Un’Europa divisa in ottanta Stati
1. Mi limiterò a fornire alcuni punti di riferimento per orientarsi sulle tensioni cui sono sottoposti gli Stati nazionali e sulle finalità strategiche, cioè perseguite attraverso tappe graduali "tattiche", programmatiche ed efficienti, cui mira la creazione di queste tensioni.
Anche solo partendo dalle fonti qui utilizzate chiunque può effettuare una ricerca e trovare una quantità sterminata di conferme su ulteriori fonti documentali, che rinviano a vicenda nel comporre un quadro altamente coerente e univoco.
2. Cominciamo da un passaggio già riportato e tratto da una fonte USA (per quanto "critica"):
C'è
un altro aspetto, meno ovvio, del proliferare di istanze separatiste in Europa,
di cui ha parlato Karel Vereycken, ex portavoce elettorale di Jacques Cheminade,
in un'intervista per Sputnik il 6
ottobre. Per gli irriducibili euristi nella tradizione di Leopold Kohr, un
sodale di Winston Churchill, "i grandi stati nazionali europei devono essere
frantumati in piccole entità di 5-8 milioni di abitanti, per far sì che la
popolazione europea accetti un superstato sovrannazionale UE", ha spiegato
Vereycken. "Questo vale sia per la Catalogna sia per molte altre regioni, tra
cui le Fiandre, la Scozia e la Lombardia".
Questi
piani esistono da decenni, ma ora diventano più o meno attuali a seconda delle
circostanze. Per quanto riguarda la Spagna, non trascuriamo il fatto che il
governo ha recentemente espresso l'intenzione di partecipare alla Belt and Road
Initiative cinese, il che potrebbe costituire un casus
belli per l'UE.
...Appare utile capire meglio la figura e il pensiero di Kohr, il cui libro più noto è intitolato "La rottura (id est: "scomposizione") delle Nazioni". Propongo una estrema sintesi del suo pensiero, che si muove tutto all'interno della ventoteniana concezione
per cui gli Stati, a prescindere dalla distinzione delle loro
dimensioni nazionali e territoriali nonché dalle vicende storiche che li
caratterizzano, siano guerrafondai e imperialisti (anche se, almeno, lo
presupponeva sulla base della eccessiva grandezza di tali
organizzazioni statali, introducendo un elemento imprecisato e che,
muovendo dagli Stati Uniti e dall'Impero britannico, nei quali si era
formato e insediato, e dalla considerazione dell'Impero asburgico, in
cui era nato, risulta fuorviare "in apice" la sua intera visione):
"La causa di tutte le forme di miseria sociale è una sola: la
grandezza … La grandezza, ovvero sia il raggiungimento di dimensioni
eccessive, non rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma
costituisce il solo ed unico problema dell'universo …
Il pensiero di Kohr è stato una fonte importante di ispirazione per il movimento verde, il bioregionalismo e i movimenti anarchici. Ha inoltre influito sul pensiero di Ernst Friedrich Schumacher, che si è ispirato a Kohr per il suo libro "Small Is Beautiful".
3. Ma dove possiamo ritrovare il "piccolo è bello" in tutta la capacità di concreta applicazione pro-€uropea della (abilmente) suggestiva formula?
Ecco un riscontro immediato, manifestamente conseguenziale e facilissamente reperibile in rete (quanto enunciato mi pare così chiaro che non occorre una traduzione):
The United States of Europe, A Eurotopia?
The United States of Europe, A Eurotopia? is a 1992 booklet, authored by Dutch businessman and pro-European political activist Freddy Heineken. The book proposes a federal United States of Europe, in which larger European countries break into a number of smaller, more ethnically and linguistically homogeneous states.
The idea
The plan gives a division of Europe in regions. Heineken went to Henk Wesseling for advise on the division, who was Professor of History at the University of Leiden.
The designs from the plan were left to the Leiden historian Wim van den Doel. Eurotopia takes ethnic sensitivities into account, to cause the least possible amount of friction. The basic idea is a Europe
that is completely composed of states with roughly 5 to 10 million
citizens. According to Heineken, the absence of a powerful state would
lead to a chance of more stability, equality and peace. While under the
motto of small is beautiful, administration in the states could be more
efficient (...e come poteva essere diversamente?)
4. Il concetto di "Utopia" sposato (col pragmatismo tipico di Olandesi e anglosassoni), a strumenti di attuazione ben immediati e praticabili, ci riporta a un'importante citazione, che fece una radiografia puntualissima di questa strategia: utopia sposata a tattiche molto pratiche, infatti, rinviano a una strategia che è tutto meno che "utopica", (ove, ovviamente, ne fossero enunciati i suoi veri scopi). Si tratta della "definizione" degli Stati Uniti d'Europa data da Rosa Luxemburg (v. p.6). Certe idee sono pervicacemente perseguite nel corso dei secoli, finché permangono gli interessi dominanti che le promuovono:
«Il carattere utopico
della posizione che prospetta un’era di pace e ridimensionamento del
militarismo nell’attuale ordine sociale, è chiaramente rivelato dalla
sua necessità di ricorrere all’elaborazione di un progetto. Poiché è
tipico delle aspirazioni utopiche delineare ricette “pratiche” nel modo
più dettagliato possibile, al fine di dimostrare la loro realizzabilità.
A questa tipologia appartiene anche il progetto degli “Stati Uniti
d’Europa” come mezzo per la riduzione del militarismo internazionale. [...]
L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...] ...Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...] ...Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
5. "Ricette pratiche" perciò proliferano, sia a livello di soluzioni normative €uropee grandi-riformatrici" (le "macroregioni", di cui abbiamo più volte parlato), sia a livello di iniziative autopromosse "dal basso" delle "piccole patrie", sfruttando pedissequamente il già vigente diritto europeo, per spingere verso la realizzazione dell'obiettivo finale. Le autonomie che superano l'esigenza stessa degli Stati nazionali, dissolvendoli negli USE, in quanto tutte le aree ricche sono autogestibili in pareggio di bilancio, perseguono la competitività e la crescita export-led e, potendosi disinteressare delle problematiche delle altre aree componenti gli Stati depotenziati, possono assumere la valuta unica come un non-problema, predicando la "neutralità" della moneta (teorizzata da Hayek e Einaudi e alla base dell'€uropea "economia sociale di mercato).
6. Cioè, "in soldoni" (è proprio il caso di dirlo), il problema dell'euro si pone SOLO IN QUANTO si sia agganciati, dentro lo Stato nazionale, ad altre aree a sviluppo economico non omogeneo: a queste ci pensi lo Stato-minimo costituito dalle istituzioni €uropee della trojka,- come per la Grecia (da cui prendere le distanze sul piano anzitutto morale).
7. Dal territorio dello Stato italiano, non certo a caso, sono già partite le iniziative di avanguardia:
Integrazione europea ed Euregio
L’Unione europea, grazie alla libera circolazione di persone, beni e
servizi e alla moneta unica, è ormai una realtà concreta e visibile. Da
tempo le decisioni del legislatore europeo e le direttive o i
regolamenti che ne discendono influenzano la nostra vita quotidiana,
formando la cornice per una vera unità europea.
Il rafforzamento della collaborazione e coesione tra gli stati
rappresenta il fulcro del processo di integrazione europea. Come
esplicitato nella prima premessa del Preambolo al TFUE (Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea), il concetto di “integrazione
europea” indica “l'unione sempre più stretta fra i popoli europei”,
non solo a livello economico, ma anche nei settori della giustizia e
della politica interna nonché in relazione a una politica estera e di
sicurezza comune. In tale contesto assume un ruolo fondamentale la
politica regionale dell’UE, che persegue tra gli altri l’obiettivo della
cooperazione territoriale europea, da realizzarsi tramite soluzioni
condivise volte alla collaborazione transfrontaliera, transnazionale e
interregionale (ad es. i progetti INTERREG).
L’Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino è espressione diretta di tale
collaborazione transfrontaliera, in quanto promuove la cooperazione tra i
tre territori nei più diversi ambiti - che si tratti di trasporti,
agricoltura, istruzione o cultura - concretizzando l’idea di
approfondire i legami politici, economici e culturali attraverso la
fruttuosa attuazione di numerosi progetti.
