martedì 30 agosto 2016

CRISI (?) UEM: IL METODO INTERGOVERNATIVO TRA LENIN, EINAUDI E I TERREMOTATI.

A fraught political climate discourages grand plans for integration

1. Il semplicistico articolo del Financial Times riportato in immagine, ha almeno il pregio di fotografare la realtà politica bloccata (in un'incombente tragedia) a cui ci ha condotto l'organizzazione internazionale denominata UE, contrabbandata come orientata a perseguire "la pace e la giustizia tra le Nazioni", secondo il mai applicato e verificato rispetto dell'art.11 Cost, sia in sede di ratifica del relativo trattato che di sindacato della Corte costituzionale. 
Traduco l'estratto dal FT sopra riportato, con opportuni commenti esplicativi (linkati):
"Nel lungo termine, la supremazia dei governi nel sistema UE minaccia ulteriori seri problemi. 
Risulta in rigidi limiti "de facto" a ulteriori passi (ndr.; come se gli automatismi fiscali e i divieti di solidarietà interstatale, - tipici dell'ordoliberismo alla base delle fondamentali norme dei trattati: cioè la FORMIERTE GESELLSCHAFT di Erhard, tanto ammirata da Einaudi-, non fossero una ben evidente previsione "di diritto" verso una più stretta integrazione economica, finanziaria e politica che devono intraprendere i 19 dell'eurozona, prima o poi, se la valuta unica deve sopravvivere (ndr.; sempre con la sua rozzezza, che ignora il contenuto del trattato, il FT "dimentica" che il compimento della "integrazione", in senso hayekian-monnetiano in queste materie, sarebbe invece un autentico vanto dei propugnatori dell'UE). 
Si indurisce come permafrost il disaccordo sui deficit di bilancio e altri aspetti di politica economica che separano la Germania e i suoi supporters, da una parte, da Francia, Italia e i loro sostenitori, dall'altra (ndr.; anche questa contrapposizione è frutto di una grossolana semplificazione, smentita dalle politiche francesi, del tutto scoordinate da quelle degli altri paesi "mediterranei"). 
Infine, rende politicamente irrealistica la revisione dei trattati UE (ndr.; vero, ma per ragioni molto diverse da quelle adombrate dal FT)." 

2. Ma perché il Financial Times ce l'ha tanto col "metodo intergovernativo" che è la fisiologia delle organizzazioni internazionali e che, volutamente, non è superabile in un'organizzazione internazionale dichiaratamente "neo-liberista" e liberoscambista allo stato più puro?
Chissà se il FT pubblicherebbe e, prima ancora, avrebbe le "risorse culturali" per comprendere un'argomentazione profetica e difficilmente obiettabile come quella avanzata da Bazaar nel riproporci il pensiero di Lenin (oddio! "Comunisscta!", contro la "libbbertà!" e la "proprietà!"):
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento [l'aumento di produttività a favore dei profitti!, ndr], affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della produzione [ovvero privatizzazioni e anarco-liberismo, ndr]. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base [parla di quota solari? quella compressa da sme ed euro?, ndr] è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico.
3. Come tutto questo si rifletta nel programmatico totalitarismo neo-liberista, del tutto estraneo alla rozza vulgata dell'assimilazione a un'improponibile EURSS, lo abbiamo visto qui, pp.7-10  (e non fa mai male ripeterlo). 
Come ci conferma l'Einaudi delle "Prediche inutili" a commento favorevole del disegno di Erhard, (p.9):
“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozione che né uno stato né un popolo possono vivere al disopra delle «proprie condizioni ».
O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208): quanto mai pericolosa... Lo sviluppo tendenzialmente inflazionistico in alcuni paesi (con rigidi corsi dei cambi!) è da riferire, non da ultimo, anche alla concessione di prestazioni sociali superiori alle possibilità di rendimento dell’economia nazionale.

