domenica 10 settembre 2017

LA PIOGGIA. IL TERRITORIO DENTRO L€UROPA. LA RAPPRESENTANZA DI INTERESSI


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1. Piove, ovunque in Italia ed è subito disastro. Piove ovviamente anche sui vari centri terremotati, fermi da un anno tra le macerie: com'era inevitabile, giacché normativamente previsto (essendoci sollecitamente Leuropeizzati).
Ma lo "stato di ordinaria eccezione" dell'intero territorio italiano non soprende ormai più nessuno e non ha bisogno neppure di essere descritto nei suoi picchi più acuti e prevedibili.
Ognuno, basta che in queste ore metta il naso fuori dalla sua abitazione (sempre che sia rimasta intatta dagli allagamenti), può constatarlo da sé.
Questo è quanto sta accadendo da stanotte a Roma (prime avvisaglie di un bilancio necessariamente provvisorio):
Bomba d'acqua a Roma: vento forte, strade allagate e rami caduti. Chiuse stazioni Metro A e B - See more at:

Bomba d'acqua a Roma: vento forte, strade allagate e rami caduti. Chiuse stazioni Metro A e B Il forte acquazzone che si sta abbattendo su Roma ha costretto alla chiusura le stazioni della Metro A Lepanto, Ottaviano, Repubblica, Lucio Sestio, Numidio Quadrato per danni da maltempo. Inoltre il servizio non è attivo da Flaminio a Battistini. Sulla linea B sono chiuse le stazioni Palasport - Fermi - Laurentina; attivo invece tra Rebibbia e Magliana. Raggi convoca Centro operativo per monitorare situazione - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Maltempo-Roma-strade-allagate-e-rami-caduti-in-citta-c3ec7ea6-743f-4442-8b62-28a10eb39fcf.html

2. Questo è quello che era puntualmente accaduto a Roma la precedente volta che aveva piovuto (poi era iniziata "l'emergenza siccità"...perché, ci hanno spiegato in tv gli espertologi delle imprese di settore, le tariffe sono troppo basse per effettuare gli investimenti). 

Nubifragio a Roma: strade allagate, blackout e semafori in tilt 

[FOTO e VIDEO]A cura di

2.1. E questo è ciò che è accaduto nel 2016, più o meno nello stesso periodo dell'anno, alla "ripresa" delle precipitazioni tardo-estive (e non occorre parlare di cambiamento climatico, magari dando al colpa a...Trump,  per sapere che ci si verificheranno):

Il primo temporale allaga Roma: città paralizzata. Metro in tilt, emergenza alberi

Forti disagi alla circolazione per la bomba d'acqua che si è abbattuta sulla capitale poco dopo le 11. Chiusa e poi riaperta la stazione San Giovanni. Tamponamenti sulla Gianicolense. Camion sulla Pontina contro mano: nessun ferito
2.2. Ovviamente, non era che l'inizio dell'ordinaria emergenza dovuta al fatto che "piove":

Torna la pioggia e Roma va di nuovo in tilt

Bomba d'acqua sul litorale. Emergenza traffico nelle principali strade, allagamenti e disservizi VIA TIBURTINA Albero cade su pensilina Atac  VIDEO


Gli antecedenti e le scontate ulteriori riprove dello "stato delle cose" sono agevolmente ricercabili.  

3. Rimane perciò tragicamente attuale, e tristemente profetico, quanto avevamo detto nel 2013:
"Abbiamo menzionato il fattore "imprevisti e probabilità", in questo ridicolo "Monopoli" che è diventata la gestione della Repubblica italiana, PER NON PARLARE DEL GIGANTESCO, E PERFETTAMENTE PREVEDIBILE, PROBLEMA AMBIENTALE-TERRITORIALE ITALIANO, qui più volte segnalato.
Il problema è divenuto tale a seguito di 20 anni di manovre di "convergenza" e di rientro nei parametri del deficit: oggi discutono della tragedia consumatasi in Sardegna e pensano al "dissesto idrogeologico" come a un problema nazionale.
Ma finiscono per proporre come soluzione la solita maxi-patrimoniale "una tantum" ammazza-risparmio privato, pagabile solo intaccando i redditi e drenando altra liquidità che rischierebbe di non essere poi rimessa in circolo, per il problema - considerato da questo governi ben più impellente- di dover "ridurre il debito pubblico" e pagare i creditori stranieri.
E non solo: la super-patrimoniale darebbe anche la spallata definitiva al mercato immobiliare, ormai in sovraofferta e devalorizzazione accelerata, senza colpire affatto i grandi patrimoni, ormai fuggiti all'estero da un bel pezzo.
Ma un paese sovrano, con una sua moneta e CON una banca centrale che funzioni da tesoriere e non da piazzista passiva per conto degli idolatrati "mercati", non ha bisogno di far dilagare la recessione per provvedere alla incolumità ed alla ordinata convivenza dei suoi cittadini.
Non gli possono mancare le risorse per investire sul proprio territorio, - un elemento costitutivo della sua stessa sovranità!- e non può fare default.
E non può augurarsi che "non piova troppo" per sperare di non dover fronteggiare il caos antropico: che non è dovuto ai "rivolgimenti climatici", come ridicolmente cercano di farci credere, ma al sistematico abbandono delle funzioni fondamentali dello Stato, trasformatosi in percettore di contributi da condoni e urbanizzazioni selvagge per "fare cassa".
Uno Stato che non può ridursi a contare sulla "fortuna" meteorologica, per agganciare la crescita (!!!) da qui alla fine del 2014. 

4. Tutti gli elementi dello scenario delineato quattro anni fa sono ancora in azione (e lottano insieme ad ESSI...).
Anche di questo abbiamo parlato e di come la logica L€uropea conduca le infrastrutture essenziali del Paese al livello di "paese in via di sviluppo":
"Ora, sempre in questa ottica di mantenimento della moneta unica e di irreversibile cessione della sovranità, tanto più tangibile in quanto importa l'abrogazione di fatto degli artt.1, 3 e 4 della Costituzione, persino L€uropa sa che le sue politiche tendenti al pareggio di bilancio - inteso, come già nel 1920-22, come principale strumento di mantenimento della stabilità dei prezzi e del valore della moneta-, determinano un livello di disoccupazione piuttosto elevato (rispetto alla situazione registrata prima dell'introduzione della moneta unica!) e in concreto, superiore a quanto compatibile col desiderato livello di inflazione.
Perciò, viene calcolato, in qualche modo, anche l'output gap, cioè la minor crescita prodotta essenzialmente dalla elevata disoccupazione provocata per mantenere il target inflattivo mediante il perseguimento del pareggio di bilancio e, quindi, per tenere in vita la moneta unica.
...
Considerando magnanimamente tutti gli strumentari econometrici della nuova macroeconomia classica, - e persino le teorie neo-keynesiane (cioè neo-liberiste, ma tese a conservare un ruolo residuale allo Stato per politiche anticicliche in casi limite, teorie che non si preoccupano di spiegare le cause del verificarsi di tali casi limite, molto più frequente delle loro ipotesi "naturali")-, che calcolano la curva di Phillips includendovi le aspettative razionali (cioè presuppongono che se l'inflazione è stabilmente bassa, gli investitori si scatenerebbero), L€uropa concede degli scostamenti nel percorso di raggiungimento del pareggio di bilancio in funzione di tale minore crescita ipotizzata, principalmente correlata al presunto maggior livello di disoccupazione registrato rispetto a quello considerato strutturalmente non inflazionistico. 
...
Per chi volesse lumi sui ben noti presupposti super-normativi di tale impostazione de L€uropa, che ha sostituito (definitivamente, secondo i nostri politici) il modello costituzionale, e sulle differenti modalità di calcolo dell'output gap e del NAIRU, sempre all'interno di teorie economiche neo-classiche (cioè neo-liberiste), è consigliata la lettura di questo paper di asimmetrie.
...
Questa lunga premessa serve a comprendere il DEF appena sfornato dal governo italiano.
Non ci dilungheremo su suoi contenuti: basti sapere che, poiché il quadro applicativo del fiscal compact è vincolante e irrinunciabile, con i suoi indici €uropei di determinazione dell'output gap e del NAIRU (sottostimato il primo e sovrastimato il secondo), ai livelli di correzione dell'indebitamento annuale previsti dal nostro governo, gli obiettivi di crescita indicati non sono raggiungibili; o, più probabilmente, in alternativa, poiché il paese è economicamente, socialmente e politicamente, stremato, non saranno raggiungibili i livelli di deficit fiscale ridotti fino al pareggio strutturale di bilancio nel 2019".  
 
5. Dunque, anche scontando i massimi livelli di flessibilità fiscale, che in vista della prossima legge di stabilità, per mere ragioni elettorali, L€uropa potrebbe essere propensa a concederci, il collasso dell'infrastruttura pubblica, cioè delle condizioni di vivibilità minime del territorio, prosegue ed è, nei fatti più che evidenti, dato come risultato scontato. 

6. D'altra parte, il segreto per prevenire una rivolta generalizzata è quello di spostare ogni possibile responsabilità sulla gestione a valle del territorio, cioè nei comuni, la cui gestione finanziaria, nel patto di stabilità interno, è ristretta alla combinazione di aumento delle imposte locali, a qualsiasi titolo, e privatizzazione dei beni pubblici strumentali ai servizi collettivi più essenziali. Linee di politica economico-sociale il cui prezzo inevitabile è la terzomondializzazione sistematica del territorio:
"La sterilizzazione delle risorse, il loro taglio sistematico, sono un peso a cui nessun programma o promessa elettorali può reggere: il fine è la privatizzazione "globalizzata", nelle città globali; quelle dove la lotta di classe, o quantomeno la tutela dei più deboli e disagiati, sarebbe affidata alla solidarietà tra gli stessi diseredati, portati allo stremo, che si riunirebbero a livello globale per contrapporsi ai poteri economici sovranazionali. E non si sa come e perchè (la Sassen stessa si guarda bene dal fornire una spiegazione realistica alla sua ipotesi della globalizzazione "buona" e democratica), questi poteri economici globali sarebbero inclini a cedere ciò che, con tanto sforzo mediatico e tecnocratico, hanno implacabilmente conquistato".