Già nel 1995 fu istituita la rappresentanza comune dell’Euregio
Tirolo-Alto Adige-Trentino a Bruxelles, che all’epoca rappresentava il
primo esempio di cooperazione interregionale in tal senso".
8. Non ci pare quindi dubitabile il legame tra accentuazione del ruolo delle regioni e la realizzazione della costruzione europea, rinvenendosi, sullo stesso sito, il "crisma" di una fonte UE ufficiale, che, per di più, al regionalismo accoppia le più tipiche promesse (credibili) de Leuropa della pace e dello "sviluppo":
"La politica regionale dell'UE è una politica di investimenti. Sostiene la creazione di posti di lavoro, la competitività, la crescita economica, tenori di vita più elevati e lo sviluppo sostenibile. Gli investimenti sono finalizzati agli obiettivi della strategia Europa 2020".
Il superamento dello Statonazionalebrutto, col suo welfare (sanità e pensioni pubbliche, da sostituire col sistema del mercato finanziario privato), che ostacola il libero mercato transfrontaliero, è offerto apertamente come un grande vantaggio culturale, in una prospettiva rasserenante e ottimista, tale che sarebbe da pazzi irrazionali opporsi:
"La pubblicazione "Polis Europa" mostra come le città ed
i territori d’Europa - in primis l'Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino -
abbiano tuttora un grande potenziale di ricreare una società europea
ricca di cultura e di identità, attraverso interazioni intense ed
articolate e quindi propensi a realizzare il vero “Sogno Europeo”:
l’unità non è una somma di diversità, ma nasce dalla connessione e dalla
mutua fertilizzazione delle diversità. Editore: Matthias Fink, Günther
Rautz, Rainer Weissengruber, Paolo Zanenga; 2016 © Copyright by
Europäische Akademie Bozen, ISBN: 978-88-98857-13-5"
9. Chi potrebbe criticare queste aspirazioni, proprio in quanto talmente astratte da prestarsi a politiche economiche, fiscali e industriali multiformi e non esplicitate?
Bisognerebbe andare a verificare i "piani" dei promotori (altolocati) di queste enunciazioni. Ricostruzione in passato tentata (evidenziando interessanti connessioni), e che si aggira sempre intorno alla teorizzazione "regionalista" di Heineken, Kohr, Mundell e a Mont Pelerin (la ricostruzione francese, appena linkata, è completa e storicamente accurata), cioè ad Hayek e al suo noto "effetto meccanicistico" del federalismo antisolidale: il quale, se se ne vuol realmente capire il funzionamento, trova perfettamente applicazione sul presupposto della istituzionalizzazione progressiva delle "piccole patrie", realizzata via incessante spinta "erosiva" regionalista.
10. E se un modello è così appetibile e "vincente" perché non dovrebbe opportunamente proliferare?
"Qualcuno l’ha già chiamato Nordexit ma non sarà una vera indipendenza
del lombardo-veneto dall’Italia. Lombardia e Veneto rimarranno parte
della Repubblica Italiana ma chiederanno maggiore autonomia, sul modello
di quella concessa alle regioni autonome e in particolare del modo con
cui viene gestita dalle province di Trento e di Bolzano. In poche parole
l’indipendenza che Veneto e Lombardia, regioni guidate dai leghisti
Luca Zaia e Roberto Maroni, è soprattutto fiscale, niente a che vedere
con i sogni di indipendenza della Padania che la Lega Nord accarezza da
vent’anni. L’obiettivo dichiarato infatti è quello di far rimanere sui
rispettivi territori il 90% delle tasse versate dai cittadini veneti e
lombardi".
10.1. I risvolti relativi alle tecnalità contabili legate a trasferimenti di funzioni non sono in fondo molto rilevanti.
Curioso è, invece, il fatto che ci si dimentichi che, il porre la questione "autonomia" in questo modo, - proprio verificando attentamente il modello di cui si chiede l'estensione-, implica una indispensabile e salda fondazione su una pletora di fonti di diritto €uropee.
Ed infatti proprio su queste, per necessità pratica e logico-giuridica, si fonda la propria legittimazione, contando, oltretutto, sulla dichiarata matrice €uropea della riforma del Titolo V, che chiude il cerchio della "legittimità" selezionando, della Costituzione, proprio la parte che è più conforme al disegno dell'assottigliamento del ruolo (solidale) dello Stato nazionale - e liquidando come irrilevante tutto il resto.
L'assottigliamento risulta inevitabilmente funzionale, come abbiamo visto, a "lubrificare" la istituzionalizzazione degli USE delle piccole patrie.
10.2. La forza mediatica di questa suggestione, in cui la moneta unica riprende implicitamente il suo ruolo di pretesa neutralità - Einaudi non a caso torna sugli scudi-, e pertanto finisce per essere un problema poco sentito, una volta valorizzate altre priorità, trova subito conferma (e non da oggi):
"La notizia del giorno, che ha fatto tweettare di gioia il Presidente
della Lombardia Roberto Maroni che ha detto che “Vittorio Feltri è il
più grande giornalista vivente” è che Libero e Feltri hanno annunciato
che sosterranno le ragioni del Sì al duplice referendum. Non si sa
quando si terrà il referendum perché il Governo ha detto di non essere
disponibile a far tenere la consultazione referendaria, che riguarderà
unicamente i 15 milioni di cittadini di Lombardia e Veneto, con le
amministrative di aprile. Maroni e Zaia hanno espresso l’intenzione di
andare al voto assieme e quindi per il momento sembra probabile che
veneti e lombardi andranno alle urne ad inizio di ottombre 2017. Su
Libero Feltri ha scritto che il referendum per l’autonomia di Lombardia e
Veneto potrebbe addirittura salvare l’Italia, di certo se tutta
l’operazione andasse in porto (ed è un grande se) si parla di circa 70
miliardi di euro (53,9 miliardi per la Lombardia e 18,2 miliardi per il
Veneto) di residuo fiscale – vale a dire la differenza tra entrate
provenienti dalle tasse e spese – che invece che essere trasferiti allo
Stato centrale potrebbero rimanere sui territori ed essere investiti per
servizi al cittadino e per far ripartire la locomotiva del Nord Est..."
11. Questo combinato di legittimazione €uropea e di lettura iper-selettiva del dettato costituzionale, rinvia con evidenza alla questione catalana, e, nel quadro della "via" italiana alla dissoluzione progressiva dello Stato nazionale, ci fornisce una coerente spiegazione.
Non solo la rivendicazione lombardo-veneta trova nel diritto €uropeo la fonte di legittimità (autodichiarata nel modello ispiratore) di quanto già realizzato in Italia, e quindi da estendere , ma questo stesso modello, nel quadro della già ottenuta "italica" soluzione costituzionale filo-€uropeista, si staglia come soluzione anche al problema catalano.
Una soluzione condita da "l'Accordo di Parigi" del 1946 e dal suo endorsement ripetuto da parte della corte costituzionale italiana, con tanto di appoggio dato da una risoluzione del 1961 delle Nazioni Unite, che consente all'Austria di parlare, oggi, di una sua "funzione tutrice" su parte del territorio nazionale italiano.
E il modello risulta, (al di là del problema di una forzatura della "risoluzione" ONU), un esempio di asimmetria politica che preannuncia nuove applicazioni "tutorie" legate all'espansione del modello di autonomia nella sua prevedibile (anzi già prevista) proiezione transfrontaliera. Certo, anche nelle sue versioni più attualmente caldeggiate, da più parti italiane, una funzione tutoria sarebbe giocoforza attribuibile alla Germania: che, come si sa, agisce su larga scala e pensa al futuro con un pragmatismo tutto suo, che prefigura un futuro assetto piuttosto...esteso del concetto di macroregione (che supera tutti gli Stati nazionali-tranne-uno).
