lunedì 6 marzo 2017

MAASTRICHT: ERA GIA' TUTTO PREVISTO (da Einaudi a Carli fino a Draghi: ma cosa c'entra la sinistra con l'elite liberale?)





BREVE PREMESSA-ADDENDUM AL POST "MAASTRICHT: ERA GIA' TUTTO PREVISTO": 

Vale la pena di riportare alcuni passaggi di un articolo di Ambrose Evans-Pritchard che gettano luce su un elemento di importanza essenziale sia in ordine alle finalità ultime costantemente perseguite dal federalismo europeo, sia sulla provenienza, politico-ideologica, dell'impulso federativo nella sua vera essenza economica:


"It was Washington that drove European integration in the late 1940s, and funded it covertly under the Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson, and Nixon administrations.
...
While irritated at times, the US has relied on the EU ever since as the anchor to American regional interests alongside NATO."
Tanto per dire sulla fase genetica che andiamo a celebrare in questi giorni, e sulla essenzialità dell'asse franco-tedesco (e quindi sulla simmetrica marginalità italiana, altrettanto genetica, agli occhi dei "promotori"):
"The Schuman Declaration that set the tone of Franco-German reconciliation - and would lead by stages to the European Community - was cooked up by the US Secretary of State Dean Acheson at a meeting in Foggy Bottom. "It all began in Washington," said Robert Schuman's chief of staff. 
It was the Truman administration that browbeat the French to reach a modus vivendi with Germany in the early post-War years, even threatening to cut off US Marshall aid at a furious meeting with recalcitrant French leaders they resisted in September 1950"...
There were horrible misjudgments along the way, of course. A memo dated June 11, 1965, instructs the vice-president of the European Community to pursue monetary union by stealth, suppressing debate until the "adoption of such proposals would become virtually inescapable". This was too clever by half, as we can see today from debt-deflation traps and mass unemployment across southern Europe".


Certo ci sono stati alcuni "imprevisti" o, più esattamente, inconvenienti di "fanatismo ideologico" sopravvenuti da parte europea, ma, tutto sommato, fino ai giorni nostri, il rapporto benefici/costi pro-USA è sembrato rimanere positivo e dunque tollerabile:

"It is true that America had second thoughts about the EU once Europe's ideological fanatics gained ascendancy in the late 1980s, recasting the union as a rival superpower with ambitions to challenge and surpass the US.
John Kornblum,  the State Department's chief of European affairs in the 1990s, says it was a nightmare trying deal with Brussels. "I ended up totally frustrated. In the  areas of military, security and defence, it is totally dysfunctional."
 Mr Kornblum argues that the EU "left NATO psychologically" when it tried to set up its own military command structure, and did so with its usual posturing and incompetence. "Both Britain and the West would be in much better shape if Britain was not in the EU," he said.
This is interesting but it is a minority view in US policy circles. The frustration with the EU passed when Poland and the first wave of East European states joined the EU in 2004, bringing in a troupe of Atlanticist governments. 
We know it is hardly a love-affair. A top US official was caught two years ago on a telephone intercept dismissing Brussels during the Ukraine crisis with the lapidary words, "fuck the EU".

Non traduciamo, per il momento quanto riportato in questo addendum, poiché si tratta della conferma di analisi già ampiamente svolte (v. pure i links inseriti nella premessa) su questo blog. 

Ma rimane interessante la conferma ulteriore di questo scenario di premessa, in assenza della cui comprensione, la visione del federalismo europeo rimane un esercizio "monco" e irrealistico.



URL:https://www.youtube.com/watch?v=8TszG75t9p4




1. Questo video è ormai molto noto.

In esso Draghi spiega come deve funzionare, per necessità scientifico-economica e politica, l'eurozona. E parte direttamente dalla necessità degli "aggiustamenti", tra i paesi dell'eurozona. Spiega, nella seconda parte, delle divergenze di crescita e di inflazione tra i paesi che vi appartengono e di come ciò dia luogo a fenomeni di movimento di capitali che, dai paesi più competitivi e con tassi di inflazione più bassi, finanziano le importazioni da parte dei paesi meno competitivi.

Racconta, per implicito, come l'invariabilità del cambio favorisca tutto ciò, rendendo conveniente effettuare questo credito da parte dei sistemi bancari dei paesi più forti e di come, però, a un certo punto, le posizioni debitorie così create (sottintende dovute principalmente a credito privato da scambio commerciale e da affluenza di capitali attratti dai tassi di interesse più alti nei paesi a inflazione maggiore), divengano eccessive e quindi "rischiose" (anche perché ciò droga la crescita col capitale preso a prestito e genera ulteriore innalzamento dell'inflazione).



1.1. Pertanto, superata questa soglia di rischio (visto come probabile incapacità di restituzione) ciò induce i creditori a chiedere il rientro delle proprie posizioni e obbliga i paesi "deboli" ad agire in un solo modo: effettuare la "internal devaluation" cioè comprimere la propria domanda interna mediante la leva fiscale (aumento delle tasse e taglio della spesa pubblica), al fine di correggere verso il basso i prezzi, in particolare i c.d. salari. 