7. Tutto questo dovrebbe essere al centro dei programmi dei partiti che rivendicano una diversa linea di governo, nell'interesse del popolo italiano, sovrano e fondato sulla dignità del lavoro, garantita dall'intervento dello Stato. E dovrebbe essere rivendicato senza equivoci e cedimenti: lo stato di eccezione determinato dalla privazione della sovranità monetaria - e fiscale e territoriale e politico-industriale- è arrivato al livello di guardia di una distruzione irreversibile; che non ammette più alcuno spazio per i logori slogan anti-Stato, anti-intervento pubblico, anti-democratici.
Questo, e solo questo, sulla base del recupero della sovranità monetaria, dovrebbe essere al centro della prossima campagna elettorale. Il resto è fuffa, mostruosa e pervasiva, seminatrice di livore e di inutili conflitti sezionali.

8. A tutti questi indeclinabili interessi fondamentali, tutelati dalla Costituzione, dovrebbe essere finalmente data "rappresentanza"; mettendo in fuori gioco, come inammissibili cosmesi inoculate dall'oligarchia "cosmopolita" (e come tale del tutto indifferente alle vicende dei subalterni con le loro "casucce" e "cosucce"), sempre più arrembante coi suoi "agenti di influenza", tutte le varie questioni come vitalizi, riforme pensionistiche malthusiane, riforme e misure sanitarie pro-mercato, immaginifiche riforme "risolutive" basate sulla spesapubblicaimproduttiva e le patrimoniali, la casta, gli sprechi e la corruzione.
Liberatevi dall'allucinazione mediatica.
Chiedete la rappresentanza politica degli interessi materiali che caratterizzano la vostra vita e quella dei vostri figli; riprendiamoci il nostro territorio per poter "vivere", con dignità e senza permettere più a nessuno di instillare i sensi di colpa.

47 commenti:

  1. Ho trascorso qualche giorno in montagna in Trentino ed in Alto Adige.
    E' stato come un viaggio nel tempo.
    Ho rivisto le strade ordinarie come ricordo furono anche nel Lazio negli anni settanta ed ottanta.
    Tutte le statali, le regionali e le provinciali (comprese quelle dei passi dolomitici, che si inerpicano fino ad oltre 2000 m, con pendenza anche del 13-15%) sono perfettamente liscie e con la segnaletica orizzontale e verticale impeccabile.
    Evidentemente i maggiori contributi ancora erogati alle regioni a statuto speciale fanno miracoli.
    Maledetti euroinomani.

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    1. Ormai fare una passeggiata in un quartiere medio residenziale della Capitale è come fare un altro viaggio nel tempo: cioè, nella Beirut degli anni '80.
      Ma i "bombardamenti" non sono giunti alla fine. Tutt'altro.

      Il fatto è che stanno riuscendo, con successo, a determinare un senso di assuefazione.
      Il massimo livello critico condiviso è la consueta alterazione "pop" dei rapporti causa/effetti (http://orizzonte48.blogspot.it/2014/01/lautoinganno-del-tecnicismo-pop.html)

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    2. Coscienza di classe e programma di transizione.

      Il problema della formazione della coscienza di classe, della coscienza rivoluzionaria, appare di nuovo come il problema centrale. Questa coscienza non è il risultato meccanico delle contraddizioni interne della società e non è neanche una semplice acquisizione intellettualistica che possa esser frutto di un’opera di propaganda e di illuminazione. La coscienza si acquista nell’esperienza, nell’azione, nella lotta: solo cimentandosi nella battaglia quotidiana per modificare la società, il proletariato si fa cosciente della reale natura delle forze in contrasto, della profondità delle contraddizioni e della via per superarle; solo cozzando ogni giorno contro gli angusti limiti di lasse dell’ordine sociale, il proletariato è spinto a cercare le soluzioni al di là di questi limiti; solo riaffermando ogni giorno l’esigenza di tradurre il carattere sociale della produzione in rapporti produttivi ispirati alle stesse esigenze sociali il proletariato mette in risalto la contraddizione fondamentale della società capitalistica; solo verificando ogni giorno la reale democraticità del sistema attraverso la rivendicazione e l’esercizio dei suoi diritti il proletariato scopre la fallacia della democrazia borghese e si apre all’esigenza di una democrazia sostanziale cioè socialista. È su questo terreno che “l’alternativa democratica” diventa “alternativa socialista”.

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  2. Ciao Quarantotto, leggendo in modo superficiale la storia della mia città natia, sono incorso su Wikipedia in questo passo che riporto integralmente

    "Vicenza non sarebbe più stata una città autonoma. Adesso era soggiogata da Padova che, a parte la parentesi ezzeliniana, l'avrebbe asservita ai propri interessi e dominata di fatto fino al 1311, sostituita poi, nel corso dei secoli, da Verona, Milano e poi Venezia.
    La soggezione politica non permetteva lo sviluppo di una forte economia, con la possibilità di battere moneta propria – espressione della ricchezza e della potenza di una città - e il sorgere di una robusta classe di imprenditori commerciali. Non disponendo di capitali, la città e i proprietari fondiari non investivano in opere di bonificaimportanti e grandi spazi restavano incolti. Di un'economia così depressa soffriva tutta la società, sia quella dei magnates, che comunque dovevano sopportare ingenti spese per mantenere il ruolo, che quella dei piccoli proprietari e della povera gente, che stentava ad affrontare la quotidianità.
    Gli unici a prosperare in questa situazione erano gli usurai, che prestavano a grandi e a piccoli e si arricchivano con gli interessi del prestito e con le proprietà incamerate per l'insolvenza di chi non era in grado di restituire. Secondo il Maurisio, nel 1234 Vicenza dipendeva dagli usurai: nunc regitur civica consilio usurariorum[39][56]. Un esempio è fornito da Vincenzo del fu Tealdino, capostipite dei Thiene, che nello spazio di un secolo divennero una delle famiglie più ricche e prestigiose di Vicenza."

    Da ciò si può dedurre che la nostra classe dirigente non conosca la Storia, ma questa sarebbe l'interpretazione benevola. L'interpretazione più realistica è che la nostra classe dirigente, così come quella vicentina di otto secoli fa, abbia svenduto gli interessi del Paese e della propria popolazione per evitare lo scontro e gli inevitabili conflitti, e le loro possibili mediazioni, con le Elites degli altri paesi europei, per mantenere intatti i propri privilegi nel tempo. Ma questa è solo una loro pia illusione.
    Per quanto concerne l'asfalto io che giro in bicicletta sui passi e sugli altopiani che la provincia di Vicenza condivide con quella di Trento, non ho bisogno dei cartelli stradali per sapere in quale provincia mi trovo. Mi potrebbero bendare gli occhi, lo sentirei lo stesso dall'attrito della bicicletta sull'asfalto.

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    1. Vabbè, ho capito che tra poco finiremo tutti a cucinar dei gatti.

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  3. Il degrado delle infrastrutture è un dato comune a tutta l'Unione Europea :dal post su Goofynonics "L' economia è la continuazione della guerra con altri mezzi(articolati)" " Last but not least: il 12 agosto a Rastatt nella Valle del Reno cedimento dei binari “a seguito di un incidente costruttivo”. Blocco per il trasporto merci dall’Italia. I tedeschi non sono sostanzialmente in grado di prevedere quando riprenderà il funzionamento. "

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  4. Non me me vogliate se riciclo un commento postato su Goofynomics che però ben s' attaglia anche al post del Presidente " Sono d'Ancona e mi ricordo del terremoto che subì la mia città 45 anni fa.Allora c'era la lira ,la Banca d'Italia con Carli governatore monetizzava il fabbisogno,e dopo un anno di disagio,la crisi sismica durò 6 mesi,iniziò la ricostruzione e dopo 5 anni la parte vecchia della città era stata in gran parte restaurata ,e s'erano costruiti nuovi quartieri per ospitare i senzatetto.Avevamo semplicemente la sovranità monetaria e fiscale ed era possibile perseguire il benessere della comunità nazionale come prescritto dalla Costituzione nonostante governasse la DC. "

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  5. “E non si sa come e perchè (la Sassen stessa si guarda bene dal fornire una spiegazione realistica alla sua ipotesi della globalizzazione "buona" e democratica), questi poteri economici globali sarebbero inclini a cedere ciò che, con tanto sforzo mediatico e tecnocratico, hanno implacabilmente conquistato".

    Francesco Maimone9 aprile 2015 18:43
    La Sassen vede nello Stato un attore di fondamentale importanza nel passaggio all’attuale assetto di economia globalizzata; per usare una sua espressione, lo stato fungerebbe da levatrice della globalizzazione facilitandone la crescita e trasformandosi a sua volta internamente (e ce ne stiamo accorgendo). In questo processo statale di trasformazione interna connesso alla facilitazione della globalizzazione, la nostra eroina non esita ad intravvedere un inevitabile rafforzamento dell’esecutivo a scapito del parlamento (Renzi docet), assumendo a paradigma del fenomeno guada caso proprio gli Stati Uniti. Dovremmo saperlo, le decisioni liberiste impongono flessibilità e repentinità.

    In tutto ciò la Sassen opera un’analisi che, da una parte, definirei deterministica e, dall’altra, costituzionalmente asettica. Deterministica in quanto la globalizzazione ordoliberista sembra, come al solito, essere percepita come un fenomeno ineluttabile, un evento di forza maggiore; costituzionalmente asettica in quanto non tiene in nessun conto delle Costituzioni fondative degli Stati che concorrono al processo di denazionalizzazione. Con in più una punta di paraculismo “ allorchè, come Lei ci ricorda, la stessa afferma che “Certo, si tratta di una forma di internazionalismo che non ci piace, ma la capacità esiste, ed è proprio qui che risiede l’elemento potenzialmente positivo”.

    Passi per il determinismo ottuso; ma per ciò che riguarda la teorizzazione dei poteri statali “facilitanti” la globalizzazione in barba alla Costituzione ed ai diritti in essa sanciti, il problema è squisitamente giuridico e di legalità.