11.1. Ma veniamo alla soluzione euro-regionalista per l'autonomismo della Catalogna (cioè a che condizioni si può fare, agendo non affrettatamente e sapendo rifarsi alla "legittimità" €uropea. E sempre rammentando la "proprietà transitiva")
Accordo di Parigi: non obsoleto, esempio per la Catalogna
Grande attualità politica dell'Accordo di Parigi, l'autonomia altoatesina come possibile esempio per la Catalogna sulla scorta di una mediazione internazionale, la sensibilità della Corte costituzionale sull'intesa Alcide De Gasperi- Karl Gruber:
molto gli spunti emersi oggi a Palazzo Widmann alla presentazione del
volume "70 anni Accordo di Parigi". Presente anche il sottosegretario
agli Affari regionali Gianclaudio Bressa, la giornata
ha visto tra l’altro l’intervento di Daria de Pretis, giudice della
Corte Costituzionale e già rettrice dell'Università di Trento.
Il
presidente della provincia di Bolzano e Presidente dell'Euregio, Arno Kompatscher
ha ribadito che "l’Accordo di Parigi non è obsoleto, ma resta il
fondamento internazionale dell’autonomia e della tutela delle minoranze
linguistiche" e ha fra l’altro ricordato il principio del consenso
bilaterale fra Italia e Austria che presuppone modifiche dello Statuto
solo attraverso lo strumento dell’intesa. Arrivando ai nostri giorni, il
Presidente ha fatto esplicito riferimento alle tensioni fra il governo
spagnolo e la Catalogna, "che a differenza dell’Alto Adige non dispone
di un’autonomia garantita internazionalmente (ndr: ma va detto, anteriormente all'adozione della Costituzione e quindi al possibile filtro dell'art.11 Cost, che, peraltro, la Corte costituzionale è alquanto restia ad applicare, anche rispetto ad un trattato, appunto, del 1946). Lo Stato può pertanto
intervenire a limitare o addirittura abolire alcuni poteri
dell’autonomia." (ndr: il Titolo V "riformato" in nome dell'€uropa, invece, non solo questi poteri li ha ampliati, ma, com'è ora noto, consente di estenderli ulteriormente). Come possibile soluzione Kompatscher si è pronunciato
per un’azione di mediazione internazionale, "che
dovrebbe non solo cercare un compromesso accettabile per ambo le parti,
ma anche assumersi la responsabilità di controllare che venga rispettato
e mantenuto. L’autonomia altoatesina in questo senso può costituire un
esempio." Per il futuro il compito a livello locale sarà quello di
"adeguare l’autonomia ad una cornice in continuo mutamento e di
ampliarla secondo il concetto di autonomia dinamica."
...
La prospettiva storica copre gli avvenimenti prima, durante e dopo la
conclusione dell’Accordo, mentre l’analisi giuridica si occupa dello
sviluppo della tutela delle minoranze a livello di diritto
internazionale in Europa e a livello costituzionale in Italia,
dell’esercizio della funzione tutrice austriaca e della cooperazione
regionale nell’Ue, illustrata dall’esempio dell‘Euregio."
ADDENDUM: consiglio di leggere i commenti di Francesco Maimone seguiti a questo post, poiché altamente istruttivi.
ADDENDUM: consiglio di leggere i commenti di Francesco Maimone seguiti a questo post, poiché altamente istruttivi.
La mia città,Ancona ,è stata la sede d'una conferenza ,sul finire degli anni 90 per l' istituzione della Macroregione Adriatico -Ionica.La Regione Marche ha poi attivamente sostenuto questo progetto ,sotto la presidenza di Spacca,personaggio legato strettamente con la famiglia Merloni,proprietaria dell' Ariston-Indesit,una multinazionale che aveva il suo centro nel fabrianese e che ha delocalizzato nei Balcani in paesi 2no euro".Non a caso alla regione Marche fu affidata la tematica "ricerca innovazione e sviluppo pmi".Per la zona di Fabriano gli ultimi sono stati anni di delocalizzazione e crisi nera ,chissà perchè?!http://www.regione.marche.it/Regione-Utile/Fondi-Europei-e-Attivit%C3%A0-Internazionale/Macroregione-adriatico-ionica
RispondiEliminaHai presente "cuius REGIO eius religio"? Se la regio, com'è naturale, è potenziata nella sua forza politica dalle regole europee, unevitabilmente ne adotterà la religio.
EliminaE siccome sono idee (religio) fondamentalmente supply side, ormai digerite come la grande panacea (se no sei retrivo e magari pure comunista-keynesiano...), si tratta di un sostanziale "CUIUS UNA R€GIO EIUS RELIGIO".
Solo che il metodo è PSICOLOGICAMENTE perfetto (nel mondo mediatizzato-pop, con la Storia-pop, l'economia-offertista-pop e il costituzionalismo politico-pop), perché in più ti ci piazzano pure "l'identità": CONTRAPPOSITIVA (cioè tutte le r€giones contro tutte, esattamente come predica l'art.3, par.3, del trattato: "economia sociale (RIEMPITIVO pop) di mercato fortemente competitiva"...su basi regionali).
Diciamo anche che se bolzano ha effettivamente legami culturali col tirolo...non si vede cosa possa c entrare la Croazia con le marche.
EliminaRidiamo anche un pò per non piangere solo....
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=6hKN6II-Tdc
LOL! Che poi in effetti, avevo proposto la secessione di Roma Nord da Roma Sud, e in effetti il problema è molto sentito a livelli gravissimi :-)
Eliminahttps://www.youtube.com/watch?v=q5be9vqwTMk
[cavaliere, con questa siamo all'Olimpico .. :-))]
Elimina[cavaliere, con questa acquisisci l'Olimpico .. :-))]
EliminaE' fuori tema ma l' ho sentita questa mattina alle 7.e30 in macchina mentre tornavo dal lavoro:la tramissione su radio 1 rai ha già un titolo che fa capire tutto "Caffè Europa".Il servizio di Anna Notariello parte con la notizia che il Regno Unito non potrà curare i malati ci cancro per l' uscita dall ' Unione e quindi dall' Euratom.Terrorismo puro,smentito in parte poi durante il servizio dall' intervista ad un collaboratore della Stampa Emmanuele Bonini ;comunque un chiaro sintomo che i media non ci stanno e l'ultima affermazione della "giornalista" sulle 100 tonnellate di plutonio stoccate nell' Irlanda del nord"utili per costruire 20.ooo bombe atomiche è il piatto forte del "servizietto".L' audio è dal minuto 9.30 al minuto 13.30.Un ulteriore chicca è che l' Ue ha proposto ,in caso di controversie l' arbitrato della Corte di giustizia Europea:i britannici hanno rifiutato,cissà perchè???http://www.radio1.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-c8da0a82-ab22-4377-9100-8139023b819a.html
RispondiEliminaIndicativo di come "negozi" l'UE: la sottoposizione alla giurisdizione CGUE era vista come il principale "baco" de-sovranizzante lamentato dall'establishment britannico (in uno Stato con costituzione non scritta e senza una Corte costituzionale).
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html (v. p.1)
E gli euro-negoziatori, dunque, non possono risparmiarsi un'autentica provocazione, indicativa di quanta equanimità possa poi guidare "l'informazione", sul versante eurofilo, relativa alle condizioni post-Brexit.
Questo articolo sul New Scientist, dal titolo eloquente, è del 3 Settembre 2014, End of nations: Is there an alternative to countries? (La fine delle nazioni: C'è un'alternativa ai Paesi? — vi rinvio ad una copia sulla Wayback Machine dello Internet Archive perché non è più accessibile senza iscrizione):
RispondiElimina«Ironia della sorte, dice Jan Zielonka dell'Università di Oxford, l'UE ha salvato gli stati nazionali europei, che sono troppo piccoli per competere individualmente. L'invito dei partiti nazionalisti a "riprendere il potere da Bruxelles", sostiene, porterebbe a paesi più deboli, non più forti.
[Zielonka] Vede un problema diverso. Gli stati nazione hanno avuto origine dalle complesse gerarchie della rivoluzione industriale. L'UE aggiunge un altro livello di gerarchia — ma senza abbastanza integrazione sottostante per esercitare un potere decisivo. Mancano entrambe le condizioni necessarie di Maleševic: ideologia nazionalista e una pervasiva burocrazia integrata.
Anche così, l'UE potrebbe indicare il modo in cui apparirebbe un mondo oltre lo stato-nazione.