Draghi mostra di ritenere tutto ciò un male necessario, e quindi un sacrificio per un presunto bene superiore, in quanto non ci sarebbe altra scelta. E lo dice sottolineando che non possono esserci paesi per sempre ("permanent") debitori e paesi per sempre creditori: fa l'esempio di "altre unioni monetarie" che contemplano questa possibilità, e la risolvono mediante i trasferimenti di un comune governo federale verso i paesi "debitori", ma esclude che ciò sia praticabile in €uropa, non essendo "realistic" allo stato dell'attuale integrazione politica tra gli Stati europei.


2. Quando abbiamo parlato del primo progetto "ufficiale" di moneta unica, cioè già  ascrivibile alle (allora) istituzioni comunitarie europee, e quindi al Rapporto Werner del 1971, citammo un commento di Carli del 1973 a questo stesso primo progetto. 

Questo commento lo ritrovate ne "La Costituzione nella palude" alle pagg. 137-138, preceduto da una sintesi critica (allora) di Maiocchi (del 1974) sui "meccanismi automatici di aggiustamento della bilancia dei pagamenti": questi sarebbero una soluzione contraddittoria in quanto collegati alla preventiva rinuncia ai trasferimenti federali, lasciati a un'indefinita "seconda fase", e prevedendosi, nel frattempo, aggiustamenti eccessivamente onerosi per i paesi "debitori" e il pratico impedimento a "politiche fiscali anticicliche e di crescita", sovrastate e rese controproducenti dall'esigenza di mantenere la stabilità monetaria. 

Quindi, tutto ciò in attesa di un tempo "futuro", che abbiamo visto non sarebbe arrivato mai, in cui si sarebbe potuto istituire il meccanismo fiscale "compensativo". 

E questo a tacere dell'utilità (indimostrabile), in termini di crescita e di sviluppo, di un'unione monetaria in sè, quand'anche cioè caratterizzata in partenza dalla perfetta convergenza di indicatori economici (inflazione, produttività, dinamiche salariali, sistemi fiscali, amministrativi e persino giudiziari) tra i diversi Stati partecipanti.


3. Il commento del 1973 di Carli, perciò, non casualmente era il seguente: 

"Se in questo momento la lotta all’inflazione appare l’obiettivo prioritario, l’Unione monetaria europea non può tuttavia essere imperniata su un meccanismo che tenda a relegare verso il fondo della scala gli obiettivi dello sviluppo e della piena occupazione, cioè ad invertire le scelte accettate dalla generalità dei popoli e dei governi in questo dopoguerra".

Nel libro "Economia e luoghi comuni" Amedeo Di Maio (pag.26), al culmine di un'interessante esposizione del paradigma economico ordoliberista, - che conferma quanto a sua volta esposto ne "La Costituzione nella palude"- ci racconta come Müller-Armack, l'inventore della formula-simbolo dell'ordoliberismo, "economia sociale di mercato" (su cui così nitidamente ci ragguagliò Einaudi, v. infra), in uno scritto del 1978, avesse predicato che stabilità monetaria e finanziaria dovessero precedere l'instaurazione di un "ordine monetario" comune, e che l'unico mezzo per ottenere questo risultato era la precondizione del pareggio di bilancio nei vari Stati coinvolti (di cui era così enunciata la funzione equivalente, nell'ambito dei rapporti tra gli Stati appartenenti all'"ordine monetario", al gold standard: garantire quella stabilità, ovverosia quell'attitudine del lavoro ad assorbire ogni aggiustamento reso necessario dal mantenimento della competitività e dell'equilibrio dei conti con l'estero, che si ottiene controllando ossessivamente la dinamica salariale mediante un alto livello strutturale di disoccupazione e precarietà).


4. Ma, altrettanto, noi sappiamo che si scelse apertamente di non percorrere questa via, che pure sarebbe stata, per tradizione culturale, quella preferita dai tedeschi (almeno da quelli del tempo dei primi progetti, cioè prima che il neo-ordoliberismo divenisse una pura strumentalità mercantilistica per convenienze immediate e non cooperative).

Si scelse invece quella attuale perché la moneta unica, e con essa il trattato di Maastricht (e prima ancora l'Atto Unico del 1987), vedevano concordi tutti i "negoziatori" dei paesi interessati nel creare questa costrizione al pareggio di bilancio e, comunque, alla stabilità monetaria e dunque all'inflazione "bassa e stabile", proprio perché, come aveva preconizzato Einaudi negli anni '40 e negli anni '50, questo non avrebbe certo portato alla crescita, quanto al ridisegno sociale in senso liberista, e anti-socialcostituzionale, dell'intera Europa (così Einaudi, da ultimo citato, nel commento al pensiero economico di Erhard e Eucken: "O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo";..."anche il qualificativo «sociale» è un semplice riempitivo...il riempitivo «sociale» ha l’ufficio meramente formale di far star zitti politici e pubblicisti iscritti al reparto «agitati sociali».”).


5. Dunque, a seguire le teorie economiche che costituivano il patrimonio condiviso dei sostenitori dell'Europa economica e monetaria, (quale poi in effetti realizzata), le condizioni di stretta convergenza di crescita (realistica, cioè non tale da generare tensioni inflattive e da resdistribuire il potere socio-politico agli "agitati sociali"), inflazione e regime fiscale di pareggio di bilancio, avrebbero dovuto precedere e non seguire l'instaurazione dell'unione monetaria.

