mercoledì 21 ottobre 2015

IL MEZZOGIORNO E L'EURO: "CHE ME NE IMPORTA, NON E' MICA MIO!" (RELOADED E AMPLIATO)



1. Dunque, questo è il tema che, insieme con Cesare Pozzi, abbiamo prescelto per il convegno di cui vedete qui sotto la locandina:


Naturalmente, poichè in tempi non lontani nella Storia, - ma culturalmente ormai sepolti nell'oblio dal paradigma €uropeista neo-ordo-liberista-, l'ordinamento italiano è (o "sarebbe") caratterizzato dal principio dell'eguaglianza sostanziale (il mitico art.3, secondo comma, della Costituzione), la mia analisi partirà da questo principio e dai suoi sviluppi.

2. Non credo di fare un esercizio ripetitivo nel riprodurre ancora il passaggio del celebre discorso di Calamandrei sulle implicazioni della eguaglianza sostanziale:

"Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice:
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma non è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società. 
Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.
Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. 
La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. 
Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è -non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani- una malattia dei giovani.
La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. 
Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”
Questo è l’indifferentisno alla politica.
E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. 
Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli (ndr; Calamandrei, al tempo, non poteva lontanamente immaginare quanto la "bruttezza" letteraria potesse dilagare all'interno della Costituzione "riformata"), ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo.
3. A queste parole vorrei aggiungere, come mera anticipazione di spunti relativi al tema, per i lettori del blog, un paio di concetti e di dati, che prefigurano un discorso sviluppabile sul tema qui introdotto.
Il primo lo traiamo da un famoso post di Alberto ed è un dato storico "secco", brutale, di quelli costantemente dimenticati per ragioni €uro-culturali (nella misura in cui l'euro è il liberoscambismo internazionalista nella sua forma "reale", quale imposta per sottomettere le democrazie costituzionali europee...in nome della lotta ai "nazionalismi"):
"La Fig. 1 riporta il saldo delle partite correnti del Sud Italia e il tasso di interesse reale nazionale. Visto che siete di palato fino, trovate in calce la definizione esatta delle variabili.
Al di là dei motivi delle oscillazioni, il saldo delle partite correnti del Sud oscilla, negli ultimi 50 anni circa, tra il -15 e il -20% del relativo PIL, con una media del 17,5%. Cui prodest? 
Non certo allo sviluppo del Sud, non certo alla forza lavoro del Sud. Basti dire che l'era dell'euro ha stabilizzato verso il basso (cioè verso un deficit oltre il 20% la già tragica situazione...)

4. Il secondo ragionamento, o meglio  che mi pare pertinente accennare è invece tratto da questo (più ampio) articolo del prof.Carmelo Petraglia, dall'eloquente titolo "Il Sud ferma il treno del nord. Massimo Cacciari e altri luoghi comuni":
Terzo luogo comune. Il peso che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese, è un dato oggettivo. È la riproposizione della tesi leghista dell’ingiustizia fiscale sofferta dal Nord, il cui surplus primario coprirebbe gli sprechi di un Sud beneficiario di un flusso sovrabbondante di risorse. A sostegno di questa tesi, vengono di solito portati i dati relativi ai residui fiscali pro capite delle regioni italiane. Questi ultimi vengono calcolati come differenza tra la partecipazione di un contribuente medio di una regione al finanziamento dell’azione pubblica (in primo luogo attraverso il pagamento delle imposte) e i benefici che lo stesso riceve da tale azione (soprattutto sotto forma di servizi pubblici)[6].
In effetti, da diversi lavori scientifici risulta univocamente che le regioni del Mezzogiorno beneficiano di notevoli trasferimenti interregionali, soprattutto dalle grandi regioni settentrionali. Ma questa evidenza non è di per sé sufficiente a dimostrare che la redistribuzione così realizzatasi sia «eccessiva». È solo l’ovvio riflesso del dualismo economico del Paese, la conseguenza del normale operare della funzione redistributiva dello Stato centrale che produce, fisiologicamente, un trasferimento di risorse da contribuenti a maggiore capacità contributiva a contribuenti meno abbienti ai quali deve essere assicurato lo stesso livello di servizi pubblici.
I residui fiscali negativi delle regioni meridionali, dunque, non sono altro che il riflesso della redistribuzione nell’azione pubblica diretta all’attuazione dei principi costituzionali della progressività del sistema tributario, dell’universalità della spesa pubblica e della perequazione dei territori in ritardo di sviluppo[7]. Strumentalmente, la redistribuzione interpersonale tra contribuenti a diversa capacità contributiva viene confusa con la redistribuzione tra i territori di residenza degli stessi. Ha poco senso affermare che il Sud ha dei residui fiscali «troppo alti» se non si specifica quale sia il valore di riferimento «giusto», rispetto al quale il giudizio viene espresso[8].
In definitiva, basare le proprie argomentazioni su questi luoghi comuni, equivale a (ri)proporre una visione tanto ingenerosa nei confronti dell’economia meridionale quanto parziale nel riconoscere, tra i diversi aspetti dell’integrazione economica tra Nord e Sud del Paese, solo quelli che penalizzerebbero il primo a vantaggio del secondo. Il che, cosa ancor più grave, coincide con una pericolosa banalizzazione della questione «nazionale» del declino. Ma l’integrazione tra le economie del Nord e del Sud implica reciproci legami che si sostanziano in corposi trasferimenti di risorse anche in direzione opposta. Basti ricordare il ruolo che svolge il Mezzogiorno come mercato di sbocco per la manifattura settentrionale. E che dire della perdita netta sofferta dal Mezzogiorno in termini di capitale umano a favore delle regioni settentrionali?
Il Nord vuole vivere ancora nell’illusione che liberandosi della zavorra possa tornare a crescere? E Cacciari è proprio convinto che valga la pena continuare ad alimentare questa illusione?
- See more at: http://www.economiaepolitica.it/primo-piano/il-sud-ferma-il-treno-del-nord-massimo-cacciari-e-altri-luoghi-comuni/#.VOIZQSzdMS5
Il Sud ferma il treno del Nord. Massimo Cacciari e altri luoghi comuni - See more at: http://www.economiaepolitica.it/primo-piano/il-sud-ferma-il-treno-del-nord-massimo-cacciari-e-altri-luoghi-comuni/#.VOIZQSzdMS5
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"...Terzo luogo comune. Il peso che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese, è un dato oggettivo. 
È la riproposizione della tesi leghista dell’ingiustizia fiscale sofferta dal Nord, il cui surplus primario coprirebbe gli sprechi di un Sud beneficiario di un flusso sovrabbondante di risorse. A sostegno di questa tesi, vengono di solito portati i dati relativi ai residui fiscali pro capite delle regioni italiane. Questi ultimi vengono calcolati come differenza tra la partecipazione di un contribuente medio di una regione al finanziamento dell’azione pubblica (in primo luogo attraverso il pagamento delle imposte) e i benefici che lo stesso riceve da tale azione (soprattutto sotto forma di servizi pubblici)[6].
In effetti, da diversi lavori scientifici risulta univocamente che le regioni del Mezzogiorno beneficiano di notevoli trasferimenti interregionali, soprattutto dalle grandi regioni settentrionali. 
Ma questa evidenza non è di per sé sufficiente a dimostrare che la redistribuzione così realizzatasi sia «eccessiva»
È solo l’ovvio riflesso del dualismo economico del Paese, la conseguenza del normale operare della funzione redistributiva dello Stato centrale che produce, fisiologicamente, un trasferimento di risorse da contribuenti a maggiore capacità contributiva a contribuenti meno abbienti ai quali deve essere assicurato lo stesso livello di servizi pubblici.
I residui fiscali negativi delle regioni meridionali, dunque, non sono altro che il riflesso della redistribuzione nell’azione pubblica diretta all’attuazione dei principi costituzionali della progressività del sistema tributario, dell’universalità della spesa pubblica e della perequazione dei territori in ritardo di sviluppo[7]

[Dunque aggiungiamo: In pratica, correttamente, Petraglia, fa una distinzione tra:
1) "effetto redistributivo" strutturale proprio della universalità della spesa pubblica e quindi delle funzioni e servizi che essa tende ad assestare a un livello standard che dipende dalla distribuzione demografica (staticamente considerata: il discorso in termini dinamici, come insegna la realtà attuale, si fa più complesso: si pensi alla scuola pubblica-distribuzione dei plessi e del personale scolastico o alla sanità, o, ancora, alla semplice dislocazione di uffici periferici dello Stato, primi tra tutti quelli delle forze di polizia);

2) vere e proprie politiche territoriali di infrastrutturazione e di incentivazione dell'impiego di fattori della produzione. Basti dire al riguardo, che l'unità d'Italia ha agito in senso inverso rispetto al sud, in questa ottica; e, in termini finanziari, qualsiasi IPOTESI al riguardo cessa con l'adozione del modello Maastricht (basti ricordare che i "patti territoriali", anche se percentualmente allocati al sud in maggior misura, derivano da fondi europei, rispetto ai quali l'Italia è in un deficit contributivo in media dai 6 ai 7 miliardi all'anno, elemento che, unito ai vincoli fiscali, non può che determinare tagli progressivi della spesa universale).

Anzi, il progressivo venir meno del minimo fisiologico di cui al punto 1), determinato dalla diminuzione in termini reali dei principali aggregati della spesa universale, al netto dell'invecchiamento della popolazione, aggrava la situazione strutturalmente: il sud si svuota considerando anche se, come evidenzia Cesare Pozzi, i residenti "ufficiali" sono in parte fittizi e corrispondono in realtà a popolazione-lavoratori già trasferitisi), sicchè diviene inevitabile la "revisione" del numero di scuole, ospedali, uffici di Bankitalia e postali, inclusi.

E' l'altra faccia della polarizzazione territoriale, incentrata su Roma e Milano, anzitutto, e in inarrestabile corso con deindustrializzazione effettiva e potenziale (cioè desertificazione dei fattori della produzione).

Preciso ancora che l'effetto redistributivo della spesa universale agisce anche in senso non territoriale Nord-Sud, anche se dovrebbe apparire ovvio, quindi anche in senso sociale localizzabile tout court: Belluno, ad esempio, presumibilmente avrà un residuo fiscale rimpolpato dal maggiore di Treviso; e a Treviso, operai, magari immigrati, avranno un trasferimento di utilità dai contribuenti più abbienti (a titolo di esempio) quanto al mantenimento di strutture scolastiche, ospedaliere e di presidio del territorio.
E lo stesso, vale per gli effetti su un sistema previdenziale a ripartizione...]. E dunque, come prosegue il prof.Petraglia, con un passo che sottolineo:
Strumentalmente, la redistribuzione interpersonale tra contribuenti a diversa capacità contributiva viene confusa con la redistribuzione tra i territori di residenza degli stessi
Ha poco senso affermare che il Sud ha dei residui fiscali «troppo alti» se non si specifica quale sia il valore di riferimento «giusto», rispetto al quale il giudizio viene espresso[8].
In definitiva, basare le proprie argomentazioni su questi luoghi comuni, equivale a (ri)proporre una visione tanto ingenerosa nei confronti dell’economia meridionale quanto parziale nel riconoscere, tra i diversi aspetti dell’integrazione economica tra Nord e Sud del Paese, solo quelli che penalizzerebbero il primo a vantaggio del secondo. 
Il che, cosa ancor più grave, coincide con una pericolosa banalizzazione della questione «nazionale» del declino. [ndr; rienfatizzo questo importante passaggio]
Ma l’integrazione tra le economie del Nord e del Sud implica reciproci legami che si sostanziano in corposi trasferimenti di risorse anche in direzione opposta. Basti ricordare il ruolo che svolge il Mezzogiorno come mercato di sbocco per la manifattura settentrionale. E che dire della perdita netta sofferta dal Mezzogiorno in termini di capitale umano a favore delle regioni settentrionali?
Il Nord vuole vivere ancora nell’illusione che liberandosi della zavorra possa tornare a crescere? E Cacciari è proprio convinto che valga la pena continuare ad alimentare questa illusione?"

5. Ma per completezza espositiva, occorre anche una prospettiva storico-economica che abbracci l'intero quadro della questione meridionale. Ne abbiamo parlato qui, diffusamente.
Dal dibattito che ne è seguito, traggo le sintesi più interessanti.
In risposta alle dettagliate fonti di storia economica illustrate da Arturo, e relative alla contestata questione dell'autonomo e (probabilmente) autosufficiente processo di industrializzazione del sud ante-unificazione, (un processo che comunque era incontestabilmente presente), mi pare indicativa questa ricostruzione di uno storico dell'economia come Flavio, (oltretutto del Nord-est):
"..i terroni, avevano prima dell'annessione al Regno un'industria metalmeccanica e siderurgica importante, la cantieristica navale più grande dell'allora Italia, e una ottima industria alimentare e tessile, per non parlare di vetro, porcellana et alia.

