domenica 10 maggio 2015

FLAGS OF OUR FATHER 7 - LA FINE DELLA..."FINE DELLA STORIA" (TTIP E TTP)- L'ANESTESIA COLLETTIVA

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Il "gran finale" della maxi-inchiesta di Riccardo Seremedi ci posta in uno scenario sinistramente "familiare": privatizzazioni, derivati contratti da città "senza risorse" (anche per via delle delocalizzazioni seguite a liberalizzazioni dei capitali e trattati di libero scambio), ulteriori spinte alla privatizzazione, ulteriori strette sulla copertura pensionistica dei "survivals", calcoli del PIL opportunamente "aggiustati", crollo dei consumi innescata da un mercato del lavoro che acutizza le diseguaglianze di reddito, manifatturiero in dissoluzione, ordinativi in diminuzione e caduta degli investimenti.

Un paradigma al tramonto guidato da entità proteiformi e onnipossenti (nell'assetto politico USA...), che di fronte all'appuntamento con i rivolgimenti della Storia, non si fa scrupolo di trascinare con sè centinaia di milioni di cittadini, anestetizzati mediaticamente (nella migliore delle ipotesi).
La familiarità che, nella nostra realtà, abbiamo acquisito con con questi epifenomeni del tramonto dell'Occidente, ci riporta al rabbioso tramonto dell'euro e ai suoi "derivati". 
Naturalmente, per accorgersi di essere in questa fase distopica della ex-civiltà delle grandi democrazie "illuministe", occorre voler superare la barriera di moralismo colpevolizzatore che i media addestrati dall'oligarchia finanziaria, in preda alla sua "rabbia" irresponsabile, riversano sulle masse occidentali.
E, purtroppo, non c'è da attendersi che il neo-incubo americano serva da "indicatore di allarme" sul nostro destino per questa opinione pubblica autoasservitasi ai propri oppressori.
E' molto più facile vivere nel senso di colpa il gigantesco aggiustamento a spese della collettività escogitato dalle elites al tramonto: si diffonde l'impressione sedativa che "emendarsi", espiare e liberarsi (transitoriamente) del peso di un'angoscia perennemente incombente, ci consenta di ritrovare una serenità "finale"
Ma questo solo grazie all'imposizione mediatica della totale rimozione del fatto che ogni serenità (solo teoricamente ritrovabile) si basa sul contingente inseguire notizie ad effetto, parziali e fuorvianti, connotate invariabilmente del moralismo instillato dai manovratori. 
Quand'anche momentanea, infatti, questa "serenità" può reggersi solo su un concetto: "è meglio non sapere" (quante volte me lo sono sentito dire, negli ultimi anni!) e vivere la semplificazione (mediatica) del "delitto e castigo" che, catarticamente, ci fa illudere di poter continuare a vivere delle vite "come prima", vite delle quali, invece, abbiamo perso il controllo.
Perchè dietro ogni "crisi" e ogni colpa, non c'è una congiuntura astrale, una casualità magari determinata dalla nostra pigrizia e incautela: c'è un piano inclinato ben orientato, in modo che la "punizione", cioè la trasformazione imposta come "giusta espiazione", non abbia mai fine...
E dunque, la massa delle popolazioni europee è ormai rassegnata, nella sua stragrande maggioranza, a pagare il prezzo delle proprie colpe, kafkianamente costruite ad arte, rimuovendo la realtà dei fatti e accettando a livello inconscio la prospettiva di essere, in fondo, soltanto in attesa di un nuovo crollo. 
Di esso, rimanendo in questa oscurità mediatizzata, si incolperà il caso cinico e baro, o indeterminati "ambienti speculativi": come se questi oscuri ambienti fossero distinguibili dai poteri economici neo-istituzionalizzati che ogni giorno perpetuano le forze implacabilmente messe in gioco, nel gigantesco casinò del capitalismo finanziario internazionalizzato.


1. Un paradigma da rigettare  
 Quante volte abbiamo udito levarsi lamentazioni e lagnanze sulla presunta inattualità dello “Stato imprenditore”, ricettacolo di corruzione e malaffare ; non c'è settore della vita pubblica  (pensioni, sanità, utenze domestiche, security, ecc.) nel quale la furia iconoclasta delle avanguardie mediatiche delle corporations non si sia abbattuta, e tutto per avvalorare l'idea che una “delega in bianco” a multinazionali e rentiers sia per noi vantaggiosa a prescinderein termini di efficienza e “moralità” - eliminando sprechi e corruzione che inibiscono potenzialità inespresse e, in ultima analisi, provocano l'aumento delle tariffe e del debito pubblico in generale. 
Risulta allora di difficile comprensione – sia detto in termini puramente retorici, va da sé -  il declino irreversibile del modello economico americano, dove la privatizzazione pressoché totale della società non ha – come abbiamo visto – “mantenuto le promesse” di efficienza, moralità e costi contenuti decantate dai suoi apologeti mentre, viceversa, ha portato alla creazione di oligopoli sempre più grandi e potenti, dove scandali, corruzione e aumento ingiustificato di costi e tariffe (in assenza di investimenti apprezzabili) hanno punteggiato le cronache di questi ultimi anni, dalle quali i cittadini emergono - more solito –  sempre “cornuti e mazziati”.  

