mercoledì 5 aprile 2017

L'"INVINCIBILE" POST-ELEZIONI E LA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEBITO ECCESSIVO

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1. Ad oggi, (come si suol dire), la situazione delle possibili politiche economiche e fiscali adempitive degli obblighi imposti dall'appartenenza all'unione monetaria, è soggetta a questi problemi politici interni:
"Più che su quel che andrà fatto, la discussione si è concentrata su quel che non si può fare: no all'aumento dell'Iva, nessun ritocco alle accise sulla benzina, altolà alla riforma del Catasto, dubbi sulle privatizzazioni
«Il sentiero stretto» di cui parla spesso il ministro del Tesoro ormai è un pertugio. Da un lato ci sono gli impegni con l' Europa e l' inizio della fine del piano Draghi, dall'altra una maggioranza parlamentare con la testa alle amministrative di giugno e alle successive elezioni politiche....il nodo resta un altro: quale sia la legge di Bilancio possibile senza condannare il Pd alla sconfitta elettorale. I toni di Renzi in televisione sono da campagna elettorale: «Bisogna continuare senza polemica sull' abbattimento delle tasse: se vanno giù l' economia cresce. Noi le risorse le abbiamo trovate con la flessibilità. Penso si possa continuare e Padoan è d' accordo».
...[Padoan] accenna ad una trattativa in due tempi per ottenere più flessibilità, spiega che gran parte delle entrate della manovrina verranno da un aumento della lotta all'evasione, fra cui la rottamazione delle cartelle esattoriali e da tagli alla spesa. Sottolinea che non si va in ginocchio a Bruxelles, ma che «c' è modo e modo» di procedere. Spiega che Def e manovrina di correzione sono una cosa sola, e quest' ultima sarà approvata subito dopo il Def, il 10 aprile".

2. Dunque. Problema numero 1: 
- "quale sia la legge di Bilancio possibile senza condannare il Pd alla sconfitta elettorale". 
Problema numero 2:  
- essendo il Def inscindibile dalla correzione strutturale di bilancio dello 0,2% del PIL e, a loro volta, entrambi inscindibili dalla manovra di stabilità di autunno (le varie voci e dinamiche fiscali sono infatti commisurate in un quadro che la Commissione considera unitariamente nel programma che ritaglia su misura per l'Italia), trovare altra flessibilità, come già nei due anni precedenti.

3. Ebbene, se si legge la lunga Relazione, in data 22 febbraio 2017, della Commissione UE, elaborata a norma dell'art.126, par. 3 del TFUE, - cioè in vista della già attualizzata fase di predecisione e verifica di avvio di procedura di infrazione a carico dell'Italia per "violazione della regola del debito"-, entrambi i problemi, permanendo la nostra appartenenza all'eurozona, sono irrisolvibili; e questo nel senso che già ora,  e questo Padoan lo sa bene, la Commissione non solo esclude la possibilità di ricorrere ad ulteriori margini di flessibilità rispetto a quella riconosciuta con l'ultima legge di stabilità, ma ritiene inderogabile un obbligo italiano di "recuperare" gli scostamenti dai livelli di consolidamento fiscale già imposti all'Italia, e da essa non rispettati; scostamenti che si sono verificati, in misura ritenuta rilevante, anche scontando la misura già concessa di flessibilità per gli anni 2015 e 2016.
La Relazione muove da questa perentoria premessa, che trovate alle pagine 2-4 della Relazione e che può sintetizzarsi in ciò: considerati tutti i "fattori rilevanti", l'Italia ha violato la regola del debito (cioè di riduzione progressiva del debito publbico), non avendo rispettato quella del deficit nella misura di riduzione impostale in funzione della riduzione del debito stesso.

4. Saltando la dettagliata analisi dei vari indicatori (tra cui si ammette il peso della bassa inflazione e della scarsa ripresa dell'occupazione nonché degli investimenti pubblici, effettuati in misura minore rispetto a quanto dichiarato per richiedere la relativa flessibilità), e sapendo che l'aggiustamento strutturale annuale che risulta "dovuto" è di 0,75 punti di PIL, attenuato a 0,6 in ragione delle condizioni congiunturali e "eccezionali", variamente considerate, nonchè del connesso output gap,  la Commissione arriva a delle precise conclusioni (che riposano sul concetto che quando il debito è ben oltre i limiti il "rientro" si deve fare riducendo l'indebitamento annuo...nonostante gli "alti moltiplicatori" di cui, curiosamente, la Relazione dà atto, cadendo in evidente contraddizione): si attenderà il Def 2017 e la correlata manovra di correzione per 0,2 punti di PIL, da compiere mediante misure strutturali (e non una tantum), per attualizzare una procedura di infrazione per la violazione della regola del debito che, tuttavia, già oggi risulta legittimamente avviabile in base ai riscontri e alle proiezioni effettuate dalla stessa Commissione.

5. Se si ha la pazienza di leggersi l'intera Relazione, ne emerge chiaramente che la Commissione non considera, neppure per un secondo, l'ipotesi che è proprio perché, unitamente alla flessibilità, non sono stati rispettate le percentuali (di PIL) di "aggiustamento strutturale minimo lineare", volute dall'€uropa, che le condizioni macroeconomiche sfavorevoli" italiane sono ora in "graduale miglioramento"
Leggendo la Relazione, infatti, i miglioramenti non sono attribuiti a misure fiscali meno restrittive del previsto, ma al compimento delle immancabili riforme strutturali, in particolare quella del lavoro. 
Per la Commissione, il miglioramento e la crescita si otterrano se verrà riformata la pubblica amministrazione e la giustizia "civile e commerciale", fermo restando che l'aggiustamento deve essere pari o superiore a 0,6 punti di PIL, e realizzato per via di politiche fiscali di riduzione strutturale dell'indebitamento (cioè non dovuto a misure contingenti e una tantum), in specie con il taglio della spesa pubblica (di cui però, sempre la Relazione, dà atto che essa, specie in materia pensionistica, sia "subdued", cioè, a seguito della decrescita delle retribuzioni e quindi delle prestazioni, sostanzialmente sotto controllo e sostenibile).