3. Dunque, il discrimine che rende improponibile qualsiasi accostamento dell'UE all'URSS, è la sua matrice neo-ordo-liberista che determina, come obiettivo inderogabile, la "pianificazione" di uno smantellamento dell'intervento statale, (costituzionalmente orientato), "inammissibilmente" volto a garantire l'equilibrio socio-economico, cioè temperando l'accentramento del potere istituzionale nelle oligarchie. 
Da qui, nella verità storica, l'interventismo normativo minuzioso e accanito, con cui si è imbrigliata non certo l'economia oligopolistica finanziaria dominante, - le cui lobbies governano a Bruxelles, incontrollate e incontrollabili, il processo normativo UE-, ma l'azione degli Stati nel perseguire l'interesse sovrano delle rispettive comunità nazionali: in nome del mercato comune "liberista" e della "integrazione autentica" (che il FT non comprende o fa finta di non comprendere).
4. Questo imbrigliamento tecnocratico e copiosamente normativo, funzionale alla disattivazione degli Stati, affinché nessuno si permetta, neo-liberisticamente, di "vivere al di sopra delle proprie condizioni", trova conferma nell'analisi, - compiuta da una fonte USA rimasta "umana"-, delle "chances" che NON ha mai avuto l'Italia di svolgere politiche di prevenzione e messa in sicurezza del proprio territorio, - e dei suoi valori artistici, antropologici e culturali (una risorsa molto più "produttiva" di quanto non possa comprendere un tecnocrate del Nord €uropa, e non solo dal punto di vista turistico). 
Sentite questo schematico, ma crudamente realistico, quadro ricostruttivo svolto dall'ultimo bollettino dell'EIR- Executive Intelligence Review, n.35 del 1° settembre 2016 (fonte già qui citata in precedenza). Lo facciamo precedere dall'andamento degli investimenti pubblici in Italia, tratto da fonte governativa su dati Bankitalia: si vedono dei picchi per le "ricostruzioni" post terremoto de L'Aquila, - e, di già, ben minori dopo quello di Reggio-Emilia del 2012: ma era già arrivato Monti e vuol dire che, complessivamente, se ne tagliarono massicciamente altri. Ma tali episodici picchi risultano simmetrici a quelli negativi, da €uro-austerità, che precedono le immancabili "sciagure": 
http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/05/6.51.png 
Il sisma che ha colpito le province di Rieti e Ascoli Piceno, causando 291 vittime e 2500 sfollati, è un dramma e una denuncia delle politiche di bilancio dell'UE.
Se negli anni fossero stati fatti i necessari investimenti, oggi non ci sarebbero vittime da piangere. Ad Amatrice non tutti gli edifici sono crollati; quelli costruiti con criteri antisismici o messi in sicurezza sono rimasti in piedi. A Norcia, più o meno equidistante dall'epicentro, non è crollato alcun edificio e non ci sono state vittime, perché dopo il sisma del 1997 sono stati fatti gli investimenti necessari.
Un piano antisismico nazionale è all'ordine del giorno da decenni, ma un governo dopo l'altro non hanno fatto che promesse. Se vogliamo un colpevole, va ricercato nella politica di bilancio imposta all'Italia in maniera esasperata dopo il 1992, ma già adottata precedentemente in maniera progressiva
E' stato calcolato che negli ultimi quarant'anni sono stati spesi 150 miliardi per la ricostruzione e solo un miliardo in prevenzione