Già al tempo, poi, vigeva il mito del "fogno", che ben presto si rivelò incubo: 

“La prospettiva unitaria non era solo nelle aspettative del ceto dirigente sabaudo e dell’industria del nord, penalizzata quest’ultima dalle barriere doganali che, lungo la penisola, deprimevano la circolazione delle merci. Veniva reclamata dal mondo intellettuale, che si riconosceva in una lingua comune e in un secolare patrimonio di tradizioni, scientifiche, letterarie e non solo. Correlata a istanze di tipo federalistico, veniva presa in considerazione da sicilianisti come Domenico Scinà, Pietro Lanza di Scordia, Isidoro La Lumia, Michele Amari. Fu tenuta in debito conto da Ruggero Settimo e dagli altri capi rivoluzionari del ‘48 palermitano, prima della inevitabile sconfitta. Su tale prospettiva, rivendicata pure dai locali padroni del vapore, dai Florio agli inglesi Woodhouse e Ingham, convergeva altresì, negli anni cinquanta, il radicalismo democratico che, lungo i tracciati mazziniani e garibaldini, andava diffondendosi fra i ceti medi e popolari dell’isola, sotto l’egida di personalità come Francesco Crispi e Rosolino Pilo.”
“Come in altre aree del sud, in Sicilia il nocciolo della questione continuava ad essere la terra.  
Le strutture del latifondo, che avevano retto alle leggi del 1812, con cui il parlamento dell’isola aveva abolito formalmente il feudalesimo, erano rimaste pressoché intatte, mentre le terre confiscate agli ordini religiosi finivano nelle mani del ceto agrario più spregiudicato. 
In sostanza, con il rifiuto di una riforma della proprietà rurale, che avrebbe potuto rimescolare le carte nelle politiche del Regno, equilibrando le opportunità e le risorse dei diversi territori, abortiva in quei decenni il disegno di una coesistenza equa di nord e sud. Sulla traccia di Cavour, contrario alle autonomie regionali, i governi sabaudi della Destra, da Ricasoli a Minghetti, convennero altresì su una linea centralistica, autoritaria, che, destinata a perpetuarsi pure dopo del 1876, quando il governo passò alla Sinistra, avrebbe annichilito ogni autentica aspirazione democratica. Lo scollamento nell’isola fu avvertito dalle popolazioni a tutti i livelli: anche dal ceto aristocratico-terriero, che pure da decenni aveva perduto il privilegio di un parlamento a propria misura.".


5.1. Continua (sempre Flavio), per dare un'idea del tradimento, a mio sindacabile avviso, subito dal Meridione:
"Agli esordi dell’impresa siciliana, Garibaldi e i suoi referenti dell’isola presero in seria considerazione l’argomento della terra

Nel vivo dei combattimenti, il 2 giugno 1860, un decreto firmato da Francesco Crispi ne prometteva infatti l’assegnazione ai contadini, a partire da coloro che si sarebbero battuti “per la patria”. 
In realtà, i fatti di Bronte, Alcara, e altri centri, che per la loro gravità hanno gettato ombre sul garibaldismo di quei frangenti, testimoniano come andarono le cose.  
L’anno clou, che aprì realmente la questione meridionale fu comunque il 1862, quando, in un contesto del tutto diverso, sullo sfondo del nuovo regno sabaudo, il radicalismo democratico, che avrebbe potuto sorreggere le istanze civili nel sud, con l’attuazione di una riforma agraria e non solo, venne sbaragliato... 
La resa dei conti venne quando Garibaldi mosse dalla Sicilia per risolvere militarmente la questione romana, giacché il capo del governo Rattazzi, apparso di primo acchito interlocutorio, non esitò a proclamare nell’isola lo stato d’assedio, conferendo il comando delle truppe a Raffaele Cadorna. Ne seguirono rastrellamenti e repressioni, a Girgenti, Racalmuto, Alcamo, Bagheria, Siculiana, Grotte, Casteltermini, culminanti in autunno con l’eccidio di Fantina. In tutto il Mezzogiorno, attraversato dalla guerriglia legittimista, l’anno si chiudeva d’altronde, come veniva espresso in un rapporto della Camera, con oltre 15 mila fucilazioni e circa mille uccisi in combattimento. Entrava così nel vivo l’offensiva di Cadorna, che avrebbe avuto un momento decisivo nel 1866, quando la rivoluzione detta del Sette e Mezzo sarebbe stata repressa con il cannoneggiamento di Palermo.

Lo statuto, mutuato da quello albertino del 1848, al sud venne violato da allora regolarmente, con un uso metodico della forza. In tutto il Mezzogiorno, proposta dal deputato della Destra Giuseppe Pica, dal 15 agosto 1863 veniva resa operativa, e sarebbe durata oltre due anni, la legge marziale, che prevedeva la sospensione dei diritti costituzionali, la punizione collettiva per i reati dei singoli e la rappresaglia contro i centri abitati. 

Precisi atteggiamenti culturali, con o senza cautele, intervenivano a legittimare intanto, pure in sedi ufficiali, ogni eccesso repressivo. Il generale Giuseppe Govone, i cui metodi, quando ebbe conferiti in Sicilia i pieni poteri, furono denunciati già allora come criminosi, non esitò a sostenere che i meridionali andavano considerati inferiori per natura."... 

Ecco, direi che ogni analisi dovrebbe prendere come minimo in considerazione questi aspetti
Non servono quindi dazi interni, diversa divisa fra Nord e Sud, gabbe salariali. Sarebbe bastato agire democraticamente, ed anche oggi credo che questo, come minimo, potrebbe dare quella sussistenza che manca. Un politica industriale vera, per il Sud, è chiedere troppo?".

5.1. Dati questi ragguagli storico-economici, certamente tanto significativi quanto dimenticati (oggi più che mai), mi permetto di riprodurre una sintesi finale di raccordo al presente, che credo possa servire come base per un'utile riflessione:
"Questo è un dibattito che può incartarsi facilmente: la verità è che, come dimostra più di un intervento, i dati su cui ragionare significativamente partono dal 1871 - e quindi già sono falsati da elementi politici determinanti- o tutt'al più aggregano dal 1861: il che non consente di cogliere i trend di espansione pregressi, che pure sono determinanti.
Ma il punto è un altro ancora: condizioni concrete di sviluppo del sud, in senso industriale autonomo dall'Unità d'Italia, c'erano o no?
La risposta è, in termini ragionevoli e prudenti, "".
Condizioni geo-politiche perchè questo avvenisse a lungo termine, come in effetti era necessario, invece, altrettanto ragionevolmente, "no".
Ora: supponendo una certa affidabilità di questa aporia (apparente, si tratta di fatti riconoscibili a posteriori), l'unità ha portato certamente più giovamento al nord che al sud


Era tutto ciò rimediabile con il raggiungimento della piena democrazia (pluriclasse e redistributiva)?
Anche qui la risposta potrebbe essere positiva: ma al tempo stesso, dobbiamo ammettere che nel secondo dopoguerra, la golden age dello Stato interventista, e non ancora "disciolto" nella irresistibile vena neo-liberista globale, lo stesso Stato fu costretto ad agire in modo rapido e imperfetto.
Qualsiasi serio discorso ora è stato interrotto sotto l'imperio dell'euro-modello. Chi avesse dubbi su ciò, fermandosi ad una presunta realtà antropologica, si troverebbe nella stessa posizione attuale dei tedeschi verso i Med.
Insomma, alla fine dei giochi, anche il riprendere un cammino risulta difficile per il profondo radicamente "autoctono" della vulgata neo-liberista. E l'ordoliberismo, cioè la capture delle istituzioni democratiche da parte delle forze liberoscambiste, costituisce uno schermo molto più insidioso a qualsiasi soluzione operativa di quanto non si creda.
Contrariamente a quanto con disappunto rabbioso o disperato si creda nel senso comune, le forme di corruzione e di criminalità territoriale meridionali sono molto più effetti che cause del problema

Personalmente, ritengo che non ci sia formula di "libera" accumulazione capitalista che sia compatibile con la legalità "pro tempore", senza un intervento programmatico dello Stato: e ciò vale a maggior ragione per l'altissimo livello implicito nella legalità costituzionale post 1948. 
Ciò implica che repressione delle mafie e risanamento non possano che andare di pari passo con un intenso programma di intervento pubblico (cioè su apparato della legalità INSIEME con politiche industriali COORDINATE col primo aspetto).
In apparenza la via intrapresa nei primi anni '80, assomigliava a questa tenaglia; ma aveva il semplice inconveniente di essere "emergenziale", cioè finanziata a tempo, e, al tempo stesso, anche insufficiente nel volume, una volta intrapresa la via della banca centrale indipendente "pura".
E torniamo sempre allo stesso punto: l'espansione del mercato interno, l'adeguamento infrastrutturale, esigevano un riequilibrio fiscale dal lavoro alle attività "autonome", per rendere ciò praticabile.
NON FU FATTO PROPRIO PERCHE' SI SCELSE LA VIA DEL VINCOLO ESTERNO E DELLA BC INDIPENDENTE (che esigeva la deflazione ad ogni costo, e quindi la crescente disoccupazione, funzionale alla "grande panacea" del vincolo esterno: la moderazione salariale imposta dalla brutalità dei fatti. Specialmente al sud): l'interesse nazionale unitario era già minato da tutto ciò.
La stessa via del trasferimento fiscale ne risultò alterata concettualmente: questo aspetto si legò, per sempre, a uno standard "morale" che anche le discussioni qui in parte registrate confermano. 

Ma nella eradicazione delle differenze strutturali non c'è alcuna indulgenza moralistica alla presunta debolezza (morale) di alcuno: si tratta solo di capire o meno in che consista la proiezione fiscale, INEVITABILE, della EGUAGLIANZA SOSTANZIALE (quella cui fa variamente riferimento Rawls)".
Il Sud ferma il treno del Nord. Massimo Cacciari e altri luoghi comuni - See more at: http://www.economiaepolitica.it/primo-piano/il-sud-ferma-il-treno-del-nord-massimo-cacciari-e-altri-luoghi-comuni/#.VOIZQSzdMS5

64 commenti:

  1. Articolo eccezionale come del resto tutto quello che scrivi.
    I commenti a volte diventano davvero inutili e superflui.

    Spero ci sia lo streaming del dibattito di Venerdì. Lo seguirei volentieri
    Grazie, e grazie per tutto quello che fai.

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    1. Beh qui più che altro è un "montaggio" di dati e analisi altrui per introdurre il (poderoso) problema :-)

      Sempre "scozzese" (se non erro)?

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  2. In realtà credo che il discorso sui trasferimenti sia più complesso: mi ricordo bene a lezione la docente che faceva notare lapidariamente che, valutando e confrontando povertà relativa tra Lombardia e Campania, i trasferimenti non erano nel loro complesso giustificabili come semplice redistribuzione del reddito. Troncando la considerazione con: "ci sono motivazioni politiche".

    Ma il punto è: è meglio avere "il lavoro" o "un trasferimento a sostegno del reddito"?

    L'ingiustizia sociale non deriva semplicemente dal reddito disponibile e dal potere d'acquisto relativo di un'area geografica: la vera ingiustizia antidemocratica consiste nella diversa possibilità di avere un'occupazione, e di potere esercitare attività o funzioni in linea con la propria vocazione.

    Se uno nasce poeta può vivere nel golfo di Sorrento con poco e niente ed essere realizzato come il più beato dei santi: ma se uno studia e desidera realizzarsi come ragioniere? Commercialista? Imprenditore? È uguale abitare in Aspromonte o a Torino? (Bè, forse ora sì)

    Questo è il senso di ciò che ricorda Calamandrei, sulle orme di Basso.

    Infatti, al nord, in tutta la mia vita, non ho mai sentito nessuno al bar lamentarsi dei "trasferimenti fiscali". Checcavolo sono?

    Al bar tutti si lamentavano dei trasferimenti delle "persone", del fatto che negli uffici pubblici, nella forze dell'ordine, nelle poste, nelle scuole, ci fosse un numero sproporzionato di lavoratori delle regioni del sud.
    Ho al limite sentito lamentarsi di disparità di trattamento nei concorsi pubblici a causa di presunte "statistiche" funzionali alle graduatorie non omogenee tra nord e sud: ovvero sempre a livello di "competizione" nel mercato del lavoro.