6. Dalla Relazione, poi, risulta evidente che le spese per fronteggiare gli eventi sismici, sono alla base della correzione dello 0,2 da apportare entro aprile e che, dunque, ogni intervento in tal senso, deve essere finanziato in pareggio di bilancio. E quindi: se si spende per i terremotati, si deve tagliare la spesa per altre esigenze pubbliche, quali che esse siano, pubblica istruzione o sanità, ordine pubblico o previdenza (anche se si ammette che, essendo quest'ultima, "sostenibile e sotto controllo", una sua ulteriore riduzione avrebbe solo fini di finanziamento in pareggio di bilancio). Il passaggio risulta molto chiaro nella Relazione, a pag.27.

6.1. Dunque, i problemi che si pongono a livello politico in Italia, e precisati più sopra, sono irrisolvibili nel quadro delle regole €uropee, di cui ci si imputa già la pregressa violazione. 
Certo, poi, se fossero recuperate le mancate "correzioni" e "aggiustamenti" per gli anni 2015, 2016 e, come ormai preannuncia la stessa Relazione, anche per il 2017, per un aggiustamento totale di 3,4 punti di PIL, (a quanto pare di capire), tra maggior imposizione - la Commissione non vede di buon occhio nè il rinvio dell'aumento dell'IVA, né la rinunzia all'immediato inasprimento dell'imposizione patrimoniale via rivalutazione delle rendite catastali-  e più "incisivi" tagli della spesa (alla Commissione ci dovrebbero spiegare come si fa a rendere più efficiente la giustizia civile e la p.a. tagliando ancora più intensamente la relativa spesa!), l'Italia rientrerebbe in recessione
E questo anche per l'attesa diminuzione del saldo positivo delle partite correnti nei prossimi due anni, secondo le stime quantificate dalla stessa Commissione (che pare tener conto della fine dell'effetto svalutativo dell'euro legato al QE e della ripresa dei prezzi petroliferi). Vedere infatti i dati relativi al saldo delle partite correnti previsti dalla stessa Commissione per il 2017 e il 2018 (pag.83, tabella II.12.1: dal saldo di 2,7 punti di PIL del 2016, si avrebbe una discesa per gli anni 2017 e 2018, rispettivamente, ad un saldo, di 2,1 e 1,8).

7. E se l'Italia entrasse di nuovo in recessione, e sempre per via di austerità espansiva €uropea, e non certo per mancate riforme strutturali, forse, poi, sarebbe concessa, con plateale contraddizione che travalica in ottusa cecità, una "nuova" maggior elasticità sulla misura dell'aggiustamento fiscale, appunto (nuovamente) in ragione delle condizioni estremamente sfavorevoli dell'economia...causate invariabilmente dall'applicazione delle politiche fiscali imposte dalla Commissione!
Dunque, di fronte al preannunzio della procedura di infrazione, che si rivelerebbe particolarmente insidiosa per i prezzi di collocamento del nostro debito pubblico in vista del tapering e della fine del QE della BCE, la costrizione che ne discende al pronto adeguamento, ("fate presto!"), ai vincoli relativi alla riduzione del parametro del debito pubblico, dovrebbe condurre a manovre di stabilità, per il 2018 e per il 2019, “lacrime e sangue” insieme con massicce privatizzazioni: e queste misure sarebbero presumibilmente adottabili solo da un governo tecnico. Cioè da un centro decisionale esecutivo dei desiderata €uropei che non si debba preoccupare del consenso elettorale: questa, dunque, in chiave di appartenenza all'eurozona, risulta essere l'unica soluzione praticabile in termini di consenso. 

8. Certo, poi, potrebbe vincere le elezioni una forza politica che si porrebbe come prioritario non tanto il (solo) concedere il "reddito di cittadinanza" quanto, piuttosto, il come finanziarlo.
Ma il fatto è che anche questa forza politica dovrebbe riconoscere come funziona il finanziamento di qualsiasi forma di spesa in "pareggio di bilancio": ai tagli imponenti dei restanti diritti di prestazione sociale (sanitaria, educativa e pensionistica, su tutte) necessari, come nel caso dei terremotati, a coprire le spese del reddito di cittadinanza, si dovrebbe comunque e immancabilmente aggiungere - ripetiamo aggiungere- l'onere della correzione già preannunciata, sotto minaccia molto attuale di procedura di infrazione, dalla Commissione. E quest'ultima correzione già da sola, abbiamo visto, basterebbe a far saltare il consenso a qualsiasi maggioranza di governo (e Renzi è quello che, attualmente, lo ha meglio compreso). 
Anche perché un unico e "sfrenato" processo di accelerazione delle privatizzazioni per abbattere in un colpo solo il debito pubblico, dalle partecipazioni pubbliche alle società di servizio pubblico locali, avrebbe come effetto una svendita dai più che incerti risultati sulla convenienza dei prezzi e la certezza di aumenti tariffari e contrazione dell'occupazione secondo il più classico copione dell'arrivo degli "investitori esteri", immancabili acquirenti delle "aste al ribasso" (in cui gli advisor finanziari privati sono gli unici che incassano lauti compensi a carico pubblico).
Decisamente, nessuno, ma proprio nessuno, può vincere il dopo-elezioni. Rimanendo dentro l'eurozona, almeno...

