nel consentire al nostro paese di inserirsi nell'Europa industriale, evitandogli così di essere respinto nell'area sottosviluppata che abbraccia molti altri paesi mediterranei e al cui margine si librò a lungo anche la penisola italiana". Si possono capire, al limite, i neoclassici che non potendo dedurre dalla storia le loro amate formule puntano i piedi; ma l'inconsistenza dell'operazione hayekiana di ritagliare una storia su misura delle sue personali "precomprensioni" che scardina tutti i nessi causali a me pare che salti veramente agli occhi.
    @Bargazzino: Fitoussi l'ha definito Berlin-Washington consensus. :-)

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    1. Ma non solo in Italia. E senza dover rammentare le "officine" colbertiane, come dici, l'idea dell'industria pesante ottocentesca che si sviluppa solo per animal spirits è del tutto mitologica. Gli studiosi più seri ammettono non solo l'importanza dell'ambiente "protezionistico" (che conviene finchè non si è dotati di..colonie e non si sia esportatori di beni sostanzialmente in posizione monopolistica), ma anche della legislazione di sussidio, anche indiretta (attraverso sistemi di tassazione su basi reali che privilegiavano indici presuntivi).
      Hai poi ben colto il riferimento a Steve Jobs, altro mito di usurpazione delle ricadute del sistema di spesa pubblica nella ricerca...

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    2. @arturo: puoi controllare il link al libro della mazzucato?... a me non va. nè sono riuscito a recuperarlo sul sito della casa editrice.
      grazie.

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    3. @arturo: puoi controllare il link al libro della mazzucato?... a me non va. thx.

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  4. Sono tornata da un piacevole soggiorno a casa di amici "consapevoli" a Genova (città bellissima e complessa, che avrebbe bisogno di molta spesa pubblica per ritrovare il suo splendore).
    Seguo su twitter Mariana Mazzucato (con una sola "c"), ed ho trovato interessante il suo TED Talk su "The Entrepreneurial State", che è il suo ultimo libro, dove, oltre all'esempio della Apple, spiega che il 75% delle scoperte farmaceutiche sono dovute alla ricerca dello Stato. Ma ci fa anche capire come i nostri zeloti ci vogliono impiccare definitivamente, ora e per sempre (niente di nuovo per chi naviga tra qui e Goofynomics, ma una ulteriore voce "accreditata")
    http://www.youtube.com/watch?v=jyp3Bw5H0VA
    Qui un'intervista alla LSE che offre spunti interessanti e conferme (se ce ne fosse bisogno) alle analisi di 48:
    http://blogs.lse.ac.uk/politicsandpolicy/archives/34008

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    1. Grazie dei links: sei stata già linkata, con questo commento, nel successivo post di "aggiornamenti" su "più fronti" :-)

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