Ma l'occasione di costringere, ridisegnare e ridisciplinare le masse riottose dei paesi a costituzioni "socialiste", era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire: dunque, si sarebbe offerta, in una cornice di opportuna propaganda mediatica, l'idea della pace e della cooperazione come perno della costruzione europea, ben sapendo che non sarebbe stata altro che severa disciplina fiscale e, naturalmente, del lavoro, chiamato a pagare il costo degli "aggiustamenti automatici" (a loro volta subito esaltati da Einaudi, che preferisce chiamarli fasi applicative di "sanzioni", appunto automatiche, in una visione di chiara rivalsa verso una società eticamente distorta, secondo lui; qui p.5).


6. La conferma di questo percorso ci viene, ancora una volta, dalle memorie di Carli, che indulge in una serie di considerazioni apparentemente contraddittorie; nel senso che è cosciente dei problemi economici e distributivi che sarebbero sorti nel governare, in nome della sola concorrenza sui liberi mercati, le tensioni sociali riversate sul lavoro, ma rinuncia a mitigare tutto ciò, risolvendo quello che può apparire un problema di coscienza (che già si indovinava nel commento del 1973), sulla base di considerazioni "etiche" collimanti con quelle di Einaudi.

Ricostruiamo questo percorso, narrato da Carli, in base all'attenta selezione offertaci, more solito, da Arturo:


La questione riguarda la prima forma di tetto al deficit (ora previsto all'art.126 TFUE), laddove se l'ideale è appunto il pareggio di bilancio, è ovvio che "gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi" (par.1), ma qualcosa "potrebbe" essere economicamente irrazionale nel prevedere un tetto rigido e automatico:

Se l’articolo 104 C, comma 2, a, punto 1 fu scritto dalla nostra delegazione, il punto seguente reca la firma della delegazione britannica, laddove esclude l’applicazione meccanica dei criteri in caso di scostamenti “eccezionali e temporanei”. 

E' questo, in tutto il trattato, l’unico accenno al ciclo economico. Né deve stupire che siano stati i britannici a proporre quell’emendamento. L’Inghilterra resta pur sempre la patria di John Maynard Keynes. 

Per chi, come me, è stato sinceramente convinto della bontà dell’impianto complessivo degli statuti di Bretton Woods e della loro interpretazione successiva, è difficile accettare con animo leggero il fatto che l’obiettivo della stabilità dei prezzi sia indicato senza alcun riferimento al livello occupazionale e, dunque, al benessere delle comunità che si sono date questa nuova Costituzione monetaria

Ho provato ripetutamente nel corso del negoziato a inserire tra i criteri anche il livello di disoccupazione che pochi mesi dopo sarebbe riemerso, dopo tanta dimenticanza, come il problema principale dell’Europa. Senza successo.” (G. Carli, "Cinquant’anni di vita italiana", Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pag. 407).
  

7. Ma del tentativo "mitigatore" fallito, Carli non ritiene di doversi eccessivamente preoccupare, dato che (come già per Einaudi) ben altre sono le positive opportunità che possono derivare dall'adozione di una moneta unica che obbliga a deflazionare ed a disciplinare le politiche fiscali in senso "austero", a prescindere da qualsiasi esigenza del "ciclo economico", cioè, per l'appunto, in forza di automatismi che valgono come ridisegno preventivo dell'ordine sociale (rispetto a quello costituzionale) e, come dice Draghi, come sistema di aggiustamento.

Carli oscilla, con un misto di attrazione e repulsione, tra il mito del gold standard e la finale e risolutiva esigenza "etica" di un "appartenente alla elite liberale" di domare gli "istinti animali" della politica e delle plebi italiane

Queste, dunque, avevano bisogno del "vincolo esterno", costasse quel che costasse.


"Non si può dirla, la verità, soprattutto in Italia, perché significherebbe accendere la luce sul quarto partito e le sue decisioni, che hanno pesantemente condizionato tutta la storia repubblicana, per non andare più indietro nel tempo (come pure si potrebbe), erodendo via via qualsiasi margine per una politica alternativa, ormai anche contro i loro stessi interessi. O almeno alcuni di essi. 

In effetti pochi documenti risultano più ferocemente candidi delle memorie di Guido Carli, evidentemente esaltato, ma anche preoccupato, dal “compimento” del suo disegno neoeinaudiano incarnato da Maastricht, nel chiarire i dilemmi e le oscillazioni di questo raggruppamento.
Si sa che Carli è stato un sostenitore entusiasta del vincolo esterno, che ci avrebbe “salvati” più volte. Che la misura della costrittività del medesimo possa rivelarsi eccessiva è però lui il primo ad ammetterlo, parlando della proposta di Jacques Rueff, consigliere economico di De Gaulle, che a partire dagli anni Sessanta, per contrastare il predominio americano nel mercato valutario, proponeva un ritorno al gold standard (episodio da ricordare agli acritici ammiratori del Generale…):  