Zielonka concorda sul fatto che un'ulteriore integrazione dei sistemi governativi europei è necessaria quanto più le economie diventano interdipendenti. Ma sostiene che la gerarchia spesso paralizzata dell'Europa non può raggiungere questo obiettivo. Invece vede la sostituzione della gerarchia da reti di città, regioni e anche di organizzazioni non governative. Suona familiare? I proponenti lo chiamano neo-medievalismo.»
Così, messo nero su bianco: questi signori ci vogliono precipitare in un nuovo medioevo (ma lo mascherano da auspicabile/inevitabile evoluzione storica scientificamente certificata). Vi state preparando a diventare neo-servi della gleba?
L'autrice dell'articolo è Debora MacKenzie, consulente per il New Scientist da Brussels. Dite la verità: l'aggiunta di questo fatterello finale vi ha sorpresi! Allora aggiungerò anche che Debora conosce la verità sulla migrazione, ovvero che —su basi puramente economiche— è un fenomeno che fa bene a tutti: The truth about migration: How it will reshape our world.
A dire la verità non ci sorprende molto: Francesco Maimone, se ben ricordo (E Lucasant potrà farlo meglio di me) aveva già menzionato il neo-medievalismo come schema di evoluzione dell'€uropa. E, d'altra parte, la MacKenzie ci fornisce solo un'applicazione, in chiave europea, delo globalismo "buono" della Sassen (non a caso richiamata di recente qui: http://orizzonte48.blogspot.it/2017/09/vademecum-per-la-difesa-della-sovranita.html).
EliminaAnalogamente, il mercato del lavoro "dualistico" (con la parte "bassa" alimentata dall'immigrazione) è pur sempre la versione TINA della nuova sociologia "progressista" delle città globali, sempre ascrivibile alla Sassen.
Diciamo che i "centri di irradiazione" hanno formato quadri omogenei e agguerriti per irrorare, su più linee di attacco, il controllo mediatico-culturale (Lascienza...pop).
Ho tralasciato: il neomedievalismo era nostalgicamente richiamato da Giuliano Amato...
EliminaL'ultima mia annotazione è ironica: la (non) sorpresa è che la MacKenzie è inviata da Bruxelles (vive in Belgio da 30 anni secondo le sue note biografiche) ed essendo giornalista immagino che le sue maggiori frequentazioni, quanto meno per coltivare relazioni sociali utili per motivi professionali, siano con persone che lavorano per l'apparato UE. Anche volendo fare un grosso sforzo per immaginarla come giornalista più indipendente (un po' come le banche centrali) e ben intenzionata del continente, non c'è da meravigliarsi se rigurgita il fior fiore delle ideone della cultura in cui è immersa.
EliminaNon mi ricordo sotto quale post ho pubblicato il commento, ma forse Quarantotto si riferisce al seguente:
Elimina“Già, gli stati laici moderni originano dalla deteologizzazione della repubblica cristiana e si affermano come soggetti dello jus publicum europeaum, determinando il passaggio dal diritto internazionale medievale a quello moderno, da un pensiero ecclesiastico-teologico ad uno giuridico statale. Quest’ultimo, come non a caso sosteneva Hegel, poteva portare progresso umanizzando e razionalizzando la guerra. Era Schmitt s sostenere che le guerre intereligiose derivavano da un mancato riconoscimento della statualità, di una società senza stato. Lo stato moderno comincia così a formare una superficie territoriale conchiusa, delimitata verso l’esterno dai confini precisi e capace di regolare i rapporti esterni con altri ordinamenti territoriali organizzati allo stesso modo (il Nomos della terra).
Si poneva fine al diritto internazionale medioevale. E con questa fine si passava dall’idea della “GUERRA GIUSTA”, ideologica in quanto teologica (legittimata se mossa contro i “barbari”, visti come l’Anticristo e nemici dell’umanità, ed a prescindere dal fatto che fosse d’aggressione o di difesa) al concetto di “JUSTUS HOSTIS”: un nemico le cui ragioni sono equivalenti a quelle dell’avversario. Diveniva legittima ogni guerra interstatale condotta tra sovrani con eguali diritti.
Tutto ciò era possibile grazie al sorgere della sovranità come unità di ordinamento e localizzazione, unità di una comunità popolare governata dalla propria Sittlichkeit (appunto il “Nomos della terra ” nei termini più strettamente schmittiani: “ L’occupazione di terra costituisce per noi, all’esterno (nei confronti di altri popoli) e all’interno (con riguardo all’ordinamento del suolo e della proprietà entro un territorio), l’archetipo di un processo giuridico costitutivo . ESSA CREA IL TITOLO GIURIDICO PIÙ RADICALE…, C. SCHMITT, Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello "jus publicum europaeum", Milano, Adelphi, 1991, 20) ed in antitesi alla visione di kelsenian-bobbiana che culla l’attuale gius-globalismo con sigillo non casualmente cattolico. Lo sforzo di Schmitt è stato quello di offrire una fondazione etico-politica dell'ordine sociale, radicalizzando la fondazione della validità del diritto (pur con i suoi stati di eccezione): “… La considerazione scientifica dei problemi della vita associata è frammentata in molte specializzazioni, come quella giuridica, economica, sociologica, ecc. Si impone la necessità di una prospettiva globale, capace di riconoscere l'unità del contesto reale. Sorge in tal modo il problema scientifico di rintracciare categorie fondamentali... ” [C. SCHMITT, Appropriazione /divisione/produzione (1953), in Le categorie del politico, Il Mulino, 1998, 295]”. (1/2)
Ed in questa analisi Schmitt non poteva che differenziare Nomos e Legge “… Gesetz (la Legge) è la rigorosa "mediatezza". Il nomos invece, nel suo significato originario, indica proprio la piena "immediatezza" DI UNA FORZA GIURIDICA NON MEDIATA DA LEGGI; È UN EVENTO STORICO COSTITUTIVO, UN ATTO DELLA LEGITTIMITÀ CHE SOLO CONFERISCE SENSO ALLA LEGALITÀ DELLA MERA LEGGE…” [C. SCHMITT, Il Nomos, cit., 63].. La Gesetz, come momento “mediato”, ha proprio come funzione quella protezione di cui parla Quarantotto.
EliminaQuanto invece al “momento immediato” (Nomos), la sua fondazione non può certo essere confusa con una spiegazione naturalistica-spontanea di impostazione vetero hayekiana “… Il concetto di legge proprio del positivismo delle scienze naturali è sotto questo profilo forse ancora più confuso di quello del positivismo delle scienze giuridiche. Proprio la "LEGGE NATURALE" DELLE SCIENZE NATURALI DESIGNA SOLO LA FUNZIONE MISURABILE, NON LA SOSTANZA. Il positivismo delle scienze naturali non conosce né origine né archetipi, ma solo cause. Al positivismo interessa solo la "legge dell'apparire" (Comte) e non quella dell'essere …”. Con un bel ciaone ad Hayek e ad ogni altro “poeta water” appartenente alla combriccola.
Ora, tutto quanto sopra riportato (cioè lo jus publicum europeaum a base sovranista necessitata) continua ad evaporare con la grande narrazione globalizzatric€ nelle sembianze di una neo-repubblica cristiana. Si ritorna al puro economico prestatale, un salto indietro plurisecolare, dove il nomos basileus è rappresentato dal mercato (con i suoi stretti amici, attualmente conferderati NATO). Le dinamiche ridiventano nuovamente quelle della “guerra giusta”: oggi i nuovi barbari sono coloro che non si lasciano permeare dal verbo mercatistico che, come affermato da Bazaar, costituisce la nuova base ideal-teologica per qualsiasi legittimazione bellica. Con una novità di non poca importanza: ora c’è l’atomica
Questo?
Elimina“il pensiero di Mister Medioevo (al secolo G. Amato) il pensiero di Mister Medioevo (al secolo G. Amato)”
“Tuttavia, in materia di rule of law (intesa come insieme di regole giuridiche che vigono in un contesto in cui il diritto è separato dalla sovranità o, il che è lo stesso, come esistenza di un diritto positivo giuridicamente collocato al di fuori della portata del sovrano e della sua volontà), riporto il pensiero di Mister Medioevo (al secolo G. Amato) in continuità con l’intervista rilasciata a Barbara Spinelli nel luglio del 2000 (e più volte citata).