    Mi chiedevo, Presidente, ma non è il caso di parlare di “collaborazionismo” o il termine è caduto in disuso?

    Quarantotto9 aprile 2015 19:01
    Il termine esatto è proprio quello.
    L'elogio del collaborazionismo.
    Ma non è costituzionalmente asettico: è l'autrice che, predicando l'estensione a metodo di governo del suo atteggiamento morale, invita il mondo a rinnegare la sostanza dei valori della Costituzione.

    Il suo è nei fatti un "anti-costituzionalismo", una nuova teorizzazione dell'autocrazia (dei mercati internazionali), avversa ai valori delle costituzioni democratiche contemporanee quanto un monarca dell'ancien regime...

    http://orizzonte48.blogspot.it/2015/04/citta-globali-e-la-denazionalizzazione.html?showComment=1428597802531#c5749565913034155205

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    1. Ecco sì, clou fenomenologico...e ci sarebbe pure la questione, strettamente complementare, dei consumatori in sostituzione dei lavoratori (su cui torneremo presto, riprendendo e sviluppando il discorso già svolto, perché oggi la campagna in tal senso si sta facendo arrembante).

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    2. Si….. ne aveva già parlato: (naturalmente da leggere tutto)

      “1. Lo spunto per ri-attualizzare la questione, che troverete approfondita ne "La Costituzione nella palude", lo fornisce questo recente commento di "Stopmonetaunica":
      "Se ho capito bene, quello che lei definisce consumismo senza senso è lo spostamento ordoliberista dai diritti del lavoro ai diritti del consumatore considerato come unico Dio. Se è questa la definizione che ne dà sono perfettamente d'accordo; è chiaro che i due diritti si trovano sovente in conflitto; banalmente: il consumatore vuole pagare di meno una merce, il lavoratore vuole essere pagato di più; la deflazione salariale adesso fa sì che sia anche una scelta obbligata da parte del consumatore il pagare meno le merci e nel contempo chiedere tutte le garanzie che queste merci siano prodotte con standard qualitativi alti; è quindi un circolo vizioso, un feedback negativo, che porta alla catastrofe sociale..."

      2. Due piccole precisazioni: "consumismo senza senso" è una (felice) definizione non mia, ma di Rawls.
      La "catastrofe sociale", in realtà, dipende da quale osservatore di consideri. Un neo-liberista, cioè in particolare un ordoliberista, vedrebbe tale schema come un virtuoso ripristino non solo del magico sistema dei prezzi, ma anche delle indispensabili gerarchie (di fatto), che devono governare la società come "Legge" superiore alla "legislazione" degli "inutili" parlamenti (quando non siano espressione del sondaggismo controllato dagli "operatori economici razionali").


      Detto questo, il commento sintetizza correttamente il meccanismo già illustrato qui.
      Ma vale la pena peraltro di sviluppare ulteriormente l'argomento.
      Il motivo è che, quando l'ordoliberismo è culturalmente radicato, come in €uropa, e in particolare in Germania, dove tutela del consumatore e ambientalismo decrescista sono di casa, le cose vanno poi così, quando si tratta di opporsi al TTIP...per le ragioni sbagliate (anche mettendo la questione "lavoro" nel mucchio delle altre):
      "Berlino, 250mila persone in corteo contro il Ttip. Paura per ogm, qualità della tutela ambientale e del lavoro"

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/11/la-false-flag-della-tutela-del.html?spref=tw


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  6. Un Lelio Basso sul serio a 360°, anche in materia, ahimè, di alluvioni e delle sue reali cause, che già nel 1966 - come oggi Quarantotto a più riprese – diceva le cose come stavano (per chi vuole intendere), allorchè si affacciava nel panorama italiano il “centrosinistra”:

    Quando cadono la volontà e la capacità di contestazione, il socialismo è finito…

    Il vecchio Partito Socialista era stato anche una grande scuola di autoeducazione democratica: quella vasta rete di istituzioni e di associazioni politiche, cooperative, sindacali e culturali aveva contribuito potentemente a dare alla classe lavoratrice la coscienza della sua maturità, della sua capacità a gestire interessi collettivi, e soprattutto attraverso la conquista dei poteri locali, dei comuni e delle province il Partito Socialista aveva vinto una grande battaglia di importanza storica: aveva dato la dimostrazione che dei semplici lavoratori, dei contadini, degli operai, potevano diventare amministratori della cosa pubblica, capaci di reggere in Italia migliaia di comuni, capaci di reggere le più grandi città, … capaci di affrontare e risolvere i più complessi problemi fornendo così la prova storica che una nuova classe era matura e aveva quindi diritto di assumere un ruolo dirigente nella vita del nostro Paese.

    Ed oggi il nuovo Partito socialdemocratico si propone, viceversa, di realizzare dappertutto IL CENTROSINISTRA, il che vorrebbe dire due cose, semmai questo fosse possibile: vorrebbe dire in primo luogo strappare ai lavoratori, che li avevano conquistati attraverso decenni e decenni di lotta, quei centri di potere popolare e locale che pure il PSI si era sempre impegnato a difendere: vorrebbe dire reintrodurre forze clericali e forze conservatrici

    ... E forse potremmo aggiungere qualche parola, a proposito dei vecchi valori del Partito Socialista, anche in riferimento ai valori morali nella vita politica. Il vecchio Partito Socialista fu sempre fustigatore di scandali, fu sempre portatore di nuovi valori morali nella vita pubblica... Ebbene, noi li rivendichiamo, questi valori fondamentali, senza i quali crediamo non possa esistere socialismo né ieri, né oggi, né domani. Siamo forse, dei nostalgici, dei passatisti, dei rigoristi morali, come ci è stato rimproverato? Forse il socialismo, oggi, non è più necessario, non ha più diritto di esistenza? Forse inseguiamo ancora delle chimere o dei sogni del passato proclamandoci socialisti?

    … io non lo credo: se noi diamo uno sguardo al mondo di oggi dove domina il capitalismo, vediamo che ovunque IL POTERE PUBBLICO, che vuol dire potere di prendere le decisioni che concernono la vita di tutti, SI ALLONTANA SEMPRE DI PIÙ DALLE MASSE LAVORATRICI che appunto per questo diventano sempre più oggetto e non soggetto della vita e della storia, vediamo dappertutto che questo potere passa in poche, ristrette e private mani di grandi capitalisti, vediamo che dalla disoccupazione all’emigrazione, dalle disuguaglianze sociali alle discriminazioni politiche o razziali, dalla fame alla guerra, tutti i mali del mondo sono seminati a piene mani dal regime capitalistico
    . (segue)

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  7. E se guardiamo nel nostro Paese, vediamo che le tensioni sociali rimangono e si accrescono nonostante il centrosinistra…L’Italia rimane il Paese che nega agli operai la sicurezza del lavoro e che nega ai contadini la possibilità di lavorare e di vivere sulla propria terra, che nega a tutti i lavoratori… il rispetto dalla loro personalità, della loro dignità civile di uomini ed anzi esalta il simbolo dell’offesa quotidiana a questa dignità civile dei lavoratori, l’Italia rimane il Paese che nega agli scienziati i mezzi di una moderna ricerca scientifica, quindi la possibilità di esercitare la loro funzione nella storia, rimane il Paese che nega agli ammalati un letto in ospedale, che nega ai vecchi una pensione umana e dignitosa

    E se, guardando il nostro Paese, ci riferiamo agli avvenimenti recenti, ALLE ALLUVIONI che hanno tanto impressionato, e giustamente, il nostro Popolo, VEDIAMO CHE NON SI TRATTA DI SCIAGURE FATALI: fatale è solo quello che è inevitabile, ed inevitabile in questo campo è solo quello che è imprevedibile, ma le alluvioni erano state previste dai tecnici i cui progetti si erano ammassati nei cassetti: erano state previste dalle leggi che non furono attuate, che avevano votato stanziamenti che non furono realizzati…: erano state drammaticamente preannunciate da tutte le precedenti alluvioni che quasi ogni anno si erano abbattute sul nostro Paese e che avevano mostrato come le difese del suolo fossero sempre minori ed andassero cedendo.

    Dobbiamo concludere, quindi, che ANCHE DI FRONTE A QUELLE CHE POSSONO APPARIRE DELLE CATASTROFI NATURALI IN REALTÀ SI TRATTA DI PRECISE SCELTE POLITICHE, IN BASE A PRIORITÀ CHE VENGONO STABILITE DA CHI HA IL POTERE A VANTAGGIO DI INTERESSI PRIVATI, ANZICHÉ A VANTAGGIO DI INTERESSI COLLETTIVI. Si tratta, in realtà, di tutto un processo di sviluppo che si è voluto fondare quasi esclusivamente sull’esaltazione del profitto monopolistico, sacrificando investimenti sociali.

    Ed allora ci ricordiamo che nel programma dell’attuale governo Moro, in contraddizione con il programma del primo governo Moro, stava scritto testualmente “che il governo vuole garantire la capacità di soddisfare tutte le richieste che verranno dal settore privato per il finanziamento dei suoi piani di espansione”, e capiamo, allora, che la contropartita di questa volontà di servire alle richieste del settore privato per i suoi finanziamenti significa la RINUNCIA A FARE DELLA SPESA PUBBLICA, VICEVERSA, LO STRUMENTO PER LA DIFESA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI. Scopriamo, allora, che disordine urbanistico, speculazione sui terreni, mancato assetto del territorio, crisi nelle campagne, caos nei trasporti, tutto quello che affligge e tormenta la nostra popolazione sono tutti problemi connessi LA CUI SOLUZIONE VIENE COSCIENTEMENTE SACRIFICATA AD INTERESSI PRIVATI E SETTORIALI.