"Nelle Considerazioni finali pronunciate nel maggio del 1965 avevo dato ampio spazio alle implicazioni sociali della scelta di un sistema monetario piuttosto che di un altro.
E mi riferivo a Rueff quando scrivevo:
L’argine contro il dilagare del potere d’acquisto che movendo dagli Stati Uniti minaccia di sommergere l’Europa, si continua a sostenere, potrebbe essere innalzato esclusivamente mediante il ripristino del gold standard. In realtà, concezioni del genere incontravano, un tempo, un coerente completamento nelle enunciazioni che attribuivano al meccanismo concorrenziale il compito di realizzare, mediante congrui adattamenti dei livelli salariali, il riequilibrio dei conti con l’estero.
Insomma, il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salati reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia

Quelli erano gli anni nei quali la piena occupazione era un imperativo per qualsiasi governo, anche conservatore. E non si deve dimenticare che negli statuti originari del Fondo monetario internazionale la piena occupazione era uno degli obiettivi primari, al fianco dell’abbattimento delle barriere ai commerci che il sistema monetario mondiale doveva concorrere a raggiungere.
Ci opponemmo sempre alle proposte francesi, anche perché erano incompatibili con il modello di sviluppo che, pur senza condividerlo in pieno, la Banca d’Italia doveva accettare come dato in quanto proveniva dall’ autorità politica

Il «gold standard» era simile a certe teorie monetariste, in quanto espelleva dal sistema ogni elemento di discrezionalità, era integralmente meccanicistico. Secondo me «presupponeva un ambiente economico nel quale le dimensioni del settore pubblico, il grado di organizzazione...delle forze economiche e le rigidità tecnologiche erano ben diverse da quelli oggi sperimentati». Per questo adottammo sempre politiche monetarie che cercassero di tutelare il tasso di crescita previsto per lo sviluppo del Paese.” (Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pag. 187).


Così Carli descrive il gold standard, quando noi sappiamo benissimo che l’euro è ancora più rigido!!
Ma allora come si spiega l’adesione, preoccupata (per il comportamento della Gran Bretagna e della Bundesbank: pag. 405), a Maastricht?
Vediamo:
I più intelligenti tra i miei critici di ispirazione comunistica [certo, come Caffè, Saraceno, Ardigò, Lombardi, talvolta perfino La Malfa…] misero in discussione l’assunto di fondo della nostra politica: il rispetto del vincolo esterno della bilancia dei pagamenti, perseguito attraverso uno sviluppo privilegiato della domanda estera, soddisfatta con esportazioni alle quali era demandato il compito di trainare tutta l’economia. Era il «modello di sviluppo» che l’élite liberale alla quale appartenevo aveva scelto fin dalla fine degli anni Quaranta.

Doveva essere rimesso in discussione sulla base di questa critica: una crescita trainata dalla domanda estera costringe a una politica salariale restrittiva e attua una redistribuzione a favore di quei limitati settori industriali sottoposti alla concorrenza internazionale

In questo modo si è trascurata la crescita, anche qualitativa, dei settori industriali non ordinati all’esportazione. Un modello basato su un più intenso sviluppo della domanda interna avrebbe consentito una politica salariale più generosa, attuando una redistribuzione del reddito più favorevole alle classi lavoratrici senza nuocere all’equilibrio esterno del Paese.
Questa obiezione contiene del vero
[lo ammette!!].  

Tuttavia, non ci si deve dimenticare che negli anni Cinquanta l’inserimento dell’Italia nel circuito delle merci, dei capitali e vorrei dire delle idee di un più vasto mercato mondiale ci appariva come una priorità assoluta. L’economia di mercato, mutuata dall’esterno, è sempre stata una conquista precaria, fragile, esposta a continui rigurgiti di mentalità autarchica.  

Il vincolo esterno ha garantito il mantenimento dell’Italia nella comunità dei Paesi liberi

La nostra scelta del «vincolo esterno» è una costante che dura fino ad anni recentissimi, e caratterizza anche la presenza della delegazione italiana a Maastricht. 

Essa nasce sul ceppo di un pessimismo basato sulla convinzione che gli istinti animali della società italiana, lasciati al loro naturale sviluppo, avrebbero portato altrove questo Paese.” (Ibid., pagg. 266-7). 

10. Parole eloquenti e inequivocabili, per le quali ulteriori commenti risultano superflui (se si vuol capire): la visione è chiara, gli obiettivi e le priorità pure.

E questa, dunque è la "commemorazione" di Maastricht che, in prima battuta vi proponiamo: oggi hanno vinto e dominano, dentro la "costrizione" della moneta unica e contro ogni regola fondamentale della Costituzione, le sanzioni automatiche, gli aggiustamenti gravanti sul lavoro e fatti passare come beneficio contro lo spauracchio (quello sì "inflazionato") dell'inflazione.

A proposito: Einaudi del 1944, qui v. addendum, nel definirla la più "odiosa delle tasse", non aveva il copyright: si era ispirato alla Conferenza di Genova del 1922, dove lo stilema aveva già trovato enunciazione pressocché identica: qui, p.7.

Rimane inspiegabile come la sinistra italiana, non si sia mai accorta di tutto questo e difenda ancora a spada tratta l'euro, la lotta all'inflazione (non sapendo più tecnicamente come si possa, semmai, combattere la deflazione, al netto del peso dei prezzi petroliferi), e come e perché abbia dimenticato che la Costituzione non era nata per consentire tutto questo: ma, anzi, perché non potesse mai più "tornare"...