Secondo Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, ne basterebbero meno, cento miliardi, per mettere in sicurezza gli edifici nelle zone a rischio.
I tagli al bilancio hanno anche portato ad un'incredibile riduzione delle facoltà universitarie di geologia, indispensabili per una mappa del territorio. Da ventinove nel 2010, sono ridotte a otto oggi, a causa di una legge che impone di sciogliere tutte quelle con meno di quaranta docenti.
La ricerca sui precursori invece non ha subìto tagli, perché non è stata mai finanziata. Questo campo di ricerca è molto promettente. Anche se oggi non siamo ancora in grado di prevedere i terremoti, gli scienziati sono fiduciosi che un sistema multiparametrico potrà, nel futuro, permettere di prevederne con esattezza almeno alcuni tipi.
Ad esempio, già è possibile stabilire una correlazione tra l'emissione di gas Radon e gli eventi sismici. Giampaolo Giuliani ha rilevato un'emissione anomala di Radon circa venti giorni prima del terremoto, così come aveva fatto in precedenza del terremoto dell'Aquila. Allora egli fece l'errore di sbilanciarsi in una previsione, sbagliando l'epicentro. Se le autorità lo avessero ascoltato, avrebbero evacuato gli abitanti di Sulmona, trasferendoli forse proprio a l'Aquila. 
Stavolta, Giuliani ha pubblicato i dati sulla pagina FB ma si è guardato bene dal fare una previsione. Tuttavia, le emissioni di Radon sono un parametro chiave, e la ricerca va incoraggiata nel quadro di un sistema che includa molti altri parametri, compresi quelli rilevabili dallo spazio.
Lo scienziato russo Sergej Pulinets ha pubblicato sul suo sito FB alcuni nuovi parametri, chiamati "correzione del potenziale chimico", misurati dallo spazio, relativi al terremoto di Amatrice. Essi mostrano un picco undici giorni prima del sisma.www.facebook.com/Planet-from-Space-1191425220883300/"
Pulinets si ripromette di avere un quadro più completo da presentare all'assemblea della Commissione Sismologica Europea che si terrà il 4 settembre a Trieste.
Il prof. Pier Francesco Biagi dell'Università di Bari, un pioniere della ricerca italiana sui precursori, ha dovuto chiudere i tre rilevatori che aveva sul territorio nazionale per mancanza di fondi. Un quarto, chiuso in precedenza e mandato in Romania per lo stesso motivo, era situato ad Antrodoco, a trenta chilometri dall'epicentro del sisma.
Biagi chiede da tempo un centro di ricerca nazionale, ma i suoi appelli sono rimasti inascoltati. All'indomani del sisma dell'Aquila, il 20 agosto 2009, egli pubblicò una nota in cui svolgeva due considerazioni: sono in errore - egli scrisse - sia quei singoli ricercatori che propongono, a qualunque livello, previsioni sismiche, aveva aggiunto che sono altresì in errore quei ricercatori che sostengono che la previsione dei terremoti è impossibile.
"I risultati ottenuti negli ultimi vent'anni hanno rivelato che la previsione di un terremoto non è possibile in assoluto. Quando le ricerche in questo campo avranno definito meglio le tecniche e il grado di attendibilità una qualche previsione potrà essere fatta con successo anche se non ovunque e non sempre. In ogni caso dovrà essere definita un'Istituzione statale a questo preposta".
La parola chiave è ancora "nazionale". Per questo, l'Italia non deve chiedere a nessuno la "flessibilità" di varare un programma per la salvezza delle vite dei suoi cittadini, ma se la deve prendere in piena sovranità".