    La maledetta mobilità del fattore lavoro: la forza esportatrice della lira "debole" era dovuta allo sfruttamento dei lavoratori del sud, mica grazie a misteriose italiche magie della nostra rimpianta divisa. L'intervento pubblico chiudeva il giro portando stabilità sociale a favore della grande impresa in via di internazionalizzazione, mantenendo i livelli di impiego e consumi con il supporto di parastatali e PMI.

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    Risposte
    1. Grosso modo sono le implicazioni che il post voleva indurre.
      In pratica, correttamente, Petraglia, fa una distinzione tra:
      1) "effetto redistributivo" strutturale proprio della universalità della spesa pubblica e quindi delle funzioni e servizi che essa tende ad assestare a un livello standard che dipende dalla distribuzione demografica (staticamente considerata: il discorso in termini dinamici, come insegna la realtà attuale, si fa più complesso: si pensi a scuola-distribuzione dei plessi e del personale scolastico o alla sanità, o, ancora, alla semplice dislocazione di uffici periferici dello Stato, primi tra tutti quelli delle forze di polizia);

      2) vere e proprie politiche territoriali di infrastrutturazione e di incentivazione dell'impiego di fattori della produzione. Basti dire al riguardo, che l'unità d'Italia ha agito in senso inverso rispetto al sud, in questa ottica e, in termini finanziari, qualsiasi IPOTESI al riguardo cessa con l'adozione del modello Maastricht (basti ricordare che i "patti territoriali", anche se percentualmente allocati al sud in maggior misura, derivano da fondi europei, rispetto ai quali l'Italia è in un deficit contributivo in media dai 6 ai 7 miliardi all'anno, elemento che, unito ai vincoli fiscali, non può che determinare tagli progressivi della spesa universale).

      Anzi, il progressivo venir meno del minimo fisiologico di cui al punto 1), determinato dalla diminuzione in termini reali dei principali aggregati della spesa universale, al netto dell'invecchiamento della popolazione, aggrava la situazione strutturalmente: il sud si svuota considerando anche se, come evidenzia Cesare Pozzi, i residenti "ufficiali" sono in parte fittizi e corrispondono in realtà a popolazione-lavoratori già trasferitisi), sicchè diviene inevitabile la "revisione" del numero di scuole, ospedali, uffici di Bankitalia e postali, inclusi.

      E' l'altra faccia della polarizzazione territoriale, incentrata su Roma e Milano, anzitutto, e in inarrestabile corso con deindustrializzazione effettiva e potenziale (cioè desertificazione dei fattori della produzione).

      Preciso ancora che l'effetto redistributivo della spesa universale agisce anche in senso non territoriale Nord-Sud, anche se dovrebbe apparire ovvio, o anche in senso sociale localizzabile tout court: Belluno, ad esempio, presumibilmente avrà un residuo fiscale rimpolpato dal maggiore di Treviso; e a Treviso, operai, magari immigrati, avranno un trasferimento di utilità dai contribuenti più abbienti (a titolo di esempio) quanto al mantenimento di strutture scolastiche, ospedaliere e di presidio del territorio.
      E lo stesso, vale per gli effetti su un sistema previdenziale a ripartizione...

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  3. La Lega, come tutti i movimenti "american speaking" (ero piccolo ma mi ricordo l'endorsement dei soliti noti d'oltreoceano e dei loro portavoce tipo Feltri), a partire dagli anni '80 e dalle politiche deflattive della finanza internazionale, ha contribuito a formare un frame del tipo "pubblico" = "meridione d'Italia".

    Inizieranno gli sproloqui su "evasione", "sprechi", "cassa del mezzogiorno", "carrozzoni", "Roma ladrona"... la corruzione! Fino alla Mani Pulite golpista, le bombe "acculturate" e la dittatura finanziaria di Maastricht.

    Il problema non sarà più l'oppressione esercitata sulle classi subalterne dalla classe formata dalla mafia latifondista del sud e la grande industria collaborazionista del nord.

    La Lega farà da catalizzatore, come il M5S oggi, nell'indirizzare l'attenzione livorosa verso il conflitto intra-classista, personalizzando i "due minuti d'odio" orwelliani trasferendo gli archetipi classisti da un livello di censo a un livello di identità culturale, sferrando i colpi neoliberali contro la democrazia rappresentativa, contro lo Stato e l'unità nazionale.

    Col pretesto identitarista si sferrerà l'attacco all'unica identità politica che conta: l'identità nazionale, anima e motivazione spirituale a difesa della carta costituzionale. La Patria e i suoi impliciti valori solidaristici.

    Mi fanno sorridere coloro che credono che dietro le pretese secessioniste di Catalogna o Scozia ci sia una razionalità economica (a sentire certi economisti che parlano di dimensioni del mercato interno in era di globalizzazione... rivoluzionari solo rispetto agli imbecilli del "più €uropa"), o per motivi di "autodeterminazione dei popoli" secondo i principi universali anti-imperialisti e anti-colonialisti: la Catalogna colonia della Castiglia? La Scozia colonia dell'Inghilterra?

    Siamo seri.

    Anche solo per rispetto di chi il colonialismo lo ha vissuto e lo vive veramente: ciò che ieri è stato effettivamente imperialismo ad annettere, oggi è il medesimo imperialismo a voler secedere.

    (Uno stato mondializzato composto da macroregioni federate, non solo sarà l'antitesi della preservazione dell'identità etnico-culturale, ma sarà funzionale ad imperituro totalitarismo di una dittatura finanziaria.

    La mia impressione è che gli unici ad aver letto e compreso Marx siano stati i banchieri)

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    1. Per non rischiare di risultare "ellittico" per la maggioranza, data la ricchezza e complessità degli elementi che confluiscono (sinteticamente) nel quadro che delinei, il tema di questo commento meriterebbe un apposito post, con la illustrazione delle premesse dei relativi passaggi e la illustrazione di dati significativi.
      Sarebbe un ottimo servizio di informazione al pubblico :-)

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    2. Esiste un libro a proposito di ciò che dice Bazaar, è stato scritto dal signor Heineken (quello della birra) e prevede 75 stati in Europa.
      Il titolo è: Eurotopia.

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  4. Bisognerebbe aggiungere lo choc economico generato dalla normativa CEE sull'economia agricola del Sud, della quale io stessa sono stata testimone. Praticamente dall'oggi al domani dai supermercati della mia città scomparvero i prodotti locali di manifattura artigianale per fare posto ai latticini industriali di Olanda, Francia e simili. Lo stesso fu per la frutta e la verdura! E tutto ciò con spese di trasporto che aumentarono senza misura! Lo stesso articolo tra Reggio di Calabria e Messina aumentava di circa il venti per cento. E mi dicono che l'Aeroporto dello Stretto è in chiusura... altro lavoro perso, altre infrastrutture che probabilmente si trasformeranno in un centro commerciale....

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  5. Alla luce del progetto ordoliberista che Monti doveva applicare subito, si spiega finalmente il blocco immediato del Ponte sullo Stretto, eccezionale volano di sviluppo per Sicilia e Calabria. Blocco per il quale si dovranno pagare penali estremamente considerevoli, seppure non sono già state pagate aumma aumma...Sicilia e Calabria dovevano e sono in effetti diventate, giganteschi hub di immigranti.

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  6. .....nell'ipotesi di uno smantellamento graduale e controllato della UEM, si potrebbe pensare nella fase iniziale a tre grandi zone monetarie. Il markeuro raggrupante tutte quelle nazioni che vogliono restare aggrappate alla Germania.
    L'eurofranc che raggruppa Francia, Spagna, Portogallo, Italia ed una terza zona Euromed, euro mediterraneo, che raggruppa Grecia, Cipro, Malta e Sicilia che hanno produzioni e sviluppo compatibili fra loro. A queste zone potrebbero associarsi tutte le Nazioni che lo ritenessero opportuno. Dopo un quinquennio si passerebbe ad esaminare i risultati ed i popoli dovrebbero essere chiamati a dei referendum per decidere il percorso ulteriore.

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  7. Ma non credo che il Nord voglia vivere di questa illusione: il suo partito più caratterizzante ha chiaramente dato una svolta al suo programma liberandosi dei suoi stessi luoghi comuni (almeno nel programma che ha messo per iscritto).

    Il Nord sembra aver compreso la problematica, mentre invece il Sud, per il desiderio di liberarsi dalle penalizzazioni che in diverso modo subisce, sembra più indirizzato verso una via di fuga "europeista".

    E ad alimentare questa illusione sono proprio i "meridionalisti" per riflesso pavloviano, esattamente come la sinistra (Bagnai) risponde allo stimolo Salvini.

    Non c'è indifferenza ma la fiducia che la Costituzione realizzi il suo programma economico al Sud credo sia bassa, e si è portati a credere di risolvere la questione con presunti margini di "autonomia" (macroregioni, statuti) nell'euro. O nell'auspicare indipendenze come "Stati federati" nell'Europa delle Regioni.

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    1. Premetto che quanto segue è frutto delle mie personali considerazioni sull'attuale situazione politica reale in Italia, per la serie "Potrei sbagliarmi, ma anche no".
      La Lega Nord è guidata dalla stessa identica classe dirigente che l'ha guidata negli ultimi anni: sono saldamente in sella Luca "Sbarazziamoci del Sud così possiamo restare nell'euro" Zaia, Roberto "Regione Lombardia è il nostro marchio di fabbrica" - Milano, in particolare, è difficilmente qualificabile ancora come Italia: oramai è tutto in mano ai capitali degli "imprenditori" (qualcuno un giorno mi spiegherà di quali stregonerie si occupano codesti "imprenditori") stranieri - Maroni e poi i due homines novi Massimiliano "Ho votato il pareggio di bilancio in Costituzione" Fedriga e Matteo "Napoli merda, Napoli colera" Salvini.
      A questo aggiungiamo il fatto che la base elettorale leghista, coerentemente con la sua classe dirigente, non è affatto cambiata rispetto alla sua composizione storica (basterebbe ascoltare le chiamate che arrivano a RadioPadania quando Claudio Borghi è ospite per averne conferma). Al Sud saremo anche "colerosi, terremotati e con il sapone non ci saremo mai lavati", ma, in virtù dell'esperienza costituitasi in secoli di dominazioni straniere, proprio fessi non siamo: la LegaNord di Matteo Salvini non sfonderà mai nelle regioni meridionali e qualsiasi tentativo di portare alla ribalta nazionale un partito che si chiama LegaNORD (!!!) con lo scopo di uscire dall'euro e dall'UE è una colossale perdita di tempo (a meno che non si faccia parte di quelle satrapie in decomposizione interessate a occupare gli scranni dei consigli regionali fino a quando ESSI lo permetteranno).
      Matteo Salvini non ha né le capacità intellettuali e culturali né il "fegato" per fare quello che ha fatto Marine Le Pen in Francia con il Front National, ovverosia modificare radicalmente la linea politica del partito arrivandone ad espellere a sangue freddo il fondatore (nonché padre biologico dell'interessata) perché non allineato con la nuova direzione programmatica del movimento. Non a caso, prima il buon Matteo non terminava frase senza infilarci il nome dell'ottima Marine; da qualche mese non la nomina più manco di sfuggita nel corso delle sue incursioni televisive (e dire che le occasioni non mancherebbero...): che si sia finalmente accorto che il liberismo federalista in salsa legaiola non faccia esattamente il paio con il nazionalismo protezionista del nouveau Front National? Che dire, meglio tardi che mai...
      Le chiacchiere da salotto, come sempre, stanno a zero. Sono i fatti a parlare e i fatti non depongono a favore dell'operazione (che definirei puramente commerciale) svolta da Salvini e dalla LegaNord. Prima lo si capisce, meglio è per tutti. Altrimenti, al termine della prossima crisi, questo Paese rischia di non essere nemmeno più un Paese solo. A buon intenditor, poche parole.