 2. Se le città falliscono: il caso di Detroit
Pensiamo soltanto alla vicenda di Detroit patria della General Motors - la cui bancarotta del luglio 2013 è la palese espressione della crisi e della decadenza del capitalismo americano, una  metropoli ridimensionata ed immiserita, dove un terzo degli edifici e della superficie metropolitana è abbandonata e in decadimento, catalogata come “food desert”, ovvero uno di quei luoghi dove la popolazione ha scarso accesso ad alimenti freschi; come sono lontani i bei tempi di William Crapo Durant e Pierre du Pont, quando la città del Michigan si avviava a diventare il simbolo dell'industria automobilistica e della potenza economica americane, segnata in seguito da anni di delocalizzazioni che hanno portato – poco a poco – allo smantellamento del tessuto industriale, arrivato all'acme con la firma del NAFTA (North American Free Trade Agreement): tra il 1972 e il 2007, Detroit ha perso l'80% della sua produzione e decine di migliaia di posti di lavoro.

“Counterpunch”  riporta gli sviluppi post-fallimento e le “nuove idee” dell'”Emergency Manager” Kevyn Orr, colui a cui spetta il compito di gestire la fase intermedia che si è aperta dopo l'adesione al “Chapter 9″, la parte della legge fallimentare statunitense che permette alle amministrazioni pubbliche di ristrutturare il loro debito quando si trovano in dissesto finanziario.
La grande pensata del “liquidatore metropolitano” è fare cassa svendendo le utilities cittadine – quelle che danno profitti certi a rischio zero – alla consueta torma di grassatori in giacca e cravatta: la vendita potenziale del “Detroit Water and Sewerage Department” (DWSD) è un altro sviluppo dell'idea che l'acqua, come per qualsiasi merce, esiste per produrre un profitto privato piuttosto che per essere una necessità pubblica.
Nonostante Detroit sia oggi una delle città più povere degli Stati Uniti, le tariffe del “carbone bianco” sono più che raddoppiate negli ultimi dieci anni – come riporta il “Left Labor Reporter” - e nel giugno dello scorso anno sono state ritoccate di un ulteriore +8,7%, giungendo a doppiare i costi rispetto al resto del paese, fino a 150-200 dollari a famiglia.  

 3. L'acqua  è un bene comune, non una merce  
L’escalation delle tariffe è iniziata nel 2013, quando l’amministrazione comunale ha dichiarato bancarotta ed ha aperto il vaso di Pandora dei processi di privatizzazione e svendita di tutto il patrimonio pubblico, arrivando -  tra marzo e giugno 2014 – a sospendere il servizio a circa 12.500 utenze che non riuscivano a pagare le bollette, una strategia di recupero crediti che il DWSD ha lanciato per presentare la società in una veste più attraente agli occhi degli investitori privati, rendendo però impossibile alla metà degli utenti la regolarità nei pagamenti; attualmente, circa 17.000 abitanti di Detroit non fruiscono più di acqua corrente (i residenti possono vedersi privati dell'erogazione anche per non più di 150 dollari di debito), una scelta disparitaria poiché ha risparmiato i grandi utenti aziendali, responsabili di circa la metà delle morosità, dove solo 40 trasgressori hanno - secondo il Dipartimento - conti scaduti che vanno da circa 35.000 a più di 430.000 dollari.   
                                                                                                                        
L'evidente insostenibilità della situazione ha spinto la popolazione - supportata dagli attivisti locali della “Detroit People's Water Bord” e dalle organizzazioni americane e canadesi “Food and Water Watch” e “Blue Planet Project”  - a richiedere l’intervento delle Nazioni Unite; la risposta della Special Rapporteur per il diritto all’acqua, Catarina de Albuquerque, non si è fatta attendere: in un comunicato, la Albuquerque ha dichiarato che “i distacchi dovuti a mancati pagamenti per mancanza di risorse economiche costituiscono una violazione del diritto umano all’acqua. Essi sono infatti ammissibili solo se può essere dimostrata la solvibilità dell’utente. In altre parole se l’impossibilità di pagare è oggettiva il distacco costituisce una violazione dei diritti umani.”
                                           
Il DWSD fornisce circa 600 milioni di galloni di acqua al giorno a Detroit e a 127 comunità suburbane in 7 contee, fatturando circa 1 miliardo di dollari all'anno con un favorevole rapporto costi-ricavi ; se il sistema idrico fosse privatizzato, il bilancio della città di Detroit riceverebbe un piccolo sollievo temporaneo ma rinuncerebbe ai futuri ricavi, perdendo altresì il controllo di un bene pubblico costruito con denaro pubblico, ed è appena il caso di ricordare che la cessione dei servizi idrici - a domanda anelastica, gestiti necessariamente in regime di monopolio naturale - alle multinazionali dell'acqua reca sempre in dote aumenti considerevoli nelle tariffe, come hanno recentemente sperimentato 5 città della Pennsylvania, dove le bollette sono arrivate a più che triplicarsi.
                                                                                                                                       

 4. Derivati alla deriva
Una delle concause nella caduta di Detroit è da ricondursi anche alla sottoscrizione di complicati strumenti finanziari come i derivati legati alle obbligazioni municipali, e vi è il fondato sospetto che il DWSD abbia pagato alle banche 537 milioni di dollari in penali per uscire dai suoi “interest-rate default swaps”;  invece di limitarsi a vendere obbligazioni “plain vanilla” - corrispondendo ai detentori un importo stabilito e pianificato nel tempo  - Detroit  (come molte altre amministrazioni) si è impelagata in questi contratti, ritenendoli una forma di assicurazione a copertura del rialzo dei tassi di interesse: la loro prevedibile discesa  – per effetto della politica monetaria della banca centrale, tipica in una recessione - ha invece lasciato l'amministrazione scoperta per grandi somme di denaro, e il “Financial Times”  riporta che ciò costerà a Detroit 2,7 miliardi di dollari per ripagare 1,4 miliardi di dollari di prestiti ricevuti, inclusi 502 milioni di dollari in pagamenti di interessi e 770 milioni di dollari come costo sui derivati: tra l'altro, i 537 milioni di dollari versati dal DWSD alle banche, per cessare i pagamenti extra a copertura degli swaps, sono più di quattro volte l'intera bolletta dell'acqua scaduta, sia residenziale che commerciale.                                                                                                           