5. Così è andata: da Maastricht in poi, tra criteri di convergenza e privatizzazioni per ottenere gli avanzi primari di bilancio, non c'è stato scampo per le popolazioni minacciate: la prevenzione operativa, pianificata mediante impulso alla ricerca pubblica e realizzata con precisi interventi di spesa pubblica sul territorio, era divenuta "vivere al di sopra delle proprie possibilità".
La "parodia dell'incubo del contabile", cioè l'integrazione "liberista", senza alternative, (politica, finanziaria, fiscale e, soprattutto, monetaria...alla faccia del FT),  aveva preso il sopravvento.

8 commenti:

  1. L'improponibile assimilazione dell'EU all'URSS presuppone l'equivalenza "interventismo = komunismo" (o almeno ≠ liberal-liberismo).

    A confutare questa sciocchezza, non bastassero tutte le fonti già citate (da Ruini a Mirowski), aggiungiamo, per l'aspetto storico, il buon vecchio Giannini (Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 26-31) e la sua analisi dello Stato liberale:

    "La formula «non intervento» del pubblico potere è affermata, ma non svolta: dovrebbe essere principio vincolante per il legislatore; ma in realtà non lo è, perché la normativa designata a regolare i rapporti tra privati si arricchisce continuamente dinorme imperative, come tali restrittive dell’autonomia privata (si consideri la sempre maggior disciplina normativa dei titoli di credito e dei contratti commerciali); si potrebbe intendere nel senso più ristretto, di vincolo per il legislatore a non adottare norme, sia pubblicistiche sia soprattutto di diritto privato, incidenti sui diritti di proprietà e d’impresa.”

    “Se però dalle teorie passiamo ai fatti, ciò che avviene nello Stato borghese si presenta come molto sconcertante, poiché la disciplina pubblica dell’economia anziché diminuire aumenta di dimensioni e si perfeziona negli strumenti tecnici e operativi.

    In altre parole, finché Leroy Beaulieu riusciva, come economista, a farsi capire quando propo­neva la nota metafora «lasciar fare, lasciar andare», il giurista non ci riusciva quando parlava di principio di astensione.


    (Questa l’ho trovata molto carina).

    “Dunque, procedendo nella ricognizione, risulta che lo Stato borghese liberale passa intere province — se ci è lecita la metafora - dalla sfera privata a quella pubblica, e ciò non con atti episodici o temporanei, bensì seguendo idee organiche e adottando decisioni destinate a permanere, cioè, in termini oggi più usati, introducendo modificazioni di struttura.
    Vi è però ancora di più: che quando si profilano difficoltà per l’economia, derivanti da congiunture internazionali, da eventi della natura, da turbative politiche interne, i pubblici poteri non hanno esitazione a porre in essere degli «interventi» di sostegno dei ceti di operatori economici in difficoltà.

    “La vicenda ha formato oggetto di studio soprattutto da parte di sociologi e di economisti, e di note teorie; però ha anche un notevole rilievo giuridico, in quanto la decisione di intervento e l’intervento hanno un loro costo, che grava non sugli ausiliati dall’intervento, ma sull’intera collettività. E quindi vero che la classe di potere trasferisce sulla collettività il costo dei propri conflitti interni.


    La differenza stava, e sta, nella finalità dell'intervento, come diceva a suo tempo Mortati (e ripete praticamente negli stessi termini oggi il sunnominato Mirowski).

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    1. Come avrai potuto constatare, si tratta degli autori di quei fondamentali manuali su cui si sono formati i giuristi entro una certa generazione (credo che la mia sia l'ultima o la penultima, a voler essere benevoli).

      Non senza problemi, già al tempo o, quatomeno, ai miei tempi: queste "parti" di storia e di teoria generale della forma di Stato non erano considerate essenziali nella preparazione degli esami, perché difficilmente si facevano domande al riguardo.

      Rimane il fatto che conoscenze di questo tipo erano considerate normali nella preparazione "media" di un giurista.
      Oggi, nelle università di cognizioni del genere non v'è praticamente più traccia e uno studente di livello master risulta totalmente sorpreso ad udire simili concetti.

      Si tratti di uno studente di economia o, peggio, di giurisprudenza, per loro esiste solo il mondo in cui la politica è supply side, perché "efficiente" e avversa alla burocrazia...e alla corruzione (come problemi italiani che limiterebbero la crescita).

      L'aspetto più inquietante non sono loro (o almeno "non soltanto"): sono quelli che hanno studiato sul Mortati, sul Giannini o sul Rescigno e che, per ragioni che sarebbero in apparenza misteriose, hanno rimosso quel che avevano così studiato e, insegnando, trasmettono la vulgata neo-liberista €uropea senza lasciare alcuna scelta agli studenti.
      Anzi, vincolando gli studenti al pensiero unico mainstr€am e raccontando, - in modo improbabile in quanto svincolato da qualsiasi serio dato economico-, degli "eccessi" keynesiani e dell'inflazione come madre di tutti i mali (assistenzialismo e corruzione).

