Al di fuori del penoso panorama mediatico italiano - la cui vocazione è ormai quella della manipolazione omissiva della realtà, per dissimulare la natura artificiale della crisi cui siamo programmaticamente assoggettati- ci si può imbattere in conferme di quanto teorizzato in questo blog.
Per chi rammentasse il post "Teoria generale della corruzione", riporto il passaggio in cui si delinea la fenomenologia dell'appropriazione della ricchezza pubblica in un ordine statale che abbia restaurato la preminente centralità di governo dell'oligarchia liberista.
Si tratta in effetti di una situazione in cui la sistematica distorsione "plutocratica" (per usare il termine che vedremo scelto nel dibattito USA) del potere di governo, viene per di più presentata e difesa come espressione delle "libere forze del mercato". Come tale, poi, è assunta come dotata di efficienza "etica", in cui il ruolo di chi risulta collocato in posizione recessiva nei ranghi sociali viene proposto come conseguenza razionale della sua insufficienza ed inadeguatezza "antropologica" (uno dei portati del meraviglioso mondo di von Hayek e di Bentham).
Questo il passaggio sopra ricordato:
"3) all'altro estremo, abbiamo la permanenza o instaurazione (successiva al passaggio per una o entrambe le fasi precedenti) di forti posizioni di concentrazione oligarchica della ricchezza, e, pur in presenza di un sistema mediatico a forte diffusione di massa (TV e giornali) e di "formali" elezioni a suffragio universale per la preposizione alle cariche di "governo", il conseguenziale controllo sulla composizione della classe politica elettiva da parte degli appartenenti alla oligarchia.
Ciò determina la "capture" più o meno totale del processo normativo: legislativo (capture delle maggioranze parlamentari) e regolamentare-provvedimentale (capture sugli stessi componenti del governo).
In un assetto socio-economico in cui l'oligarchia abbia il controllo del processo normativo, le norme rifletteranno una concezione di interesse generale creato dal controllo mediatico-oligarchico e - attraverso opportuni standard e meccanismi di linguaggio fortemente "tecnicizzato"- renderanno tendenzialmente legale l'appropriazione delle utilità e beni pubblici da parte delle oligarchie a danno della utilità e della eguaglianza, formale e sostanziale, del corpo elettorale, svuotando di contenuto sia i diritti politici, sia i diritti sociali.
In tale evenienza (realizzabile in diversi gradi):
- prevale L'ASSENZA DI CORRUZIONE (per
difetto di fattispecie sanzionatorie applicabili ai meccanismi di
appropriazione disparitaria della ricchezza, che vengono simultaneamente
legalizzati dalle norme); e la corruzione degrada a fenomeno episodico,
visto come eversione di un assetto sociale basato su un'APPARENTE ETICA
FORTE, CONNESSA A UN CONCETTO NORMATIVO DI INTERESSE GENERALE SVINCOLATO DAL BENESSERE GENERALE.
(Ciò descrive, tendenzialmente, il riaffermarsi del capitalismo "sfrenato", e la sua marcia di neutralizzazione dello Stato redistributivo pluriclasse, sintetizzabile nella tecnocrazia mediatica)".
Frequentando, - come è praticamente d'obbligo per un cittadino italiano che voglia preservare un minimo di razionalità critica e di parvenza di verità fattuale-, i media non italiani, mi sono imbattuto in questo interessante articolo Commentary: Income inequality and the ills behind it.
Si tratta di un articolo tratto dalla Sezione Business del Buffalo News, (cioè di un giornale "normalmente" popolare e rivolto alle classi medie), ma i cui contenuti, secondo gli standards italiani di informazione, sono più o meno corrispondenti a quelli di un blog italiano di radicale controinformazione "antagonista"!
Il che la dice lunga su quello che rimane di democratico e libero nella nostra vita politica e mediatica
Di tale interessante "pezzo", a sua volta riporto la traduzione dei passaggi confermativi, in termini empirici e fattuali, dello schema ordinamentale "neo-liberista" sopra citato: esso corrisponde all'incorrotta società USA del XXI secolo, quella su cui, come bench-mark virtuoso, vengono tarate le classifiche, ridicole e inattendibili, relative agli indici di corruzione che tanto piacciono alla nostra stampa, ai nostri politici anti-italiani e odiatori dell'umanità, e, ovviamente, al loro assicurato elettorato di "livorosi":
"Via via che l'ineguaglianza si accrebbe durante gli anni '90 (e, in proposito, vanno rammentati l'introduzione del deficit cap al bilancio pubblico e l'abolizione del Glass-Steagall Act, ndr.), il presidente Clinton propose l'istruzione, piuttosto che la redistribuzione, come rimedio preferenziale.
E tuttavia, (si lamenta l'economista liberista Cowen) "...sempre meno persone, specialmente fuori dall'accademia, accettano la storia delle competenze tecniche come presupposto del cambiamento (della distribuzione della ricchezza), a sempre più guardano alla politica, al privilegio, ala ricerca della rendita e simili."
