Orizzonte48

Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.

martedì 9 settembre 2014

LO SMEMORATO DI DETROIT

Dunque, questo è l'andamento "storico" della disoccupazione in Italia (da Scenarieconomici.it):

 


E questa è la ben nota "correlazione" con l'inflazione...e lo SME, il divorzio tesoro-bankitalia e lo splendido euro. (elaborazione di Antonio Rinaldi su dati Istat)


2 2


Questo è l'Employment Protection Legislation Index utilizzato dall'OCSE. Cioè l'indice che misura il grado di protezione dell'occupazione nella legislazione di ciascun rispettivo paese, utilizzando riferimenti (resi) omogenei. Notare che l'indice italiano, dato il suo punto di partenza del 1990, perviene alla più notevole "decrescita relativa" di tale protezione. Con due picchi verticali verso il basso in occasione delle leggi Treu e c.d. Biagi. A seguito di ciò, allo stato, la differenza da colmare con la Germania, la equiparabile Grecia (ma guarda un po'!) e con l'Olanda, è molto ridotta. Un "progresso" per i liberisti di ogni colore che non dovrebbe farli lamentare troppo. E invece, come vedremo...
Austria e Irlanda paiono fare gara a sè, ma si caratterizzano per una certa stabilità dell'indice: anzi, nel dopo crisi 2008, registrano un certo innalzamento della protezione normativa dell'occupazione!
Questi picchi (o "scalini") negativi spiegano la attenuazione della tendenza alla crescita della disoccupazione registrata negli anni 2000 e fino alla crisi: si tratta di "precarizzazione", sui cui effetti vi rinviamo a questo post (nessuna correlazione tra precarizzazione, cioè flessibilità in entrata e in uscita del lavoro, ed effettivo aumento dell'occupazione).

Di più: questi gli effetti di SME, divorzio, criteri di convergenza di Maastricht ed euro sulla quota "salari" (grafici tratti dal post sopra linkato)



Questi i dati comparati in dipendenza dell'andamento dei salari reali:

E questi indici cosa ci dicono sull’Italia?
I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
- See more at: http://www.economiaepolitica.it/tag/ocse/#sthash.ySZVGyfj.dpuf
E questi indici cosa ci dicono sull’Italia?
I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
- See more at: http://www.economiaepolitica.it/tag/ocse/#sthash.ySZVGyfj.dpuf


E questi indici cosa ci dicono sull’Italia?
I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
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E questi indici cosa ci dicono sull’Italia?
I dati Ocse mostrano che dal 1990 ad oggi la gran parte dei paesi europei ha praticato politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro, tentando di aumentare la flessibilità e per questa via l’occupazione. L’Italia è tra i paesi che hanno fatto i più ampi sforzi in questa direzione. Infatti, abbiamo ridotto l’indicatore generale di protezione del lavoro di oltre il 40%. In particolare, abbiamo liberalizzato intensamente il ricorso al lavoro a termine, riducendo l’indice di protezione di circa il 60%. Alla fine del 2013, ben prima della riforma Poletti, il grado di flessibilità nel lavoro a termine era già in linea con la media dei paesi dell’Eurozona. Ora si ridurrà ulteriormente.
Dai dati empirici di cui disponiamo è possibile stabilire una correlazione fra politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro e diminuzione del tasso di disoccupazione?
Con Guido Tortorella Esposito ho appena terminato uno studio, pubblicato da economiaepolitica.it, il quale mostra che se vi è una correlazione è semmai esattamente opposta a quella che viene ipotizzata dalla letteratura economica conservatrice. Intendo dire che l’analisi mette in evidenza come all’aumentare della flessibilità del lavoro la disoccupazione tenda a crescere. Però la correlazione che viene fuori è troppo bassa per avere certezza che le cose stiano effettivamente in questi termini. Quello che possiamo dire con certezza, sulla base dei dati ufficiali e alla luce delle metodologie più consolidate, è che la flessibilità non fa espandere l’occupazione. Questo è sicuramente vero per l’insieme dei paesi dell’Eurozona, dal 1990 al 2013.
- See more at: http://www.economiaepolitica.it/tag/ocse/#sthash.ySZVGyfj.dpuf
Anche qui, l'Italia non solo vede affossati il reddito e il potere d'acquisto dei lavoratori, ma "brilla" sugli altri paesi europei comparabili.
Il futuro che ci attende è, - NOTARE, a legislazione e dinamiche del lavoro attuali- ben illustrato nel grafico più sotto: il lavoro a tempo indeterminato va "a esaurimento" e i giovani globalmente precatizzati. Già oggi abbiamo una protezione normativa del lavoro che si conferma più o meno al livello tedesco: ma possiamo vantare un maggior tasso di disoccupazione giovanile. 
Dunque il futuro, rebus sic stantibus e senza ulteriori "flessibilizzazioni", è che per essere competitivi coi tedeschi dobbiamo ulteriormente ridurre la protezione dell'occupazione, ed aumentare la precarizzazione - per diminuire ulteriormente il costo del lavoro- ben al di là del livello tedesco. Cosa che ci fa capire ulteriormente IN CHE MODO LA RIFORMA HARTZ SAREBBE APPLICATA IN ITALIA...