 5. Anche Chicago è in difficoltà
Negli ultimi anni diverse città americane hanno dichiarato fallimento, molte in CaliforniaStockton, San Bernardino, Vallejo, per citarne solo alcune  -  mentre altre sembrano sul punto di aggiungersi al club e, tra queste, Chicago sembra quella messa peggio; lo scorso febbraio, Moody's  ne ha declassato il rating a Baa2 - a due passi sopra il livello “spazzatura” - e ciò potrebbe innescare la cessazione immediata di quattro accordi di “interest-rate swaps”  (ancora loro) - un onere di circa 58 milioni di dollari - avvertendo che il giudizio potrebbe peggiorare ulteriormente, e portare a costi più elevati in futuro, se le banche decidessero di interrompere altre operazioni di copertura sui tassi di interesse contro le fluttuazioni degli stessi.                                                                      
Tali “pizzini” sono del tutto conformi alla consolidata prassi che vede i banchieri di Wall Street  “dettare la linea” sulle opzioni di spesa delle amministrazioni pubbliche; l'oggetto del contendere è qui rappresentato dai fondi pensione - troppo generosi, a loro dire – e pertanto si minaccia un declassamento “a cascata” - che esporrebbe Chicago a dei  pagamenti immediati e a sensibili variazioni nei tassi di interesse (e alla probabile insolvenza) – se il vulnus non verrà sanato: Chicago detiene contratti swap relativi a 2,67 miliardi dollari di debiti, e l'articolo di “Reuters” illustra diversi scenari in proposito, tutti estremamente sfavorevoli, che dimostrano come le grandi banche d'affari e le agenzie di rating (che sono, in effetti, entità sovrapponibili) tengano in pugno la metropoli dell'Illinois: la stessa Standard & Poor's  ha paventato un possibile downgrade multiplo se quest'anno la città non presenterà un piano sostenibile per far fronte ai propri crescenti contributi pensionistici.   

 6. La fabbrica del consenso reloaded: numeri in allegria
Quanto fin qui esposto dovrebbe rendere abbastanza evidente che l'economia americana non è affatto - e non può essere - quella “locomotiva mondiale”  di cui si favoleggia nella “catena di montaggio” della “fabbrica del consenso”, e gli stessi dati (e successive revisioni) del PIL,  che dovrebbero suffragare tale asserzione, scontano una certa qual dose di aleatorietà   derivante da numeri aggiustati e adattati, aggregati e disaggregati alla bisogna, da farli ritenere poco attendibili; una pratica che ricorda la stessa maestria e disinvoltura di un sarto nell'atto di confezionare un abito per un cliente fisicamente poco proporzionato.
Aveva fatto gridare al miracolo la revisione del “Bureau of Economic Analysis”, secondo il quale la crescita del 3° trimestre 2014 era arrivata a toccare addirittura il 5% , ma “Zero Hedge”  ha scoperto cose assai interessanti sul “taglia e cuci” dei sarti della “maison Obama”: analizzando – a fine giugno - la revisione definitiva del 1° trimestre 2014 (Q1), Tyler Durden si è accorto che il BEA aveva rimosso i pagamenti di ObamaCare dai risultati già deludenti di quel trimestre, un fattore sospetto che lo aveva portato a scommettere sulla loro riutilizzazione in uno dei trimestri successivi.
Questo è esattamente quello che è successo nel Q3, dove i 2/3 della "spinta" del consumo personale provengono dallo stesso ObamaCare che inizialmente avrebbe dovuto incrementare proprio il PIL del Q1, fino a quando i pessimi numeri di quest'ultimo hanno “suggerito” al BEA di estrarre i circa 40 miliardi di dollari in PCE (Personal Consumption Expenditures) da quel trimestre oramai compromesso e riutilizzarli in un altro, nella fattispecie il 3°: del resto, sarebbe bastato dare un'occhiata alla rilevazione dello stesso periodo dell'anno precedente (2,7%) per rendersi conto che la situazione economica generale non poteva giustificare un simile miglioramento nell'arco di 12 mesi.
E infatti il successivo Q4 del 2014  secondo l'ultima (?) revisione di qualche giorno fa – è ritornato ad attestarsi intorno al 2,2%, ben sotto il trimestre precedente e le aspettative degli stessi analisti; e non va meglio con le previsioni del 1° trimestre del 2015: la FED di Atlanta ha rivisto le proiezioni già diverse volte, passando dal quasi 2,5% di febbraio fino allo 0,2% di fine marzo.                                                                                                

 7. Vendite al dettaglio in affanno   
I dati che arrivano dall'economia reale lasciano poco spazio per voli pindarici; le vendite al dettaglio collassano, e focalizzando la nostra attenzione solo nel recente passato abbiamo il flop del “Thanksgiving Day” e del “BlackFriday” -  il weekend lungo del Giorno del  Ringraziamento, dedicato tradizionalmente allo shopping - con un calo dell'11% (negozi e web) , e la serie negativa (dicembre: - 09% ; gennaio: - 0,8% ; febbraio: - 0,6%) più lunga dal crash Lehman.
E che dire del simbolo per antonomasia del consumismo americano, lo shopping mall?
In tutta l'America, grandi centri commerciali un tempo rutilanti ed affollati sono ora in fase declinante e in disfacimento; famose catene di negozi ad alto richiamo come Sears e JCPenney stanno chiudendo i loro punti vendita e i proprietari dei centri commerciali stanno avendo difficoltà nel trovare dei rivenditori abbastanza grandi per sostituirli; con una nuova ondata di chiusure all'orizzonte, circa il 15% dei centri commerciali statunitensi fallirà o sarà trasformato in spazio non-retail entro i prossimi 10 anni
Dal 2010, più di due dozzine di grandi spazi commerciali sono stati chiusi mentre altri 60 sono in bilico, e con la disuguaglianza di reddito che continua ad allargarsi solo gli shopping malls di fascia alta riescono a mantenere un accettabile livello di vendite, a differenza di quelli frequentati dalla middle class e dal proletariato.
                                                                                                                                     