    Scopriamo, allora, che questa È LA LEGGE INSOPPRIMIBILE DEL CAPITALISMO, che è matrice di disuguaglianza, di oppressioni, di iniquità e di miserie che nessuna vernice socialdemocratica riuscirà a cancellare. Scopriamo, allora, che ovunque vi è capitalismo, vi sono classi dominanti e classi dominate, vi è inevitabilmente conflitto di interessi privati e di interessi pubblici e collettivi, ci sono problemi di priorità da risolvere e vi è, quindi, il problema a chi spetti il potere di decidere
    . (segue)

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  8. Ecco allora che l’esigenza di una battaglia socialista prorompe impetuosa dalle cose stesse, l’esigenza di una lotta per la conquista del potere da parte delle classi lavoratrici, esigenza di una lotta per una gerarchia di valori che NON CONSENTA AI PRIVATI DI CALPESTARE L’INTERESSE COLLETTIVO E DI SACRIFICARE PER I PROPRI PRIVATI INTERESSI LA VITA STESSA FISICA E SPIRITUALE DEI CITTADINI.

    Ecco perché siamo socialisti; SIAMO SOCIALISTI PERCHÉ CREDIAMO NELLA DIGNITÀ DELL’UOMO, SIAMO SOCIALISTI PERCHÉ NON VOGLIAMO CHE LA STORIA DEBBA ESSERE SEMPRE STORIA DI PADRONI E DI SCHIAVI, di oppressori e di oppressi, di sfruttatori e di sfruttati, di guerre di conquista e di guerre di liberazione. Questa è la nostra continuità, questa è la nostra coerenza con il socialismo di ieri, la fedeltà a questi principi…

    Vogliamo essere moderni ma restare socialisti, e pensiamo di poggiare la nostra azione sui tre punti essenziali: la democrazia, l’unità ed una strategia della lotta di classe rispondente alle esigenze di oggi. In primo luogo una democrazia che non sia più soltanto una democrazia formale, ma che sia democrazia sostanziale, partecipazione effettiva, di base delle masse lavoratrici a tutte le forme della vita pubblica, una democrazia che non trovi porte chiuse davanti a sé o che sfondi le porte se le trova chiuse e penetri nelle fabbriche, nelle scuole, nella pubblica amministrazione, nell’esercito, una democrazia che dia ai lavoratori la possibilità di gestire, di decidere da sé, o comunque di partecipare alle decisioni su quanto attiene alla loro vita di oggi e di domani, che dia ai lavoratori la possibilità di gestire da sé la Previdenza sociale, di gestire da sé il proprio tempo libero, i servizi pubblici, che faccia veramente di ogni momento della vita una celebrazione della personalità dell’uomo capace di guidare le proprie sorti e di prendere le proprie decisioni

    Questo, compagni, non è qualche cosa che possiamo né improvvisare né fare in pochi: richiede la ricerca, l’analisi, l’esperienza e la verifica e un impegno di tutti i militanti, di tutto il movimento operaio. Non vi sono qui, davvero, possessori di verità, non vi sono qui, davvero, primogeniture da rivendicare. Ed ecco perché celebrando, oggi, qui questa giornata di lotta contro la socialdemocrazia non rivendichiamo per il PSIUP nessuna posizione di privilegio, ma ci sentiamo nella stessa trincea con tutti coloro che hanno rifiutato, rifiutano e rifiuteranno la scelta socialdemocratica…Vogliamo trovarci uniti a tutti coloro che sentono nel socialismo la sola strada possibile per la liberazione dell’uomo

    Vogliamo fare un partito… che dia alle giovani generazioni la certezza di uno strumento sicuro per costruire, nella loro vita di domani, una Italia in cui la vita possa essere finalmente da tutti vissuta in letizia…Compagni, levate in alto le vostre bandiere! Salutate l’alba di un nuovo giorno che sta per spuntare!
    ” [L. BASSO, Parla Lelio Basso, Il Mondo, 18 dicembre 1966, n. 50, 3-4].

    Vorrei capire quanti veramente in Italia credono ancora in queste parole, se c’è ancora speranza di poter tornare alla legalità costituzionale o se siamo davvero all’ultimo canto del cigno

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    1. In Italia non ci crede praticamente nessuno: almeno con riferimento alla versione rigorosa di Basso (che è poi quella che parte da Rosa Luxemburg, passa per Gramsci e la sua visione delle alleanze in chiave Costituente, e si sostanzia nella macroeconomia di Keynes e Kaldor, cioè, in Italia, Ruini, MS. Giannini e Caffè).

      Piuttosto, oggi, sarebbe pragmaticamente molto utile seguire il Basso che evidenzia la convergenza di interessi di tutti i ceti produttivi non rientranti nel c.d. oligopolio ristretto.

      In termini attualissimi, dire "Questo, compagni, non è qualche cosa che possiamo né improvvisare né fare in pochi: richiede la ricerca, l’analisi, l’esperienza e la verifica e un impegno di tutti i militanti, di tutto il movimento operaio", OGGI si converte nell'intuizione di Bazaar che il nuovo proletariato si estende, a pieno titolo, ai lavoratori ITC - e nei servizi in genere (dunque, anche a tutto il settore pubblico)- a cui vanno ("andrebbero") necessariamente offerti gli strumenti "culturali" per l'acquisizione di una coscienza di classe.

      Prima che tutto svanisca nel vaporizzatore della "tutela del consumatore", cioè nell'arruolamento tra le fila dell'ordoliberismo più cosmeticamente insidioso...

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    2. La grande alternativa all’analisi per classi sociali: la mitica figura del consumatore. Mitica nel senso che nella realtà esiste solo in un mondo in cui le condizioni del teorema di Sonnenschein-Mantel-Debreu siano soddisfatte. Di certo non quello in cui viviamo noi.

      Un celebre economista mainstream come Alan Kirman nel 1989 (The intrinsic limits of modern economic theory: the emperor has no clothes, Economic Journal, vol. 99, n. 395, 1989, pag. 138) scriveva: "The idea that we should start at the level of the isolated individual is one which we may well have to abandon.
      There is no more misleading description in modern economics than the so called microfoundations of macroeconomics which in fact describe the behaviour of the consumption or production sector by the behaviour of one individual or firm. If we aggregate over several individuals, such a model is unjustified.
      ".

      Ovvero, modelli (per tacere delle loro volgarizzazioni ideologiche) secondo cui io sono un consumatore come lo è Bill Gates forse non descrivono così fedelmente la realtà. Forse.

      Steve Keen (Debunking Economics, Zed Books, London, N.Y., 2011, s.p.) così riflette sulle conseguenze che andrebbero tratte dal teorema: “In the end, then, the one benefit of neoclassical economics may be to have established why classical economists were correct to reason in terms of social class in the first place.”.

      Per fortuna che i “centri di irradiazione” vegliano perché il ritorno a un minimo di plausibilità nell’analisi sociale resti confinato dove non può far danni.

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    3. E poi, ancora ancora, accetterei l'alternativa del geniale Veblen, che non nega il conflitto, ma lo ridefinisce secondo una prospettiva dinamica che, almeno per quanto riguarda gli USA, anticipa gli effetti dell'inclusione, nel processo decisionale e produttivo, di crescenti frange attive e "creative" della società (degli "oppressi"), capaci di produrre una dialettica esterna al sistema economico-capitalista classico,che si riduce invariabilmente alla statica visione "allocativa" in difesa di privilegi inutili e dannosi (alla specie).

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    4. Qui ne aveva parlato Bazaar

      Bazaar4 luglio 2016 17:57
      Come sai, il consumo è una cosa, il consumismo è un'altra cosa.

      Quest'ultimo, nel secondo dopoguerra, si è manifestato come sovrastruttura delle costituzioni materiali - ovvero della struttura sociale reale - in funzione "anti-keynesiana". In che senso: il consumismo, propriamente definito come da Veblen, ovvero come forma di consumo veicolato dall'immagine, dal prestigio, dallo status symbol, ha avuto il ruolo di disintegrare la coscienza di classe in una fase del capitalismo in cui le disuguaglianze dovevano diminuire aumentando i consumi in funzione anti-comunista e anti-russa.

      Le democrazie sociali dovevano rimanere al "guinzaglio": la scarsità delle risorse è la sovrastruttura che cosmetizza il ben più strutturale "vincolo esterno" di cui si è approfondito in questi spazi. (Quello che in Italia è stato rappresentato da Einaudi, dal Quarto Partito, dalla "mano invisibile" del governo sovranazionale dei mercati, dalla moneta unica, dall'europeismo, dal mondialismo, ecc.). I finanzieri non si chiamano "strozzini" per nulla.

      I subalterni dovevano identificarsi con la leisure class, con il suo stile di vita e introiettare la sua morale... fino a che la shock-doctrine neoliberista ha ricordato loro che "non se lo possono permettere".

      Per motivi di classe, non certamente per motivi ecologici: la società dell'immagine o l'ecologismo sono solo altre sovrastrutture, ossia altri mulini a vento contro cui i geni della scuola di Francoforte, ed i Don Chisciotte progressisti in genere, si sono scagliati per decenni.

      E i neo-malthusiani del Club di Roma hanno servito lo sfilatino a tutti... "sfilatino" non solo "sovrastrutturale".

      (Purtroppo il nominalismo, nella comunicazione, non è solo "forma": è sostanza.

      Far capire che i liberali non disquisicono della nostra libertà, che la libera concorrenza è solo quella tra disoccupati, o che il consumismo non si riferisce alla quantità (D) che si "consuma"... è proprio la sfida di chi fa divulgazione

      Per il resto ti capisco perché siamo tutti nella stessa barca)

      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/07/globalizzazione-delocalizzazione.html?showComment=1467647828338#c138007860108538347

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  9. Francesco ha scritto: Vorrei capire quanti veramente in Italia credono ancora in queste parole, se c’è ancora speranza di poter tornare alla legalità costituzionale o se siamo davvero all’ultimo canto del cigno

    Ciao Francesco quell'Italia del 1966 che il grande Basso descriveva, io l'ho vissuta, unico figlio d'operai nella classe elementare della scuola che accoglieva i figli della città bene, dove il mio compagno di banco viveva in un Castello. Non ho mai subito la discriminazione dei miei compagni ( ero un piccolo fenomeno nel calcio e quindi non potevano) ma per quanto riguarda il Maestro, sento ancora nella mia pelle il suo cinico classismo. Anni dopo lo incontrai in una amena e ridente località turistica trentina ( avevo 15 anni) e alla mia risposta alla sua domanda, " lavoro in una officina meccanica" il suo volto S'ILLUMINO' D'IMMENSO e disse con godimento e soddisfazione: "solo quello poteva fare uno come te." Per quello ero Comunista all'età di 10 anni, per poi scoprire da vecchio che anche loro erano dei fottuti liberisti. Comunque sono ancora uno che si commuove e ancora crede alle parole di Lelio Basso.

