"Reduce" this!
1. Un mesetto fa abbiamo pubblicato un "Vademecum per la difesa della sovranità" (sottotitolo: "No sovranità; no democrazia").
In margine a quel post si sono svolti molti interessanti commenti, il cui spunto di avvìo è stato un concetto che, pur essendo piuttosto autovidente, stenta ad essere riconosciuto dall'opinione pubblica (i semi-colti...). L'economia internazionale degli scambi - è questo il concetto- non è un'arena governata dalla razionalità economica e dalla convenienza generale (dell'umanità vista positivamente come formata da esseri umani potenzialmente portatori di eguali diritti e capacità di creare "valori").
Gli scambi internazionali, piuttosto, corrispondono ad un'arena in cui, tanto maggiore è la libertà che gli si vuole riconoscere in via istituzionale (cioè attraverso regole giuridiche vincolanti, dettate da trattati di diritto internazionale), tanto maggiore è l'incentivo alla volontà "di potenza" dei soggetti coinvolti, portando a un nichilismo (offerto come "trasmutazione di valori", di cui l'esaltazione della globalizzazione è il più imponente degli esempi) che avvinghia tanto i vincitori che i vinti di questo scontro politico.
2. In parole povere, il free-trade è solo lo strumento istituzionale, e quindi apparentemente statico (in quanto reso in regole giuridiche), di una dinamica conflittuale mondializzata, o più pragmaticamente europeizzata, al cui livello più "sottile" si pone il "mercantilismo" (come evidenziava Joan Robinson, cioè il free-trade...for others, qui, p.8), e al cui punto estremo di espansione di pone l'imperialismo razzista (che si afferma quando i nuovi rapporti di forza nascenti dalla competizione free-trade si sono stabilizzati e i trattati, come avviene di norma nel diritto internazionale, sono allegramente calpestabili).
3. Per illustrare in modo molto pratico come inevitabilmente si arrivi a tale punto estremo in questa "progressione", muovendo dalla apparente staticità delle "buone regole" dei trattati free-trade (in cui spicca quello UE con eurozona annessa), prendiamo spunto da questo passaggio dell'ultimo post-intervista di Goofynomics (che integro con qualche link):
"Questa storia dell’Europa che porta la pace, e uscendo dalla quale
troveremmo la guerra, ormai non fa più ridere, e lo dico con molta amarezza. La"pace" portata dall'Europa si chiama Yugoslavia, Ucraina, Libia, col corredo
di politici di sinistra che si fanno fotografare a braccetto di criminali
neonazisti (neonazisti sul serio, non come i vertici di AfD). Punto.
Le
tensioni create da regole economiche assurde, dettate dal forte nel suo
esclusivo interesse, hanno ridotto la Grecia in condizioni post-belliche e
hanno dato alimento a partiti di destra ultraconservatrice, spazzando via gli
utili idioti sedicenti di sinistra dal panorama politico europeo, con la felice
(si fa per dire) eccezione del nostro paese, che non credo resterà tale (cioè
un'eccezione) a lungo.
Dire che la rottura della zona euro di per sé,
necessariamente, condurrà a guerre commerciali significa fare un'operazione
intellettualmente disonesta, della quale non si avverte il bisogno. La verità è
che continuando a sproloquiare in questo modo si seminano nell'opinione
pubblica i germi di una irrazionalità, di un pensiero magico, di una
regressione infantile (i mercati ci faranno tottò perché siamo stati cattivi),
della quale non ci sarebbe mai bisogno, e tanto meno ce ne sarà al momento della
rottura. Vorrei solo che chi si esprime in questo modo ci portasse un
precedente storico. Storicamente, la guerra viene prima, non dopo, lo
smantellamento delle grandi unioni monetarie (quella austro-ungarica, quella
sovietica), per il semplice fatto che le tensioni create dall'imperialismo
monetario concorrono, generalmente, alla sconfitta dei grandi imperi (non ne
sono la sola causa, ma una concausa rilevante sì), e che dopo la sconfitta
della potenza imperiale di turno gli oppressi si riappropriano di spazi di
autonomia. La guerra viene prima, ripeto, non dopo".