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    2. Per quanto riguarda la situazione informativa al Sud, invece, ti assicuro che la gente comune è ultimamente molto aperta nel recepire queste problematiche e le loro consequenziali soluzioni (per esempio, giusto qualche settimana fa ero dal medico in sala d'attesa e lì due signori, discutendo del più e del meno, concordavano proprio che bisogna uscire subito dall'Euro perché da quando ci siamo entrati il potere d'acquisto delle famiglie è pressoché dimezzato e le aziende locali non fanno che abbassare le saracinesche dall'avvento di Monti in poi: ça va sans dire, nessuno dei due mi pareva esattamente un Pico de Paperis): sarà opera della Divina Provvidenza o semplicemente l'acqua è infine arrivata alla gola, ma ti assicuro che l'opportunità per fare corretta informazione ed essere effettivamente ascoltati ora c'è: basta esser pratici nell'arte della maieutica, alimentando dubbi che già ci sono - e certo che ci sono: tutti quei buchi di sceneggiatura nella narrazione propagandistica di regime non passano poi così inosservati quando si scontrano con la "durezza del vivere" - e raccogliendo la semina dopo qualche tempo: non bisogna spiegare per filo e per segno tirando fuori grafici e tabelle fin dal principio (anzi, sarebbe un grosso errore procedere in questa maniera), ma offrire spunti ("Ma ti sei mai chiesto come mai...?"; "Guarda caso ho recentemente letto un libro in cui si dice che...; ti interessa?"; "Hai visto cosa ha detto quello lì? E ti ricordi cosa aveva detto prima, no?") che verranno elaborati autonomamente dai soggetti in questione (se c'è una cosa che oggi non manca, sono i luoghi dove reperire informazioni). Non c'è idea più convincente di quella di cui ci si convince da sé, magari con un piccolo aiuto. Per far questo su larga scala, tuttavia, occorrerebbe proprio ciò di cui siamo sprovvisti: i politici! E qui, lasciata la non così "perduta gente", si giunge alla "città dolente" e all'"eterno dolore", ma non mi pare affetto questa la sede per svolgere certi ragionamenti strettamente politici (senza offesa per l'esimio ospite, ma che, per quanto esimio, sempre figura prettamente "tecnica" rimane e che non mi pare opportuno tediare ulteriormente per via telematica).

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    3. Caro Winston, grazie per la sensibilità.
      Qui peraltro c'è un ampio diritto di tribuna (nei limiti della non totale adesione al paradigma acritico-livoroso che non abbiamo il tempo di tollerare, dato che ha spasi praticamente illimitati sui media mainstream e tutte le leve del consenso autorazzista a disposizione).

      La strana caduta del silenzio sulla "sostanza" del programma lepeniano è in effetti un risultato inevitabile: un diverso esito avrebbe implicato una comprensione ben anteriore della radicalità del cambiamento di messaggio da intraprendere.

      Sarebbe stata un'autentica rivoluzione, in Italia, perchè l'espansione del consenso sarebbe avvenuta sulla sinistra, ormai ordoliberista oltranzista, e sull'astensionismo dei rassegnati alla durezza del vivere.
      Non aggiungo altro, tanto i giochi ormai paiono fatti...

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    4. Ma quanto sono d accordo con Winston Smith.
      Davvero l arma migliore per svegliare il prossimo è evidenziare le "contraddizioni logiche" della propaganda di regime.
      Che sono gigantiche. E comprensibili anche a un bambino di 10 anni...purché non sia cresciuto a "pane e tg italiani".
      Alla massa bisogna parlare di LOGICA. non di economia.
      E tutto verrà più facile.

      Per capire l economia bisogna studiare e approfondire...per questo se ne deve parlare con gli istruiti.

      Per capire la logica...basta mettere in dubbio per un istante quel che dice Paolo Mieli. E questo potrebbe farlo anche chi non ha studiato. Anche meglio.

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    5. Quanto alla lega, il problema principale di Salvini è che non vuole rinunciare all appoggio di una certa parte dell imprenditoria del nord...quella che ad esempio gli immigrati li sfrutta a man bassa x abbassare il costo del lavoro.

      Il resto vien da sé.

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    7. La conclusione che la lira-sud darebbe a tale parte dell'ex Italia Unita "uno sviluppo enorme" pecca di leggerezza pericolosissima.

      Il sud si troverebbe esattamente nelle condizioni della Grecia in caso di euroexit - anzi, a vedere i fondamentali degli ultimi decenni, anche peggio (basti il grafico sul deficit della partite correnti tratto da Goofynomis nel post che precede)- così come analizzato più volte da Sapir (e anche in questo blog: un busillis che aveva dato luogo al teatrino degli aiuti russi, USA, o di chissàcchi, e ai veti USA che hanno stoppato qualsiasi dignità di quel popolo).

      Al riguardo mi auguro che sia approfondito e riletto quanto, infinite volte, ha segnalato goofynomics, e questo stesso blog, sul vincolo esterno della bilancia dei pagamenti (v."legge " di Thirlwall), per un settore di paese che non avrebbe strutturalmente la possiblità di accumulare riserve in valuta pregiata, bensì un crescente, e potenzialmente esiziale, debito con l'estero. Perlomeno in assenza di assets industriali capaci di avvantaggiarlo dell'effetto sostituzione delle merci attualmente importate in modo massicio (problema, allo stato attuale, praticamente insormontabile).

      Due valute, territorialmente localizzate quanto al "corso legale", presuppongono due istituti emittenti, con due diverse politiche necessariamente confliggenti, sul piano dei tassi di cambio, dei livelli inflattivi perseguiti, dell'attenzione alla bilancia dei pagamenti rispettiva.

      Due istituti emittenti di cui occorrebbe stabilire il potere di nomina dei vertici e la stessa impostazione istituzionale (indipendenza o meno), nonchè il rispettivo modello bancario perseguito; cioè una decisione politica che ricalcherebbe la stessa autonomia di decisione esercitata in funzione di popolazioni, e dunque di interessi socio-economici, ben distinti e che diverrebbero concorrenziali tra loro (salvo rassegnazione genetica a una natura "satellitare" ed immutabile del Sud).

      Senza contare che i rispettivi bilanci pubblici di "area" dovrebbero essere altrettanto distinti (essendo espressi in monete territorialmente distinte nella loro circolazione) e, data la subentrata distinzione delle rispettive aree quanto all'indebitamento con l'estero, ne conseguirebbero INEVITABILMENTE distinte politiche economico-fiscali: cioè due sovranità necessariamente distinte (e incomunicabili: semmai, ripeto perchè non pare chiaro, risolte in termini di competizione ovvero di asservimento de facto dell'una all'altra, per via di indebitamento commerciale costante determinato dalla "prossimità").

      Oltretutto, come segnalato da Winston, per poter, con un minimo di realismo, far partire la cosa senza effetti distruttivi del Sud, bisognerebbe immaginare una "restituzione" del sottratto (difficilmente stimabile in termini oggettivi) all'atto della Unità d'Italia; cosa politicamente impensabile.

      Ergo: si avrebbe la violazione della unicità e indivisibilità della Repubblica prevista dall'art.5 della Costituzione, per relegare il Sud in condizioni di importatore di ogni genere di bene strumentale e di tecnologia, necessari per qualsiasi tipo di rilancio produttivo e industriale adeguato, nonchè, aggiuntivamente, di importatore, - nel frattempo che ciò si realizzi (come periodo di investimenti e ri-infrastrutturazione)-, di beni di consumo di ogni tipo, ben al di là del valore dei beni che attualmente sarebbe in grado di esportare.

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    8. Chiedo scusa, ma mi sono un po' perso... alla Grecia conviene uscire o rimanere nell'euro?

      Sul sud Italia il discorso invece è chiarissimo, e il tema del convegno estremamente interessante.

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    9. Alla democrazia e al benessere di lungo periodo della Grecia, sicuramente. Comunque, nel suo caso, deve comparare i costi indubbi dell'uscita con i costi devastanti dell'applicazione del memorandum.
      Non dimentichiamo però che la doppia moneta territorializzata implica una doppia uscita a rischio (in progressione crescente) per il sud: prima quella dall'UEM (dell'intera Italia), poi quella...dall'Italia, in pratica e senza molti giri di parole

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    11. Scorgo una grande confusione concettuale, sia sul piano economico che costituzionale.

      Noto che tra l'altro viene ignorato quanto detto nel resto dei commenti sul vero modo di riequilibrio della situazione del sud: il problema è stato esaminato sotto vari profili culminando nella corretta applicazione del modello costituzionale, che consente politiche industriali pubbliche che non coincidono affatto col generico concetto di trasferimenti.

      Se si è seguito questo blog, magari lo si è capito; altrimenti reinventiamo la ruota partendo da forme ovali o quadrate. Cosa che non è consigliabile fare sulla pelle della gente del sud...

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  8. Sono passati circa 154 anni da quando il Sud Italia fu saccheggiato (delle sue riserve patrimoniali, necessarie a riequilibrare i conti dell'ex Regno di Sardegna) e vessato (da una legislazione post-unitaria rivolta a soddisfare le esigenze borboniche a scapito del tessuto socio-economico meridionale). Da allora, si è passati, in pieno ossequio al più classico stile coloniale, all'umiliazione colpevolizzante e alla reiterazione controllata dello stato di minorità in cui lo - il Mezzogiorno - si voleva e lo si è avuto. I metodi li conosciamo bene. La verità è questa: l'unica risorsa meridionale a cui la classe dirigente settentrionale è sempre stata interessata, denari a parte, sono i martiri da esibire in pubblica piazza (Enrico Mattei, Aldo Moro, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, per citare i più celebri).
    Una volta messo al corrente dei fatti, immagino che risulti del tutto evidente financo al principe degli idioti - mi si perdoni la qualifica sprezzante, ma la misura è colma da tempo - che una terra può essere attaccata efficacemente da un agente parassitario alla volta, mentre ora ce ne sono ben due (Nord Italia e Nord Europa).
    Sdrammatizzando, si può dire che qui al Sud li abbiamo provati veramente tutti dai greci ai romani, dai saraceni ai tedeschi, dai francesi agli spagnoli fino ad arrivare ai "polentoni": la cosa più triste è che, fra questi, i "polentoni" non si sono certamente rivelati migliori dei predecessori, anzi. Per comprendere meglio, tuttavia, a questo punto basterebbe anche solo leggere un po' di Goethe e del suo viaggio in Italia. "Vedi Napoli e poi muori": un tempo lo si diceva per la bellezza del luogo, oggi per la desolante distruzione causata da un'incuria criminale. E la proverbiale luce in fondo al tunnel, ahinoi, ancora non accenna a vedersi. Com'è che si dice, "Franza o Spagna purché se magna"? Ecco, i problemi reali inizieranno quando non ci sarà più niente da "magnare"; all'attuale passo di marcia, non manca poi molto.

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    1. Se dopo quasi 160 anni di colonialismo interno inviti a non fidarci di determinati politici per come si sono espressi e hanno operato, sono perfettamente d'accordo.

      Ma se consideriamo che il colonialismo "è innanzitutto una pratica interna" e "come cultura e consenso politico appare un carattere intrinseco degli intellettuali meridionali" (Zitara, L'invenzione del Mezzogiorno) io presterei attenzione alle formazioni politiche "meridionaliste" più "reclamizzate" perché ad esempio non concordano affatto sulla necessità di uscire dall'euro.

      Queste formazioni hanno preso l'uso di raccontarci la storia d'Italia e del Risorgimento in funzione anti-leghista, ma spacciano poi in politica i peggiori luoghi comuni ordoliberisti (super-inflazione, fine della civiltà occidentale, deriva populista contro le banche centrali).

      L'obiettivo, quindi, non sembra essere quello di restringere il consenso verso la lega, e di farlo convergere eventualmente verso formazioni politiche più vantaggiose per il Sud, ma di perseguire l'obiettivo di rinforzare il PUDE.

      Siamo sprovvisti di politici! Ma allora facciamo noi gli indipendentisti (senza euro).

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    2. Una sciocchezza....ma Mattei non era di Pesaro? :-D

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    3. Che sia stato "il nord Italia" ad utilizzare lo strumento della "colpevolizzazione della vittima" mi sembra una lieve forzatura: è una tecnica di propaganda del capitale internazionale a cui, oltre i soliti (pochi) nomi della grande industria lombarda e piemontese, non saprei a chi altro imputare. Senza considerare la subalternità delle "grandi famaglie italiche" alla finanza internazionale.

      A Roma sono stati eletti rappresentanti politici di tutte le ragioni d'Italia e, anche se l'Unità d'Italia non è stata ottenuta come auspicata dal democratico Mazzini, ma tramite il "colonialismo" piemontese, parlare del sud come colonia del nord Italia mi sembra lievemente impreciso.