Il che, infatti, ci riporta all'OCSE ed alle sue strane deduzioni:







Kappa @KappaRar  ·  3 set
All'OCSE più di qualcuno deve essere schizofrenico. pic.twitter.com/n5vimgWA62
Collegamento permanente dell'immagine integrata

Tanto che, visto che poi parleremo di Marchionne, a questo punto ci sta bene questa "autorevole" conferma, tanto per ricordargli ciò di cui "egli" pare essere totalmente immemore:


Collegamento permanente dell'immagine integrata



Quanto ai dati potrei fermarmi qui.
Ci bastano e avanzano per capire questa dichiarazione di Marchionne e, cioè, come l'accusa di ideologia, - nell'affrontare, a propria volta, molto ideologicamente (in termini vetero-liberisti) il problema del mercato del lavoro-  sia smentita da qualsiasi serena considerazione dei dati economici.
Certo il "tipo" si affida esclusivamente al "Global Competitiveness Report, appena pubblicato dal World Economic Forum" e ne ricava una ostilità statalista italiana verso le imprese. Non molto originale e obiettivo, se guardiamo ai dati. Sarà...Bontà sua...
Ma poi ci si chiede che diavolo le facciano a fare le loro ricerche economiche, e raccolte statitiche, l'OCSE (!), l'Istat o l'Ameco-Eurostat.
Ma il "nostro" a Cernobbio è stato tanto applaudito...

Pubblicato da Quarantotto alle 18:41
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11 commenti:

  1. Lorenzo Carnimeo9 settembre 2014 alle ore 23:29

    "ostilità statalista italiana verso le imprese"???

    Strano che Marchionne ne deduca questo...... considerato che la FIAT, almeno fino all'avvento dell'€uro, ha sempre beneficiato, dall'odiato stato italiano, di politiche di favore.....

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    Risposte
    1. Quarantotto10 settembre 2014 alle ore 00:08

      Eh sì povera Fiat sovraccaricata di responsabilità da uno Stato solo predone.
      "E’ una visione dell’economia statica, che non tutela davvero l’occupazione né i salari. Rende solo le imprese più deboli, perché blocca i processi di cambiamento e di rinascita che si generano naturalmente dal funzionamento dei mercati liberi. Non ci sono omologhi in Europa (...?)
      Questa impostazione culturale ha prodotto l’ostilità che continua a esistere oggi in Italia verso le imprese. Ed è la madre di un percorso storico conflittuale che ha dilaniato il nostro paese per lungo tempo. E che, purtroppo, in parte della società sopravvive ancora e vede contrapposti “capitale e lavoro”, “padroni e operai”, “sfruttati e sfruttatori”.
      Una tassa come l’Irap, che tutti a parole considerano iniqua, ma continua ad esistere, è figlia di questa cultura anti industriale. Non si spiega altrimenti perché, in momenti di disoccupazione drammatica, s’imponga sulle aziende una tassa che cresce in proporzione al numero di persone impiegate."

      Con la memoria cortissima sull'azienda che dirige, e con un inquietante vuoto di comprensione, si impernia proprio sulla più tipica tassa legata al rispetto dei vincoli di Maastricht (considerati in sè come parametro fiscale e più che mai legata alle esigenze di mantenere un indebitamernto pubblico gonfiato da quello privato per via partite correnti).