28 commenti:

  1. Da umile studente di giurisprudenza, la vorrei ringraziare per l'opera d'informazione che divulga quotidianamente. Mi auguro che questi lavori, queste idee possano tradursi in azione politica (direttamente o indirettamente) per ridare dignità alla storia e alla tradizione del Socialismo democratico (ergo la sinistra) in Italia, che altro non è che l'osservanza e l'attuazione dei principi fondamentali della nostra Carta Magna.

    RispondiElimina
  2. Grazie per questo riepilogo fattuale e illuminante delle nostre €urodisgrazie economiche e sociali.

    RispondiElimina
  3. Approfitto del post, e dell’interrogativo che pone alla fine, anche per rispondere a Mauro. Il libro di Barba e Pivetti, pregevolissimo, ha il difetto, che era già di quello di Paggi e d’Angelillo, ma ancora più accentuato, di proiettare all’indietro la vicenda degli anni Settanta. Non è difficile dimostrare che si tratta di una lettura unilaterale e sostanzialmente sbagliata: senza ritornare sull’incisivo intervento di Togliatti in Costituente all’epoca della prima offensiva del quarto partito, basta confrontare il comportamento di Berlinguer durante la c.d. solidarietà nazionale con quello dello stesso Togliatti nella crisi del ‘63/’64, della quale abbiamo parlato in passato.

    In un articolo su Rinascita del 4 febbraio ‘64 Togliatti lamenta “il fatto che il “quarto partito”, il partito del grande capitale monopolistico, pretende affermare ormai in modo incontrastato il proprio predominio ed è disposto a tollerare, alle sommità governative, una formazione politica anche solo velleitariamente rinnovatrice solo a patto che la velleità non cerchi mai di diventare volontà e il comando economico rimanga ben fermo nelle sue mani”. (in A. Agosti, Togliatti, UTET, Torino, 2003, pag. 550).

    Giuseppe Vacca, che come vedrete, prima di convertirsi al renzismo (no comment…), era un critico severissimo di Berlinguer, ha scritto pagine che trovo molto convincenti: “Nel triennio della «solidarietà nazionale» il Pci mancò questa sfida, non fu in grado di opporre una propria politica congiunturale a quella delle classi dominanti, ne condivise le misure d’austerità e subì una spezzatura in due tempi del programma, che ne incrinò il consenso e i legami sociali, avviandone il declino. Ma si può far risalire questa sconfitta «rivelatrice» al codice genetico togliattiano?
    Il momento piu significativo per un raffronto con la condotta del Pci nel triennio ‘76-‘79 credo sia quello della crisi economica del ’63-’64. Il programma riformatore era ormai compiutamente delineato e, per la prima volta in condizioni di sviluppo avanzato e di relativa influenza sulle politiche di governo, il Pci si trovò a fronteggiare un complesso problema di «saldatura fra rivendicazioni e riforme». I paragoni storici valgono quel che valgono e certo non si possono mettere sullo stesso piano la caduta del ciclo economico del ’63-’64 con i problemi indotti dalla stagflation alla metà degli anni 70. Ad ogni modo, in entrambi i casi il Pci si trovò dinanzi alla prova più ardua di coniugazione fra rivendicazioni e riforme: quella di fronteggiare una manovra congiunturale imperniata su misure di «austerità». I comportamenti non furono gli stessi, anzi furono opposti.

    RispondiElimina
  4. Alla manovra recessiva di Carli e Colombo Togliatti rispose respingendo le misure di compressione della domanda e sostenendo invece la necessità d’una sua espansione, e rivendicò misure di controllo dei prezzi e degli investimenti. Mantenere il finalismo socialista non impediva, dunque, a Togliatti l’esplicazione d’una capacità di proposta in tutto consona a quelle che a datare dagli anni ’30 i maggiori partiti riformisti in Europa avevano maturato.” (G. Vacca, Gramsci e Togliatti, Editori Riuniti, Roma, 1991, pagg. 233-34).

    Se ricordiamo quanto diceva Vianello, ossia che a impensierire del Pci non erano certo le “nostalgie rivoluzionarie” ma “le tentazioni riformatrici”, ben si può capire perché Togliatti sia stato (e ancora sia!) oggetto di campagne di denigrazione ferocissima sulla stampa “perbene”, mentre Berlinguer metta d’accordo tutti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E sarebbe ora Arturo! Ma possibile che io queste cose le ho succhiate col latte (al di là della simpatia o meno per il personaggio), non sapendo un accidenti di storia contemporanea, e fuori paiono ancora conoscenza esoterica!
      Anche la cieca prevenzione di tanti pavidi e saputi perbenisti tuttora arzilli ci ha messo parecchio nel trascinarci dove siamo.

      Elimina
  5. Ho visto i dati della bilancia commerciale italiana.
    Export in lieve aumento e surplus in continuo aumento.
    45 miliardi di surplus.

    Come possiamo essere un Paese debole nonostante tutto? il 3% del PIL di surplus commerciale. non è cosa da poco. soprattutto per un Paese oggetto di attacco diretto da tanti anni ormai.
    I Paesi deboli sono quelli in deficit. Spagna Grecia ecc...ma non l'Italia.
    La Francia pure...grande sistema privato a parte (che difatti gioca coi tedeschi).