martedì 4 aprile 2017

DECRETO-LEGGE PER LE "CORREZIONI" ALLA LEGGE ELETTORALE? (VOTATO DALLE CAMERE IN PROROGATIO INVERTITA)


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1. Nell'incapacità del pubblico dibattito - politico e mediatico- di focalizzare il vero tema politico intorno al quale ruotano sia i flussi del consenso sia la più sostanziale individuazione di politiche fiscali idonee a far uscire il Paese dalla crisi economica che lo attanaglia in modo irreversibile, e cioè la legittimità costituzionale ai sensi dell'art.11 Cost., o anche solo la "sostenibilità", del vincolo €uropeo, la cronaca politica trova il modo di evitare che la noia prenda il sopravvento
Parlo di noia in quanto il flusso mediatico incalzante delle notizie sul fronte politico sono per lo più incentrate su questioni, dissidi e giochi di potere, in proiezione elettorale, che non toccano questo "vero" tema politico, così essenziale con riguardo al benessere ed alla democrazia del popolo italiano (e ciò, a differenza che nel resto dei paesi dell'UE; dove, come soprattuto nella importantissima Francia, e prima ancora, in Olanda, il tema dell'€uropa ha assunto, sia pure per motivi divergenti tra loro, quella centralità che la realpolitik gli attribuisce).
Ma, per l'appunto, l'irreal (o "surreal") politik italiana si anima, di tanto in tanto, con questioni che, magari considerate distrattamente dall'opinione di massa, sono in concreto piuttosto rilevanti nel caratterizzare l'effettivo assetto istituzionale che s'è generato in Italia dopo decenni di "vincolo esterno".

2. Parliamo della questione relativa al "quando" si terrano le prossime elezioni, secondo le "voci" riportate in questo articolo, in cui lo sviluppo ulteriore è questo: 
"Dal 25 gennaio, da quando la Consulta ha cambiato i connotati all' Italicum abolendo il ballottaggio, Renzi aveva sempre pensato che in mancanza di un' intesa in Parlamento si potesse andare a votare con i sistemi elettorali così come sono stati ritoccati dalla Corte Costituzionale.
Invece, negli ultimi giorni, dal Quirinale è stato alzato un disco rosso. Renzi ha saputo che, secondo Mattarella, con il doppio Consultellum non si potrebbe neppure disegnare la scheda elettorale. E che dunque, in mancanza di un'intesa in Parlamento, l'epilogo più probabile sarà un decreto tecnico varato dal governo di Paolo Gentiloni in gennaio.
Con due conseguenze. La prima: a dettare il contenuto del provvedimento sarebbe il capo dello Stato, visto che il premier ha sempre detto che non spetta a lui occuparsi di legge elettorale. La seconda, considerati i tempi di conversione del decreto e dei successivi adempimenti tecnici, la data del voto potrebbe slittare al maggio del 2018.
Da qui la frustrazione di Renzi, il suo sentirsi ostaggio della trattativa sulla legge elettorale. «Ma una cosa è certa», si affretta a dire uno dei suoi più stretti collaboratori, «il decreto non potrà cancellare i capolista bloccati, né il premio di maggioranza alla lista: il testo base resterebbe l' Italicum corretto, con l' aggiunta della doppia preferenza di genere e l' armonizzazione delle soglie di sbarramento».
E qui, per l'ex premier, c'è un ulteriore problema: è probabile che Mattarella, per garantire la presenza nel prossimo Parlamento di quasi tutte le forze politiche, suggerisca una soglia bassa, estendendo anche al Senato lo sbarramento al 3% dell' Italicum. E bye bye soglia dell'8% al Senato. Renzi, invece, punta almeno al 5% in entrambe le Camere nella speranza di cancellare i piccoli partiti. In primis il Mdp di Bersani e D' Alema".

3. Va subito detto che il cronista politico ha una certa libertà di riferire ciò che le sue fonti confidenziali gli riferiscono: è chiaro che dal Colle più alto non sarà mai reclamata la prerogativa presidenziale di dettare il momento di adozione e il contenuto di un decreto-legge (in materia elettorale).
E va anche precisato che lo svolgimento a maggio delle elezioni è compatibile con le previsioni costituzionali in materia: l'art. 61 Cost., stabilisce che "le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti". Poiché, come si desume dal secondo comma dell'art.61 ("Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti"), la fine del quinquennio di legittima durata delle Camere "precedenti" decorre dalla data di prima riunione delle nuove, e nel caso delle attuali tale "prima seduta" è avvenuta il 15 marzo 2013, aggiungendo i 70 giorni previsti alla scadenza del 15 marzo 2018, si arriverebbe a maggio inoltrato.

4. I problemi di legittimità costituzionale che pone tale "visione" della fine dell'attuale legislatura sono però altri.
Un primo problema era quello della stessa legittimazione delle Camere, in quanto formatesi in applicazione di una legge elettorale dichiarata illegittima (dopo nemmeno 10 mesi dalla prima riunione). 
I dubbi al riguardo erano piuttosto forti, anche se ormai siamo di fronte al fatto compiuto, pregresso e annunciato per il futuro anno di legislatura residua. 