8. Nuvole nere all'orizzonte
L'indice PMI (Purchasing Managers Index) della “Kansas City Fed” - che monitora la salute economica del settore manifatturiero riferito a: nuovi ordini, livelli di magazzino, produzione, consegne dei fornitori e ambiente di lavoro - è precipitato di un - 4 a marzo (contro le aspettative di + 1), un livello toccato nel febbraio 2013; l'indice ha ormai perso  6 punti degli ultimi 8 mesi e il rapporto è un disastro su tutta la linea: i nuovi ordini sono crollati a - 20 (2° registrazione più bassa dal crash Lehman), portafoglio ordini inevasi imploso, la settimana lavorativa media è crollata a -17 (valore più basso post Lehman), e le aspettative future del capex (investimenti in conto capitale per l'acquisto di beni durevoli, come ad esempio i macchinari) sono scese al minimo da cinque anni
Uno degli intervistati ha osservato:  "non vediamo l'economia forte come viene dipinta nei rapporti dei media nazionali".
 
E come se non bastasse, c'è il crollo del settore dello scisto – le cui conseguenze stanno appena emergendo - a far vacillare anche “Lady Liberty”; il 13 gennaio, la FED di Dallas prevedeva che nel solo Texas 140.000 posti di lavoro potrebbero essere eliminati e la Schlumberger  - prima società di servizi petroliferi del mondo - taglierà 9.000 posti di lavoro, dopo che l’utile netto del quarto trimestre 2014 è sprofondato dell’81% a causa di svalutazioni da 1,6 miliardi di dollari delle attività produttive in Texas.
Come scrive William Engdahl “[...] il boom del petrolio di scisto negli Stati Uniti era una bolla di Wall Street, come già abbiamo notato, alimentato dalla Federal Reserve con tassi di interesse a zero e banche di Wall Street alla disperata ricerca di prestiti dopo il crollo della bolla immobiliare nel 2008. Hanno fatto grassi profitti sottoscrivendo 'junk bonds' per le compagnie petrolifere dello scisto, molte delle quali di piccole e medie dimensioni che ora scompariranno (…) fino a quando i tassi d’interesse negli Stati Uniti erano bassi, negli ultimi sei anni, e il prezzo del petrolio era oltre i 100 dollari al barile, le compagnie petrolifere potevano accollarsi il rischio e le banche prestare con liberalità. Ora avviene una brusca frenata mentre i proventi del petrolio crollano del 40-50%, negli ultimi sette mesi. Fintanto che i prezzi erano alti, le compagnie petrolifere dello scisto potevano avere prestiti come se non ci fosse un domani [...]”.
                                                                                                                                               

 9. Una volta  Francis Fukuyama mi disse che...
L'élite finanziaria americana e i suoi “political puppets” sono sicuramente coscienti della  insostenibilità economica e sociale interna, e di quanto l'accelerazione del declino del dollaro - ad opera, soprattutto, di Russia e Cina – come valuta di riserva e strumento internazionale di pagamento, ponga loro dei problemi quasi insolubili ; gli Stati Uniti, venendo meno il loro diritto di signoraggio, sarebbero ora obbligati a compiere drastici aggiustamenti strutturali, poiché non potrebbero più permettersi di aprire un passivo della bilancia commerciale in condizioni di totale impunità.                                                         
Invece di prendere atto dell'inevitabilità del crepuscolo, rassegnandosi alla fine della “fine della storia”  e adoperandosi per una gestione multipolare e più equilibrata della politica mondiale – convocando, ad esempio, una sorta di Bretton Wood  II per definire un nuovo assetto monetario mondialeWashington, come al solito, pensa di risolvere i suoi problemi scaricandoli sui presunti “preziosi alleati”.
E' da vedersi in quest'ottica la fretta con cui Wall Street e Corporate America vogliono arrivare alla firma di trattati come TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e TTP  (Trans-Pacific Partnership), due cavalli di Troia attraverso i quali le corporations d'oltreoceano mirano a rafforzare, in maniera definitiva, il controllo economico su due macroaree strategiche a ridosso di Russia e Cina nel tentativo di impedirne lo sviluppo e che, nel caso del TTIP  arriverebbero nel Vecchio Continente  “[...] per riversarsi sui pochi settori industriali ancora in vita e sul vecchio e, specialmente, nuovo settore dei servizi; quest'ultimo verrà creato privatizzando pensioni e sanità, da devolvere a soggetti finanziari stranieri cui si aprirebbe un ghiotto mercato in Europa […]”, dove le eventuali controversie tra stati e multinazionali verrebbero definite “[…] mediante diritto internazionale autoapplicativo, enforced da arbitri privati pagati dalle multinazionali [...]”, come scrive il giurista Luciano Barra Caracciolo.
  