      In Italia, a differenza che negli USA, non esiste un'identità tra "ethnos" (per quello che significa) e classe: ai massimi livelli delle istituzioni politiche, militari ed economiche sono sempre stati presenti - con egual responsabilità - cittadini italiani di ogni regione.

      Non sono neanche così sicuro che nei "ranking di Forbes" in cui spiccano le "famiglie" più potenti del mondo si trovino più cognomi settentrionali di quelli meridionali.

      Industriali E latifondisti.

      Soprattutto, è curioso che chiami "polentoni" gli appartenenti alla "classe dirigente" del nord Italia (nord minuscolo, non in sfregio all'ortografia, ma per rispetto all'art.5 Cost.).

      Vedi, i miei nonni mangiavano polenta a colazione, pranzo e cena. Perché non c'era altro da mangiare.

      Non c'erano terre fertili in cui crescevano in abbondanza frutti squisiti, e non c'era il pesce fresco servito in giornata dai trasporti moderni.

      La classe dirigente andava al ristorante: i "polentoni", quando era festa, fregavano croste di pane sulla carne appesa, per insaporirle.

      Si mangiavano gatti e piccioni: chiedi a Mauro Gosmin.

      Se Zitara avesse studiato l'economia posteriore a Marx, avrebbe scoperto cosa significa la "causazione circolare e cumulativa" con cui in quegli anni Gunnar Myrdal spiegava il problema della "questione meridionale", vincendo anche un Nobel.

      Pensavo anch'io che una soluzione federale avesse potuto ammorbidire la conflittualità sociale: non sapevo cosa fosse il federalismo, e, soprattutto, non capivo chi e perché lo proponesse.

      Tra il liberismo e il federalismo di Salvemini (made in UK), e quello leghista (made in USA), comincio a considerare il meridionalismo complementare al leghismo: salvo la diversa spartizione delle risorse intellettuali...

      Gli Italiani sono sempre stati uniti da tre cose: la dominazione straniera, l'immenso patrimonio culturale e... gli stenti.

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    4. @ gaetano: quando parli di formazioni "meridionaliste" ti riferisci esattamente a quali forze fra quelle costituenti l'attuale panorama politico?
      È vero che il PUDE è tutt'intorno a noi, difatti il concetto che cercavo di far passare nella mini-filippica era simile a quello che hai esposto tu ora: non ha molto senso criticare le politiche liberiste promosse tramite l'UE prospettandone l'abbandono per poi applicare quelle stesse politiche liberiste una volta usciti dall'UE (difatti, se c'è una categoria del fronte anti-UE che non sopporto sono i laudatori di Margaret Thatcher: sì, ci sono anche loro!), come in pratica farebbe la LegaNord (flat tax, Buona Scuola con il preside-manager, Jobs Act con la mobilità del lavoro garantita nei "periodi di pace"). Lo stesso responsabile economico del partito, Claudio Borghi, che, comunque, per sua stessa ammissione parte proprio da posizioni liberiste e non socialiste, si sta "leghizzando" molto più di quanto la Lega si sia "borghizzata" dal suo arrivo e in particolare la sua proposta di istituire una zona monetaria doppia Nord-Sud richiederebbe politicamente e istituzionalmente due Stati centrali distinti per essere gestita bene (trattasi, in pratica, di una secessione mascherata, che egli se ne renda conto o meno).

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    5. Quanto alle posizioni personali, io sono un unitarista convinto (la Repubblica è "una e indivisibile", dice la Costituzione), ma non a ogni costo: se le condizioni ci sono per creare un'area che dia realmente seguito ai principi costituzionali e alla valorizzazione del territorio meridionale e della sua forza-lavoro (a parità di condizioni con quanto avviene al Nord, che qui mica si fa razzismo al contrario da quattro soldi) sono entusiasta del progetto, ma se la proposta sul piatto consiste nel farsi altri centocinquant'anni sotto il costante sfruttamento del Settentrione che ci deve pure negare azioni fondamentali di dignità umana quali la cura del territorio, del patrimonio e l'edificazione delle infrastrutture necessarie ad uno sviluppo economico da "primo mondo" (tenendo frattanto al timone la Mafia, non dimentichiamolo, la quale chissà con quali forze intra e soprattutto extra-nazionali ha accordi in vigore), allora che ci si divida per bene, che venga restituito il maltolto e che, senza rancore, ci si gestisca ognuno come meglio ritiene (e ogni giorno che passa mi convinco sempre più del fatto che i rapporti di forza fra le due parti si invertirebbero nel giro di un paio di decenni, ma questa vuole essere un'opinione umorale e nulla più).
      Non dobbiamo mai dimenticare quali sono le parti sociali che hanno detenuto il potere in tutti questi anni e dove hanno scientemente voluto condurci (il presidente di Confindustria Squinzi mi risulta entusiasta dell'euro, senza il quale a suo dire si verificherebbe "l'abbassamento del 30% del PIL in poco tempo"). Se saremo ancora in piedi a giochi finiti, il cambiamento di classe dirigente, di ideologia politica e di prassi amministrativa dovrà essere radicale rispetto all'oggi, altrimenti tanto vale che ci convertiamo strumentalmente in massa al PUDE e, chissà, magari ci si rivede in qualche consiglio d'amministrazione in futuro. Che Guevara la pose in questi termini: "Patria o Muerte!". Coerentemente con i suoi propositi, morì (dopo aver fatto Cuba).

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    6. P.S.: a mio modesto avviso, un partito nuovo di impronta "sovranista" che avesse come capisaldi l'uscita dall'euro, l'uscita dall'UE, l'uscita della NATO (il colpo di stato perpetrato in Ucraina e l'utilizzo dell'ISIS per configurare una manovra d'accerchiamento nei confronti della Federazione Russa hanno palesemente disgustato persone di mia conoscenza che fino a un paio di anni fa erano su posizioni apertamente e indissolubilmente filo-americane) e il ripristino della legalità costituzionale prenderebbe come minimo il 10% dei voti alle prossime elezioni politiche se alla sua testa ci fossero persone in grado di fare Politica con la P maiuscola, fra la gente e per la gente. Può sembrare un paradosso all'apparenza, ma in realtà è proprio perché la situazione appare così drammaticamente disperata ai più che le prospettive di successo politico non sono mai state così rosee per forze genuinamente anti-sistema e ben organizzate (ricordiamoci che il tasso d'astensionismo non è mai stato così alto in età repubblicana e che gran parte di quelle persone non aspettano altro che qualcuno smetta di ignorare la loro esistenza, altro che alleanze di circostanza con "Abberluscone" o minoranze varie di neo-ordo-liberisti in miniatura (perlopiù a loro insaputa, come se non bastasse)).


      @ Luca Tonelli: hai proprio ragione. Mattei nacque ad Acqualagna, in provincia di Pesaro, nelle Marche (fonte: dizionario biografico Treccani). Il senso del discorso rimane comunque pressoché inalterato, giacché rimaniamo territorialmente al di fuori dei confini entro cui l'élite nazionale post-unitaria a trazione palesemente settentrionale (zona "triangolo industriale", per intenderci meglio) si muoveva e sostanzialmente continua a muoversi (c'è stato col tempo un progressivo accentramento lombardo e lo sviluppo sorprendente del Veneto, prima terra poverissima, e dell'Emilia-Romagna), ma hai fatto benissimo a precisare la terra d'origine di Enrico Mattei.

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    7. @ Bazaar: eh, ma c'è una ragione se "polentoni" l'ho scritto sempre in virgolettato: voleva essere amara ironia leghista al contrario (noi siamo sempre e comunque i "terroni" per loro, no? Anche perché, francamente, io non ho mai conosciuto nessun meridionale che chiama i veneti o i lombardi "polentoni", mentre ogni volta che conosco una persona del Nord Italia io sono automaticamente un "terrone", anche quando è usato con intenzione altrettanto ironica e non dispregiativa), non certamente categorizzazione etnica o denominazione gastronomica. :)

      Se poi pensi che qui i poveracci (leggasi: quasi tutta la popolazione) mangiassero pesce fresco e frutti squisiti in altri tempi, purtroppo caschi male. È come hai scritto alla fine: gli stenti erano qui ed erano lì. Nel Regno delle Due Sicilie si andava avanti principalmente a base di prodotti farinacei come pane e maccheroni. Nei decenni successivi, con il Regno d'Italia e successivamente con il fascismo (anche se è sotto il regime fascista che nel Mezzogiorno si iniziarono a edificare scuole, dighe, edifici pubblici e altre strutture essenziali, cose praticamente mai successe dalla fine del regno borbonico - ed ecco una delle ragioni per cui al Sud ancora oggi in parecchi si dichiarano "fascisti"), la situazione non cambiò di molto (anzi, inizialmente peggiorò).

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    8. Garibaldi si accorse a grandi linee di cosa stava succedendo negli anni successivi all'Unità (e pare che suo figlio combatté fra le fila dei cosiddetti briganti, stando alle dichiarazioni recenti di una nipote). Scrisse, fra le altre cose: "Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male. Nonostante ciò non rifarei la via dell’Italia Meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio." [da una lettera ad Adelaide Cairoli].
      Ancora: "I Napoletani, come i Siciliani, non secondi a nessun popolo per intelligenza e coraggio individuale, furon quasi sempre mal governati e sventuratamente molte volte con sul collo dei governi stranieri che solo cercavano di scorticarli e tenerli nell’ignoranza. Ai pessimi governi devesi quindi attribuire il poco progresso in ogni ramo di civilizzazione e prosperità nazionale [cosa non del tutto vera, soprattutto a livello tecnologico; ad esempio, la Napoli-Portici, ossia la prima ferrovia costruita su suolo italiano, la realizzarono loro, nel 1839]. E questo governo sedicente riparatore, fa egli meglio degli altri? Egli poteva farlo! Doveva farlo! Nemmen per sogno: coteste ardenti e buone popolazioni che con tanto entusiasmo avean salutato il giorno del risorgimento e dell’aggregazione alle sorelle italiane, sono oggi ….si! oggi ridotte a maledire coloro che con tanta gioja, un giorno, chiamaron liberatori!” [da "I Mille"].
      E ancora: “… il felice regno (delle due Sicilie). Felice! poteva chiamarsi, giacché con tutti i vizi, di cui era incancrenito, il suo governo occupavasi almeno che non morissero di fame i sudditi … Si sa quanto solerte era il governo borbonico per far mangiar a buon mercato il pane ed i maccheroni … occupazione che disturba poco la digestione di coteste cime che governano l’Italia. Giù il cappello però, esse le cime hanno fatto l’Italia ed avranno fra giorni una statua in Campidoglio, non so di che roba” [sempre da "I Mille"].

      La elettorale vigente per i primi vent'anni del Regno d'Italia faceva in modo che potesse votare circa appena il 2% della popolazione, gran parte della quale di origine settentrionale. La "piemontesizzazione" della legislazione e dell'amministrazione pubblica, invece, e in particolare scelte come l’istituzione della leva militare obbligatoria (inesistente nel Regno delle Due Sicilie, che sottrasse alle famiglie del Mezzogiorno la manodopera necessaria per il lavoro dei campi, allora fonte indispensabile per l’approvvigionamento di viveri), l’introduzione dell’odiosa massa sul macinato o la confisca dei territori ecclesiastici e la loro privatizzazione, che per come fu gestita permise sostanzialmente a pochi privilegiati di accaparrarsi tutte le terre, che furono recintate e il cui accesso per uso civico fu impedito al ceto contadino (che vede venire a mancare non solo la sussistenza, anche minime forme di calmieramento dei prezzi dei beni essenziali) furono devastanti per la popolazione meridionale.
      Con il cambio della moneta (da 4:1 circa a 1:1), poi, ci si impossessò di tutte le ricchezze e delle attività redditizie del territorio annesso (questo meccanismo lo conosciamo bene grazie al libro di Giacché "Anschluss" con riferimento alla recente unificazione tedesca).
      Sostanzialmente niente di nuovo.

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    9. Grazie @Winston Smith delle citazioni.

      Il contributo era volto a far prendere in considerazione:

      1 - il contesto storico

      2 - la sociologia

      L'Anschluss c'è notoriamente stato, a supporto si è citato il Mazzini polemico con l'effettiva materializzazione dell'Unità d'Italia, per via, come giustamente dici, "colonialista".

      Ma l'Italia del 1861 è la stessa del 1948?

      Col nuovo patto sociale che caratterizza la nascita della Repubblica, i rappresentanti di tutte le regioni contribuiscono in egual misura a darsi obiettivi e un futuro comuni?

      No, non mi quadra.