4.1. La Corte aveva infatti richiamato il principio di continuità degli organi costituzionali fondamentali e l'obiezione era questa: "Affermare come ha fatto la Corte, su questa scarna premessa (della continuità dello Stato), che come si dice "prova troppo", che, "nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali", significa confondere la continuità degli organi "essenziali" dello Stato, - che è piuttosto, nella sostanza, continuità dell'applicazione delle norme sulla costituzione dei suoi organi fondamentali (cioè proprio lo svolgimento di elezioni e con norme legittime)-, con la continuità della posizione di vantaggio acquisita dai singoli individui che compongono accidentalmente uno di tali organi
E', in altri termini, come affermare che, nonostante il vizio di rappresentatività che soffre l'individuazione di "quegli" individui" (eletti con legge incostituzionale), questi e solo questi possono svolgere le funzioni che l'organo deve svolgere a norma di Costituzione! Una giustificazione ben difficile da fornire, se si guarda alla realtà che dovrebbe contraddistinguere una democrazia!"
 
4.2. La sentenza della Corte aveva anche richiamato il principio della prorogatio e l'obiezione (sempre in sintesi) era quest'altra:
"...che sia per scadenza naturale o per scioglimento anticipato, la "fine" delle precedenti camere è il presupposto per la prorogatio dei poteri: cioè attiene, come è del tutto evidente, ad una fine certa e ormai proclamata di quella composizione degli organi (cioè della carica attribuita a determinati individui).
Ma la Corte costituzionale ha proprio negato tale presupposto. 
Ha invece postulato, all'inverso, che la prorogatio sia motivo giustificativo per NON pronunciare la "fine" delle Camere (illegittimamente composte). 
Cioè la Corte ha fatto uso di un principio organizzativo (a giustificazione emergenziale) derivante dalla "fine" delle Camere, per affermare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge elettorale che ha individuato quei certi individui (composizione non ritenuta rispondente alla rappresentatività dovuta per Costituzione!), NON comportasse la "fine" delle camere stesse
E questo, poi, per legittimarne addirittura una sorta di illimitata durata in carica (nei limiti dei tempi della legislatura), richiamando a giustificazione proprio la norma che presuppone, in senso appunto inverso, la già avvenuta cessazione delle precedenti camere (quantomeno dalla pienezza della carica svolta in via ordinaria, cioè dalla legittimazione fisiologica, secondo Costituzione e democrazia).
Tutto il principio di prorogatio, in ogni settore del diritto pubblico,  presuppone questa irrevocabile cessazione dei componenti (persone fisiche) dell'organo (pubblico) dalla carica "ordinaria" ed il residuo ed ESCLUSIVO esercizio di funzioni urgenti e indispensabili (da ravvisare perciò con estrema cautela); dunque un esercizio di funzioni ASSOLUTAMENTE TEMPORANEO, ECCEZIONALE, E PREDERMINATO LEGALMENTE NEI TEMPI. 
In termini pratici, il principio della prorogatio addirittura spinge per il sollecito e pieno rinnovo della sua composizione mediante l'esperimento delle procedure legali a ciò volte. Nel caso specifico, proprio questa "inversione" di senso della prorogatio, nella forma per di più costituzionalizzata dall'art.61 Cost., fa emergere un risultato, per certi versi clamoroso: il richiamare correttamente, e non in senso invertito (e illogico) questo istituto avrebbe dovuto portare la Corte ad escludere qualsiasi esigenza di posporre la caducazione della composizione illegittima delle Camere, risultando comunque garantita, la (solo eventuale) funzionalità di emergenza del potere legislativo in caso di "fine" delle Camere, proprio dalla stessa prorogatio

5. Ma un altro punto appare molto controverso: quello dell'idea che a gennaio, e curiosamente soltanto a gennaio, venga emesso un decreto-legge, atto normativo di iniziativa, e responsabilità politica, del governo, per regolare in modo armonico la legge elettorale con cui si voterebbe per entrambe le Camere
In linea teorica, seguendo la lettera e la ratio dell'art.72, comma 4, della Costituzione, un decreto-legge in materia elettorale sarebbe precluso: occorrerebbe "sempre" (dice la norma costituzionale) seguire "la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera".
Peraltro, è anche vero che una "prassi" di decreti-legge in materia elettorale è stata talora seguita. 
Ma questa prassi, al di là della sua controversa legittimità in sé (per la difficoltà quasi invalicabile di individuare i limiti del contenuto legittimo su cui il decreto-legge potrebbe intervenire), è stata oggetto di un accurato scrutinio da parte della parte più attenta dell'attuale dottrina costituzionalistica

5.2. Ve ne riporto i passaggi fondamentali, aggiungendo una evidenziazione mirata, dato che lo "stato di eccezione" risulta oggi ancor più "permanente" rispetto al momento in cui questo brano fu scritto, e che i limiti invalicabili alla decretazione d'urgenza nella materia elettorale risultano precisati e difficilmente valicabili anche per le misure elettorali "minori" ipotizzate allo stato. E questo considerato che comunque inciderebbero direttamente sul meccanismo di voto e sulla conseguente rappresentatività del parlamento (e non sono le soluzioni ipotizzate, in sé, il problema, ma lo strumento extraparlamentare e procedurale che segnerebbe questa disciplina correttiva):