 10. “Gli Stati Uniti hanno bisogno di una guerra”
Diversi commentatori e politologi, come ad esempio Paul Craig Roberts, ritengono che   Washington stia cercando uno scontro armato – magari anche una “guerra per procura”, con gli europei nel ruolo degli “utili idioti” - per risolvere tutti i propri problemi economici, avendo bene in mente che i semi della destabilizzazione in Medio Oriente e soprattutto i venti di guerra che spirano ai confini della Russia, dove USA e NATO stanno ammassando truppe e armamenti pesanti sono due facce della stessa medaglia; Sergei Glaziev, economista e consigliere di Putin, ha sviluppato un'analisi molto lucida degli odierni accadimenti, come capita ormai raramente di ascoltare, specie in Italia : 
“[…] Ora gli Stati Uniti vogliono ancora mantenere la loro leadership a spese dell'Europa. 
Questo processo è minacciato da una Cina in rapida espansione. Il mondo oggi sta slittando su un altro ciclo, questa volta politico. Questi cicli hanno una durata di secoli e sono associati con le istituzioni globali che regolano l'economia. Oggi stiamo passando dal ciclo americano dell'accumulo del capitale a un ciclo asiatico. 
Questa è un'altra crisi che sta sfidando l'egemonia americana. Gli americani, per mantenere la loro posizione di egemonia di fronte alla competizione con la Cina e con altre nazioni asiatiche emergenti, stanno iniziando una guerra in Europa. Vogliono indebolire l'Europa, spezzare la Russia e soggiogare l'intero continente europeo. E così, invece della zona di sviluppo da Lisbona a Vladivostok offerta dal presidente Putin, gli Stati Uniti vogliono iniziare una guerra caotica su questo territorio, coinvolgere l'Europa in questa guerra, svalutare il capitale europeo, cancellare il proprio debito pubblico, sotto il cui fardello gli Stati Uniti stanno già cominciando a crollare, annullare i debiti che hanno con la Russia e con l'Europa, soggiogare i nostri spazi economici e stabilire il controllo sulle risorse del gigantesco territorio eurasiatico. Credono che questa sia la loro unica maniera per mantenere l'egemonia nel mondo e superare la Cina [...]”.

11.Requiem                                                                                                                                            
In conclusione, tanto per ricordare chi comanda negli Stati Uniti, è sintomatico il modo con il quale le banche di Wall Street continuano a giocare al “Casino Royalesenza alcun ritegno, ben sapendo che – in caso di necessità -  i contribuenti saranno nuovamente forzati a salvare loro i glutei; lo scorso dicembre, durante le discussioni e le votazioni al Congresso sul nuovo piano di spesa del governo, è accaduto che Citigroup (e JPMorgan Chase) sia riuscita a far inserire furtivamente la sua legislazione di deregolamentazione sui derivati nel “Cromnibus”, il piano di spesa da 1.1 trilioni di dollari che vincolerà il budget governativo fino al prossimo settembre  (si chiama Cromnibus perché è la “Continuing Resolution” (CR) del piano di spesa omnibus).
Citigroup, con la partecipazione volontaria del Congresso e di Obama, ha impostato il paese verso il prossimo crollo finanziario in cui appare destinata a giocare un altro ruolo da protagonista, visto che la legislazione appena approvata dal Congresso permette a Citigroup e ad altre banche di Wall Street di mantenere i loro assets più rischiosi - interest rate swap e altri derivati - nell'unità bancaria che è supportata dall'assicurazione federale sui depositi FDIC (Federal Deposit Insurance Corp.), che è - a sua volta – supportata dai contribuenti americani, assicurandosi così un altro piano di salvataggio se il bubbone dei derivati dovesse scoppiare ancora una volta.
Secondo i dati di Bloomberg, negli ultimi cinque anni - quando si supponeva che la riforma finanziaria Dodd-Frank avrebbe reso più sicure queste mega banche - Citigroup ha aumentato il valore nozionale dei derivati nei propri libri contabili del 69%: lo scorso giugno, secondo Bloomberg, Citigroup aveva 62 trilioni di dollari in contratti aperti, contro i 37 trilioni di dollari del giugno 2009.

La “Sabbia del Tempo” nella clessidra è ormai agli sgoccioli...

“Prima o poi verrà un crollo, e sarà forse terribile”.   (Roger Babson, settembre 1929)                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

18 commenti:

  1. Agghiacciante e realistico. Un grande ringraziamento a Riccardo Seremedi.

    E un forte abbraccio (con il debito rispetto) a 48 quando parla di piano inclinato.
    UN PIANO INCLINATO E' IL CONTRARIO DI UN COMPLOTTO
    UN PIANO INCLINATO E' IL CONTRARIO DI UN COMPLOTTO
    UN PIANO INCLINATO E' IL CONTRARIO DI UN COMPLOTTO
    E un efficace piano inclinato si costruisce con pochissime regole ben scelte e immutabili.
    Non serve altro.

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  2. E' mia personale sensazione che il XXI secolo sarà per gli USA quello che il III secolo fu per Roma.
    Non "la fine", ma sicuramente la fine della "spinta propulsiva" dei secoli precedenti, e l'inizio di numerosi focolai di crisi,esterni ma soprattutto interni, con forti riflessi sull'economia e la tenuta della società.
    Nel III secolo vi furono grandi imperatori militari combattenti. Non è un secolo solo di declino. L'esercito romano ha ancora una forte e credibile capacità di risposta. A fronte della sconfitta di Valeriano da parte di Sapore, vi fu, poi, il trionfo del "Restitutor" Aureliano. Lo stesso Gallieno, fu abile a conservare l'unità dell'impero in un periodo di grande crisi.

    Eppure, se non è la fine, è il periodo in cui, lentamente ma inesorabilmente, ne nascono le premesse.
    Io ritengo possibile che gli USA si stiano lentamente incamminando su quella via........

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    1. Forse, ma siamo in un'era di fenomeni accelerati. Il "regno della quantità"...