      Senza contare che il resto delle classi socio-economiche ha avuto, per conto proprio, la sua corrispondente parte di imposte assurde (lovuolel'europa). E magari qualche problemino di domanda si è prodotto.
      Ma, si sa la domanda non conta. Mai

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        Rispondi
    2. Luca Tonelli10 settembre 2014 alle ore 05:39

      va là che marchionne comprende benissimo. e agisce di conseguenza.

      non è un Della Valle....a lui va benissimo che la Fiat vada male in Italia. così la può spostare in america ancora più in fretta.

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        Rispondi
    3. Lorenzo Carnimeo10 settembre 2014 alle ore 13:18

      Ma certo che comprende benissimo.
      E, come ha detto Luciano, la domanda non conta, giusto?

      http://www.affaritaliani.it/economia/confcommercio-reddito-crisi10092014.html

      P.S. n. 1: ma in 30 anni non avevamo fatto politiche su politiche proprio per difendere il potere d'acquisto dei redditi? Non era questo che ci dicevano?

      P.S. n. 2: se i redditi sono scesi al livello di 30 anno fa ed il piddino medio è ancora convinto che questa gestione della crisi lo difenda, c'è da interrogarsi davvero sul potere decerebrante dei media. Potere pericoloso che va valutato attentamente. Se la deriva della libera informazione è questa, ahimè, forse è il caso di interrogarsi su possibili limiti da introdurre (divieto da parte di gruppi economici di possedere le azioni dei giornali?).

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    4. Rispondi
  2. Zaratino10 settembre 2014 alle ore 00:10

    La verità è che in pochi leggono questi e simili post. La maggioranza schiacciante vive ignorando i dati e le
    cause del disastro e viene manipolata con facilità. La democrazia così com'è non è in grado di essere funzionale ad un cambiamento positivo. Le "riforme strutturali" vengono subite ed accettate senza opposizione. Un percorso che non può finire che con tanta violenza. Per assurdo, quasi confido in un dittatore illuminato.

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    Risposte
    1. Quarantotto10 settembre 2014 alle ore 08:30

      Dubito che questo sia uno sviluppo naturale della situazione (se non a livello di individui isolati): per lo meno nel quadro attuale delle risorse culturali con cui sono stati cresciuti quelli che oggi vengono definiti giovani (ieri in TV una ragazza di 40 anni...si è definita tale, chiedendo al nostro Pres.Cons come faceva a uscire da precarietà e stipendio da fame: risposta "col merito"...ma misurato da chi e come? Dal sistema legale -ordoliberista, quindi- di valutazione del lavoro).

      Quanto alla dittatura, la tecnocrazia €uroteorizzata è un'oligarchia autoritaria dal volto soft, adatta ai tempi, alla mistica dei diritti cosmetici, alla "razionalità" della governance solo finanziario-economica, padrona delle istituzioni e insofferente allo scrutinio non solo culturale (che verrà sterminato) ma elettorale del popolo degli zotici indolenti.
      Questo sarà e, certo, si presenterà come "illuminata": di sè lo pensa da sempre...

      Una forma aperta di ribellione di massa, - che non sia livore contro casta-corruzione-spesapubblicaimproduttiva&co.- ma diretta al sistema istituzionalizzato neo-liberista globale, potrà più probabilmente verificarsi quando sarà chiaro che di questo si tratta; e non dei vizi fisiologici della ormai ex-democrazia sovrana (oggi=Stato fonte di ogni male).
      Significa che questa contro-onda socio-politica verrà semmai dalla generazione che oggi ha meno di 5 anni...e da chi deve ancora nascere.

      Le tossine della grancassa mediatica del "livore" (in definitiva anti-Stato costituzionale) saranno lunghe da smaltire...
      Probabilmente non avranno memoria culturale del passato modello costituzionale (dato che accademicamente, mediaticamente e a livello di pubblica istruzione sarà completata la damantio memoriae attuale); ma la realtà sarà talmente evidente davanti ai loro occhi che, di forza e di necessità, reinventeranno la correzione degli schiaccianti rapporti di forza sociali reinstaurati dai "nipotini di von Hayek"

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    2. Rispondi
  3. Zaratino10 settembre 2014 alle ore 09:11

    Quando dicevo di confidare in un "dittatore illuminato" mi riferivo al fatto che una ribellione di massa al sistema istituzionale neo-liberista non è attuabile a breve ma neanche nel medio periodo. Pero, pensandoci bene, un punto di discontinuità si presenterà comunque. Quando, nessuno lo sa. Può essere anche un evento di carestia naturale. Nella natura esiste il principio di azione reazione che secondo me vale anche per le dinamiche sociali ma non è così immediato. Purtroppo, questo significa che a breve bisogna cercare la soluzione individuale. Scappare, ma dove e come?
    Personalmente odio "la soluzione individuale" perché può significare il tradimento ed e quasi sempre funzionale al perpetuarsi delle cause di questa violenza economica.