Allora, cos'è accaduto? Anzitutto, la concentrazione del reddito verso l'alto è divenuta (negli USA) ancor più pronunziata di quanto fosse durante l'amministrazione Clinton.
Allo stesso tempo, la decisione della Corte Suprema che ha consentito un'ondata di denaro privato nelle campagne politiche ha sottolineato come la plutocrazia potesse comprare le politiche volute per mantenere il suo privilegio, bloccando l'ineguaglianza "forever".
L'istruzione, nel frattempo, non ha comprovato di essere il rimedio "magico" che era apparso in precedenza, contribuendo anzi alle evidenti iniquità piuttosto che mitigarle.
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Il tasso di graduazione al college degli americani nel quintile più povero è aumentato al 9%, per quelli nati tra il 1979 e il 1982, dal 5% registrato per quelli nati nei primi anni '60.
Tra il quintile più ricco, il tasso di graduazione è aumentato al 54% dal 36% (according to Martha J.
Bailey and Susan M. Dynarski of the University of Michigan).
E per di più, i lavoratori con un'educazione al college possono ancora guadagnare più di quelli senza.
Tuttavia, i redditi dei lavoratori con una laurea (bachelor's degree) sono appena cresciuti durante le ultime quattro decadi.
"L'istruzione non sta funzionando" ha detto Timothy Smeeding, economista all'Università del Wisconsin.
La Grande Recessione ha sigillato una nuova narrativa.
Se la crisi finanziaria ha provato che i banchieri possono agevolmente piegare le politiche pubbliche in proprio favore, il drastico declino degli standards di vita di così tanti americani rammenta a ognuno di noi che i lavoratori rispetto alla distribuzione hanno perso terreno per un lungo periodo, anche se i redditi di vertice si sono vertiginosamente innalzati."
Il che ci porta allo snodo della questione, anche per quelli maggiormente interessati a difendere i vantaggi del capitalismo del libero mercato.
Mentre gli americani più ricchi si appropriano di quote sempre più ampie dei frutti della crescita, per molti la questione economica essenziale diventa: "Qual'è l'utilità del creare una "torta" più grande?"
“Se tutte le "barche" divenissero più grandi, ciò darebbe qualche speranza" (alla maggioranza degli americani)." dice Smeeding. "Il problema è che la middle class non sta ottenendo ciò. E questa è la realtà del post-Grande Recessione".
Inutile sottolineare come il dato fondamentale è l'irrilevanza della corruzione come fenomeno esplicativo dell'impoverimento diffuso: e infatti quest'ultimo si verifica intensamente anche laddove si rafforzi, - proprio in nome della lotta allo Stato sociale e alla spesa pubblica, come presunti portatori di corruzione- un ordine sociale caratterizzato dall'assenza (o dal basso grado) di corruzione secondo i parametri FMI, World Bank o OCSE.
"Acquistando" sul mercato dell'influenzamento elettorale, e dunque essenzialmente mediatico, le politiche legislative di rafforzamento del proprio privilegio (sintetizzabili, in prima battuta, in limiti normativi al deficit spending, banca centrale indipendente e modello universale di banca, soggetta solo al controllo prudenziale "autogestito"), si verifica quindi la drastica riduzione della corruzione. Ma permane, anzi si rafforza, l'impoverimento, perchè l'appropriazione della ricchezza collettivamente prodotta è addirittura incentivata "per
difetto di fattispecie sanzionatorie applicabili ai meccanismi di
appropriazione disparitaria della ricchezza, che vengono simultaneamente
legalizzati dalle norme".
E si afferma, appunto, un concetto normativo di interesse generale generale svincolato dal benessere generale.
Ora il punto è: negli USA tutto ciò è oggetto di aperto dibattito mediatico, forse non ancora decisivo per mutare l'assetto di potere che si è consolidato da Clinton in poi, ma certamente impensabile in Europa e, certamente, in Italia.
Basti pensare che solo Marine Le Pen propone questo ordine di problemi a livello politico di massa, definendo il problema dell'ineguaglianza come superamento della dicotomia sinistra-destra e, piuttosto, come conflitto tra "alto e basso".
Per questo, in termini frattalici, è potenzialmente immaginabile, ora, che la situazione interna agli Stati Uniti possa maturare in una svolta impensabile (almeno per la sensibilità politico-mediatica che impera in Europa). Alla stessa stregua in cui poteva apparire impensabile quella verificatasi nella parte matura del New Deal, dopo la nuova recessione del 1936, quando l'esaperante resistenza politica dei neo-liberisti aveva portato la situazione sul terrenno dell'unica evidenza che riesce a superare il controllo mediatico che viene esercitato in ogni tempo da queste forze anti-sociali: l'insostenibilità della menzogna smascherata dalla disperazione di massa.
tutto questo ci porta all'inevitabile e "indispensabile" guerra come leva per attivare intervento pubblico e politiche industriali governative in un'economia sostanzialmente destrutturata (liberalizzata, privatizzata, finanziarizzata) e in un ecosistema istituzionale presidiato dai pretoriani di ESSI, unico modo per aggirarne le resistenze...guerra di cui si sta preparando il terreno nelle tensioni generate dal dispiegarsi del masterplan egemonico USA di cui la ristrutturazione liberista è pilastro e motore (mirabilmente riassunto nell'opzione b di questo bell'articolo di Giannulli).