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    2. Parlando di "fenomeni accelerati" ritieni che una prossima "crisi di wall street" potrebbe generare uno shock così forte da far collassare l'impero?
      O ti riferisci ad una mutevolezza del quadro talmente rapida da impedire qualsiasi previsione?

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    3. A pensarci bene, a entrambe le cose: non dobbiamo pensare, e questo vale anche per l'Impero d'Occidente, a una repentina fine che non sia caratterizzata da una lunga fase di trasformazione compatibile con la conservazione di certe forme e istituzioni (nazionali e internazionali, ai tempi nostri).
      E d'altra parte, le vicende dell'Impero britannico già ci illustrano come si verifichino, in compressione temporale, gli eventi nel "regno della quantità".

      Ma ho l'impressione che la trasformazione sarà percepibile ad una velocità che la farà assomigliare più al IV-V secolo (fusi insieme, appunto in accelerazione) che al III.

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    4. Da quello che vedo, il dispositivo militare americano non è -però- assimilabile a quello romano del IV-V secolo. E' ancora vivo e potente (anche se, forse, vive molto sul mito di invincibilità guadagnato negli anni '90).
      Certo, qualora il "conflitto che vanno cercando" si risolvesse con una inaspettata sconfitta (come fu per i romani Adrianopoli, nel 378)....... Tuttavia forse sono speculazioni inutili: gli eventi "ricorrono", ma non si ripetono.

      Nel frattempo, leggo che Schauble non è più così contrario ad un referendum in Grecia: http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/05/08/grecia-eurogruppo-rispetti-impegni-su-debito-e-stabilita_c6c30438-8440-437a-a542-577b75ec2b3b.html

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  3. Ho letto con interesse il post. In particolare, mi ha colpito la parte finale in cui si parla di una guerra fortemente voluta dagli Stati Uniti. Concordo con quanti hanno avanzato e a tutt'oggi avanzano questa ipotesi. E' chiaro come le Nazioni del "Primo Mondo" siano disposte a tutto pur di non perdere il primato, ma è altrettanto chiaro che gli equilibri che per lungo (e oserei dire troppo) tempo sono rimasti in piedi ora si stiano piano piano disfacendo. La crisi economica alla quale stiamo assistendo, sviluppatasi non a caso a partire dagli Stati Uniti, non è altro che un chiaro esempio di come pian piano l'egemonia dei Paesi Occidentali stia venendo meno. In qualche modo l'Occidente sta "scendendo", e come in una bilancia ogniqualvolta un piatto scende, il piatto che si trova dalla parte opposta del braccio sale. Il processo di risalita dei Paesi "in via di sviluppo" già da tempo è avviato. I tassi di crescita di Paesi un tempo poveri o poverissimi è per forza di cose superiore in percentuale rispetto al tasso di crescita dei Paesi già "ricchi". Laddove c'è bisogno di creare tutto, le differenze si notano più velocemente, mentre in Occidente si è già arrivati ad un picco di sviluppo che comporta necessariamente un'inversione di rotta. Illuminanti a tal proposito sono i libri di Serge Latouche e il suo concetto di "decrescita". In tutti i modi la parte di mondo dalla quale proveniamo ha cercato di mettere i bastoni fra le ruote per impedire che Asia e Africa crescessero, anche attraverso la creazione di Istituzioni Finanziare che in teoria dovevano finanziare lo sviluppo, ma che nella pratica non facevano altro che fornire inutili aiuti a pioggia e costruire "cattedrali nel deserto". In questo momento storico stiamo semplicemente pagando il conto delle nostre azioni.

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    1. http://orizzonte48.blogspot.it/2015/04/il-trilemma-di-rodrik-e-lapplicazione.html

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    2. http://orizzonte48.blogspot.it/2013/11/latouche-e-leuro-la-saldatura-col.html

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    3. Glaziev non fa altro che ricordare la storia moderna: l'élite anglofona ha kicked away the ladder nello stesso modo - e più volte - ai competitor economici emergenti.

      Perché sia stolto fissarsi sul mercantilismo tedesco è ovvio: l'impero english-speaking fonda la sua storica egemonia sul "divide et impera". E gli intransigenti tontoloni sono sempre gli stessi. Attualmente stanno ammassando truppe NATO nella frontiera Ucraina e hanno bisogno di una vassallo privilegiato altamente produttivo, "tecnologico" e disarmato, in aggiunta ad un'accozzaglia di valvassori deindustrializzati e alla fame. I paradigmi economici sono semplici sovrastrutture di quelli politici. E, dando per scontato il materialismo storico come essenziale legge immutabile, sarebbe interessante comprendere la genesi di quelli politici...

      La chiudo qua, prometto, perché comincio ad aver la paranoia di essere perseguitato dal fantasma di Nietzsche (che ha molto più a che fare con l'europeismo che con il nazismo; in peggio se è possibile, ma lasciam perdere).

      La tesi dell'Impero del Caos, stando con Vladimiro il Russo, pare confermare tutta la sua spinta dionisiaca: un "grazie" alle evidenze portate da Riccardo e alla coerenza in cui sono state logicamente presentate.

      Sarebbe interessante comprendere quale sia l'antitesi della sua controparte stori(cisti)ca (notare il link alla traduzione in cinese).

      Dopo un intenso lavoro diuturno feriale, ho avuto la possibilità di passare un romantico fine settimana a Venezia, con tanto di incontri con artisti e professionisti del mercato dell'arte, rigorosamente Russi. In occasione della Biennale.