    RispondiElimina
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      Rispondi
  4. Dino97710 settembre 2014 alle ore 13:56

    Forse, la migliore definizione di Marpionne, l' hanno data quelli di Spinoza.it.
    Figlio Detroit!
    Ultimamente commento poco ma vi seguo sempre.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. caposaldo10 settembre 2014 alle ore 20:39

      A me pare che Il figlio detroit ha anche l'aria del fattore furbo che alla fine si fa padrone, ed il giovane Elkan di quello che si ritrova spennato.

      Elimina
      Risposte
        Rispondi
    2. Quarantotto10 settembre 2014 alle ore 20:45

      MI è sovvenuto lo stesso pensiero oggi vendendolo in TV (accostato all'esangue, signorile e perbenista Montezuma, dava proprio l'impressione del massaro che ha rilevato il fondo e sta sfrattando il vecchio possessore non senza condiscendenza e disprezzo malcelato)

      Elimina
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        Rispondi
    3. Rispondi
  5. poggiopoggiolini10 settembre 2014 alle ore 17:17

    I’AM A HUMANIST AGAINST THE POST-DEMOCRACY … REAL PROBLEM WITH THE EURO IS THE HUMAN BEING

    Tutti si ha un sottosuolo nel quale ricoverare la parte malata della propria anima – il tema di Dostoevskij nelle MEMORIE DEL SOTTOSUOLO.
    Casi di psichiatria criminale quelli che vomitano intorno le proprie deiezioni non-umane.

    Un conto è l’attenta consapevolezza dei “lati oscuri” (i mostri e draghi di Nietzsche), ben altra cosa è la diffusione orgogliosa delle proprie deiezioni non-umane nelle strade del mondo e date in pasto a gente fragile, inesperta, in “tutt’altre faccende affaccendata” lavandosele da dosso.

    Poco e nulla di nuovo nelle dichiarazioni di un Herr Schaeuble - probabilmente ispirato dalla fatina Christine Madeleine Odette Lagarde in un periodo di riflessioni mistiche con il suo capo economista, O Blanchard, sui massimi sistemi economici - durante la presentazione del libro IMF “Jobs and Growth: Supporting the European Recovery”.

    Pungenti le riflessioni e i rimandi di B Waterfield dalle colonne del Telegraph a delineare la statura dei modelli civici promoziona, quanto superfluo ogni altro commento se non - ancora una volta – il turbinio gonadico ascoltando dalle di essi bocche “there’s a necessity to protect workers, not just jobs”.

    Come d’autunno sugli alberi le foglie, cascano anche gli assiomi EUROPA = EURO e lasciano nudi i legni storti di VISIONI UMANISTICHE POST-DEMOCRATICHE, di un privilegiato rapporto funzionale tra ECONOMIA e POLITICA e del ruolo civico di DELEGATI E ed AMMINISTRATORI PUBBLICI scelti con VOTO PONDERALE DI ASSEMBLEE IN SOCIETA’ PER AZIONI dove i “piccoli” azionisti - quelli degli 80 n/euri – siedono ebeti e inermi quando altri cominciano a parlare di PATTI PARASOCIALI che devono garantire gli assetti proprietari dei “grandi” azionisti, quelli che comprano, vendono svendono “allo scoperto”.

    Ma è impressionante ascoltare nelle aule consigliari delle amministrazioni locali - in tempi di approvazioni di bilanci preventivi dell'annualità in corso – le stesse motivazioni, vedere gli stessi eccidi tra le narrazioni dell'invecchiato CE LO CHIEDE L’EUROPA, del populistico CE LO CHIEDONO I NOSTRI FIGLI e l’arrogante presuntuoso NO AGLI INSEGNAMENTI DEI VECCHI.

    E’ un mondo (n)vuoto che avanza abbracciato a laidi vecchi invasati.

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