      Trovare dei "giovani" come te o Bazaar, e altri ancora, è stata una delle più piacevoli e gratificanti sorprese dell'aver aperto questo blog.
      Siete sempre pochi, troppo pochi: ma c'è ancora vita...su Marte

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  2. "Sulle strade la gente formicola in cerca di pane e lavoro, e in seno ad essa serpeggia il furore, e fermenta".
    (J. Steinbeck, Furore, XXI)

    Non così nella realtà. Non sanno che Essi hanno loro distrutto la casa e ucciso i parenti, ad Amatrice. Non possono saperlo.

    E del giudizio della storia sugli assassini non me ne faccio nulla.

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  3. Ho trovato interessante nel libro di Hayek "La società libera"
    il capitolo 12 "il contributo americano: il Costituzionalismo" pag 327 e seguenti.
    "le rivendicazioni dei coloni furono interamente basati
    sui diritti e privilegi i quali, come sudditi britannici, ritenevano di avere diritto.
    Solo quando scoprirono che la Costituzione britannica , ai cui principi avevano
    fortemente creduto, aveva poca sostanza e che non si poteva ricorrere
    ad essa con successo contro le pretese del Parlamento,
    conclusero che bisognasse trovare le basi mancanti. Era per la dottrina fondamentale la necessità di una "Costituzione Permanente" sotto qualsiasi governo libero ed equiparavano la costituzione al governo limitato."
    ... ma essi non avrebbero certo definito "costituzione" un documento secondo cui
    qualunque cosa detta da questo e da quell'altro organo o individuo
    si sarebbe potuta definire legge"
    Mi sembra che in questo modo Hayek intenda che la
    democrazia parlamentare con la maggioranza che decide
    sia identificata alla stregua di un "abuso di potere"
    saluti r.

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    1. Sì, è un'applicazione-corollario di quanto sostenuto, in "Legge e Legislazione", circa la superiore "naturalità" della Legge, intesa come insieme di pure regole di condotta determinate dalla immanenza antropologica dell'ordine dei mercati

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  4. Non ce la possono fare...

    Chi parla inglese è strutturalmente inadatto a qualsiasi tipo di responsabilità politica mondiale: secoli di falsa coscienza sono un tappo nelle meningi.

    Ci ha messo tutta la vita un gigante come Keynes a liberarsi da tutte le sovrastrutture ideologiche per arrivare a perfezionare le medesime istanze di chi tanto aveva in antipatia...

    Senza distribuzione del reddito non c'è pace, senza le strutture dello Stato-nazione non si può regolare il mercato, il laissez-faire porta ad aberranti disuguaglianze sociali.

    Che porta all'instabilità sociale e, in ultimo, alla guerra civile.

    Come scriveva Orwell commentando Hayek, la "libera competizione" - come tutte le competizioni - qualcuno prima o poi la vince. E chi la vince rende schiavo chi la perde.

    Quindi, come insegnava Hegel, nella dialettica servo-padrone, il padrone diventa schiavo dello schiavo.

    Il liberalismo è quindi esso stesso la via verso la schiavitù.

    Quindi la tecnocrazia della Formierte Gesellschaft è la pubblica virtù dell'essenza pornocratica dell'ordine neoliberale.

    È naturale, quindi, che gli ignoranti senza cultura e radici della élite cosmopolita diano degli "ignoranti" a coloro che sanno di non sapere.

    D'altronde, come qualsiasi oncologo sa, le cellule tumorali si credono la sanior pars.

    Non esiste nessuna rivolta delle élite: esiste solo una malattia. E va curata.

    Questa è una malattia della coscienza che, da due secoli, viene chiama liberalismo.

    Una persona socialmente esclusa e che non ha emancipazione economica non può essere libera.

    È schiava della volontà moralistico-religiosa del padrone che, se gli va, sussidia la sua miserevole esistenza.