      All'Arsenale ho trovato installazioni con forti richiami bellici: nero, marrone scuro, grigio, materiali plastici, catramosi, post-industriali, di riciclo, con simpatici suoni da film dell'orrore in onore alla contaminazione schoenbergiana della musica elettronica anni '70. Nell'installazione del Sudafrica sono riusciti a fare una specie di statua con le banconote dello Zimbabwe. Casta-corruzione-brutto, "arridateci elezioni democratiche in Russia", e via andare... ma si sa, in noi vibra ciò che già abbiamo dentro.

      Mi sono posto il problema di come può essere valorizzata la sensibilità artistica se, al di là delle capacità tecniche, un artista vive dalla nascita in un mondo "pop". Fatto di stimoli "pop", e di dialettica "pop"...

      Entrando ai "Giardini" sono rimasto colpito da questo manifesto: parte del manifesto che ho postato sopra. Ho avuto la lieve sensazione di leggere un progetto di tecno-totalitarismo...

      Ma non si può inviare una copia della nostra Costituzione con ermeneutica economico-giuridica annessa alla Casa Bianca e al Cremlino?

      Ora, non voglio sostenere che Arte e Politica c'entrino, non sia mai: se i potenti non si ritrovano a cena non comunicano, non progettano e non "complottano"...

      Però l'installazione greca mi ha fatto venire la pelle d'oca: una casa di un pastore, con gli oggetti storici dell'occupazione nazista, e un video in cui un "agnello" appeso al tetto della catapecchia viene "macellato e spolpato" dal pastore....

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    4. L'arte al tempo del pop dominante (totalizzante) è inevitabilmente arte di regime (internazionalista e cosmetico).
      Se non rinasce la pulsione alla vita, in forma di aspirazione collettiva alla democrazia (sostanziale), l'arte diverrà una traccia del passato ante Bretton Woods (a voler essere ottimisti); e un'imprevedbile promessa di un futuro. Speriamo non troppo lontano...

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  4. Aspettavo il finale per condividere una citazione. L'autore è stato uno dei più famosi e autorevoli costituzionalisti italiani, nonché certamente l'uomo di punta delle proposte di "riforma" in chiave neo-liberale della Costituzione avanzate negli ultimi tre decenni (è stato, per capirci, l'autore delle proposte di riforma della Costituzione economica del "gruppo di Milano"), nonché ovviamente europeista accanito. Nel 2002 Ciampi l'ha insignito della medaglia d'oro ai benemeriti della scienza e cultura (insieme a Monti...). Insomma, se c'è qualcuno che sostiene una prospettiva interpretativa e di politica costituzionale opposta a quella avanzata qui, questo è lui: Giovanni Bognetti.
    Dunque, tra i molti passi possibili, ecco qui: "Il giudizio che qui si esprime di complessiva superiorità del modello costituzionale americano su quello "socialdemocratico" si fonda anche su considerazioni attinenti alle prospettive del futuro.
    Negli Stati Uniti, come in Europa, l'era della società industriale sta cedendo il passo a quella della società dell'informatica e della robotica. Le grandi masse di lavoratori operai e impiegatizi recedono di fronte all'avanzare di una classe media - ormai largamente maggioritaria - che sempre più si compone di lavoratori autonomi, o in grado di operare, volendo [!!!], in autonomia. Risorgono, in contesto nuovo, talune caratteristiche della struttura economico-sociale che avevano favorito - specie in certi paesi: l'America per esempio - l'imporsi del modello giuridico liberale. Inoltre, l'economia dell'intero mondo sta, per molti aspetti unificandosi: e questo renderà sempre più difficile, e sempre più in ogni cso costoso, il mantenimento del sistema dello stato nazionale chiuso, che è il presupposto della democrazia socialdemocratica.
    [...] In questa luce, il modello ideale della social-democrazia - legato all'immagine di una società tutta raccolta in sé e coattivamente al suo interno solidarista e egualitaria in misura intensa- non può non riuscire perdente. [...] La versione "neoliberale" americana dovrebbe dunque risultare più adatta alle esigenze della "nuova società" e alla globalizzazione dell'economia che non la rivale "socialdemocratica". In America, l'ordinamento è meglio preparato ad assorbire fin da ora profili della "nuova economia" e ad accogliere le aperture verso la concorrenza mondiale: il dinamismo maggiore della società e della produzione della ricchezza - facilitato dalla scelta compiuta in passato del "neoliberalismo" - contiene una sicura promessa in tal senso. Verso le altre nazioni, il modello "neoliberale" americano potrà offrire suggestioni più efficaci in ordine alla modernizzazione dei loro ordinamenti". (G. Bognetti, Lo spirito del costituzionalismo americano, vol. II, Torino, Giappichelli, 2000, pp. 291-92).
    Mi fermo qui per carità verso di voi e verso di me. Mi pare utile perché chiarisce quella che è l'alternativa a una difesa instransigente del modello costituzionale a fondamento laburista: la golden straitjacket costituzionale. Riccardo - che ringrazio anch'io e a cui mando un caro saluto - ci ha chiarito di quale tipo di società significa farsi paladini. Tutti quei giuristi e cittadini almeno consapevoli di ciò "che non sono e non vogliono essere" farebbero meglio a rendersi conto di quel che incombe su tutti noi e della scarsità di alternative a disposizione di chi vuol vivere in una società diversa.

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    1. Ecco il diritto rigorosamente concepito indipendentemente dalla "giustizia" (problema del tutto avulso dalla assiomatica autoaffermazione della Legge sulla legislazione).

      E' interessante (sconcertante) come la solidarietà sia una chiusura coattiva in sè della società. Coattiva.