      Mi sembra un "irrendetismo" astorico, un rigirare il coltello nella piaga, un far riemergere antiche ferite di cui, in realtà, ci si è in definitiva già impegnati a trovarne la cura.

      Il regionalismo (ma anche una soluzione federalista) pare essere effettivamente confliggente con la cumulazione divergente dei tassi di crescita tra aree economiche eterogenee (quali siano le cause scabrose dell'origine di tali divergenze): questa è l'unica considerazione che, per via teorica, supporterebbe rivendicazioni indipendentiste. Ma, ad ora, come accennavo più sopra, lo trovo ingenuo, non supportato da altro che emotività... e propaganda imperialista.

      Qualcosa non quaglia: ho sotto gli occhi le testimonianze del crollo dell'URSS: popoli che hanno condiviso - accettando lor margrado anche dell'imperialismo - per secoli un destino comune, legati da mutuo rispetto e una lingua (imperialista) comune, hanno fatto esplodere tensioni identitaristiche solo con l'arrivo del neoliberalismo e della contestuale shock doctrine.

      In aggiunta, da un punto di vista sociologico, non mi convincono - in questo contesto storico - le considerazioni di Zitara sugli interessi divergenti tra "proletariato" del sud e del nord.

      Nel mezzo di una guerra di classe di proporzioni immani, mi chiedo che senso abbia soffiare sul fuoco di "sezionalismi orizzontali": questo è il senso del mio accento sulla miseria del polentone pari a quella del terrone.

      Perché, a mio modestissima opinione, tutto considerato, non so quale dei proletariati si è trovato la tavola peggio servita: il proletariato "autoctono" dell'Italia settentrionale, come quello della Germania Occidentale, è praticamente scomparso. E questo mi fa orrore più di qualsiasi saccheggio.

      Simmetrie delle esternalità negative delle dinamiche socioeconomiche: per questo è importante ricordare la dimensione verticale della prospettiva del conflitto. Specialmente quando alle porte preme un esercito di milioni di disoccupati pronti a tutto.

      La Carta non è composta da dogmi, certo, infatti è perfezionabile: ma è ipostatizzazione di un sistema di valori che, in quanto tali, non sono modificabili: possono essere solo sovvertiti.

      L'unità solidale è uno di qesti.

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    10. @ Bazaar: essendo un unitarista convinto, non posso che essere d'accordo con te quando indichi il ripristino dei principi costituzionali nella prassi politica quale metodo risolutivo ideale del divario fra regioni "ricche" e regioni "povere" dell'Italia unita.
      Il mio discorso - lo scrivo per schiarire il campo da ogni possibile incomprensione - è volto a mettere in luce la realtà con cui troviamo a confrontarci, all'interno della quale la prospettiva della "balcanizzazione" della penisola come concreto rischio futuro non mi sembra un'idea del tutto peregrina. Paradossalmente, le istanze di divisione vengono accolte in questo momento con maggior successo proprio nelle regioni "ricche": è o non è un partito apertamente secessionista ad aver raccolto il maggior numero di consensi elettorali negli ultimi anni nelle regioni settentrionali? A proposito di citazioni, ti invito ad ascoltare quello che diceva il (recentemente confermato elettoralmente) presidente del Veneto Luca Zaia solo l'anno scorso (e gli applausi che prendeva dalla folla nel dirlo): https://www.youtube.com/watch?v=JvL37j5SXa0.
      Al prossimo shock economico come reagiranno queste persone? Io me lo chiedo e la risposta che mi do non mi piace.
      Inoltre, l'omertosa censura sulle cause materiali della cosiddetta questione meridionale (giusto un annetto fa mi ritrovai a dover discutere di tutte queste "belle" cose che stanno venendo fuori nei commenti ad un veneto che non ne aveva mai sentito nulla prima (ovviamente egli vedeva di buon occhio l'ipotesi federalista): immagina la mia difficoltà nel farlo così su due piedi partendo da zero!) provoca essa stessa, e non la divulgazione serena della verità storica, sentimenti divisivi e progetti indipendentisti. Tutti queste problematiche, se si dovesse commettere l'errore di spazzarle via sotto il tappeto ritenendole superate, anziché prenderle di petto a colpi di cultura storica e di modello costituzionale, ribollendo ribollendo, prima o poi la pentola la fanno saltare.
      Permettimi ora di porti una domanda: cinque anni, tu fa avresti mai pensato che l'Ucraina oggi si sarebbe de facto divisa? Ora lo è. Dobbiamo, dunque, a malincuore mettere in conto questa eventualità fra quelle che ESSI intendono riservare a noi e la mia analisi pratica mi dice che il terreno a loro disposizione, qualora scelgano di attuare un disegno simile, è fertile abbastanza perché la pianta attecchisca.
      A mio modesto avviso, tali considerazioni è bene farle, pur tenendo sempre a mente che una secessione ideale dovrebbe essere preceduta, come ho evidenziato in uno dei commenti precedenti, dalla "restituzione" del sottratto. Quarantotto ha qualificato un simile scenario come "politicamente impensabile" e ha ragione: difatti, l'unica "restituzione" realmente immaginabile consisterebbe in una quantificazione qualitativa, cioè nella messa in sicurezza del territorio, nel restauro del patrimonio artistico, nell'edificazione di una rete infrastrutturale di primo livello e nel ripristino di un apparato industriale degno di questo nome nelle terre del Mezzogiorno. Va da sé che, se queste quattro condizioni venissero rispettate, allora la Costituzione repubblicana del '48 potrebbe dirsi attuata in tutto il territorio italiano facendo automaticamente venir meno ogni possibile recriminazione da una parte e dall'altra. Ed è questa, secondo me, l'unica via percorribile per avere un'Italia che sia davvero "una e indivisibile".

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    11. @ Winston: per formazioni "meridionaliste" intendo quei piccoli partiti che si avvalgono del tambureggiamento di "Terroni 'Ndernescional" (la cui ispirazione euro-internazionalista non pare ancora ben compresa) che si sono già presentati alle competizioni elettorali locali e regionali e che fiancheggiano esponenti già in vista come sindaci di città del Sud.

      Chi è su Facebook potrà prendere visione del tipo di propaganda che li muove anche qui... https://www.facebook.com/groups/880913078661985/

      Preciso meglio che a mio parere questo "neo-meridionalismo", oltre a rappresentare un abbaglio, finge di avere punti di contatto anche col separatismo di Zitara il quale invece, già nel 1977 (Il proletariato esterno) scriveva: "Per il Meridione la via allo sviluppo non passa certamente attraverso la sua parificazione all'area imperialistica europea. E non solo non è possibile accettare questo modello come irrealistico: esso non è accettabile neppure sul terreno politico".

      Ma qualcos'altro mi pare valga la pena integrare in questa discussione proprio riguardo Zitara, per precisare che la sua storia finanziaria (L'invenzione del Mezzogiorno) non si limita a denunciare e documentare l'annessione del Sud nell'Italia pre-repubblicana, ma anche, e direi più importante, retorica della solidarietà democratica successiva rimasta sulla carta costituzionale.

      Zitara afferma decisamente che "Il percorso <>, STRUTTURALE, del meridionalismo si è concluso nei primi anni Sessanta, allorché la Confindustria padanista si oppose con ogni mezzo dialettico e con ogni tipo di ricatto a che l'intervento dello Stato si estendesse all'industrializzazione".

      E anche che "oggi, un Sud indipendente, che si riproponesse di risorgere, non avrebbe altra strada che il controllo pubblico delle risorse energetiche, la banca d'emissione pubblica, la grande industria pubblica e il protezionismo industriale".

      Ora, alla luce anche di ciò che è stato detto riguardo alla doppia moneta, e dei modelli di crescita proposti (la causazione circolare cumulativa "settentrionale" forse, in effetti, ha cominciato a capirla Salvini) penso ci sia ancora di che riflettere.

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    12. Un documentario sulla figura di Enrico Mattei all'interno del quale viene dato spazio (insieme ad altri argomenti) per mezzo delle sue stesse parole alla sua valutazione del rapporto fra Italia settentrionale e meridionale e alla sua visione per il Mezzogiorno d'Italia: http://www.raistoria.rai.it/articoli/enrico-mattei/23863/default.aspx.

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    13. "Nel 1945 comincia l'opera della Ricostruzione nazionale, ma per il Sud non c'è neppure un obolo [...]. Nasce l'assistenzialismo, il clientelismo, il carrierismo politico, la rete intrallazzistica sulla spesa pubblica, si aprono le porte ai guadagni facili e all'illecito arricchimento. Dossetti, Mattei, Fanfani, i socialisti, vorrebbero un diverso procedere. Sono favorevoli a creare le fabbriche dove c'è la manodopera. Ma insorgono la Confindustria, la Fiat, i settori liberali del partito cattolico, l'accademia economicistica che sta nelle stanze della Bocconi e riempie le pagine di Mondo Economico e del Corriere della Sera. Trionfa Moro e il suo vasellinistico trasformismo.

      L'assistenza a favore di un paese senza industria e con una produzione agricola tradizionale impone flussi considerevoli di ricchezza erariale. Le entrate tributarie non reggono. Craxi e De Mita mettono una toppa creando fiumane di debito pubblico. Ma anche la toppa si sfonda. Il Meridione? un paese moderno quanto ai consumi e un paese ottocentesco quanto alla produzione. L'assistenzialismo non salda le due aree.
      Ecco, allora, il federalismo, impudicamente oggi coperto dalla parola devolution, con cui la Toscopadana dà l'addio alla classe politica meridionale e le nega i viveri. Ovviamente l'area assistita? vicina al crollo. Pagano non soltanto i politici e i loro parchi buoi. Paghiamo tutti".

      (N. Zitara, "L'agonia")

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  9. Mi è tornato in mente un commento di Alessandro Riolo apparso su noisefromamerika che riporto di seguito per intero perché mi pare interessante (non so dire quanto il conto sia attendibile):

    "Se calcoliamo il residuo fiscale non previdenziale, cioè togliendo i contributi sociali dalle entrate e le spese previdenziali e le integrazioni salariale dalle spese, otteniamo il risultato seguente:
    Residuo Fiscale non previdenziale

    https://farm4.staticflickr.com/3740/20469248655_fab9b4b53f_z.jpg

    Che chiaramente ci suggerisce che i Lombardi (come i Veneti, gli Emiliani, i Romagnoli, i Piemontesi ed i Toscani) vedono il loro residuo fiscale usato per pagare le pensioni e le integrazioni salariali (spese correnti) in tutto il paese (anche al sud), non per garantire trasferimenti di altro tipo (ad esempio investimenti in conto capitale) al sud.
    Ho messo il dato per il 2000 per far notare che anche all'epoca non è che ci fossero chissà quali trasferimenti non previdenziali, ma sempre più di oggi.
    Nel 2013 i trasferimenti non previdenziali praticamente non esistono, o comunque equivalgono al massimo ad una parte dell'assistenza (assegni sociali) e beneficenza.
    Nel 2013 tutti gli investimenti in conto capitale, dal primo all'ultimo copeco, al sud vengono fatti esclusivamente con risorse del sud (spesso in ritorno magari dopo un giro di anni tra i conti di Roma e Bruxelles)."

    https://farm4.staticflickr.com/3825/19849561163_d99d6fb02c_z.jpg

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    1. QED (v., infatti, la prima risposta al primo commento di Bazaar).
      Sebbene da tutto questo si faccia presumibilmente derivare la conclusione che occorra abolire il sistema pubblico pensionistico :-)

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  10. Nel merito, qualche informazione da questo sito (che pare avere anche una buona bibliografia) su quanto accadde al Sud post Unità... cose già note, ma che sembrano un pochino il nostro destino negli anni "a venire"...

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    1. Grazie Flavio hai fatto bene a rammentarlo in un ambiente che ragiona sui.."residui fiscali" e non ha più memoria di "come" si arrivi a una situazione e di come l'€uropa sia fatta apposta per acuirla...

      "Residuo fiscale delle Amministrazioni pubbliche. Anno 2012
      milioni
      di euro euro
      procapite
      Lombardia +53.978 +5.511
      Emilia Romagna +17.842 +4.076
      Veneto +18.225 +3.733
      Piemonte +10.578 +2.418
      Toscana +8.342 +2.259
      Marche +2.500 +1.618
      Lazio +7.387 +1.329
      Umbria +1.170 +1.320
      Liguria +1.096 +701
      Trentino Alto Adige +612 +588
      Friuli Venezia Giulia -63 -52
      Basilicata -384 -666
      Abruzzo -875 -667
      Campania -4.117 -714
      Puglia -3.488 -861
      Molise -292 -933
      Valle d’Aosta -122 -953
      Sicilia -8.908 -1.782
      Calabria -4.716 -2.408
      Sardegna -4.210 -2.566

      Nota: le e entrate sono al netto di trasferimenti in conto corrente da UE e altre istituzioni estere, alienazione di beni patrimoniali, trasferimenti in conto capitale da UE e altre istituzioni estere e riscossione di crediti; le spese sono al netto di interessi passivi, partecipazioni azionarie e conferimenti e concessioni di crediti.