"Certo non appartengo a coloro che ritengono che il consolidarsi di una prassi basti a legittimare comportamenti illegittimi (altrimenti perché dovrei insistere a pagare le tasse, in Italia?), ma poi anche sulla prassi ci sarebbe molto da dire: ed è questo il secondo aspetto su cui intendevo richiamare l’attenzione. 
Una cosa – e di questo si accorge anche Pizzetti – è ritoccare qualche meccanismo della disciplina elettorale per farla funzionare a dovere (per rimuovere possibili ostacoli alla sua corretta operatività), un’altra è modificare l’hard core del sistema elettorale, la trasformazione dei voti in seggi.
A parte il fatto che quando il Governo ha usato la decretazione d’urgenza in materia elettorale si è sempre trattato di aggiustamenti minimi e si è sempre mosso con il consenso unanime delle Camere (e quando non lo ha conseguito le polemiche sono state feroci), qui ci si immagina addirittura che il Governo intervenga per scegliere tra opzioni sulle quali gli stessi schieramenti parlamentari che lo sostengono sono duramente divisi. Possibile che non si noti l’enormità dell’ipotesi? 
Che cosa c’è di più vicino ad un colpo di Stato “in doppio petto”, cioè ammantato di forme legali, di un Governo che cambi le regole elettorali alla vigilia dello scioglimento anticipato delle Camere, determinandone l’esito? Perché di questo si tratterebbe, se si modificasse l’attuale (deprecabile) meccanismo del premio di maggioranza, non c’è dubbio.
La sent. 161/1995, che viene richiamata, mi sembra indicare il confine invalicabile da qualsiasi prassi.
In quella occasione la Corte ha ammesso il conflitto di attribuzione contro i decreti-legge osservando come, con riferimento ad essi, “il profilo della garanzia si presenti essenziale e tenda a prevalere... su ogni altro”, perché (sta ragionando attorno agli strumenti di impugnazione dei decreti) una “limitazione nella garanzia costituzionale potrebbe... dar luogo a prospettive non prive di rischi sul piano degli equilibri tra i poteri fondamentali, ove si pensi - anche alla luce dell'esperienza più recente - al dilagare della decretazione d'urgenza, all'attenuato rigore nella valutazione dei presupposti della necessità e dell'urgenza, all'uso anomalo che è dato riscontrare nella prassi della reiterazione dei decreti non convertiti... Rischi, questi, suscettibili di assumere connotazioni ancora più gravi nelle ipotesi in cui l'impiego del decreto-legge possa condurre a comprimere diritti fondamentali (e in particolare diritti politici), a incidere sulla materia costituzionale, a determinare - nei confronti dei soggetti privati - situazioni non più reversibili né sanabili anche a seguito della perdita di efficacia della norma”. 
Nel caso di specie, poi, la Corte dice testualmente che il divieto - desunto dall'art. 72, quarto comma, della Costituzione e richiamato dall'art. 15, secondo comma, lettera b), della legge 13 agosto 1988, n. 400 - relativo alla materia elettorale” non opera perché “il decreto in questione ha inteso porre una disciplina che non viene a toccare né il voto né il procedimento referendario in senso proprio, ma le modalità della campagna referendaria”.
Dunque, la Corte costituzionale sembra esprimere un’idea molto chiara: l’hard core del sistema elettorale è sottratto alla decretazione d’urgenza dalla costituzione stessa, non solo dalla legge 400.
Mi sfugge davvero come questa sentenza possa essere superata. 
Ma – sembra essere la risposta – la situazione attuale dell’Italia è eccezionale, essendo evidente che “il sistema complessivo sia entrato, nell’ultimo anno, in uno stato di conclamata e persistente eccezione, a fronte del quale sono stati e tuttora sono necessari interventi straordinari e urgenti”: lo mostrerebbe la stessa lunga (clamorosa e molto allarmante, a mio giudizio) sequenza di decreti-legge emanati dai Governi a partire dall’estate 2010 e convertiti grazie al voto di fiducia.
Questi – che sembrerebbero essere segnali assai preoccupanti di sistematica violazione del quadro costituzionale dei rapporti tra i poteri dello Stato – sono letti invece da Pizzetti in una chiave assai diversa.
L’idea di modificare la legge elettorale con decreto-legge non andrebbe infatti “valutata e apprezzata soltanto sulla base della lettura della Costituzione formale: in modo, cioè, del tutto avulso dal presente quadro complessivo, istituzionale, politico, economico e sociale connotato da elementi peculiari difficilmente riscontrabili nella storia della Repubblica”.  
Ecco che al solito emerge l’equivoca e sinistra immagine della “costituzionale materiale”: le condizioni attuali “appaiono per molti versi ‘eccezionali’ rispetto al sistema costituzionale delineatosi a séguito dei mutamenti della forma di governo ‘materiale’ avvenuti a partire dalla precedente crisi ‘sistemica’ del 1992-1994”; “più ancora che l’emersione di singoli casi specifici di straordinaria necessità ed urgenza che fondano l’adozione del decreto-legge, a norma dell’art. 77 Cost., è dunque la stessa situazione generale del Paese, interna ed esterna (europea e internazionale), a manifestare quei tratti di straordinarietà, necessità e urgenza a provvedere che la Costituzione richiede che sussistano per poter legittimamente adottare un decreto-legge”.
È proprio vero che la storia non insegna più niente.
A nulla serve la drammatica lezione di Carl Schmitt che “la regola stessa vive solo dell’eccezione”. A nulla sono servite le mille e mille pagine sulla crisi del regime di Weimar.  
Dimenticate anche le remore e la preoccupazioni dei nostri costituenti, che hanno discusso per ore dell’opportunità di ammettere un uso – strettamente regolato, s’intende – del decreto-legge, senza però lasciare tracce nella nostra cultura giuridica, a quanto sembra.
L'esperienza ha infatti dimostrato come qualsiasi tentativo di regolamentazione e di disciplina dell'emissione dei decreti-legge sia stata sempre esiziale, e non soltanto sotto il regime fascista. 
Essa ingenera da una parte la tentazione da parte del Governo di abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall'altra parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del Parlamento, il quale tende a scaricarsi dei compiti di sua spettanza.
La impossibilità di stabilire limiti rigidi (e quindi suscettibili di un efficace sindacato giudiziario), accompagnata ai fenomeni di psicologia politica accennati, portano fatalmente ad una invadenza dell'esecutivo in quelli che sono i precipui poteri del legislativo.
Invadenza dell'esecutivo significa predominio della burocrazia nella formazione della legge, per la quale essa non ha, oltre che la responsabilità politica, neppure la preparazione tecnica necessaria.
Sono le parole di un oscuro giurista calabrese del passato, un certo Costantino Mortati:
L'esperienza ha infatti dimostrato come qualsiasi tentativo di regolamentazione e di disciplina dell'emissione dei decreti-legge sia stata sempre esiziale, e non soltanto sotto il regime fascista. Essa ingenera da una parte la tentazione da parte del Governo di abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall'altra parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del Parlamento, il quale tende a scaricarsi dei compiti di sua spettanza.
La impossibilità di stabilire limiti rigidi (e quindi suscettibili di un efficace sindacato giudiziario), accompagnata ai fenomeni di psicologia politica accennati, portano fatalmente ad una invadenza dell'esecutivo in quelli che sono i precipui poteri del legislativo.
Invadenza dell'esecutivo significa predominio della burocrazia nella formazione della legge, per la quale essa non ha, oltre che la responsabilità politica, neppure la preparazione tecnica necessaria.
(A.C., seduta pomeridiana del 18 settembre 1947)."