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    1. Testimonianza tragicomica, vista con gli occhi indulgenti della memoria...
      Anche io non ricordo, nei miei anni alla scuola pubblica, un solo insegnante che non avesse, almeno come retropensiero, questa visione classista (anche se "di sinistra": era riflesso di una "appartenenza" autopromozionale, molto ben evidenziata da Gramsci e figlia del "crocianesimo", spesso inconscio, al tempo imperante).

      Ma rammento che praticamente tutti quelli e quelle che, in classe, venivano dalle "borgate", erano degli esempi di serietà e di impegno.
      I problemi, tendenzialmente, li davano proprio i figli della buona borghesia, con grande stupore degli insegnanti (proprio tu, con il padre che hai!). Ma questo si svolse essenzialmente negli anni '70, allorché, come status symbol, i benestanti si diedero per primi alle separazioni e ai divorzi (potevano permetterselo)...

      Emergeva, com'è ovvio, l'importanza della motivazione derivante da un (sano) ambiente familiare: tutti, perlomeno in "quel" clima, potevano credere alla mobilità sociale mediante lo studio.
      A torto o a ragione (o entro certi limiti, che furono attentamente ripristinati nei primi anni '80)

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    3. Coscienza di classe e programma di transizione.

      Il problema della formazione della coscienza di classe, della coscienza rivoluzionaria, appare di nuovo come il problema centrale. Questa coscienza non è il risultato meccanico delle contraddizioni interne della società e non è neanche una semplice acquisizione intellettualistica che possa esser frutto di un’opera di propaganda e di illuminazione. La coscienza si acquista nell’esperienza, nell’azione, nella lotta: solo cimentandosi nella battaglia quotidiana per modificare la società, il proletariato si fa cosciente della reale natura delle forze in contrasto, della profondità delle contraddizioni e della via per superarle; solo cozzando ogni giorno contro gli angusti limiti di lasse dell’ordine sociale, il proletariato è spinto a cercare le soluzioni al di là di questi limiti; solo riaffermando ogni giorno l’esigenza di tradurre il carattere sociale della produzione in rapporti produttivi ispirati alle stesse esigenze sociali il proletariato mette in risalto la contraddizione fondamentale della società capitalistica; solo verificando ogni giorno la reale democraticità del sistema attraverso la rivendicazione e l’esercizio dei suoi diritti il proletariato scopre la fallacia della democrazia borghese e si apre all’esigenza di una democrazia sostanziale cioè socialista. È su questo terreno che “l’alternativa democratica” diventa “alternativa socialista”.
      In altre parole, proprio perché la società capitalistica di oggi riesce, meglio che per il passato, a velare le sue contraddizioni e a mistificare la coscienza, diventa più che mai necessario utilizzare tutte le possibilità, tutte le occasioni, tutte le frizioni per impegnare battaglia e, attraverso l’esperienza, risalire dal particolare al generale, dall’urto occasionale alle contraddizioni di fondo. Marx aspettava lo scoppio della rivoluzione da una crisi, cioè dalla manifestazione brutale e violenta della contraddizione capitalistica, una contraddizione suscettibile di far presa immediata sull’animo delle masse; ora che gli effetti delle crisi sono piuttosto diluiti nel tempo, attraverso lo spreco istituzionalizzato, è soprattutto un’azione politica intelligente che può condurre il proletariato a rendersi cosciente delle contraddizioni meno visibili e a trarne la stessa spinta rivoluzionaria. Più che mai in questo momento, e salvo naturalmente l’ipotesi di grosse catastrofi politiche che per ora sono al di fuori delle nostre previsioni, è necessario pensare alla rivoluzione non come alla frattura verticale e allo scontro decisivo ma come a un lungo periodo di lotte, come a una conquista progressiva del potere che naturalmente dovrà culminare in una fase decisiva di rovesciamento dei rapporti di potere ma che arriverà al culmine solo dopo una lunga scalata.

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    4. Questa scalata, come la scalata di una parete rocciosa, deve utilizzare tutti i punti di appoggio, tutti gli appigli, tutte le discontinuità che offre, il terreno avversario. Se è vero che la società capitalistica riesce a trovare nuove soluzioni alle sue difficoltà, nuove risposte ai suoi problemi, è vero che ciò avviene attraverso urti, sbalzi, squilibri, trasformazioni che implicano ogni volta costi sociali gravi a carico delle masse: sono appunto gli squilibri, le disuguaglianze, i costi sociali che mettono in particolare risalto la contraddizione fondamentale del capitalismo e che offrono quindi altrettanti punti d’appoggio non per una battaglia occasionale ma per un’azione in profondità che miri al cuore della società capitalistica, alla contraddizione fondamentale, inserendosi in un disegno organico di trasformazione dei rapporti sociali e di potere.
      Ritorno così a battere sullo stesso chiodo: un disegno organico di trasformazione dei rapporti sociali e di potere è nient’altro che il programma di transizione di cui si è molte volte discorso, il programma del passaggio graduale al socialismo, del passaggio cioè dalle infinite contraddizioni di oggi, che sono peraltro tutte altrettante facce della stessa contraddizione fondamentale, alla soluzione organica di domani,Non è difficile vedere come in ogni settore e ad ogni livello della vita nazionale si riproduca appunto questa contraddizione; si pensi p. es. ai problemi che toccano da vicino tutti i lavoratori, come quelli urbanistici, dei trasporti pubblici, della localizzazione delle industrie, come pure quelli della scuola, dell’organizzazione del tempo libero, per non parlare di quelli in cui la ricerca del profitto degenera nel crimine organizzato come p. es. l’adulterazione ormai generale degli alimenti. Si tenga inoltre presente che l’ordinamento capitalistico della società, che garantisce l’appropriazione privata del prodotto sociale, implica altresì la socializzazione delle perdite; è infatti la collettività che sopporta necessariamente il peso sia dello spreco istituzionalizzato sia delle trasformazioni tecnologiche. Ricondurre ogni conflitto a questo aspetto inscindibile del capitalismo (appropriazione privata del profitto e socializzazione delle perdite di ogni natura) significa risalire dal particolare al generale, ricollegare tutte le lotte alla lotta per il socialismo. Analogo ragionamento si può fare per il concetto di sicurezza e stabilità: oggi la grande impresa ha bisogno per i suoi programmi di investimento di garantirsi continuità e regolarità di profitti, ma stabilità e sicurezza del profitto si traducono necessariamente, in una società contraddittoria, in instabilità e insicurezza dei lavoratori. Anche su questo terreno quindi la lotta per il socialismo è immanente alla lotta per risolvere i singoli problemi: rendere cosciente questa naturale immanenza è appunto compito di un partito che voglia lottare per il socialismo oggi. Perché rendere cosciente significa non solo spiegare ma mobilitare attraverso un’esperienza di lotta le masse lavoratrici.

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    5. Dire soluzione organica significa rifiutare le soluzioni facili, puramente demagogiche e elettoralistiche, che implicano talvolta la difesa di posizioni superate, l’incoraggiamento al semplice malcontento, e rischiano di essere in ultima analisi posizioni conservatrici, proficue magari come apportatrici di voti ma infeconde, più della stessa verginità, come matrici di socialismo. Il programma di transizione dev’essere un programma che non ha paura di confrontarsi con le più moderne soluzioni capitalistiche, che non rifiuta quel tanto di progresso che può essere in esse contenuto, ma anzi impone un acceleramento del ritmo, dev’essere un programma che, appunto perché prepara il passaggio al socialismo, deve offrire soluzioni che si muovano su alcune direttrici essenziali: massimo acceleramento del progresso tecnico, accentuazione del momento sociale nello sviluppo del processo produttivo (quindi nazionalizzazioni, pianificazione, ecc.) e, viceversa, lotta contro il momento-privato nell’appropriazione del prodotto sociale (quindi per modificare l’attuale processo di accumulazione) e contro l’appropriazione privata del potere (quindi per estendere ovunque una democrazia reale, dalla vita di base delle aziende e dei comuni, alla vita statale), infine uno sforzo intensificato per dare alla classe lavoratrice coscienza della sua autonomia e della sua funzione egemonica nell’attuale fase del processo storico. Solo coordinate attorno a questi motivi centrali le singole posizioni di battaglia, di cui la società capitalistica offre infinite occasioni, assumono un contenuto socialista, diventano un momento del processo rivoluzionario. L’esito di queste battaglie potrà essere di volta in volta positivo o negativo, segnare dei passi avanti, delle soste, o magari dei passi indietro nei risultati obiettivi, ma, se condotto su queste basi, svilupperà sicuramente il momento soggettivo, aiuterà la formazione di una coscienza rivoluzionaria, darà a masse sempre più vaste la capacità di legare tutti i momenti particolari della loro lotta alla visione generale di una trasformazione socialista della società, preparerà, in una parola, quel che è sempre mancato al movimento operaio occidentale anche nelle grandi svolte storiche, in particolare nel primo e nel secondo dopoguerra, la coscienza della maturità della presa del potere e della rivoluzione socialista.
      Per concludere voglio riassumere brevemente il senso di questo discorso in poche proposizioni. Marx vedeva il processo rivoluzionario come una coincidenza fra situazione oggettiva (contraddizioni della società capitalistica) e la volontà soggettiva (coscienza di classe); di questa volontà soggettiva Rosa Luxemburg sottolineò con particolare vigore l’elemento necessario della partecipazione attiva delle masse e Lenin quello della direzione cosciente del partito, della dottrina rivoluzionaria. La situazione oggettiva, per le ragioni che ho esposto, ha oggi in sé possibilità rivoluzionarie; del momento soggettivo non è la partecipazione attiva delle masse la faccia che fa maggiormente difetto. Quel che fa maggiormente difetto è la faccia della direzione politica, la presenza di un partito rivoluzionario che dalle contraddizioni reali e dalla capacità di lotta di massa tragga la spinta decisiva verso il socialismo.
      Lelio Basso Capitalismo monopolistico e strategia operaia, in Il revisionismo socialista. Antologia di testi 1955-1962, [Roma, s.n.], 1975 (Quaderni di «Mondo operaio»), pp. 255-281.
      Buongiorno a Lei Presidente e a tutti i combattenti,spero di non aver fatto confusione con la pubblicazione non sono praticissimo.
      Grazie di esserci

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    6. Quanto vissuto da Mauro sulla sua pelle e confermato dal Presidente ci dice – se ce ne fosse bisogno – quant’è vero ciò affermava Marx: la suprema lotta è sempre tra borghesia e proletariato, senza alcun regno illusorio di intermezzo (nel quale sono da includere tutti quei ceti produttivi rientranti nella c.d. Terza Forza oggi inconsapevolmente proletarizzata o in via di proletarizzazione).