    Siamo in difficoltà, in deficit, esclusivamente perchè restiamo nella UE quando i mercati si aspettano la nostra uscita quindi.
    Tralasciando la pur doverosa facoltà di emettere moneta ma...volendo ragionare per assurdo...il nostro saldo estero ci dice potremmo sopravvivere pure senza. pure finanziandoci sui mercati. al netto di movimenti speculativi.

    Quali sarebbero i motivi per cui un paese col 3% di surplus commerciale non dovrebbe potersi finanziare sui mercati? quale è il rischio che non si ripaghi il debito contratto? tra tasse e esportazioni entra molto più di quel che il Paese abbisogna...

    Siamo fra i più virtuosi e fra i più mazziati. Davvero l'ostinazione a mantenere il paese in questa stupida gabbia, può nascere solo dalle motivazioni espresse da Carli.

    Perchè non vi è alcun senso in tutto ciò. neanche dal punto di vista dell'industria esportatrice...anche se i suoi intellettuali di riferimento non lo capiscono.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Un senso c'è, ma non è quello originario (anzi, il boomerang è giunto a destinazione).

      Chi muove i fili non è l'industria esportatrice nazionale, ormai inconsistente, ma l'industria estera che ha preso il controllo delle filiere nonché i PROPRIETARI delle imprese esportatrici e dei marchi un tempo italiani ma ora in mani estere.

      Il modello che si persegue per noi è quello irlandese: investitori esteri controllano e dimensionano l'industria resistente, dosando le opportune riforme secondo la loro convenienza, e sono in grado di condizionare, anche tramite il controllo del sistema bancario (che si può considerare prevalentemente ormai in mani estere), l'indirizzo politico senza troppe difficoltà.
      Una colonia (di già), per l'appunto...

      L'ultima frontiera, non a caso, è quella di promettere la riduzione del costo del lavoro, strutturando la fiscalizzazione contributiva, e finanziare il tutto mediante imposizione patrimoniale: è evidente che questa è una redistribuzione verso i controllori effettivi dell'offerta e a scapito dei cittadini italiani (che, per la maggioranza, sono ormai SOLO patrimonializzati e attendono il colpo finale dei padroni esteri).

      Elimina
    2. Mi riferisco, quando parlo di preferenza del sistema residuo in mani italiane...ad esempio la posizione di confindustria e del sole24ore...che un giorno lamenta la lenta avanzata dei Francesi nelle Generali...e l'altro ribadisce come sia fondamentale non perdere tempo sulla strada delle riforme europee.

      Davvero questi non hanno ancora capito che la difesa del loro ruolo di capitalisti e il rispetto delle regole europee non possono coesistere?
      di quale altra prova hanno bisogno? preferiscono perdere la loro posizione castigando il popolo piuttosto che mantenerla e accettare di condividere il potere.

      anche perchè se cedi l'azienda perdi sia il controllo politico che questa ti consente sia la fonte di profitti...nel breve termine potranno anche fare cassa...ma nel medio questo è un tagliarsi i coglioni per far dispetto alla moglie non da poco.

      Voglio dire...perchè siamo entrati nell'euro se non per irrobustire il potere dei dominanti? a cosa sarà servito, dal punto di vista loro, tutto questo se alla fine cedono tutto? boh...stupefacente.

      Elimina
    3. A piccola e modesta chiosa di ciò che ti scrive Quarantotto, ti consiglierei in effetti di non guardare tanto all'avanzo commerciale, che è SOLO UNA PARTE della bilancia dei pagamenti, ma alla bilancia NEL SUO COMPLESSO, e noterai che la bilancia italiana NON E' IN ATTIVO. Anche perchè allora non si spiegherebbe il flusso finanziario elevato che si registra attraverso i famigerati saldi Target 2...
      Purtroppo temo che Quarantotto abbia ragione: la maggior parte delle attività collocate sul territorio italiano che producono un avanzo commerciale, sono però in mano estera, e quindi la remunerazione dei proprietari esteri di queste realtà determina un flusso finanziario negativo che compensa largamente (in negativo) l'avanzo commerciale, purtroppo.

      Elimina
    4. in parte è vero.
      Ma bisogna considerare che a formare il deficit attuale concorrono il 5% di PIL cerca di interessi sul debito (che non sarebbe tale fuori dalla UE) e che la fuga di capitali dall'italia avviene in questi dimensioni proprio perchè siamo nella UE e c'è quindi la possibilità di investire in titoli di stato del nord europa aspettando una rivalutazione dopo l'eurobreak.
      entrambi i fattori, che sicuramente insieme pesano assai più del 2% di deficit complessivo italiano, si verificano solo ed esclusivamente grazie alla permanenza nella UE.
      Per questo dico che fuori dalla UE l'italia non sarebbe in deficit e molto probabilmente non avrebbe problemi di finanziamento.
      Grandi banche private a parte coi loro crediti inesigibili...che ovviamente andrebbero nazionalizzate. ma niente di infattibile per un paese che nel complesso senza la zavorra UE sarebbe in equilibrio se non in attivo anche considerato i costi che esulano dalla spesa primaria.