    (Perché, si sa, è con la generosità che si acquisisce denaro e potere)

    Quindi un ordine non può essere fondato sulla libertà: ma sullo sforzo collettivo di una comunità omogenea nei costumi e nella lingua che esercita la propria sovranità in un concreto territorio nella volontà di risolvere gli interessi confliggenti all'interno delle Istituzioni.

    Il Popolo è più della somma di "libere" individualità del cittadino "liberale", ma ne comprende anche quei rapporti personali che si estrinsecano strutturalmente tramite il Lavoro.

    (Notare che il "rapporto" stesso è una forma di limitazione della libertà, e in un contesto fenomenologico la realtà stessa viene definita come limitazione e resistenza all'azione umana: un liberale che non accetta i rapporti sociali e la stessa "realtà", come può essere definito se non un sociopatico?)

    Il popolo nella sua totalità è esponenziale dell'ente statale, di cui non vuole "liberarsi", ma in cui vuole attivamente partecipare facendo in modo che tutti i cittadini siano inclusi nella vita economica, politica e sociale del Paese.

    Le quattro libertà rooseveltiane sono fumo negli occhi se non si elevano istituzioni adatte a renderle strutturalmente realizzabili.

    L'individualismo liberale angloamericano non permette coscienza in primis nelle élite: per questo è tanto importante il contributo statualista di Russia e Cina.

    Terra e mare, Apollo e Dioniso... speriamo che per il 2025 convolino gaiamente nozze.

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    1. A rigore, un "ordine sociale" può ben essere fondato sulla libertà: ma non su quella - tu mi insegni- dell'individualismo metodologico (preoccupato solo del ridicolo potere conquistato dentro l'ordine sociale).

      L'importante sarebbe, in un'astratta visione dell'Umanità (non propria della nostra era), che l'ordine sociale fosse considerato per quello che è: l'occasione per porre fine all'episodico, ma ricorrente, conflitto riproduttivo, in modo che esso non esaurisca, assorbendo ogni energia dell'essere umano, quella esperienza magnifica e misteriosa che consiste nell'ESSERE VIVI.

      La libertà, per definizione, non è NELL'ordine sociale, ma DALL'ordine sociale: consapevolezza, pura e profonda, del proprio inevitabile incontro con l'Infinito.
      Non abbiamo bisogno di nostri simili che si atteggino grottescamente a mostri, così avidi e transeunti, di fronte alla sfida che l'Universo lancia all'essere umano nel momento in cui nasce.

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    2. Hai fatto bene a specificarlo: a scrivere mentre lavoro perdo i pezzi.

      Una delle proposizioni conclusive che mi è rimasta nella tastiera - sulla via della definizione che dai, credo: "La libertà...non è NELL'ordine sociale, ma DALL'ordine sociale" - era "la libertà non è un mezzo, ma un fine".

      (Per un Hayek o un'Einaudi è uno "strumento" perché è implicito che per libertà - come ha constatato anche Robin senza pare capirlo fino in fondo - i liberali classici intendono "libertà del mercato": l'idea crociana di libertà, in quanto "idea", è uno stato materiale e spirituale a cui si può in qualche modo solo "tendere"... ignorando l'aspetto "empirico" per cui la libertà materiale e spirituale è un oggetto "conteso"... che assomiglia tanto al Potere visto dal basso... per questo demarchia igienico-sanitaria anziché democrazia "sociale"... e per questo trovavo tautologico e poco "positivo" fondare un ordine sociale su un concetto che è il prodotto stesso del "conflitto riproduttivo"... :-))

      (Infatti una società classista non può non essere fondata sull'individualismo metodologico: anche perché, se non sbaglio, è la limitazione della libertà stessa assoggettandosi alla legge a permettere di vedersene restituita una di ordine maggiore dalla collettività stessa... sempre che esista un ente che rappresenti tutta la società e che sia abbastanza potente da farla rispettare egualmente a tutti "gli individualisti metodologici"...)

      Vabbè, non è proprio il rigore di Giannini... :-)

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