      E “l’emancipazione” vissuta esclusivamente come fatto personale è già di per sé liberismo incarnato (ne è esempio quel Maestro dalla mentalità piccolo-borghese, singolare rappresentante della Terza Forza e che, dall’alto di quel suo suo piedistallo conquistato, anche a distanza di anni, non poteva che rispondere a Mauro nel modo in cui ha fatto). Ma negli anni ’70 esisteva ancora uno stato sociale ed il figlio dell’operaio o del contadino, seppur guardato dall’alto in basso, seppur con enormi sacrifici, poteva aspirare a migliorare la propria condizione. Oggi tutto ciò è impensabile.

      Quanto all’offerta degli strumenti culturali, la stessa presuppone che vi siano comunque una ricerca ed una disponibilità ad accoglierla (non devo certo dirlo a Quarantotto!), possibilità che il regime nel suo complesso – e con il suo sistema mediatico-totalitario in particolare - ottenebra di continuo (ormai sento solo parlare di stupri e di razzismo nudi e crudi, cioè l’agenda fissata al momento dal Capitale). La prognosi si è aggravata attraverso la sezionalizzazione degli interessi, venduti con gli slogan del “pluralismo dei valori” o, nella fase avanzata, del “multiculturalismo” melting pot forzato in funzione sempre conservativa-regressiva (alla quale si è aggiunta, ovviamente, la naturale opera del Lumpenproletariat importato e reazionario, come se non ne avessimo già abbastanza in loco).

      Con la crisi, penso che proprio quei ceti medi si siano ancor di più sclerotizzati, forse nell’illusione di potersi salvare o di vivere qualche giorno in più; meglio rifugiarsi nella sicurezza della maledetta quotidianità. Non dimentico che il fascismo ebbe il loro fondamentale appoggio.

      Risultato: non nascondo che, allo stato, il mio umore è alquanto nero, anche se so che è proprio questo che €SSI vogliono provocare

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    7. Mi pare tutto ok: ottimo esordio (Presidente? In questa sede c'è "Quarantotto"...)

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    8. A Mauro...
      Qui nel nord-est tra lega, operaismi negriani, acr ecc si è lavorato tantissimo contro l'unitá di classe...qualche passaggio interessante da indicare ai più giovani io li ho trovati nei due volumi dell'Atlante storico della bassa padovana ('800 e '900) oppure by googling...
      Ma come giustamente ricorda più sotto Luca Cellai, richiedono un po' di tempo libero e INTERESSE. Del resto alteo non pssiamo fare che puntare sullo studio dei giovani, compresi (soprattutto?) i "nuovi" italiani.
      Tipo


      http://win.ossicella.it/locale/archivio%20pdf/briguglio_monselice.pdf

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    9. Unitá di classe nel senso di Basso (ovviamente) richiamato da Luciano. Tra l'altro proprio nel passo riportato nel post del 01/09/17 ci sono praticamemte Libri I-II-III del Capitale di Carlo e L'imperialismo di Lenin. Al liceo ho citato 5 anni Bertinotti. Acqua passata.

      Comunque la 'dose' di socialismo che emerge (orienta) l'analisi e le ricerche condotte nei post e nei commenti è la ragione per cui molti docenti che ho conosciuto non interverrebbero mai e non sono mai intervenuti. Un laboratorio di questo livello in cui la competenza tecnica (di colleghi)è sostenuta da opere di Lenin, Marx...ha fatto un certo effetto (positivo) a me...ma fa saltare sulla sedia dalle crisi isteriche molti eruditi...forse...proprio come ai tempi della Costituente. E non c'è zucchero che possa mandargli giù queste pillole rosse. Però mi diverte l'idea che prima di morire gli è toccato leggere questo blog, e non farsi mai vivi perché (per citare Bazaar) troppo forte l'orgoglio di non voler ammettere di essere stati dei coxxxxni.

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  10. "Chiedete la rappresentanza politica degli interessi materiali che caratterizzano la vostra vita e quella dei vostri figli; riprendiamoci il nostro territorio per poter "vivere", con dignità e senza permettere più a nessuno di instillare i sensi di colpa.".
    Verissimo, dobbiamo pretendere "Più Italia" (cit. Prof. Bagnai) dalle forze politiche. Ma non si vede nessuna proposta credibile. Nonostante politici che dichiarano in continuazione, su tutto, per “il bene del Paese”: ma in realtà è afasia fluente. Anche l’unico partito dichiaratamente no-euro mi sembra divenuto un po’ più cauto e parla di “riscrivere Maastricht”.
    C'è poi il problema della legge elettorale. Ci ritroveremo probabilmente con il "Consultellum" (anzi con due) che almeno è proporzionale ma che presenta ancora diverse storture antidemocratiche delle leggi sottoposte al giudizio della C. C., tipo premi di maggioranza, capilista bloccati, soglie di sbarramento diverse, ecc. Purtroppo senza una vera alternativa politica, da costruire, la sensazione è che con qualunque legge elettorale il risultato sarà che all’indomani delle elezioni ci ritroveremo comunque con una bella Große Koalition a guida leuropea ...

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  11. "Vogliamo trovarci uniti a tutti coloro che sentono nel socialismo la sola strada possibile per la liberazione dell’uomo…"

    Io ci credo piu' ora di quando ero ragazzo e talvolta mi piace anche fantasticare di cosa si sarebbero mai detti un Basso ed un Russel, se mai si fossero seduti a discutere in un qualche salotto.

    A beneficio dei piu' giovani ricordo che (Sir) Bertrand Russel nacque ricco ed agiato nel 1872, che nella sua intera vita di 'idleness' (ma fossero tutti cosi oziosi!) si occupo' principalmente di matematica e di filosofia, e che tuttavia trovo' anche il modo di occuparsi del tema del lavoro.

    Forse perche' da ricco aristocratico fu molto colpito dalla affermazione dei primi partiti socialisti e dall'abolizione della servitu' della gleba in Russia e nei Balcani (a cavallo della I GM), negli anni trenta scrisse "In Praise of Idleness" (per una sintesi vedi https://www.youtube.com/watch?v=9Lfb8mlIe9I ).

    La domanda chiave posta da Russel e': PERCHE' SI DEVE LAVORARE?

    La risposta di Russel (che era ateo, o piu' probabilmente agnostico) credo che possa essere condivisa anche dai credenti.

    San Paolo predicava infatti 'chi non vuole lavorare neppure mangi' ma anche lui in fondo in fondo eluse la domanda (era pur sempre un cittadino romano e quindi un 'aristocratico'): perche' si deve lavorare?

    Come pure temo che questa domanda la abbia purtroppo elusa il socialismo indicando (in maniera molto sfumata) come fine ultimo 'la liberazione dell'uomo'.

    Russel osserva giustamente che l'etica del lavoro e' l'etica degli schiavi ed e' perfettamente funzionale all'etica capitalistica dell'aumento illimitato del valore (non e' quindi per caso che sia anche l'etica della Chiesa di Roma - e piu' esplicitamente dell'Opus Dei - quella di esaltare e 'santificare' il lavoro, qualunque lavoro).

    Quindi la 'liberazione dell'uomo' in questa valle di lacrime deve in qualche modo realizzarsi attraverso una qualche liberazione anche dal lavoro.

    Per venire alla prassi, il 'partito socialista che non c'è (ancora)' dovrebbe invece indicare espressamente che 'la liberazione dell'uomo' (il fine ultimo dell'azione politica) consiste nel soddisfacimento dei diritti sociali "Orizzonte48" a fronte di un tempo giornaliero di lavoro di 4-5 ore.

    Poi se uno vuole lavorare di piu' (per soddisfare il suo bisogno specifico di maggiore consumo o di risparmio) sara' libero di farlo, ma senza obbligo, perche' cio' che gratifica l'uomo veramente libero e' la disponibilita' di tempo libero (idleness) e la sicurezza sociale.

    Sono profondamente convinto di questo perche' da quando mi hanno licenziato ho scoperto che avere tempo libero per leggere, studiare e coltivare i propri interessi e' un dono/previlegio [anche se ormai devo vivere del mio 'reddito passato e - per fortuna - non consumato' (i.e. risparmio)].

    Una tale visione darebbe anche un senso alla apparentemente insensata rincorsa agli aumenti di produttivita' (oggi inseguiti con 1/3 della forza lavoro disoccupata): gli aumenti di produttivita' servirebbero solo a far si che si possa lavorare mediamente poche ore al giorno, e comunque solo fino al perseguimento della piena occupazione.

    Se ci si ragiona su si capisce pure perche' un tale partito che non c'e' potrebbe affermarsi (ed essere tollerato dagli imperi ordoliberisti) solo in qualche stato nazione minore, non troppo popoloso.

    L'Italia questi requisiti li ha e quindi sono convinto che vale comunque la pena di provarci.

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    1. allora vediti le teorie di Veblen sulla "idle curiosity" come guida evoluzionista verso la maggior capacità trasformativa del capitalismo e come motore stesso della produttività non "parassitata" dagli edonisti accumulatori di privilegi...