RispondiEliminaTorno dopo qualche mese su questo blog, che è veramente manna nel deserto informativo-analitico, per prendere atto che l'ipotesi frattalica '39-'45 viene affondata dal suo stesso primo sostenitore in favore di un arretramento della datazione. Gli Stati Uniti come la Gran Bretagna (potenza egemone in declino), e non siamo ancora arrivati al '31?
L'ipotesi frattalica è in...ristrutturazione. Ma se non altro per mancanza di indizi.
EliminaL'argomento di questo post in realtà rinivia a un processo di maturazione politico-sociale che in USA pare tuttavia non divenire concreto rinnovamento politico; ma che avrebbe dovuto maturare, in senso frattalico originario. E questo è il guaio.
Tuttavia in prospettiva stanno culturalmente meglio di noi, sul piano del senso della democrazia residua e della direzione da cambiare.
E' dura doverlo constatare, ma l'auto-desertificazione italiana è un fenomeno di cui non esistono paralleli al mondo, attualmente
Non diviene rinnovamento politico anche perche' il sistema bipartitico e' esattamente fatto a posta per non fare venire il cambiamento in quella direzione.
EliminaLa dipendenza dalle idee liberaliste veicolate dai media e' strutturalmente programmata in quel tipo di sistema.
Ho letto un articolo di Einaudi illuminante in tal senso (e non solo)
La questione è nota: ma dicevo "politico-sociale", che in quel contesto significa smottamento elettorale e spendibilità di leadership-candidatura. La sola esistenza della Clinton come potenziale candidata conferma un blocco evidente.
EliminaGli USA, poi, non sono una realtà etnica omogenea e costante rispetto al passato e autocostruiscono forme di mobilità sociale "relative", attestate dalla influenza politico-elettorale di gruppi etnici emergenti: primo quello ispanico.
Ogni struttura rigida, comunque, ha il suo punto di rottura.
Ma parliamo di fenomeni di lungo periodo...
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RispondiEliminaDa "repubblica" del 3 agosto apprendo che Scalfari auspica l'arrivo della troika in Italia.
RispondiEliminaBella soluzione al gap democratico del renzismo, da lui stesso evidenziato..,,..
Davvero da rimanere a bocca aperta, e non in positivo.
E che cerchi ancora una coerenza all'interno di quel pensiero? Il gap democratico gli interessa solo in quanto non si verifichi il conferimento a lui e solo a lui del sommo potere decisionale...
EliminaQuello che mi ha colpito è il modo in cui viene descritto Renzi: a me pare - la butto lì - che la narrazione imbastita da Scalfari punti necessariamente verso l'attribuzione al nostro del ruolo di Berlusconi e alla Troika quello di Monti.
EliminaTornando invece all'argomento del post, ho notato che non pochi analisi della stampa americana progressista tendono ad interpretare questa reazione alla disuguaglianza montante in chiave generazionale. Da questo punto di vista ho trovato interessante un articolo di Peter Beinart che vi segnalo.
"...Even after the financial crisis, the Clinton Democrats who lead their party don’t want to nationalize the banks, institute a single-payer health-care system, raise the top tax rate back to its pre-Reagan high, stop negotiating free-trade deals, launch a war on poverty, or appoint labor leaders rather than Wall Streeters to top economic posts.
EliminaThey want to regulate capitalism modestly.
Their Reaganite Republican adversaries, by contrast, want to deregulate it radically. By pre-Reagan standards, the economic debate is taking place on the conservative side of the field. But—and this is the key point--there’s reason to believe that America’s next political generation will challenge those limits in ways that cause the leaders of both parties fits."
Secondo lo stesso standard, si può spiegare in termini generazionali (di conformismo, perchè di questo si tratta) che in Italia abbiamo un PUO a omogeneo messaggio tea-party.
Andreatta-Ciampi finiscono per essere una sorta di pietra miliare che giganteggia proiettando la sua ombra sul suicidio autorazzista.
Ha ragione Pozzi quando dice che, semmai ci sarà una reazione, questa sarà affidata a quelli che oggi hanno meno di 5 anni (o giù di lì)...
OT ma non troppo
RispondiEliminaQuesta riflessione di George Monbiot sul Guardian ha il merito di essere sintetica e lineare e, al contempo, spiegare i meccanismi della plutocrazia.
Lettura interessante.
http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/aug/05/neoliberalism-mental-health-rich-poverty-economy
Roberto Seven