      Di indimostrato in indimostrato, per tessere l'elogio rifondativo della "nuova economia", - senza averne mai verificato induttivamente i dati empirici in cui concretamente si manifesta- si danno per acquisiti risultati che, in realtà, sono giustificazioni di scopo, non solo quindi aprioristiche ma contraddette dai fatti.

      Certo, per ora, abbiamo il modello di una società che si rivela aver ghettizzato il 15% della popolazione stile "fuga da New York", e normalizza verso il basso il resto degli "utenti e consumatori", rendendoli fin da ora abituati ad un futuro in cui essere in Cina o negli USA sia fondamentalmente indifferente.
      Come "deve" accadere anche a noi.

      Un ottimo metodo di controllo sociale, che implica un ferreo e continuo ordinamento mediatico (overfed pop) della società.
      E naturalmente quel più generale controllo culturale (l'esaltazione della modernizzazione TINA), che permette, - esaltando nella realtà imaginata a tavolino i non trascurabili poteri di fatto (per ora) delle lobbies finanziatrici degli eletti-vedettes-, di precostituire i risultati dei sondaggi.
      Pardon, volevo dire delle para-elezioni idrauliche.
      E quindi finchè ci saranno.
      Ma sai perchè la democrazia (chiusa in se stessa! "Coattiva" e solidale) non mancherà a coloro che la stanno perdendo?
      Perchè nel futuro non ci sarà più chi rammenterà cosa sia stata e sarà in grado di riconoscerne il contrario

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    2. "Coattiva": è un punto di vista. Di qualcuno: "La nation, qui enferme les riches et les pauvres dans un réseau de solidarités, est pour les privilégiés une gêne de tous les instants. Elle est la condition d’existence d’institutions comme la Sécurité sociale, qui est, en pratique, un système de redistribution nationale, incompréhensible sans l’hypothèse d’une communauté d’individus solidaires et égaux. L’antinationisme est, pour des classes supérieures qui veulent se débarrasser de leurs obligations, fonctionnel, efficace, et discret. Il tend à délégitimer l’égalitarisme interne à la société, en activant le projet parfaitement honorable d’un dépassement du nationalisme et des phénomènes d’agressivité entre peuples. (...) Les classes supérieures françaises semblent caractérisées, en cette fin de XXe siècle, par une véritable horreur de la nation en tant que telle, qui n’évoque plus, pour elles, que la guerre et le racisme anti-immigrés." Questo è Emmanuel Todd, l'ultimo a finire nella lunga lista nera di intellettuali francesi che Valls va componendo.
      Non so: in Francia i concetti moderni di "nazione" e "sovranità" li hanno inventati; non mi pare siano disponibili a lasciarseli portar via senza reagire. Loro.

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    3. Tu continua a darmi queste citazioni da bibliofilo di inesauribile dottrina, e dovrò in continuazione rivedere e integrare il libro che sto scrivendo :-)

      In cambio te ne dò un'altra che anticipa l'altra faccia della medaglia dell'attuale internazionalismo (cioè liberismo), quella dei diritti cosmetici:

      "Dividendo gli elettori attraverso il sistema dei partiti politici, possiamo far spendere le loro energie per lottare su questioni insignificanti. Di conseguenza, con un'azione prudente abbiamo la possibilità di assicurarci quello che è stato pianificato così bene e portato a termine con tanto successo".
      USA BANKER'S MAGAZINE 25 AGOSTO 1924.
      https://pbs.twimg.com/media/CEzVhBwWAAAHrOf.jpg:large

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    4. Pensa che, leggendo una raccolta di scritti di Caffè, alcuni inediti, che ho quasi finito, ho esaurito i segnalibri disponibili sull'e-reader. :-) E c'era già tutto: la strategia dell'allarmismo economico, il mito della deflazione risanatrice, la ricerca di certificati internazionali di buona condotta, la flessibilità, "i mezzi di comunicazione di massa" che "trasmettono continuamente punti di vista che diventano vincenti per il semplice fatto di essere ribaditi", e così via allo sfinimento.
      Per il momento ne riporto una, suggeritami dalla tua (Note sull’esposizione di Einaudi, «Cronache sociali», n. 3, del 30 giugno 1947): "Un altro «ideale» non separabile dall’abito mentale dell’Einaudi è quello di essere sempre – quale che sia la sua momentanea attività – un docente di alto rango e un chiaro divulgatore dei problemi economici. Nella recente esposizione, se ne ha traccia nella cura da lui posta nell’illustrare, ai suoi onorevoli colleghi, il significato della moneta bancaria e il fenomeno della creazione dei «depositi fittizi». È da ritenere, tuttavia, che sarebbe stato più proficuo intrattenere gli ascoltatori su altri aspetti, più spiccatamente politici, dei problemi attuali del controllo del credito. Sarebbe stato opportuno, ad esempio, che i rappresentanti eletti del Paese fossero stati informati delle resistenze che da mesi i ceti bancari oppongono all’approvazione del provvedimento che mira a stabilire l’obbligo della devoluzione alla Banca Centrale di una data percentuale dei depositi bancari. Ai costituenti (e al Paese) sarebbe stato utile conoscere che i ceti bancari, a un certo punto, hanno prospettata la possibilità di una massiccia richiesta di rimborso dei buoni del Tesoro ordinari da essi detenuti, come alternativa dell’approvazione del provvedimento in parola.
      Se non altro, informazioni del genere contribuiscono a far comprendere che non è soltanto la lotta sindacale a minare le sorti della moneta e a pregiudicarne il risanamento."

      In attesa del libro. :-)

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    5. Mi sa che ti scrivo in privato :-)

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    6. Fermo restando che divulgare è più difficile che fare una monografia...
      Ma tanto il discorso non può essere ipersemplificato, dopo che ESSI l'hanno iperstrutturato :-)

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