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    2. Luca condivido...diciamo che il socialismo nel senso di 'modo di produzione socialista'indicato da Marx come ipotesi pre-comunista, non può fare a meno di ammettere 'ancora' lo stesso COMANDO SUL LAVORO. Il piano cosciente in cui gli uomini organizzeranno la produzione permetterá POI la definitiva estinzione della 'forma' salariata del lavoro (specularmente all'abolizione della proprietá privata dei mezzi di produzione- estinzione delle classi- estinzione dello Stato (borghese- non ovviamemte di un ordinamemto giuridico). Qui la soddisfazione del bisogno si avvicina a quello che vorremmo noi e che hai detto tu benissimo: il Cristo di tempo libero. Questo cexxo di modello di accumulazione invece ti rovina nel tempo di lavoro (da uguagliare al tempo di produzione) e ti lascia un tempo di vita in cui riproduciamo la merce forza lavoro (spesa, palestra...) in m-d-m per valorizzarla il giorno seguente in d-m-d'(sfruttamemto oggettivo). Secondo questa analisi il valore d'uso innovato del capitale fisso contrasta l'impossibilitá di estrarre plusvalore h24 dal salariato e il numero dei lavoratori impiegati sará sempre inferiore e lo sfruttamento sempre più intenso. Questa conclusione, fossero tutti campati per aria i presupppsti teorici (valore etc) non si trova come 'sistemica' in nessun manuale. Almeno aucceasivo al Capitale.


      Tutto approssimativo ovvio...ma mi ricordo lo statuto del prc (rifondazione) che si apriva con "l'eliminazione del lavoro" senza alcun riferimento alla forma salariata che invece è fondamentale! Mi mandò anche un po' in crisi, essendo ancora 'incrostato' di sovrastrutturine 'moderanti' l'appoggio a qualcosa di 'eversivo' (tipo 'ecco...elimini il lavoro..cioè? Chi lavora). Col tempo poi ho capito che tutto il mondo rifondarolo, noglobalista etc era fondato sull'abbandono (anche solo terminologico) delle categorie marxiane.

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    3. Allora sta a noi puntare sulla qualitá del tempo libero. Dopo la lettura di Marx, Lenin, Trotsky....la scoperta di questo blog è il sexondo evento più importante per molti..oso supporre.

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    4. Il testo di Engels, se la mia memoria non sbanda, è Lineamenti per la critica dell'economia politica, per cui Marx gli fu eternamente grato e dal quale, infatti, sviluppò nel suo tempo 'libero' (cioè col sostegno di Engels) il suo calolavoro:)

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    5. Ottimo Luca Junior, anche io quando ho letto il commento di Luca "Senior" avrei appunto specificato la questione del "lavoro salariato" o, al limite, del lavoro al fine di "profitto" in un mercato "oligopolisticamente concentrato".

      Il Lavoro, come categoria, è vita. L'attività antientropica per antonomasia. La forza per lo spostamento... :-)

      Nel tempo libero tendenzialmente non ozio, "lavoro". E, nel momento in cui il lavoro è vocazionale, in un contesto di piena rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, il "lavorare" troverebbe pienamente corrispondenza con la propria realizzazione vista come crescita materiale e spirituale con cui si concorre nel complesso della comunità sociale.

      (La concorrenza non implica la competizione...)

      Sorvolerei sulla figura di Russell, che ritengo una figura intellettualmente ambigua.

      Una nota sulla questione del "socialismo": il "socialismo" che emerge da questo dibattito - come sa chi segue questa discussione con costanza - non è "ideologico". Ha un fondamento fenomenologico che, tramite la dialettica, porta ad un'analisi di carattere scientifico dell'attualità.

      Qui non si "crede" - quindi - nel "socialismo": dato il paradigma etico su cui si fonda la nostra Costituzione - ossia quello umanistico contrapposto a quello "elitista" - il socialismo fornisce culturalmente, come emerge dall'analisi filologica, le categorie adatte per il lavoro coscienziale e di "ermeneutica" che si produce in questi spazi, a partire dall'analisi economica del diritto.

      La struttura che vuole edificare la Costituzione, da quella tipica dello Stato liberal-borghese alla democrazia sostanziale, vede due correnti di pensiero incrociarsi: il liberalismo sociale keynesiano e il socialismo ortodosso e rivoluzionario marxiano-kaleckiano.

      Cosa significa? Che l'uso scientifico che si fa qua del "socialismo", presuppone l'identità tra l'essere democratico conforme a Costituzione e non esserlo.

      Chi "crede" nel socialismo tendenzialmente "non crede" nelle Costituzioni (in rif. a Gramsci).

      Questo è un laboratorio critico basato sulla fenomenologia: spogliarsi delle ideologia e della relativa falsa coscienza, è fondamentale.







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    6. Sul fatto che il metodo seguito dal socialismo marxista sia effettivamente questo, e non quello di tutti i noti "filosofi" marxisti della seconda metà del Novecento che si aggiungono, per inutilità critica, a quella di tutta la Sinistra post-sessantottina che è de facto neoliberale, riporto due citazioni (perle) di Arturo portate ad argomentare durante una nostra discussione.

      Sul fatto che il socialismo marxista sia scientifico e non "filosofico", non solo lo afferma Marx stesso, aggiungendo che « la differenza tra filosofia e realtà è la stessa che corre tra l'onanismo e un rapporto sessuale », ma fa parte anche della sua grande tradizione; Lenin ricordava a Sukhanov che « la rivendicazione che il marxismo pone a ogni politica seria [è che questa] sia basata su fatti suscettibili di essere verificati oggettivamente e con precisione »

      La fondazione fenomenologica della critica economica, politica e sociale marxiana, viene descritta magistralmente da Luporini, allievo di Heidegger:

      « Il discorso fatto sulla merce viene infatti da Marx generalizzato (nelle conclusioni delle Glosse a Wagner): « ... il "valore" della merce esprime soltanto in una forma storicamente sviluppata ciò che esiste in tutte le altre forme storiche di società, sebbene in forma diversa, cioè il carattere sociale del lavoro, in quanto esso esiste come dispendio di forza-lavoro sociale».
      Si tratta di una sfera dell'oggettività, prodotta dal lavoro umano, cioè dall’attività pratica (ostensibile-intelligente; tecnico-finalistica) dell'uomo, che non ha più il mero carattere «materialistico-sensualistico» della realtà di Feuerbach, anche se non ha neppure il carattere «idealistico» della realtà di Hegel. Per esso Marx adopera, com'è noto, la designazione molto significativa «sensibile-sovrasensibile».
      Questa espressione non è la designazione di una coppia, bensi di una sintesi e in certo modo (per un suo lato) di una 'sintesi a priori'. Ma la cui origine è storico-genetica, come ogni determinazione del «mondo dell'uomo» che si ponga al di sopra dei rapporti puramente animali, o li riassorba in sé. In essa il termine «sovrasensibile» non designa nulla di sovrannaturale, o anche soltanto di 'extrafenomenico' (nonostante la 'inevitabile parvenza' di cui abbiamo parlato) perché la concezione marxiana dell'apparire fenomenico risulta qui, almeno per un aspetto (che è però decisivo), simile alla hegeliana; opposta cioè comunque a quella di Kant.
      Il fenomeno contiene, sì, in ambedue i casi, un rinvio ad altro, a ciò di cui esso è fenomeno. Ma nella visione kantiana questo altro rimane eterogeneo al fenomeno (è perciò inconoscibile secondo le leggi di questo, cioè senz'altro inconoscibile per l'uomo: la famosa cosa in sé, « noumenicamente » intesa) e la separazione tra i due campi così stabiliti è rigida e invalicabile. Nella visione hegeliana invece, e nella sua utilizzazione e interpretazione materialistica da parte di Marx, siffatta eterogeneità non sussiste, e la differenza-relazione è penetrabile in ogni sua parte mediante la conoscenza scientifica.”
      »

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    7. « “Lo sviluppo (sistematico, non storico) delle « forme » (al plurale) nel Capitale è radicalmente differenziato dalla attuosità e processualità dei loro contenuti: che appunto per ciò possono comparire nel loro carattere proprio di empiricità, e divenire accessibili in quanto empirici. Credo che questo sia, gnoseologicamente,
      il punto piu importante da cogliere: il carattere scientifico proprio del Capitale consiste nell'avere stabilito, o scoperto, un accesso non empirico (morfologico, strutturale) sulla empiria.”

      “Tutto sta, in sostanza, perciò nel comprendere bene la démarche, la mossa iniziale, di Marx. Marx parte, si è visto, dalla constatazione empirica della « immane raccolta di merci », relativa alla « attuale società », cioè al «modo di produzione borghese». Ma quest'ultima nozione non è affatto anticipata: essa deve venir costruita (e sarà tutta l'opera del Capitale). Quella constatazione è ridotta perciò al suo nucleo elementare, anche qui non a causa del pregiudizio tradizionale o hegeliano (come sostiene Althusser) che si debba partire dal più semplice, ma perché non vi è assolutamente altra strada per la costruzione sistematica di ciò che è stato presupposto non a livello concettuale ma di mera rappresentazione («immane raccolta di merci»). La domanda è dunque: che cosa
      è 'merce' indipendentemente e prima del modo di produzione capitalistico?
      È una domanda puramente sistematica che inizialmente sospende ogni riferimento alla storia e alla staticità. Non per escluderlo, ma possibilmente per guadagnarlo dall'interno dell'impostazione sistematica stessa. Se ciò non dovesse riuscire la ricerca sarebbe fallita. È già evidente che l'accesso alla storia non potrà esser guadagnato se non attraverso un accesso all'empiria che comporti la riduzione di essa al piano sistematico stabilito inizialmente.
      Questo stabilimento iniziale deve essere un atto critico, altrimenti avremmo un cominciamento dogmatico. Il che significa che il principio empirico 'merce' da cui si prendono le mosse deve esser immediatamente spogliato della sua empiricità in un modo che risulti criticamente appropriato alla natura di dò che viene designato con la parola 'merce'. Non si tratta di una immediata riduzione della rappresentazione 'merce' al concetto 'merce', perché anche quest'ultimo dovrà venir costruito. Non resta altra strada allora (per soddisfare l'esigenza sistematica) che un inizio di natura fenomenologica.
      »

      Abbiamo « un intreccio di analisi fenomenologica e costruzione concettuale ».