      Elaborazione Unioncamere del Veneto su dati Conti Pubblici Territoriali"
      http://www.osservatoriofederalismo.eu/la-mappa-del-dare-avere-il-residuo-fiscale/

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    2. Grazie a te invece per il lavoro assiduo che svolgi! Ma era solo per dire che i terroni, avevano prima dell'annessione al Regno un'industria metalmeccanica e siderurgica importante, la cantieristica navale più grande dell'allora Italia, e una ottima industria alimentare e tessile, per non parlare di vetro, porcellana et alia.

      Già al tempo, poi, vigeva il mito del "fogno", che ben presto si rivelò incubo: “La prospettiva unitaria non era solo nelle aspettative del ceto dirigente sabaudo e dell’industria del nord, penalizzata quest’ultima dalle barriere doganali che, lungo la penisola, deprimevano la circolazione delle merci. Veniva reclamata dal mondo intellettuale, che si riconosceva in una lingua comune e in un secolare patrimonio di tradizioni, scientifiche, letterarie e non solo. Correlata a istanze di tipo federalistico, veniva presa in considerazione da sicilianisti come Domenico Scinà, Pietro Lanza di Scordia, Isidoro La Lumia, Michele Amari. Fu tenuta in debito conto da Ruggero Settimo e dagli altri capi rivoluzionari del ‘48 palermitano, prima della inevitabile sconfitta. Su tale prospettiva, rivendicata pure dai locali padroni del vapore, dai Florio agli inglesi Woodhouse e Ingham, convergeva altresì, negli anni cinquanta, il radicalismo democratico che, lungo i tracciati mazziniani e garibaldini, andava diffondendosi fra i ceti medi e popolari dell’isola, sotto l’egida di personalità come Francesco Crispi e Rosolino Pilo.”

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    3. Continua, per dare un'idea del tradimento, a mio sindacabile avviso, subito dal Meridione:
      "Agli esordi dell’impresa siciliana, Garibaldi e i suoi referenti dell’isola presero in seria considerazione l’argomento della terra. Nel vivo dei combattimenti, il 2 giugno 1860, un decreto firmato da Francesco Crispi ne prometteva infatti l’assegnazione ai contadini, a partire da coloro che si sarebbero battuti “per la patria”. In realtà, i fatti di Bronte, Alcara, e altri centri, che per la loro gravità hanno gettato ombre sul garibaldismo di quei frangenti, testimoniano come andarono le cose. L’anno clou, che aprì realmente la questione meridionale fu comunque il 1862, quando, in un contesto del tutto diverso, sullo sfondo del nuovo regno sabaudo, il radicalismo democratico, che avrebbe potuto sorreggere le istanze civili nel sud, con l’attuazione di una riforma agraria e non solo, venne sbaragliato... La resa dei conti venne quando Garibaldi mosse dalla Sicilia per risolvere militarmente la questione romana, giacché il capo del governo Rattazzi, apparso di primo acchito interlocutorio, non esitò a proclamare nell’isola lo stato d’assedio, conferendo il comando delle truppe a Raffaele Cadorna. Ne seguirono rastrellamenti e repressioni, a Girgenti, Racalmuto, Alcamo, Bagheria, Siculiana, Grotte, Casteltermini, culminanti in autunno con l’eccidio di Fantina. In tutto il Mezzogiorno, attraversato dalla guerriglia legittimista, l’anno si chiudeva d’altronde, come veniva espresso in un rapporto della Camera, con oltre 15 mila fucilazioni e circa mille uccisi in combattimento. Entrava così nel vivo l’offensiva di Cadorna, che avrebbe avuto un momento decisivo nel 1866, quando la rivoluzione detta del Sette e Mezzo sarebbe stata repressa con il cannoneggiamento di Palermo.

      Lo statuto, mutuato da quello albertino del 1848, al sud venne violato da allora regolarmente, con un uso metodico della forza. In tutto il Mezzogiorno, proposta dal deputato della Destra Giuseppe Pica, dal 15 agosto 1863 veniva resa operativa, e sarebbe durata oltre due anni, la legge marziale, che prevedeva la sospensione dei diritti costituzionali, la punizione collettiva per i reati dei singoli e la rappresaglia contro i centri abitati. Precisi atteggiamenti culturali, con o senza cautele, intervenivano a legittimare intanto, pure in sedi ufficiali, ogni eccesso repressivo. Il generale Giuseppe Govone, i cui metodi, quando ebbe conferiti in Sicilia i pieni poteri, furono denunciati già allora come criminosi, non esitò a sostenere che i meridionali andavano considerati inferiori per natura."...

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    4. “Come in altre aree del sud, in Sicilia il nocciolo della questione continuava ad essere la terra. Le strutture del latifondo, che avevano retto alle leggi del 1812, con cui il parlamento dell’isola aveva abolito formalmente il feudalesimo, erano rimaste pressoché intatte, mentre le terre confiscate agli ordini religiosi finivano nelle mani del ceto agrario più spregiudicato. In sostanza, con il rifiuto di una riforma della proprietà rurale, che avrebbe potuto rimescolare le carte nelle politiche del Regno, equilibrando le opportunità e le risorse dei diversi territori, abortiva in quei decenni il disegno di una coesistenza equa di nord e sud. Sulla traccia di Cavour, contrario alle autonomie regionali, i governi sabaudi della Destra, da Ricasoli a Minghetti, convennero altresì su una linea centralistica, autoritaria, che, destinata a perpetuarsi pure dopo del 1876, quando il governo passò alla Sinistra, avrebbe annichilito ogni autentica aspirazione democratica. Lo scollamento nell’isola fu avvertito dalle popolazioni a tutti i livelli: anche dal ceto aristocratico-terriero, che pure da decenni aveva perduto il privilegio di un parlamento a propria misura.".

      Ecco, direi che ogni analisi dovrebbe prendere come minimo in considerazione questi aspetti. Non servono quindi dazi interni, diversa divisa fra Nord e Sud, gabbe salariali. Sarebbe bastato agire democraticamente, ed anche oggi credo che questo, come minimo, potrebbe dare quella sussistenza che manca. Un politica industriale vera, per il Sud, è chiedere troppo?

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    5. Decisamente troppo: non c'è un barlume di consapevolezza al riguardo in nessun contesto politico o persino sociale.

      Ti rinvio, per la scottante attualità di questo aspetto, per quanto de jure condendo (e che "jure"!), alla risposta sulla lira-sud/lira-nord data più sopra a Angelo Carbone (commento delle 11.17).
      Per molti aspetti, dopo anni di divulgazione in questa sede e di lezioni economiche su Goofynomics, c'è da rimanere sgomenti...

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    6. Che poi oramai, in questo contesto iper-finanziarizzato/globalizzato, non so se sia nemmeno più corretto parlare di "politica industriale"....
      Sulla Lira Sud no comment, perchè non concordo ma più che altro non sono in grado di poter
      emettere giudizi su ciò. Azzardo però che ciò avrebbe avuto senso nell'immediato "dopo Unità" (la Banca d'Italia viene istituita solo nel 1893, legge 449 del 10/08) quando, a dispetto di tutte gli altri istituti finanziari "italici" di emissione, il Banco delle Due Sicilie era l'unico "pubblico",e pertanto, se non si fosse perseguito un indirizzo liberista/ liberoscambista commerciale e di consolidamento fiscale a livello nazionale (dovuto all'oberazione del bilancio statale italiano dai debiti...del NORD! Famoso è ai più Quintino Sella, con la sua pareggite - peggio dell'Inter '04-'05 - e l'odiosa tassa sul macinato), ma si fosse agito in modo opposto, si sarebbe potuto, con il Banco, valorizzare ancora di più quanto presente al tempo. Naturale però che, se come si dice, si tagliano "politicamente" le commesse al sud per favorire il nord, beh, allora non credo ci sia molto da discutere....

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  11. Gentile dottor Caracciolo,
    cercando informazioni sull'argomento, qualche tempo fa mi sono imbattuto in questo video del Prof. Paolo Savona sugli squilibri tra nord e sud italia:

    https://www.youtube.com/watch?v=6OPM_DN7M8c

    Le slide proiettate si trovano qui (Sviluppo, rischio e conti con l’esterno delle Regioni italiane):

    http://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/brown_bag/Sviluppo_Rischio_e_conti_con_lxesterno_delle_Regioni_Italiane.pdf

    Io purtroppo non sono in grado di esprimere un giudizio di merito sulle cose dette da Savona.
    Secondo Lei l'analisi di Savona è corretta?

    Cordialmente,
    Antonio

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    1. Il post contiene alcuni "rationalia" per affrontare il problema e i commenti apprestano approfondimenti con il supporto di fonti.
      Seguendo questo complessivo discorso sarà meglio in grado di operare una sua valutazione.

      Consiglio costantemente di registrarsi e di non intervenire da "anonimo" per evitare di non essere pubblicati.
      Su questo blog io stesso ho un nick che è "Quarantotto". Nickname più che sufficiente per svolgere il discorso e al quale invito ad attenersi nella presente sede

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  12. Ciao Quarantotto, mi scuso in anticipo del mio intervento, ma sembra che per il Prof Carmelo Petraglia il problema della migrazione sia riconducibile ad un fenomeno interno, flussi di persone che dal Sud vanno verso il nord arricchendo quest'ultimo a danno del primo:
    "E che dire della perdita netta sofferta dal Mezzogiorno in termini di capitale umano a favore delle regioni settentrionali?"
    Vorrei ricordare che prima di questo evento ci fu un imponente flusso migratorio degli italiani che andarono verso l'estero.
    Questo è il contributo di ogni regione italiana dal 1876 al 1915, fonte Wikipedia:

    1) Veneto con 1.822793
    2) Piemonte con 1.540164
    3) Campania con 1.475979
    4) Friuli venezia giulia 1.407799
    5) Sicilia con 1.352.962
    6) Lombardia con 1.342.795
    7) Calabria con 879.031
    8) Toscana con 759.541
    9) Emilia Romagna con 690.175
    10) Abruzzo 595.556
    11) Marche 390157
    12) Basilicata 385.693
    13) Puglia 382.897
    14) Molise 308.015
    15) Liguria 223.156
    16) Lazio 205.055
    17) Umbria 164.540

    Come si vede la Regione che più ha dato in termini d'emigrazione nel post unità d'Italia è stata il Veneto in termini assoluti e il Friuli in termini di percentuale in rapporto alla popolazione, il Veneto è secondo. Aggiungo sommessamente ma molto sommessamente che in queste due regioni si è combattuta anche una guerra d'annientamento totale come fu la prima guerra mondiale, dove queste due regioni hanno offerto di gran lunga il maggior tributo di sangue ( giovani contadini strappati ai loro campi) e di devastazione del territorio, della propria agricoltura, che a quel tempo rappresentava la parte più importante della propria economia.
    Aggiungo ancora sommessamente che queste due Regioni hanno sofferto anche una emigrazione interna verso il cosiddetto triangolo industriale, e al tempo del fascismo riguardò anche il Lazio.
    Infine queste due regioni di certo hanno attratto poca mano d'opera proveniente dal Sud, se non quella addetta ai posti del Pubblico Impiego





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    1. Certamente, ma l'analisi di Petraglia si incentra sulla situazione e sui concetti di scienza delle finanze riferibili al dopoguerra e, in particolare, sulle dinamiche malposte dalla vulgata generatasi negli ultimi decenni europeisti.

      Peraltro, se leggi l'articolo linkato da Flavio, a conferma del dato storico che offri, puoi altrettanto dedurne che Veneto e Friuli erano fuori dalla strategia dei "conquistatori" che si concentra su Lombardia, Piemonte e Liguria (peraltro erano realtà agricole o, ciò che si dimentica, più agricole dello stesso Regno delle due Sicilie frettolosamente smantellato).