      Elimina
    5. Poi se parliamo di grande industria sono d'accordo. Ma quanti lavoratori occupa la grande industria privata in Italia ormai? non ho dati aggiornati...ma penso non molti ormai. di multinazionali ce ne è sempre meno. le grandi aziende di controllo statale operano prevalentemente all'estero e in italia hanno solo la direzione.
      Con industria esportatrice italiana mi riferisco alla media impresa italiana. quelle aziende che sono tuttora in mani italiane (principalmente meccanica e automazione) e che essendo votate all'export (e in molti casi leader europei se non mondiali del loro settore) stanno reggendo la concorrenza anche se sleale.
      Aziende che vanno da qualche centinaio fino a qualche migliaio di dipendenti che tuttoggi assumono personale (moderatamente) e i cui affari in questi anni contribuiscono a spiegare la differenza fra italia del nord e italia del centro-sud (dove questo tipo di azienda non è presente).
      Io penso che il grosso dell'avanzo commerciale venga piuttosto da questo tipo di azienda in italia. oggi.

      Queste aziende sono rappresentate in Confindustria. Le multinazionali ne sono fuori.
      Per cui perchè Confindustria tiene queste posizioni? perchè non si schiera diversamente?
      Però in effetti se sono in crescita nonostante tutto...c'è caso che pensino che "tutto sommato ce la caviamo...meglio evitare scossoni"....boh...

      Elimina
  6. Su Rueff si potrebbe dire che "tutto mondo è paese"... Quantomai attuale, sempre se non già citato, questo articolo di Giorgio Gattei del 2014, L'Euro dei Nazi e il nostro: “nel 1940 spiegava una nota della Cancelleria del Reich: «i grandi successi della Wehrmacht tedesca hanno creato i fondamenti per il Nuovo Ordine Economico Europeo sotto il dominio tedesco. La Germania, dopo aver concentrato negli ultimi anni le proprie forze principalmente sul riarmo militare, potrà seguire in futuro anche la strada della crescita economica e dello sviluppo delle proprie forze produttive su ampia base e una grossa crescita del tenore di vita ne sarà la conseguenza»[1].
    Questo Nuovo Ordine Economico Europeo sarebbe però nato asimmetrico perché gli stati aderenti si sarebbero collocati in due diversi gironi d’importanza: un «cerchio interno» composto dalla Germania allora impinguata dell’Austria e dei Sudeti, dal Protettorato di Boemia e Moravia, dal Governatorato Generale polacco e da Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Lussemburgo in quanto nazioni razzialmente affini ma pure economicamente omogenee, tanto da potersi pensare ad un unico livello dei prezzi, dei redditi e dei salari; ed un «cerchio esterno» in cui avrebbero gravitato Svezia, Svizzera e poi Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (i PIGS, i paesi “maiali” già previsti!) con estensione all’Unione Sovietica (quando sconfitta), alla Turchia e all’Iran per proiettare il Grande Spazio fino al Pacifico e al Golfo Persico. Qui però prezzi e salari sarebbero stati mantenuti più bassi per favorire le esportazioni verso il cerchio interno. Il marco avrebbe dovuto diventare la moneta comune (in mancanza, «la fissazione di tassi di cambio stabili sarebbe assolutamente necessaria»), mentre sarebbe stata istituita una Banca Centrale Europea con sede a Vienna, che allora era tedesca, per il conteggio incrociato dei saldi tra i paesi associati «in cui, naturalmente, la Germania deve essere predominante».”. Il lupo perde il pelo...

    Chiosa finale: come sempre chi parla di "voler cambiare l'UE" fa' la fine di Don Chisciotte quando si impelaga a combattere i mulini a vento. L'UE così nacque e così rimarrà... non per nulla è stato messo quale banchiere centrale Mario Draghi, allievo "irriconoscente" del compianto Federico Caffè... cioè un banchiere di studi keynesiani (gli unici utili nel governo dell'economia).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A me la doppia moneta, - se proprio il marco "comune" si fosse rivelato eccessivamente drastico-, Nord-Europa/Sud Europa "cerchio esterno", con prezzi e salari mantenuti più bassi per "favorire le esportazioni" verso il "cerchio interno" (fissati opportunamenti i cambi fissi di partenza), rammenta qualcosa di molto attuale...ma molto (ex) nazionale

      Elimina
    2. Ti riferisci a quanto diceva la Merkel al termine del vertice di Malta (che verrà proposto a Roma il 25 marzo p.v.) ed a quanto afferma negli ultimi tempi anche B.?

      Elimina
    3. Ari-acqua; si tratta di "nazionali" senza filtro
      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/10/il-mezzogiorno-e-leuro-che-me-ne.html?showComment=1445505473034#c4333802670633569956
      +
      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/10/il-mezzogiorno-e-leuro-che-me-ne.html?showComment=1445442751670#c2904443571438454610