      Ossia: fenomenologia, dialettica ed empiria.

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    8. La citazione esatta è così: "La filosofia e lo studio del mondo reale sono tra loro in rapporto come l'onanismo e l'amore sessuale." (Marx, Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1975, pag. 218). :-)

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    9. Sia la parola 'concorrenza' che 'competizione' hanno radici che indicano l'andare insieme verso un obiettivo-punto comune. Probabilmente il significato avversativo un tempo non c'era. La stessa etimologia del termine 'merce', oggi associato immediatamente al concetto di profitto, era un tempo associato all'idea di condivisione partecipata, distribuzione. Qualcosa che veniva assegnato e allocato invece che venduto.

      Viviamo in un mondo in cui vigili del fuoco precari innescano (sono costretti?) incendi per poi poterli spegnere e sbarcare il lunario. Un mio vecchio cliente e amico disse "Un terzo del nostro lavoro serve a far danni, un altro terzo a ripararli e solo un terzo crea veramente ricchezza". Con queste premesse il lavoro diventa per forza schiavitù, o, come direbbero in Francia, travaglio.

      Come e quando ci siamo ridotti così? Attraverso quale strada abbiamo rinunciato ai nostri diritti di rappresentanza politici, che sono in primo luogo il diritto a vivere in una comunità solidale?

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    10. Interessante...oltre al riferimento alla 'merce' pure quello 'di partenza' di merito da intendere come condivisione e quindi condivisibile come criterio 'progressivo'...a differenza dell'attuale significato dominante anti umano che ha assunto il 'governo del merito': 'a meritocrazzziiaa che manca in Itagliaaa..

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    11. Concorrere però, credo mantenga una forza espressiva che vale una Carta...l'associazionismo, i partiti, che "concorrono a determinare la politica nazionale" art.49Cost.

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    12. @Luca junior

      Il riferimento è però contestuale all'art.4 Cost:

      « La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. »

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  13. Errata corrige...il giorno dopo valorizziamo 'il capitale'...
    La domanda (che mi pongo sempre anch'io) "perché si deve lavorare?" andrebbe allora materialisticamente riformulata potrebbe essere 'perché si ritiene che l'unica forma per dannarsi l'anima è quella salariata? E cioé: perché si ritiene che la riproduzione sociale (sessuale/demografica) sia possibile esclusivamemte sulla base dell'apperopriazione privata del profitto (piú interesse più rendita)?
    Il problema della distribuzione della ricchezza è, in effetti, anche quello della distribuzione del tempo di vita (libero/di autorealizzazione) ma che deeiva dalla DISTRIBUZIONE DEGLI UOMINI IN CLASSI OPERATA DAL CAPITALE...secondo l'unica forma veramente 'perfetta' di mercato: il MONOPOLIO della proprietá dei mezzi di produzione da parte di un unica classe...è questa la provocazione di Engels in risposta al problema della 'disteibuzione' che nei manualini si presenta nelle 4 formalizzazioni dello scontro interno alla classe proprietaria che però, appunto, come nella codificazione 'ordinaria' non risulta come tale (esproprianda dell'altra in cui ci troviamo noi). E questa è una delle 'determinazioni' strutturali del modo capitalistico che non esclude affatto (così Engels doveva sbattersi in continuazione contro le accuse di 'determinismo') 'interazioni' (fra struttura e sovrastruttura),'retroazioni'(della sovrastruttura (compresa quella creditizia) sulla struttura, financo il 'dominio' (della sovrastruttura sulla struttura) ma aiamo sempre a valle di di ciò che lo sviluppo della forza produttiva ha a monte, nella storia, determinato (distribuzione uomini espropriatori/ espropriandi via processi di accumulazione originaria (che prosegue tutt'ora (es.contro produttori autonomi come indicato da Basso, l'artigiano che produce (solo) valore (annientati dal fisco) concentrazione (liberoscambismo, movimenti di capitale, IDE), centralizzazioni (M&A che accelerano tantissimo la trasformazione del plusvalore del plusvalore in capitale...con l'aiuto delle 'liberalizzazioni' dello Stato che mandano falliti i capitali che più 'deboli' che 'escono' o vengono acquisiti).

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    1. Forse la risposta è qui(e a me questa descrizione pare incredibilmente attuale):
      A chi è servito il centro-sinistra?

      D: Centro-sinistra sì, centro-sinistra no: sulle piazze questo è il tema dominante della campagna elettorale. Lelio Basso, tu che hai vissuto da vicino il dramma della scissione socialista - una delle conseguenze più gravi di questa formula - vuoi spiegarci a chi è servita?

      R: Cominciamo a vedere come è nato il centro-sinistra. Secondo me, era necessario alla Dc per due motivi: uno, puramente aritmetico, derivante dalla mancanza di una maggioranza stabile in Parlamento e uno, di fondo, che consiste nella necessità per il capitalismo moderno di contare su un partito operaio nella maggioranza di governo, possibilmente al suo servizio. Per il nuovo padronato, per il neocapitalismo, è necessario stabilire rapporti istituzionali con il movimento operaio, con i sindacati, per fare passare la politica dei redditi, ad esempio, e per una serie di altri motivi. Mentre per il vecchio capitalismo il lavoratore era sempre un nemico, per il nuovo non è più così: il lavoratore è rispettato in fabbrica e rappresenta un potenziale consumatore per i consumi di massa. A condizione però che accetti il sistema: per questo è necessario servirsi di un partito della classe operaia. Ecco, su questa esigenza di carattere generale, che ha portato al governo le socialdemocrazie in molti paesi d’Europa, all’inizio della quarta legislatura si è innestata una esigenza di carattere numerico che ha indotto la Dc ad “aprire” ai socialisti. Di conseguenza, il centro-sinistra non era altro, per la Democrazia Cristiana, che un mezzo per assorbire il Psi in questa maggioranza (naturalmente in posizione subalterna) permettendole di continuare una politica conservatrice, una politica che le poche riforme che ha fatto, le ha fatte soltanto a fini di conservazione.

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    2. D: Questo per la Democrazia Cristiana. Ma secondo te, che eri ancora nel Psi quando si delineava l’esperimento, cosa speravano i socialisti dal centro-sinistra?

      R: A prescindere dal nostro scetticismo (che si rivelò fondato) c’erano allora due posizioni favorevoli al centro-sinistra e che possiamo grosso modo identificare in Nenni e Lombardi. Per Nenni contava solo il fatto di andare al governo, pur sapendo benissimo di andarci in forma subalterna, pur rendendosi conto che questo governo non avrebbe fatto niente d’importante. Non si faceva illusioni, insomma, ma al governo voleva andarci egualmente per due motivi: da una parte perché attribuiva alla stanza dei bottoni un potere maggiore di quanto in realtà ne abbia, perché credeva di contare di più; dall’altra per conferire al Psi quella patente di rispettabilità verso la piccola e media borghesia che l’avrebbe presentato di fronte all’opinione pubblica come uno dei possibili partiti di governo: diciamo che lo considerava come il superamento di un esame di maturità. Quello di cui Nenni invece non si rendeva conto era il fatto che un partito non può conservare una personalità immutata attraverso vari mutamenti di politica, e che una politica come quella che si apprestava a fare avrebbe comportato l’uscita dal partito di certi compagni e l’ingresso di altri, più omogenei a questa nuova politica.
      Per cui, anche ammesso che attraverso un’esperienza del genere il partito socialista riesca a diventare un partito maggioritario - e a governare (io ad un’eventualità simile non ci credo per niente), al governo del paese ci sarebbe un partito che di socialista ha conservato solo il nome, l’etichetta, ma, di fatto, è già un partito borghese. L’errore di Lombardi, invece, è stato quello di avere creduto veramente nel centro-sinistra, nella possibilità che da questa collaborazione con la Dc venissero fuori grandi riforme.

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    3. D: Prescindendo ora dalle singole forze politiche, qual è il quadro di insieme che il centro-sinistra si lascia alle spalle dopo cinque anni di governo?

      R: Una situazione sostanzialmente immutata rispetto ai precedenti governi centristi: non mi pare proprio che ci siano stati spostamenti di un qualche rilievo. In definitiva si sono sostituiti i socialisti ai liberali ma la situazione è rimasta la stessa.
      L’unico risultato veramente importante del centro-sinistra è stata la cattura del Psi: io non guardo alle cose che doveva fare e non ha fatto, ai programmi non realizzati, tanto non ci ho mai creduto. Ma questo aspetto, la cattura cioè del partito socialista e la conseguente scissione nelle forze della classe lavoratrice è importante anche perché ha diminuito l’ampiezza dell’opposizione. Ora io vorrei dire a Nenni: se tu vai al governo in una situazione come questa, in cui la Dc fa quello che vuole, non ottieni proprio nulla; ma una forte opposizione, invece, può ottenere qualcosa. Se la Dc vedesse ogni cinque anni le sue posizioni indebolirsi, se fosse schiacciata, tallonata da una opposizione forte, che avanza anche numericamente perché riesce a creare una tensione nel paese, probabilmente farebbe di più. Così invece, l’opposizione è indebolita dalla sterilizzazione del partito socialista.
      E vorrei sottolineare un altro aspetto negativo di questi cinque anni di centro-sinistra: il trasformismo del Psi, il fatto che un partito con grandi tradizioni di lotta alle spalle sia andato al governo per lasciare le cose più o meno com’erano, ha contribuito a far crollare la fiducia dell’opinione pubblica nei partiti. Proprio così: oggi la gente tende a non distinguere più fra partiti di governo e partiti di opposizione, attacca il sistema dei partiti dicendo che sono tutti eguali, proprio perché ha l’esempio fisico del Psi, questo partito che dopo aver detto per molti anni, quand’era all’opposizione, certe cose, è andato al governo e le ha dimenticate.Lelio Basso A chi è servito il centro sinistra?, «Vie nuove», 9 mag. 1968, n. 19, pp. 17-18.

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