4. Ed infatti è così (e porteremo subito il precedente storico confermativo): il free-trade, cioè l'imposizione di trattati e regole giuridiche, consegue alla intrapresa, da parte delle oligarchie capitaliste di una nazione "forte", di uno o più conflitti (ce lo spiegò Keynes e lo ha aggiornato, ai nostri tempi, molto acutamente Ha Joon Chang); l'assoggettamento commerciale di aree politicamente ascrivibili a diverse comunità nazionali (comunque in precedenza "sovrane") trascende in imperialismo economico e in diverse forme, più o meno istituzionalizzate-formalizzate, di colonialismo politico.
Se dunque promuovo la "libertà degli scambi", partendo pur sempre da una collocazione territoriale politicamente ben individuabile, voglio necessariamente acquisire il predominio politico su altre popolazioni politicamente sovrane, negando tale sovranità (tendenzialmente "nazionale") per affermare l'espansione della mia (imperialistica, cioè sovranazionale).
E attenzione. Non farò stare meglio il popolo-nazione "di partenza" di questo impulso espansivo (della sovranità in altrui danno), anzi, lo mobiliterò propagandisticamente ad accettare di stare peggio in cambio di una remunerazione per lo più puramente morale: l'acquisita appartenenza ad una "nazione" o "razza" superiore a quelle "sottomesse" (una logica, oggi, che potremmo definire "calcistica").
5. Abbiamo dunque una sequenza "modello mercantilista di partenza- mobilitazione e "sacrifici" di popolo/Nazione per l'assoggettamento di "nuovi spazi" commerciali- imperialismo", che, nei fatti storici (non immaginari) sfata il luogo comune odierno sulla reale funzione di un certo tipo di protezionismo preparatorio dell'offensiva free-trade anticooperativa, ben distinto da quello utilizzato dai popoli sovrani per conservare la propria indipendenza rispetto alle aggressioni commercial-imperialiste (v. qui, p.3: gli Stati"libero-scambisti" imperialistici, infatti, sono, appunto, "liberoscambisti...all'interno delle loro sfere di influenza
territorial-militare, serbando un simmetrico protezionismo, - cioè una
preferenza assoluta di accesso e di sfruttamento di sbocchi commerciali, riserve di manodopera e di materie prime-, rispetto alle altre "analoghe"potenze,
considerate avversarie senza alcuna possibilità di mediazione: almeno
nel corso della cruciale prima parte del '900, quando appunto, il
protezionismo "conflittuale", guerrafondaio, è quello ascrivibile agli
imperi coloniali e, per riflesso, ai grandi Stati europei loro
"contendenti" sul piano globale, e non certo quello dei minori Stati nazionali, europei in particolare).
6. Questa vicenda sequenziale risulta particolarmente evidente se si ha riguardo al vero pensiero economico di Hitler, appunto quale, in buona parte riportatoci da Arturo nei commenti al post (Vademcum) suddetto. Perciò li accorpo e li traduco per darvene un'esposizione più organica.
Per una migliore comprensione lascerò la struttura di sviluppo esposivito storico-documentale proveniente dalla fonte da cui trae Arturo (cioè il libro di Tooze The Wages of Destruction).
7. La prima significativa fonte, peraltro, è agli atti del Reichstag come discorso del Führer (il che rende difficile negarne sia l'esistenza che l'inequivocabile contenuto). Mantengo il sempre nitido commento di Arturo:
“Dinanzi alla diligenza e alla capacità delle energie produttive razionalmente impiegate di una nazione, impallidiscono tutte le riserve auree e di divise.
Noi non possiamo che sorridere pensando ai tempi in
cui i nostri economisti con la maggiore serietà di questo mondo
sostenevano che il valore di una moneta viene determinato dalle riserve
auree e di divise, accantonate nei tesori delle Banche di Stato e,
soprattutto viene da essa garantito.
Noi, al contrario, abbiamo imparato
e sappiamo che il valore di una valuta è insito nella energia
produttiva di un popolo, che l’aumentato volume di produzione sostiene
una valuta, anzi, in determinate circostanze la rivalorizza, mentre ogni
diminuito rendimento della produzione deve necessariamente condurre,
presto o tardi, a una svalutazione.
Ecco perché lo Stato
nazionalsocialista, in un periodo in cui i gran sacerdoti della finanza e
della economia degli altri Paesi ci profetizzavano ogni trimestre o
semestre lo sfacelo, stabilizzava il valore della sua moneta, aumentando
in misura straordinaria la produzione.
Tra la produzione tedesca in
aumento e il denaro in circolazione venne creato un rapporto naturale.