In stile ordoliberista - come evidenziato nel post - e forse prendendo atto che “la costituzionalizzazione dell’ordine internazionale dei mercati da una qualsiasi assemblea costituente eletta a suffragio universale non c’era verso di farla saltar fuori”, il costituzionalista italiano certifica che è il rule of law (definito addirittura “nucleo essenziale del costituzionalismo”) la vera strada per la salvaguardia dei diritti fondamentali (non la sovranità nazionale, per definizione brutta e, visto che siamo in tema di miti, anche generatrice di guerre). Motivazione? Imbrigliare i poteri globali, di cui ovviamente deve sottintendersi la naturalità e la spontaneità (senza dimenticare che c’è anche la Cina!). Il nostro è però avanti anni luce; non solo l’€uropa mediante la rule of law, ma la Repubblica mondiale (!):
“1. L'emergere dei poteri globali
Molti di noi, costituzionalisti formati mentre si formava l'Europa unita, nutrono un sentimento misto nei confronti della sovranità dello Stato.
Siamo ben consapevoli che essa fu essenziale a far nascere lo Stato moderno. Ne smarcò il fondamento e i poteri dalla legittimazione esterna e, grazie al suo coessenziale requisito della esclusività, ne allargò la giurisdizione, erodendo i poteri frammentati e frammentanti che aveva sotto di sé. Ciò andò certo a beneficio delle casse del sovrano e quindi del rafforzamento della sua burocrazia e del suo esercito, ma creò anche condizioni migliori per lo sviluppo dell'economia e dei commerci e quindi per la formazione di tessuti sociali, politici e poi istituzionali che portarono all'assoggettamento dei poteri statali alla rule of law ed infine ai principi e agli assetti della democrazia…
Sappiamo anche però che l'erosione del pluralismo delle fonti e la centralizzazione del diritto ha avuto dei prezzi, che non è il solo Paolo Grossi a ritenere elevati. E sappiamo soprattutto che FU PROPRIO L'ESCLUSIVITÀ DELLA SOVRANITÀ STATALE ALLA RADICE DEI CONFLITTI INTERSTATALI che segnarono per secoli la vita europea, sino a quando, dopo la intollerabile vergogna di due guerre mondiali scaturite da quei conflitti a distanza di pochi decenni l'una dall'altra, la limitazione delle sovranità nazionali in nome di una PIÙ ALTA UNITÀ EUROPEA PARVE ADDIRITTURA UNA SALVIFICA NECESSITÀ…
Che cosa però è venuto accadendo? Che il ridimensionamento della sovranità statale è avvenuto a beneficio non solo dell'Europa ma anche di altri beneficiari e che soprattutto nel secondo caso, ma in parte anche nel primo, siamo approdati a risultati che ci hanno portato a rimpiangere i vecchi tempi.… (segue)
http://orizzonte48.blogspot.com/2016/12/la-strategia-del-mito-della-purezza-la.html?showComment=1482142553162#c6627032931951336836
p.s. da aprire il link… perché il commento è molto lungo. (Ho dovuto anche tagliarlo… e mi scuso)
Eppure ricordo un diretto richiamo all'ideale medievale da parte del nostro...forse (forse) non era un commento di Francesco...
EliminaDi neomedievalismo parla, nella sostanza e con tono commosso, Paolo Grossi. Ma non ricordo se lo feci già presente in un commento.
EliminaCaro Quarantotto, credo ti riferisca a questo contributo:
Elimina« Miglio, Zagrebelsky e il diritto mite, ovvero, quello che si combina perfettamente: « con un'età "panfederale", basata sul contratto, sull'egemonia non più del politico, ma del privato, dei rapporti contrattuali, e quindi con una rivoluzione anche del diritto pubblico e dei punti che sono rimasti fermi da 150/200 anni »
« La statualità va profondamente trasformata, non è più il punto di riferimento omogeneizzante, l'idea stessa di Stato tende a scomparire; perché in tutte le strutture federali vere la sovranità è divisa, non è mai localizzata »
« Non esiste più il principio di immutabilità dello Stato: anche lo Stato, [non inteso più nella sua accezione classica, in quanto andrà a scomparire, ma come semplice "organizzazione politica"] potrà subire modifiche come per i contratti privati, non sarà più "eterno". Ci sarà la caduta del primato della politica.
Il secondo caposaldo sarà abbandonare il concetto di confine »
Miglio annuncia il nuovo feudalesimo:
« Ovvero torniamo ad un'organizzazione politica analoga a quella che c'era in Europa tra il 600 e il 700 »
« Lo Stato nazionale rimarrà ancora formalmente come amalgama di unità regionali [...] ma lascerà il posto all'Europa delle regioni [...] abbastanza rapidamente » [Gianfranco Miglio parla del progetto dell'Europa delle Regioni o Macroregioni: "10/12/1992 - Il Professor Miglio intervistato alla trasmissione "Faccia a Faccia" parla del progetto dell' Europa dei Popoli e delle Grandi Regioni, dell'evidente divario socio-culturale e dello sviluppo duale nella penisola italica tra il Nord mitteleuropeo e il Sud mediterraneo."]
Tra differenze "antropologiche", "dare e avere" nella contabilità nazionale, e vari luoghi comuni da bar dello Sport, riesce anche ad arrivare ad affermare che: sì il nostro Stato è "assistenzialista", ma «non ha messo radici». (La contraddizione non la coglie, nel suo trip idealista sullo statualismo tedesco nella versione ordoliberista)
Essere profetici senza aver capito una mazza delle cause.
Ha studiato tutta la vita senza comprendere la differenza tra Stato liberale e Stato sociale. »
Occhio che Bitcoin questi fenomeni potrebbe accelerarli. Anzi gli sta già accelerando in quanto piattaforma software in corso di accettazione anche in ambito industriale. Che farà da trampolino per l'utilizzo di massa (fine 2018-2019). A quel punto stati depotenziati e BCE senza cartucce dovranno accettare le richieste di autonomia.
EliminaAnche secondo autori nostrani l’assetto europeo dovrà essere più o meno quello descritto nel post:
RispondiElimina“Talune persone, a Bruxelles, ritengono che l’integrazione europea creerà un vasto Stato nazionale unitario, che avrà bisogno di una costituzione scritta e molto ben strutturata. Si sbagliano. Un’Europa davvero integrata non potrà svilupparsi che a partire dalla coabitazione equilibrata di comunità e gruppi diversi. Invece di una costituzione formale, essa sarà più bisogno di un insieme di principi interconnessi e compatibili tra loro, che reggano la struttura europea nel modo più flessibile…
La salvaguardia delle differenze e dei particolarismi dei gruppi etnici anche più modesti deve quindi essere un principio essenziale dell’Unione europea, tanto è vero che per nessuna ragione – fosse anche in vista dei guadagni materiali più allettanti – bisogna sacrificare l’enorme patrimonio che la nostra civiltà ha accumulato nel corso della sua storia. I principi che dovranno servire da base al processo di integrazione europea dovranno riflettere la natura transitoria della situazione attuale e, più specialmente, illustrare il passaggio DA UN’EUROPA FATTA DI STATI NAZIONALI SOVRANI AD UNA EUROPA COMPOSTA DA GRANDI REGIONI collegate le une alle altre da un tessuto di relazioni federali.
QUESTE ENTITÀ, CHE CHIAMEREI “EUROREGIONI”, non si definiranno in termini geopolitici, MA PIUTTOSTO IN TERMINI ECONOMICI. I principi che reggeranno questa transizione dovranno precisare il modo in cui i vecchi Stati nazionali allenteranno le loro strutture interne per diversificarsi in una pluralità di collettività.