domenica 2 aprile 2017

LA SANTA BARBARA USA, IL "RAPPRESENTATIVO" JUNCKER E IL LAVORATORE MEDIO OCCIDENTALE






1. Abbiamo visto perché il modello deflazionista free-trade dell'eurozona non possa, per definizione, produrre dei livelli di crescita sostenuta (e diffusa al sistema produttivo nel suo insieme), tanto più se si continuano ad applicare dosi aggiuntive di austerità espansiva, che comprimono la domanda interna per favorire una crescita export-led only; e questo per inseguire, "in ritardo" e per via di aggiustamento svalutativo interno, il modello mercantilitsta pan-€uropeista o, se volete (la differenza è solo lessicale), pan-germanico.
La dipendenza dalla domanda estera che si produce in questo percorso - di cui si pensa solo che debba essere accentuato fino alle sue estreme conseguenze politiche- rende l'economia dell'eurozona, oltretutto, vulnerabile agli shock esterni, posto che insistendo sugli "aggiustamenti" esclusivamente orientati alla svalutazione interna, ci si rifiuta sia di considerare praticabile l'intervento di sostegno fiscale dei singoli Stati, sia di realizzare strumenti fiscali federali di sostegno della domanda complessiva dell'eurozona stessa in funzione anticiclica: ciò, si dice, porterebbe una contribuzione più che proporzionale a carico dei paesi con maggior surplus dei conti con l'estero (quelli che, in tale situazione, crescono di più, divaricando i loro PIL in modo crescente dalle dinamiche dei paesi meno competitivi). 
Il massimo che riesce a produrre la "progettualità" di riforma €uropea dell'eurozona è la cosmesi di un governo fiscale-federale che, però, produca condizionalità crescenti a carico dei paesi che devono intraprendere gli "aggiustamenti" di svalutazione interna, mediante la sostanziale istituzionalizzazione della trojka (qui p.9: cioè sovranità fiscale "sostitutiva" di quella degli Stati attribuita direttamente a Commissione, BCE e ESM, trasformato in una sorta di FMI €urostyle; cioè iper-ordoliberista quanto alla tipologia dei programmi di aggiustamento a coercizione rafforzata che imporrà).

2. Dunque, dicevamo, il sistema così ostinatamente progettato, acuisce la vulnerabilità agli shock esterni dell'eurozona, la cui unica risposta a tali eventi è divenire un campo di sterminio dei diritti sociali (quelli effettivi e non quelli espressi nella neo-lingua dei diritti cosmetici) e del welfare. 
Diviene perciò importante capire cosa si affacci all'orizzonte dell'outer space rispetto all'UE-M. E dunque occorre capire, anzitutto, quali siano le prospettive, in termini di bolle finanziarie in agguato dietro l'angolo del breve periodo, nella principale economia "interdipendente" con quella €uropea: quella americana. 
E qui la situazione non è certo rosea, mentre il suono dei tamburi di guerra, commerciale e valutaria, da oltreoceano, si fa sempre più vicino, via via che l'esplosivo delle bolle finanziarie si accumula nella Santa Barbara statunitense.