      Elimina
  7. "Il vincolo esterno ha garantito il mantenimento dell’Italia nella comunità dei Paesi liberi .. un pessimismo basato sulla convinzione che gli istinti animali della società italiana, lasciati al loro naturale sviluppo, avrebbero portato altrove questo Paese.” A mio modo di vedere bastano queste dichiarazioni di Carli per avere la riprova (se mai ce ne fosse stato bisogno) di come l'attuale sistema politico/economico di cui siamo le vittime sacrificali nasca da una precisa scelta politica basata su presupposti ideologici privi di qualsivoglia oggettività, - sia essa di natura meramente empirica, ovverosia basata sulla semplice osservazione dei fenomeni quale la potrebbe fare chiunque (perché, in fondo, quella che Draghi descrive è la logica dello strozzino applicata alle relazioni tra Stati) che scientifica, volta cioé a ricondurre la fenomenologia empirica ad una teoria di essa esplicativa. Sembra che abbiamo trasceso il campo dell'analisi economica pura e semplice e che ci troviamo ormai su quello della lotta tra Weltanschauungen contrapposte ed inconciliabili (che potremmo ricondurre alla contrapposizione tra l'idea di società espressa dalla nostra Costituzione e quella che è alla base dei Trattati). Quello che preoccupa e che le "Kämpfe der Weltanschauungen" hanno sempre avuto un esito violento; la speranza è che non accada lo stesso oggi.

    RispondiElimina
  8. I TOPI, DA MO', SCENDONO ..

    https://www.youtube.com/watch?v=UzRpp4MywRg

    RispondiElimina
  9. … "meccanismi automatici di aggiustamento della bilancia dei pagamenti": questi sarebbero una soluzione contraddittoria in quanto collegati alla preventiva rinuncia ai trasferimenti federali, lasciati a un'indefinita "seconda fase".

    Sull’unione monetaria, nel Rapporto Werner del 1971, pag. 3, al Par. III, intitolato “Il punto di arrivo” , c’è scritto “… In una tale unione è importante solo la bilancia dei pagamenti della Comunità con il resto del mondo. L’equilibrio all’interno della Comunità ad un tale stadio sarà realizzato come all’interno di un territorio nazionale grazie alla mobilità dei fattori di produzione ed ai trasferimenti finanziari del settore pubblico e del settore privato …”.

    Sbaglio ad interpretare, Presidente, o se ne deduce che sin dall’inizio era del tutto esclusa una “seconda fase” con meccanismo fiscale compensativo?

    Mi pare che funzioni come per la mitica solidarietà (http://orizzonte48.blogspot.it/2017/02/debito-sovrano-risk-weighted-banche.html)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non sbagli: ma la prospettiva venne sempre agitata (o accennata anche nel rapp. Werner) e discussa e tutti, fin dagli anni 70 dicevano che non poteva funzionare.
      Ma quegli stessi, "stranamente", non smisero per un attimo di premere affinchè l'idea "monca" fosse realizzata).

      Il sistema è quello della carota messa davanti al cavallo mentre viene spietatamente pungolato a raggiungerlo...

      Elimina
  10. Grazie. Una brutta idea propagandata ad arte.
    Ma tanto, come disse il mortazza, ci sarebbe stata una crisi ed allora...sarebbero morte persone

    RispondiElimina
  11. Ho trovato ,in un post datato 13 febbraio 2015 su"tempo fertile"blog spot,questa frase che può spiegare il meccanismo usato dagli ordoliberisti a far breccia nella mentalità di persone d' orientamento opposto al loro ,riguardo l' Unione Europa, facendone degli "EUROFEDELI" Dalla recensione al libro di Ralf Darhendorf “Perché l’Europa? Riflessioni di un europeista scettico”su "tempo fertile"
    "“ 1- “L’Eurofedele”, colui che collega alla Moneta Unica degli investimenti identitari ed affettivi secondo una rappresentazione che vede nell’istituzione monetaria la più recente incarnazione di quell’ideale di progresso, apertura, modernizzazione, che è in effetti il sostituto funzionale contemporaneo della religione e della trascendenza. L’Euro, ma in modo più ampio il processo di transnazionalizzazione e di caduta delle frontiere nazionali, è in questa visione l’incarnazione più recente dello Spirito della Storia, connettendosi a quel potente asse ideologico che muove dall’illuminismo ad oggi la spiritualità dell’occidente. Molto spesso questa ispirazione, per grande parte non cosciente, è quel che impedisce a chi ha una posizione politica e culturale “progressista” (soprattutto di derivazione hegeliana) di prendere le distanze dal Progetto. E’ la ragione per cui nel 1991 il PDS, malgrado la lucida e per certi versi profetica critica di Petruccioli, alla fine, vota a favore."Vedo in questa spiegazione il meccanismo che aveva fatto di me un convinto "sognatore"d'un Europa dall' Atlantico agli Urali (mai usate sostanze psicotrope ,giuro ma tale era allora la potenza della grancassa mediatica su di me)nonostante mia moglie,una brava donna di casa mi dicesse di non prendere troppo sul serio la televisione e i "giornaloni" che compravo .agguingo un'altra cosa :dopo il job act ,per gli investitori esteri che fanno shopping dei nostri ultimi marchi ,deve arrivare la fine della contrattazione collettiva e la proliferazione di tanti contratti aziendali.Questo è il pericolo prossimo per i lavoratori dipendenti .Ed io sono tra loro

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tua moglie, come la mia, deve essere (quella) cugina di Padre Sergij (memorabile libro di Tolstoj).

      Elimina
  12. Ahimé purtroppo il video è stato « obliato ».
    Dove aveva tenuto quel discorso?

    RispondiElimina