Altro principio fondamentale: le istituzioni europee … DOVRANNO ESSERE IL RISULTATO DI ACCORDI NEGOZIATI PIUTTOSTO CHE DI DIKTAT DI ORGANI SOVRANI. In altri termini, solo alcune istanze saranno abilitate a prendere le decisioni e a fissare le regole da rispettare da parte di talune categorie o da tutti i cittadini dell’Unione. Ad ogni modo, esse dovranno rispettare procedure basate quanto più è possibile su negoziazioni preliminari. Da questi principi deriva che il concetto di frontiera nella sua accezione attuale deve essere spoliticizzato. Considerate nella loro qualità di unità territoriali, le comunità ammesse nell’Unione saranno separate unicamente da immaginarie frontiere amministrative. Bisognerà riconoscere ed incoraggiare l’esistenza di enclaves…Così dovremo evitare di uniformare i sistemi giuridici tradizionali dei diversi gruppi etnici, dei differenti paesi e delle molte comunità che hanno costituito la variopinta trama della civiltà europea da centinaia di anni…
Precisiamo infine che nel momento in cui elaboreremo tali principi di funzionamento dell’Unione europea dovremo evitare di cadere nella trappola che consisterebbe nel riprodurre le strutture istituzionali abituali dei vecchi Stati nazionali…” [G. MIGLIO, Evitiamo di sacrificare la diversità sull’altare dell’integrazione!, giugno 1996, Federalismo e libertà, 2002, anno IX, numero unico, ora in Quaderni Padani, anno XII, marzo-giugno 2006, 79-80]. (segue)
“… Che senso ha…parlare di Europa unita? L’Unione europea preconizzata a Maastricht è già morta e sepolta…Continua a discettare di Stati unitari che dovrebbero abdicare a quote di sovranità, e resta quindi prigioniero della vecchia logica dell’equilibrio europeo fondato sugli Stati-nazione. Sbagliano dunque gli epigoni del generale de Gaulle, che propugnano l’Europa degli Stati-nazione, delle patrie. Ma sbagliano anche i tecnocrati di Bruxelles che puntano su di un grande Stato nazionale europeo, possibilmente governato da loro stessi.
RispondiEliminaL’europa di domani avrà tutt’altro aspetto. SARÀ PLASMATA DAI RAPPORTI ECONOMICI, L’UNICA PARTE VITALE DELLA COSTRUZIONE EUROPEA. Sarà costituita da grandi regioni, o addirittura da grandi metropoli. Già oggi alcune aggregazioni di grandi città formano delle megalopoli che di fatto sostituiscono lo Stato, non essendo però più uno Stato di tipo tradizionale (vedi il Randstad Holland, formato dalle città olandesi di Rotterdam, Amsterdam, l’Aia e Utrecht, comunità del Nord della Ruhr, eccetera). E questo in fondo è un grande ritorno: basti pensare alle città dell’epoca di Althusius, che erano Stati. Questi saranno i soggetti forti della futura convivenza europea.
Tengo a rimarcare il termine ”convivenza” : non comunità, non unione, ma convivenza. Noi siamo stati ossessionati dal concetto di unità e lo abbiamo trasferito anche al continente, malgrado sia evidentemente privo di senso. Oggi le società europee non esprimono affatto l’unità, bensì il suo contrario, la convivenza. Essa prende il posto della vecchia competizione fra Stati, che di tanto in tanto si trasformava in guerra, estremo regolatore della conflittualità interstatuale. Nella vecchia logica dello Stato moderno, si cercava ciò che poteva unire le nazioni e si rifiutava ciò che le divideva. Oggi la gente rifiuta questa maniera di ragionare. L’hanno rifiutata in Cecoslovacchia, la stanno rifiutando in Belgio e in Canada…. A poco a poco questa idea verrà respinta dappertutto, PERCHÉ PREVARRÀ LA FORZA DELL’ECONOMIA, DEL MERCATO GLOBALE.
In un’Europa organizzata dall’economia, già ora si intravedono quelle che saranno le grandi euroregioni del prossimo futuro. Una, che ci riguarda direttamente, sarà quella del Tirolo. Penso a una regione a economia prevalentemente turistica, dotata però di una sua consistenza. Essa dovrà comprendere tutto il Tirolo, settentrionale e meridionale, magari esteso anche al Tirolo di lingua italiana, che è il Trentino. Un’altra euroregione, ben più importante, sarà la Padania” [G. MIGLIO, Ex uno plures, Conversazione con Gianfranco Miglio, a cura di Lucio Caracciolo, Limes, n. 4/1993, ora in Quaderni Padani, anno XII, marzo-giugno 2006, 51-52,].
E in Italia? Altro che federalismo delle “competenze” basato sull’autonomia nazionale! “In tale contesto, le “autonomie regionali” sono una vera farsa. Per effetto di questo meccanismo, le risorse economiche prodotte, anzichè destinate a creare nuove fonti di ricchezza, vengono bruciate da “trasferimenti” che, sotto la maschera di una falsa solidarietà privilegiano i titolari di paghepolitiche, E PENALIZZANO I CETI PRODUTTIVI. Il modello di costituzione federale, approvato dal Pre-Congresso di Assago, propone che le Regioni esistenti vengano raggruppate, dalla scelta sovrana dei cittadini, in tre grandi “Cantoni” [G. MIGLIO, Una Costituzione federale per restituire la libertà agli italiani, Lega Nord, 28 febbraio 1994, ora in Quaderni Padani, anno XII, marzo-giugno 2006, 59]. (segue)
Questo tipo di federalismo “vuol essere tirocinio che prepari gli italiani al progressismo internazionalista”, e costituisce “… LA VITTORIA DEL CONTRATTO SUL PATTO POLITICO, sullo ius publicum europaeum dell’Europa statalista”, rappresentando infatti “l’affermazione di una pluralità di sovranità contro l’idea della sovranità assoluta”.
RispondiEliminaIn un tale scenario, non esiste ovviamente alcun “interesse nazionale” o “interesse comune, sempre platealmente presunto”:
“…Prendete ad esempio l’”interesse” della popolazione di questa Italia che vediamo appesa -bellissima in quest’immagine - per la punta dello stivale, di fronte a un’economia forte di monete manovrate dal sistema bancario che soprattutto fa capo al mondo tedesco. Indubbiamente un modello come quello dovrebbe corrispondere agli attuali interessi di una popolazione del Nord, ma se appena scendete nelle altre regioni, vedete che l’interesse è opposto: i giovani che aspirano a un aiuto dalla mano pubblica, a impieghi pubblici, a una dilatazione della mano pubblica, sono controinteressati al modello che invece va bene per le regioni del Nord e questa è una condizione che all’analisi si rivela dominante in tutti i Paesi europei…” [G. MIGLIO, L’interesse nazionale non esiste, aprile 1994, Elites, n. 4/2004, ora in Quaderni Padani, anno XII, marzo-giugno 2006, 82-83].
E il Mezzogiorno?
“… il livello “nazionale” mi sembra ormai piuttosto angusto e superato…(a meno di tornare all”’autarchia” come ideale economico). Le Regioni padane intrattengono complessi e promettenti rapporti con le consorelle francesi, elvetiche, austro-tedesche e jugoslave; le Regioni del Meridione hanno (e avranno sempre più) interessanti relazioni preferenziali con un Mediterraneo politico-economico in pieno sviluppo. Non tener conto di queste poderose forze centrifughe, di queste opposte vocazioni - e, peggio ancora, combatterle - sarebbe davvero insensato...