3. Daniel Lang, nell'articolo sopra linkato, svolgere questa premessa: 
"Se si è prestata attenzione al processo di degenerazione dell'economia americana dall'ultima crisi finanziaria, si sarà probabilmente sbalorditi dal fatto che la nostra economia sia riuscita a tirare avanti finora senza implodere...Io stesso mi ritrovo a essere scontertato per ogni anno che trascorre senza che accadano incidenti".
Sviluppata la premessa, Lang delinea poi un quadro di ricognizione "illuminante" che, in realtà, abbiamo qui tratteggiato in modo analogo varie volte, nel corso degli ultimi anni:
"Sfortunatamente, la "fiducia" non può mantenere in corsa per sempre un sistema insostenibile Nulla può riuscirci. E il nostro particolare sistema "trabocca" di bolle nell'economia che non riusciranno a rimanere gonfie ancora a lungo. 
Molte recessioni sono connesse con l'esplosione di almeno un tipo di bolla, ma qui abbiamo una molteplicità di settori della nostra economia che possono "fare il botto" più o meno nello stesso momento nel prossimo futuro. Ad esempio:
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  • Eric Rosengren, presidente della Federal Reserve Bank di Boston, ha di recente fatto una tacita ammissione stupefacente. Potremmo trovarci nel pieno di un'ulteriore bolla immobiliare. Le più importanti istituzioni finanziarie di questo paese sono in possesso di oltre 14.000 miliardi di prestiti per l'acquisto di immobili residenziali. E ciò significa ben oltre 40.000 dollari per ciascun uomo, donna o bambino in America.
  • I bassi tassi di interesse hanno alimentato una bolla dei subprime sui prestiti delle auto, e questa bolla appare in procinto di raggiungere il suo limite. Ci sono ora oltre un milione di prestiti sulle auto, ordinari e subprime, che risultano inadempienti (delinquent: v. grafico sotto), un numero che non era così altro dal 2009.
  •  autos
  • Ci sono ora oltre 1000 miliardi di prestiti agli studenti in questo paese; gran parte di essi contratti da famiglie a basso reddito. E c'è poca speranza che questi studenti vedano mai un ritorno al loro investimento.  Perciò almeno il 27% degli student loans sono in default. Mentre adesso sono in default più di un quarto degli studenti, tale numero era di un nono dieci anni fa, (alla vigilia dello scoppio della crisi precedente). E se le tendenze attuali proseguiranno, potrebbero essererci 3.300 miliardi di dollari di prestiti per lo studio alla fine del prossimo decennio. Chiaramente, il fenomeno non potrà andare avanti ancora a lungo.
  • E chi potrebbe dimenticare il mercato azionario? Nonostante si sia registrata una bassa crescita del GDP growth per ciascun ano successivo all'ultima recessione,every year since the last recession, il mercato azionario continua a correre verso nuovi record. Molte delle società quotate  (specialmente le "tech companies", v. sottostante grafico di comparazione con lo scoppio della bolla "dot-com"), presentano un  market cap che è tra le 20 e le 100 volte l'ammontare delle loro vendite o dei loro livelli di profitto. Alcuni denotano rapporti ancora più alti, nonostante registrino una lenta crescita, o persino l'assenza totale di profitti. 

  • NASDAQ
La nostra economia è inondata da cheap money e bolle finanziarie che minacciano di spazzar via decine di migliaia di miliardi di dollari, di risparmi, investimenti e assets.  
Ognuno potrebbe chiudere gli occhi e canticchiare mentre spera che tutto andrà per il meglio...
Se ognuno sapesse quanto sia insostenibile la nostra economia, verrebbe tutto giù contemporaneamente. Ma lo si scoprirà in un modo o nell'altro, quando verrà giù tutto comunque. But they’re going to find out one way or another when it comes crashing down anyway. La speranza e la "fiducia" possono solo fare da appoggio temporaneo per un'economia che cavalca le bolle così a lungo."

4. Ora se si rammenta il sistema sociale, prima ancora che economico, degli Stati Uniti, caratterizzato oggi dalla fine della mobilità sociale nonché dalla rappresentatività oligarchica del sistema politico, tutto ciò non può sorprendere
Più difficile è comprendere qui in €uropa, - dove in verità si comprende ben poco di qualsiasi argomento che non sia la "competitività" ovvero i diritti cosmetici-, come, rispetto a questo genere di problemi, Trump si sta rivelando, com'era del tutto ovvio, una non-risposta: e ciò, sebbene quelle famiglie impoverite, - che non riescono a pagare i ratei dell'auto ed i cui figli devono contrarre un debito per studiare, senza speranza di riuscire a restituirlo per via del mercato del lavoro e della struttura produttiva che ne consegue-, siano state parte fondamentale del malcontento che il voto ha calamitato intorno allo stesso Trump.

5. Ma le crisi ecoomiche interne (politicamente) incancrenite, sono spesso risolte portando la conflittualità sociale interna nella proiezione dei rapporti internazionali. In molti, tra cui Galbraith nella sua "Storia dell'economia", indicano nella seconda guerra mondiale la vera soluzione alla grande depressione che seguì la crisi del 1929, più ancora che il New Deal (qui, p.2)
Per questo è incredibile come una posizione puramente ideologica, sebbene in apparenza propria di un'ideologia diversa rispetto a quella dei primi anni '40, porti degli esponenti politici riconducibili alla sfera di influenza €uro-tedesca, ad assumere posizioni di questo genere:

6. Al punto da suscitare una puntuale risposta dell'ambasciatore prescelto (peraltro con tanto di opposizione minacciata dall'UE) dall'attuale Amministrazione USA presso l'UE, Ted Malloch: una risposta di un tenore che non ha precedenti, nella sua durezza e nella sua pubblica ostensione, nei rapporti con i paesi europei "occidentali" a partire dalla fine della seconda guerra mondiale!