      Nondimeno, quello che più interessa, in termini di paradigma e di nessi causali del presente (se non altro come valutazione di inadempimento del solidarismo costituzionale ex art.3, comma 2), è il periodo post-costituzionale e la distinzione tra effetto redistributivo della spesa pubblica "universale" e vere politiche territoriali di riequilibrio strutturale (mitizzate e altrettanto "fantasma").

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  13. Qui li video del discorso di Calamandrei:

    https://www.youtube.com/watch?v=2j9i_0yvt4w

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    1. Confesso che, all'incombente 55° anno d'età, il discorso a me ignoto di Calamandrei ha suscitato una certa emozione (ciò che generalmente non accade per questo genere di cose); tono, tenore e spessore del testo e della persona paiono distanti anni luce dall'attuale panorama politico-culturale. Se Calamandrei, avendo ben chiaro il senso dell'incertezza e il suo continuo incombere, esorta a una perpetua tensione ancor prima morale, e lo fa nella accezione più genuina e sincera del termine, - poco o nulla concedendo al facile scontato -, le odierne chiacchiere mainstream e il tono politico medio tendono costantemente a imporre una visione orientata verso una demagogica certezza, al più degna dei più scaltri imbonitori. Assai significativo è il ribadire un concetto chiaro, sebbene niente affatto nuovo, difficile tuttavia a ricordarsi se non lo si è vissuto appieno in qualche modo, o in qualche profonda riflessione: "Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni.". Già un testo classico del Bushido, “Hagakure”, redatto tra il 1709 e il 1716 da un samurai divenuto monaco buddista, ammoniva in modo analogo (I, 175): “Chi si esalta nei tempi buoni vacillerà in quelli avversi.”. E in un passo antecedente (I, 94): “C’è un proverbio che dice: ‘Se vuoi conoscere il cuore di una persona devi ammalarti’. Chi si comporta da amico quando tutto va bene, ma poi volta le spalle come un estraneo in caso di malattia o di sventura è solo un vigliacco.”.
      Grazie dunque per la segnalazione e grazie a Quarantotto per l'impegno.

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  14. Consiglio a tutti di leggere i lavori di N. Zitara.

    Un saluto.

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  15. Non riuscirò mai capire tutto questo accanimento odioso è divisione tra nord è suditalia è non solo tra nord è sud. Ok, io non conosco la storia del unità d'italia, i punti di vista qui sono molto diversi. Io sono italiano è sono nato in Svizzera dove vivo ancora oggi. Anche la Svizzera condusse una guerra civile estremamente sanguinosa con saccheggi, devastazione è motli morti, ma non esiste tutto queste spacchatture tra i cantoni. Anche la Prussia unì i tanti staterelli tedesci medianti una guerra è creò lo stato tedesco, anche lì non si vedono tutte queste divisioni. UK dito (Wales, Scozzia).
    Penso che dopo 150 anni dopo l'unita d'italia bisognerebbe smettere di accusarsi l'uno contro l'altro è cercare di risolvere i problemi insieme. tutte queste accuse è controaccuse non risolvono niente è solo acqua sui mulini di quelli che vogliono distruggere l'italia gli esterofili è autorassisti in primis.

    PS
    scusate gli errori ma scrivo su una tastiera tedesca.

    Ricordiamo che l'italia dopo la caduta del impero romano è sempre stata terra di concuista di potenze straniere. Fino al medioevo però le regioni italiane avevano ancora una certa indipendenza, questo cambiò letteralmente con la nascita dei vari imperi chiusi di francia, austria, inghilterra è spagna da lì in poi le terre italiane vennero regolarmente invase è saccheggiate da potenze straniere. L'italia non aveva nulla da controporre a queste invasioni perchè divisa è segmentanta, in più con un militare estremamente sottosvilupato è non compatto.

    Dopo la vittoria della 3° guerra di indipendenza le invasioni smisero, ma rimase l'estrema conflitualità tra astria è italia, gli austriaci avevano un odio viscerale nei confronti degli italiani.

    Questa conflitualità tra regioni italiane non solo tra sud è nord secondo mè è estremamante controprodutivo per l'italia.

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    1. Ma il problema non è l'odio viscerale tra italiani, in funzione di rispettivi localismi (questo è un effetto, indotto con freddo calcolo e tutt'ora abilmente alimentato dalla oligarchia e dal suo apparato mediatico-culturale).

      Il problema è che il sud Italia è un'area arretrata, industrialmente ed economicamente, rispetto al resto del Paese: identificare, in concrete e veritiere vicende storico-politiche, la genesi e le ragioni della prosecuzione di tale enorme problema (di divario nello sviluppo) è l'unico modo per individuare dei rimedi. L'UNICO SERIO E CHE PUO' CONDURRE A SOLUZIONI CONDIVISE E RAZIONALI.

      Il fatto è che, come evidenzia Bazaar, che per evitare di parlare di ciò, cioè di attuare la solidarietà economico-sociale imposta come principio fondamentale dalla nostra Costituzione, si è innescata, a partire dagli anni '80, una sorta di guerra tra poveri e impoveriti (o vessati): i primi del sud e i secondi (tendenzialmente, per come autoidentificatisi in vari ed eterogenei criteri) del nord.

      Ma i poveri che rimangono tali, e anzi peggiorano, nelle generazioni, la loro condizione e diffusione, e gli impoveriti (anch'essi in crescita per numero e perdita di ricchezza), sono ENTRAMBI VITTIME, relativamente alla parte essenziale delle ATTUALI cause effettive, del paradigma sovranazionale europeo, deflazionista e vincolista.

      Tutti insieme hanno dimenticato di rivendicare l'attuazione del programma costituzionale, che è poi ricerca solidale e democratica (cioè risoluzione del vero conflitto sociale, quello verticale), dell'interesse nazionale, inteso come realizzazione della eguaglianza sostanziale.

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    2. L'odio viscerale riguardava l'austria pre-1914 che aveva nei confronti del italia.
      Gli austriaci prima della 1° GM facevano un odiosa propaganda anti-italiana nei loro territori slavi. Questo rinfonrzò massicciamente i sentimenti anti-italiani nelle popolazioni slave.

      Il Suditalia secondo mè non è adatto per l'industria pesante, più quella media o piccola. Il Sud avrebbe altre potenzialità, agricoltura, turismo è centri studi altamente specializati (i suditaliani non sono stupidi). I suditaliani sono molto creativi, bisognerebbe canalizzare è rafforzare positvamente questa potenzialità intensificando i rapporti tra industria (anche quella del nord) è università suditaliane creando centri di Studio sul territorio del Sud.
      Poi c'è il campo energetico solare dove il Sud è predestinato.



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    3. Ti prego, i meridionali solo come camerieri e agricoltori di nicchia, nonchè scienziati da formare per fare profitti altrove, non se po' più senti'...
      A parte la realtà preunitaria, che attesta largamente il contrario, mutatis temporibus, pur nella crisi manifatturiera generale indotta dal liberoscambismo eurista:
      http://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-diritti/diritti/ambiente/la-grande-industria-abita-ancora-il-mezzogiorno/

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    4. Per dire... il sistema Common Rail dove a da chi nasce? Idea Diesel, ma attuata da Ricco a Bari...

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    5. "Tutti insieme hanno dimenticato di rivendicare l'attuazione del programma costituzionale"(cit.)

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    6. Creativi? Ma se la moka l'ha inventata un piemontese!

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    7. In effetti, ben si potrebbe dire che, grazie all'€uropa, il nord-italia subisca una sorta di contrappasso, ossia di "meridionalizzazione" a vantaggio della manifattura nordeuropea. Il fatto che -nel sentire comune- ancora sussista il luogo comune della "zavorra meridionale", dimostra poi quello che dice Luciano. E' il concetto di guerra tra poveri spostato su di un gradino (non più statale contro commerciante o precario contro pensionato ma comunità virtuosa e "competitiva" -il nord- contro comunità fannullona e disonesta - il sud), con il terzo (interessi nordeuropei) che gode fra i due litiganti.

      Peraltro, la volontà €uropea di non aiutare, ma accentuare questa "guerra tra poveri" la si è già approfondita in questo blog anche quando si è parlato della sostanziale neutralizzazione della "dichiarazione n.49" allegata al trattato di Lisbona, che prendeva in considerazione il peculiare dualismo italiano.

      Per quanto riguarda presunte "peculiarità" della gente meridionale, beh, mi sembra -da un punto di vista di principio- un approccio che mi ricorda i (tristemente celebri) studi fisiognomici di Lombroso. Non condivido questa impostazione.

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  16. Se mi posso permettere di copiare questo commento riguardante la questione, trovato su un altro blog.
    Quello che ha lo ha scritto è siciliano.


    Hai una visione totalmente distorta della Storia, in realtà i Rothschild stavano con i nemici dell'Italia. Il regno delle Due Sicilie rimase per tutta la sua storia uno stato a sovranità limitata, poiché soggetto a pesanti condizionamenti di potenze straniere, dopo il 1815 principalmente l’Austria. L’impero asburgico forniva all’esercito borbonico gli ufficiali addestratori (figure simili, mutatis mutandis, a coloro che oggigiorno sono definiti eufemisticamente “consiglieri militari”) e controllava le finanze del regno. Lo stato borbonico aveva due banche ufficiali, il "Banco di Palermo" ed il "Banco di Napoli", il più importante. Quest’ultimo aveva il potere di stampare moneta, ma non era controllato dal sovrano borbonico, bensì da una famiglia notissima, d’origine austriaca: i Rothschild. Il ramo austriaco dei Rothschild fu per lunghissimo tempo, dal Settecento sino al 1866 ed oltre, il principale finanziatore dell’imperatore d’Austria ed assieme una cinghia di trasmissione della sua politica imperiale. Ad esempio, la spedizione militare del 1821 con cui l’Austria marciò sul regno delle Due Sicilie, su invito del suo stesso sovrano, per abrogarvi la costituzione, fu finanziata dal barone Rothschild. Inoltre, il controllo finanziario di quest’ultimo sul “Banco di Napoli” concedeva indirettamente all’Austria un’ingerenza stretta nel bilancio e quindi nella politica del governo borbonico.
    Quando Garibaldi giunse a Napoli, fra i suoi provvedimenti vi fu quello di confiscare la quota azionaria di proprietà del Rothschild e nazionalizzarla. Tale provvedimento fu dovuto, perché il Banco era controllato da un privato, straniero e per di più longa manus del governo imperiale, ostilissimo all’Italia. Si noti però che tale decisione riguardò appunto i beni finanziari del barone Rothschild e che il beneficiario fu lo stato italiano. Gli Italiani quindi, meridionali inclusi, non persero un centesimo da tale esproprio, anzi furono collettivamente arricchiti dalla nazionalizzazione della quota azionaria di controllo del “Banco”, in precedenza in mano ad un banchiere austriaco.
    Si può ancora aggiungere che il “Banco di Napoli” continuò ad esistere ed ad operare regolarmente, diversamente da quanto scrivono i neo-borbonici, secondo i quali sarebbe stato ridotto in bancarotta. Infatti, per ragioni finanziarie tutte le banche centrali degli stati preunitari continuarono ad esistere sino al 1893. Allora furono soppresse alcune di esse, per fondare la neonata Banca d’Italia. Rimasero però attive ancora proprio il Banco di Napoli ed il Banco di Palermo, che furono abrogate soltanto nel 1933.


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    1. Egregio Sig. Corrado,

      ma credo che qui nessuno, nei suoi commenti, volesse aumentare il "campanilismo"... Anzi!!
      Si certo, l'Italia è stata terra di conquista... Ma, ad esempio, i genovesi erano i finanziatori principali dell'Impero spagnolo... In merito ai Rothschild stessi: "... tra il 1849 ed il 1858 il Piemonte contrasse all’estero, principalmente con il banchiere James Rothschild, debiti per 522 milioni - quattro annate di entrate fiscali..." tratto da qui, un bell'articolo da cui, lasciate da parte le considerazioni "da tifoso" mi pare utili soffermarsi sui dati che in esso vengono snocciolati...

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    2. Caro sig. Corrado,
      la storia del nostro Regno è interessante per due aspetti.
      1 se non si va a fare una giusta diagnosi su quello che è accaduto, cioè non lasciando che la Storia la scrivano i vincitori e basta, non si troverà mai la giusta cura ai problemi del Sud;
      2 detta storia può essere molto interessante per comprendere come i meccanismi si ripetono: unione italiana - unione europea.
      Io preferirei tornarmene ai tempi che furono, ma ormai la vedo difficile. Mi accontenterei, vista un po' di Storia di evitare l'evolversi dello scempio europeo.

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