… gli economisti hanno creduto, e fatto credere, che l’“industrialismo” sia addirittura uno stadio obbligato nello sviluppo della specie, e che pertanto esso possa, anzi debba, diffondersi ovunque. Invece… l’industria è un fenomeno tipico dei paesi a clima freddo, o almeno temperato, storicamente legato alla presenza di certe risorse, e sopra tutto di certe condizioni socio-climatiche. Quello che si crede di “esportare” o “trapiantare” in altre temperie, è un cocktail di apparenze, il quale assomiglia soltanto esteriormente all’”industrialismo”, ma di questo non ha alcuni decisivi tratti strutturali interiori: l’argomento, delicato e complesso, non può certo essere approfondito nella sede angusta di un articolo di giornale, tuttavia sono qui le radici profonde delle crescenti delusioni che va suscitando la così detta “industrializzazione del Mezzogiorno”. E può costituire soltanto una magra consolazione pensare che questo sconforto sarà in fondo poca cosa rispetto a quello provocato dall’inevitabile insuccesso degli ambiziosi sogni di “industrializzazione” in non pochi paesi del Medio Oriente e del Terzo Mondo. (segue)
“… Il concetto geo-economico di “Padania” (contrapposto a quello di una” Appenninia”) è vecchio di almeno quasi settant’anni: costituisce infatti la chiave di volta del manuale di Geografia economica e sociale di Angelo Mariani, pubblicato dall’Hoepli nel 1910…Ognuno deve sviluppare onestamente la propria “particolarità” (una volta si diceva:il proprio “genio”) senza scimmiottare gli altri, ma cercando di capirli per capire se stessi…
RispondiEliminaChi impugna la scimitarra appartiene all’Europa di Maometto, non a quella di Carlomagno, che alle crociate ha smesso di credere (speriamo) definitivamente. Sarà che sono davvero un “freddo analista di realtà politiche” come dice Compagna: ma non smetto mai un solo momento di pensare che la restaurazione dello “Stato unitario” oggi come oggi, ha una sola possibilità di essere realizzata: attraverso il “centralismo democratico” di un sistema nazional-comunista di tipo staliniano. Poiché questo modello sembra che neppure i comunisti italiani lo accettino, e siccome non conosco “pluralismi” meglio garantiti di quelli che si fondano in solide e reali strutture “federative”, così penso che LE “GRANDI REGIONI” POTREBBERO COSTITUIRE UNA CARATTERISTICA, IN ITALIA, DELL’“EUROCOMUNISMO”: di quello vero, con il quale, anche senza danzare per la gioia, potremmo essere costretti, presto o tardi, a fare i conti” [G. MIGLIO, Come risolvere i problemi del sud, Corriere della sera, 20 marzo 1976]. Il Sud commerci in dàtteri e arance con il Nord-Africa.
L’Autore dei passi riportati aveva il pregio della franchezza
Dimentichi (o meglio il nostro avrebbe dovuto coordinare il suo pensiero) il "mercato globale" e il turismo: l'effetto è che commercio di datteri, arance e, ovviamente, turismo, sia in mano a multinazionali, che dico! "investitori esteri", che fissino il prezzo di acquisto (in sostanziale monopsonio) per i produttori e si portino a casa i profitti dello sfruttamento turistico del meridione.
EliminaIl tutto condito dalla einaudiana mobilità del lavoro (in entrata dall'Africa).
Direi, non proprio una sciocchezza!
EliminaMa lo stesso discorso, caro Quarantotto, riguarda le regioni ricche che si aprono all'internazionalismo. L'importante è comunque avere l'illusione di entrare a far parte di un "club esclusivo" con condizioni climatiche omogenee, tutto produttività, competizione e ... moneta buona/forte. Con l'ulteriore illusione di governare il processo con la micro-sovranità!
In questo caso, però, lo spennamento del micro-tacchino sembra più gradito
Chissà cosa direbbe oggi Miglio di fronte al fatto che la Cina è diventata la prima potenza industriale al mondo.
EliminaAvrà iniziato a far un gran freddo anche là.
Nel secondo commento, basato sull'autonomia "nazionale" è da sostituire con "regionale". Chiedo venia
RispondiElimina1 POST
RispondiEliminaL'ideologo del governatore Roberto Maroni e del nuovo autonomismo
leghista, Stefano Bruno Galli, docente di Storia delle dottrine
e delle istituzioni politiche all’Università Statale, lo ha detto chiaramente già nel 2015:
“L’Europa degli Stati è nata morta, il futuro è delle macroregioni”
Stefano Bruno Galli:
«Costituire l'Europa come somma degli stati nazione è stata una
scommessa azzardata con la Storia, una scommessa persa»..........
http://www.linkiesta.it/it/article/2015/09/20/leuropa-degli-stati-e-nata-morta-il-futuro-e-delle-macroregioni/27472/
Saluti.
Fabrice
PS ha voglia di dire Salvini "No Euro", "Lega Nazionale" sul modello lepenista, tutte chiacchiere, gli interessa solo agganciare il lombardo veneto alla Germania, che dire?
Della serie: cadere dalla padella alla brace, tanti auguri......!!
2 POST
RispondiEliminaLombardia, referendum autonomia «Un Sì per eliminare la vessazione fiscale più pesante al mondo»
Parla Stefano Bruno Galli, docente di Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche all’Università Statale.
È considerato l’ideologo del
governatore Roberto Maroni e del nuovo autonomismo leghista. Di certo
Stefano Bruno Galli, docente di Storia delle dottrine e delle
istituzioni politiche all’Università Statale, è l’uomo che ha firmato la
proposta di referendum del 17 febbraio 2015: l’atto formale che ha dato
il via alla consultazione..............
http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/17_ottobre_02/lombardia-referendum-autonomia-un-si-eliminare-vessazione-fiscale-piu-pesante-mondo-e31365f6-a74e-11e7-8b29-3c19760df94c.shtml
Saluti.
Fabrice
Ritengo questa discussione molto interessante, perché...NOI non la vedremo, la la nuova Europa, che non può certo essere geograficamente eliminata, è destinata per automatismo, a diventare una STRUTTURA composta di Macroregioni o Piccole Patrie intercomunicanti. facio presente che le regioni italiche del Sud sono destinate a sviluppare una leadership con i paesi rivieraschi mediterranei, come previsto nel primo trentennio del XX secolo.
RispondiEliminaInteressante e iper-ottimistica profezia "di automatismo".
EliminaDiciamo che, in questo blog, siamo più interessati a ricostruire e teorie economiche istituzionalmente applicate, e il quadro normativo EFFETTIVAMENTE vigente (e non quello mediaticamente immaginato), sulla base delle ideologie politiche che lo originano.
Certo, il mondo non finirà solo perché l'Italia, e il sud in particolare, verranno economicamente rasi al suolo; e non "finendo", come già avvenuto nell'arco di secoli e millenni passati, qualcuno che ci abiterà in futuro, forse, (chissà di quale etnia), potrebbe dar vita a una rinascita.
Ma si rasenta la tautologia futuribile...
Più attuali sono le prospettive di immane crisi occupazionale e sociale che attraverserà l'Italia rimanendo su questa traiettoria di colonizzazione.
3 POST
RispondiEliminaSettembre 2013
"Amoroso: via dall’euro, o facciamo la fine della Jugoslavia"
L’economista italo-danese dell’università di Roskilde, allievo di Federico Caffè e compagno di scuola di Mario Draghi dice che l'incubo della balcanizzazione è dietro l'angolo:
«E’ possibile che ci troveremo davvero nei guai tra pochissimi mesi, in una situazione di tipo greco: quando, per intenderci, ci saranno 50.000 statali mandati a casa e niente più soldi per gli ammortizzatori sociali». Che succederebbe? «La crisi andrà a destra, come sempre: prevarranno prima i nazionalismi e poi le fratture all’interno degli stessi Stati: il nord dell’Italia contro il sud, la Catalogna contro il resto della Spagna». E’ uno degli scenari della crisi europea, il peggiore: l’implosione dell’Europa del sud, magari accelerata dalla “fuga” della Germania, decisa a non pagare i costi necessari a tenere in vita i nostri paesi devastati dall’euro. In quel caso si annunciano «guerre interne» e «conflitti sociali e politici», gestiti «da chi è interessato, come è stato per la Jugoslavia, che fu distrutta perché la Germania era interessata alla Croazia e alla Slovenia», mentre altri volevano la secessione del Kosovo.
Per articolo completo:
http://www.libreidee.org/2013/09/amoroso-via-dalleuro-o-facciamo-la-fine-della-jugoslavia/
Cordiali saluti.
Fabrice
PS diciamo che come tempistica non l'ha azzeccata ma già vedeva concreti rischi di frantumazione definitiva degli stati nazionali del Sud Europa e per scongiurare questo pericolo faceva delle proposte che non hanno avuto alcuna attuazione, ergo, allo stato attuale le probabilità di accadimento di eventi del genere di cui sopra sembrano aumentare in modo considerevole!!
Indovinare la tempistica, tra whatever it takes, TLTRO e QE, non è agevole; ma l'Unione bancaria ha revitalizzato il quadro delle forze disgregative a "conflitto interno", che è poi l'applicazione in fase congiunturale del divide et impera segnalato da Rodrik.
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2015/02/la-condizionalita-2-da-chang-rodrik.html
In un modo o nell'altro, le non-elites sono destinate a combattersi per via della crescente scarsità di risorse.