Traduciamo perché Malloch utilizza dei concetti che chiariscono con molta esattezza la natura di organizzazione intergovernativa dell'UE (cioè di mera associazione tra Stati, esattamente come ritenuta dagli stessi tedeschi, v.p.3), nonché il circoscritto grado di rappresentatività internazionale che tale organizzazione, a carattere essenzialmente economico, può reclamare nei rapporti con Stati sovrani:
"Le recenti affermazioni di Jean-Claude Juncker, presidente della commissione europea, devono essere decisamente condannate. Al congresso dei popolari europei a Malta, egli ha dichiarato che il supporto del Presidente Trump alla Brexit poteva dare fondamento a un appello alla indipendenza dell'Ohio e al Texas affinché lasciasse gli Stati Uniti.
Supponiamo che abbia parlato scherzosamente, poichè il caso di uno Stato USA non è analogo a quello di un'entità sovrana come il Regno Unito, o il suo stesso nativo Lussemburgo. Il presidente Juncker è indubbiamente consapevole di ciò [nrd; tale assunto appare ironico, dato che Mulloch ha un grado cultura e di conoscenza delle questioni €uropee che gli consente di sapere molto bene che non solo Juncker, ma anche l'intera governance UE, sulla scorta di un peculiare auto-intendimento del diritto europeo creato, al di fuori delle pattuizioni dei trattati, dall'inclinazione "politica" della Corte europea, si esprimono in termini analoghi].
Mentre il Texas e l'Ohio sono stati legati agli Stati Uniti sotto il vincolo della Costituzione, il Regno Unito è uno Stato-nazione indipendente e sovrano, con una membership in un'organizzazione intergovernativa (l'Unione europea) da cui vuole recedere. David Cameron ha scelto di rimettere tale decisione a un referendum, e il risultato è ormai stabilito. E' un "fatto compiuto" [ndr: metodo di affermazione della volontà politica che l'UE dovrebbe conoscere molto bene, sia come fondamento della propria pretesa ad accentrare de facto, (v. qui, p.5), la sovranità, sia rispetto al problema dell'immigrazione]. Non ci sono più sponde pro e anti-brexit, poichè la questione non è più in discussione.
La secessione è un tema estremamente delicato negli Stati Uniti. 620.000 soldati sono caduti su entrambi i fronti, unionista e confederato. La Guerra Civile rimane il conflitto più sanguinoso della storia americana. Mr Juncker non può permettersi di alludere a tale tragedia con questa leggerezza. Dovrebbe saperlo molto bene."
7. Ma non si creda che la posizione di Malloch sia isolata o "estrema" nel suo puntualizzare concetti che si contrappongono alla leggerezza con cui, ormai, in UE, si dà per scontata la prevalenza di una visione ideologico-economica che si crede ancora destinata a dominare il mondo e a umiliare gli Stati nazionali in nome della neo-sovranità dei mercati. 
Sul blog US Defense Watch, molto seguito e tenuto da un ex ufficiale dell'Intelligence dell'esercito americano, nonché "veterano della guerra del golfo", nel commentare le affermazioni di Juncker, i toni critici sono ben più diretti e crudi nel definire la realtà economico-politica contemporanea. Ve ne offro alcuni passaggi:
"Juncker, già primo ministro del suo Lussemburgo dal 1995 al 2013, rappresenta il tipo di Euro-jackass ricco e snob che gli Americani detestano. In effetti, le persone come Juncker spiegano il motivo per cui milioni di Europei lasciarono il continente in cerca di una vita migliore potendo liberarsi dai pesanti tentacoli delle dinastie emofiliache della feccia monarchica che voleva controllare la vita dei nostri antenati.
I discendenti di questi malvagi Eurotrash villains del passato sono vivi e prosperano sul continente oggi.
Per persone come Juncker, la donna o l'uomo medio e lavoratore, in Europa e in Nord America, non sono nient'altro che servi della gleba da usare e poi gettare come rifiuti.
La mentalità EU è vecchia come il tempo; brandire il potere come un'arma, controllare le masse, incorporare la ricchezza e distruggere chiunque si frapponga sulla loro strada.
EU-crati corrotti dettano ogni aspetto della vita della persona comune, dal tipo di lampadina utilizzabile, agli asciugacapelli, agli smart phones, alle teiere, fino al desiderato divieto di fare il barbecue. 
Per le nazioni minori che hanno osato pronunciare la parola ‘EXIT’, l'UE e Juncker sono ben  propensi a emettere avvertimenti sull'uso della forza militare ove necessario.
E ora, Juncker sta minacciando la più grande nazione sulla Terra e il suo Presidente regolarmente eletto...
Mentre una minaccia da un clown come Juncker appare quasi risibile, è ciò che egli rappresenta che risulta tutto tranne che umoristico. Juncker, Merkel, Hollande, Cameron, Blair e il resto del Coro globalista dell'UE combattono per un unico scopo: la prosecuzione, a tutti i costi, delle politiche globaliste  che "tosano" il cittadino lavoratore medio, creano instabilità con le open borders e perseguono trattati economici che imbottiscono le tasche dell'elite.

8. Forse, queste dure parole, non rispecchiano ancora il sentire comune dell'intero popolo americano, ma di certo sono una vena, non più "carsica", di quello che le politiche e "l'immagine", offerte ormai da decenni dall'UE, suscitano nella percezione di crescenti componenti delle masse in Occidente. 
Ed è un effetto su cui non si può non riflettere: questa considerazione di condanna inappellabile di un'elite spietata e arrogante, di fronte alla totale rigidità mostrata nelle stesse prospettive di riforma dell'eurozona, rischia di dilagare in coincidenza con una possibile crisi recessiva mondiale che, nell'attuale ostinata prospettiva ordoliberista, verrebbe ancora affrontata con l'arma, socialmente devastante, dell'austerità espansiva...