Notare che la risposta (sub-culturale) è prevedibilmente indirizzata, come in Catalogna, a identificare lo Stato come oppressore anzicchè il sistema €uro a trazione germanica: PRATICAMENTE VIENE IGNORATA LA DERIVAZIONE DALLE "e-CONDIZIONALITA'" della crisi che ci si trova a fronteggiare e se ne fa responsabile lo Stato e il resto della comunità sociale che esso è costretto a mal-rappresentare.
4 POST
Elimina@Quarantotto
grazie mille della rapida e molto interessante risposta!!
Di seguito, un utile spunto integrativo per la discussione, eccolo arriva!!
Il report di MacroGeo, una società di consulenza presieduta da Carlo De Benedetti, un veterano della comunità imprenditoriale italiana, intitolato “L’Europa al tempo di Trump e della Brexit: disintegrazione e riorganizzazione”, arriva a conclusioni coraggiose.
Gli autori del report di MacroGeo prevedono che non si avrà un’anarchica competizione tra gli Stati-nazione, bensì «l’affermazione di un nucleo centrale geoeconomico intorno alla Germania». Questo sarebbe formato dalla Germania e dai paesi che ne costituiscono la filiera industriale, cui si addice la cultura fiscale e monetaria tedesca. In maniera disarmante, gli autori suggeriscono che, «se l’Italia dovesse dividersi», l’Italia del Nord potrebbe unirsi al gruppo formato da Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni paesi scandinavi.
Per articolo completo:
http://www.libreidee.org/2017/03/de-benedetti-entro-5-anni-lunione-europea-sara-morta/
Cordiali saluti.
Fabrice
Sulla contrapposizione tra progetto irenico-europeo (es. Paneuropa con il neomedievalismo regionali di matrice liberale) e imperialistico-USA ("Spinelliano", ossia quello in cui Churchill ci mise la faccia, ossia quello dei "federalisti europei" degli USE come USA...) è lapidario un informato a caso, Goldman Romano Prodi: « Oggi c’è un’Europa degli Stati. Attenzione però: la contrapposizione vera non è tra Europa degli Stati e Europa delle Regioni, ma tra un’Europa guidata da un’autorità sovranazionale molto forte, cioè un’Europa federale, e un’Europa delle nazioni. Non vedo le Regioni in contrapposizione a un’Europa federale, due regioni non fanno uno Stato nuovo ».
RispondiEliminaÈ vero che la CIA finanziò durante la guerra fredda i federalisti in contrapposizione all'URSS, ma il progetto mondialista è solo guidato dall'imperialismo americano, i banchieri finanziarono indistintamente i due progetti, ma l'obiettivo è il governo mondiale degli oligopolisti senza più l'interferenza democratica e "populista" degli Stati-nazione sovrani.
È - come ci siamo detti tante volte - una Weltanschauung infantile.
5 POST
RispondiEliminaDi seguito eventuali utili spunti integrativi di riflessione sulla “Big Picture”, eccoli arrivano!!
“Dividere per regnare meglio.
La scissione del continente europeo al servizio degli Stati Uniti”
di Pierre Hillard
Le modalità della costruzione europea dipendono dall’idea che ci si fa dell’unità dell’Europa e del suo ruolo nel mondo. Dopo aver pilotato la creazione dell’Unione per stabilizzare l’Europa occidentale e sottrarla all’influenza sovietica, gli Stati Uniti incoraggiano oggi a un tempo la sua espansione geografica e la sua diluizione politica. L’Unione potrebbe allora assorbire la Russia e triturare gli Stati membri in una miriade di regioni, che si trasformerebbero in una vasta zona di libero scambio protetta dalla potenza militare degli Stati Uniti.
Al contrario di un’idea diffusa, numerose forze per promuovere questo progetto si trovano già nel seno dell’Unione, come lo attesta la carta ufficiale che riproduciamo.
Per articolo completo:
http://www.voltairenet.org/article164471.html
L”ottima analisi di Pierre Hillard di cui sopra risale al 2003 ma nel frattempo l’ascesa di Putin in Russia ha messo i bastoni fra le ruote a un folle progetto globalista del genere che però continua e guarda caso, che strana coincidenza, per completarlo del tutto ( rimuovere definitivamente tutti gli ostacoli anche il più rognoso ) molto recentemente sono avvenuti due fatti gravissimi ( taciuti/censurati dai media mainstream occidentali, ma che altre strane coincidenze…!! ) che vanno comunque in quella folle direzione, digitare sul vostro motore di ricerca preferito:
a) Craig Roberts: americani folli, stanno ammazzando i russi Libreidee
b) Il ministro israeliano minaccia di morte Putin Controinformazione
Cordiali saluti.
Fabrice
1PS dimenticavo: sinceri complimenti per l’ottimo articolo!!
2PS in relazione al punto b), c’e da dire anche che non sarebbe la prima volta che il Presidente di una grande potenza militare ed economica venga ammazzato da agenti esterni………!!!
6 POST
RispondiEliminaDi seguito altri eventuali utili spunti integrativi di riflessione sulla “Big Picture”, eccoli arrivano!!
“Catalonia Independence: Five Things to Think About”
2. NATO appears eager to encourage independence and would welcome what they expect to be a robust military capability to add to their wars of global aggression.
An article published in 2014 by the Atlantic Council – a Fortune 500-funded NATO think tank – titled, “The Military Implications of Scottish and Catalonian Secession,” would state:….
3. Pro-independence Catalan politicians appear to enthusiastically support Catalonia’s membership in NATO…..
4. Some Catalan politicians have begun planning for its military’s integration into NATO.
The pro-independence Catalan National Assembly’s Defense Policy Working Group has stated in a 2014 paper titled….
per articolo completo:
https://www.globalresearch.ca/catalonia-independence-five-things-to-think-about/5611607
Cordiali saluti.
Fabrice
PS non si è mai visto un popolo che reclama la propria indipendenza ma che lascia la propria futura sovranità monetaria a un ente sovranazionale ( ideato da massoni, paramassoni e servizi segreti..!! ) e che da subito vuole entrare a far parte di un’alleanza militare dove loro conterebbero come il due di coppe quando a briscola comanda bastoni!!
Già basterebbero queste due semplici considerazioni per sentire puzza di bruciato lontano un miglio!!!
Si tratta di un post molto interessante. Studiamolo pure in modo approfondito e discutiamone, finchè c'è il tempo. Perchè - vi è chiaro da quanto è successo nel Regno Unito e da quanto sta succedendo nel Regno di Spagna - non tutti i popoli sono disposti a farsi smembrare come pare e piace a loro signori. Ho la sensazione che anche da noi si avvicini il momento in cui i filosofi dovranno lasciare il posto a persone di poche parole. Temo che non saranno giorni per cuori teneri. Estote parati.
RispondiEliminaVi leggo sempre troppo tardi. Quello che mi ha colpito è che ci sono due fatti ai quali non mi rassegno a credere e passo la vita a non voler credere.
RispondiEliminaIl primo è che esistono intellettuali come Miglio (anzi sembra ci siano solo loro) e giornali di divulgazione scientificica come il New Scientist (idem cs).
Il secondo è che esistono i <>, di cui parla il Presidente in un commento sopra, che sono: ben collaudati, controllati, totalizzanti, chiusi, e funzionano da decenni senza bisogno di una regia "attiva". A parte qualche volontario alla Sorcios (citaz.) e qualche altro "aiutino" al momento giusto, questi meccanismi sono autonomi e creativi grazie alla prostituzione degli intellettuali.
C'è anche un'altra cosa che continuo a dimenticare, ed è un tipico problema delle persone umili come Bagnai (eh eh da un lato fa ridere ma bisogna concederglielo) Gli intellettuali sono dei somari. Non sanno assolutamente un cazzo. Leggono le copertine. Dekipli possibbilmente.
Ora questo è un problema enorme, o forse il primo problema, perché se la classe dirigente è idiota, e non parlo solo di quella italiana ma di tutto il pianeta, allora siamo fottuti.
Non è per teneri cuori, come dice Frankie. Scusate lo sfogo, so che non c'è contributo. Grazie.