La formazione dei prezzi, attuata con tutti i mezzi, fu possibile
soltanto mantenendo stabile il livello dei salari.
Ma tutto ciò che in
questi ultimi sei anni è stato distribuito in Germania dall'aumento del
reddito nazionale, corrisponde all'aumentato rendimento del lavoro.
In
tal modo si è potuto non solo dare lavoro a 7 milioni di disoccupati, ma
anche assicurare al loro aumentato reddito una corrispondente capacità
di acquisto; in altre parole, ad ogni marco pagato corrisponde (nella
stessa misura) un aumento della nostra produzione nazionale.
In altri
Paesi avviene esattamente l’opposto. Viene ridotta la produzione, si
aumenta il reddito nazionale aumentando i salari, si diminuisce con ciò
la capacità di acquisto del denaro e si arriva infine alla svalutazione
della moneta.
Ammetto che il sistema tedesco, in sé e per sé, è meno
popolare, in quanto stabilisce che ogni aumento di salario deve
necessariamente dipendere da un aumento della produzione, per cui
l’aumento dei salari deve sempre passare in seconda linea rispetto alla
produzione: ne consegue, in altre parole, che l’inserimento di 7 milioni
di disoccupati nel processo produttivo, non è o non era in primo luogo
un problema salariale, bensì una pura questione di produzione”.
“Se da parte degli uomini di Stato esteri ci si minaccia con rappresaglie economiche, non so bene di qual genere, io sono in grado di assicurare che, in tal caso, verrebbe impegnata una battaglia economica disperata che noi potremmo condurre molto facilmente a buon fine. Per noi questa lotta sarebbe più facile che per le altre nazioni satolle, poiché la ragione di questa battaglia economica sarebbe semplicissima.
“Se da parte degli uomini di Stato esteri ci si minaccia con rappresaglie economiche, non so bene di qual genere, io sono in grado di assicurare che, in tal caso, verrebbe impegnata una battaglia economica disperata che noi potremmo condurre molto facilmente a buon fine. Per noi questa lotta sarebbe più facile che per le altre nazioni satolle, poiché la ragione di questa battaglia economica sarebbe semplicissima.
Eccola:
popolo tedesco, se vuoi vivere, esporta, altrimenti perirai!”. (Hitler
al Reichstag, 30 gennaio 1939, Società Editrice Di Novissima, Roma, pp.
42-44 e 45)".
Ovvero anche il vecchio zio Adolfo era, ideologicamente, un offertista votato alla stabilità dei prezzi, contrario alle svalutazionicompetitive, seguace della teoria quantitativa della moneta e di un’economia export led (riarmo permettendo).
Certo che se con tutto il moralismo e i sensi di colpa che hanno riversato sui tedeschi ci avessero messo anche un po’ di economia, certi “mai più” sarebbero un filo più credibili."
Ovvero anche il vecchio zio Adolfo era, ideologicamente, un offertista votato alla stabilità dei prezzi, contrario alle svalutazionicompetitive, seguace della teoria quantitativa della moneta e di un’economia export led (riarmo permettendo).
Certo che se con tutto il moralismo e i sensi di colpa che hanno riversato sui tedeschi ci avessero messo anche un po’ di economia, certi “mai più” sarebbero un filo più credibili."
(1- SEGUE)
Tutto esatto!
RispondiEliminaAssolutamente esatto.
E non a caso il monetarista liberista Hjalmar Schacht fu ministro plenipotenziario dell'economia del Terzo Reich dal 1934 al 1937 —si dimise nel '37 per dissensi con Hermann Göring, ma Hitler, per tranquillizzare il capitalismo internazionale, lo lo difese strenuamente dandogli un ministero senza portafoglio.
A proposito di "monete complementari"... fu Schacht ad escogitare i "MEFO" i quali, contrariamente a quanto si pensa, non circolarono solo all'interno della Germania, se è vero, come è vero, che con i MEFO Berlino saldava il deficit delle bilancia dei pagamenti con diversi paesi da quali importava materie prime.
Moreno Pasquinelli
E infatti, di questo abbiamo straparlato :-) proprio nel post dai cui commenti è tratto il presente. Con un raffinato approfondimento che vale la pena di leggersi:
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/vademecum-per-la-difesa-della-sovranita.html?showComment=1505295664653#c6834078605225850411
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/vademecum-per-la-difesa-della-sovranita.html?showComment=1505327622337#c933461967090091741
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/vademecum-per-la-difesa-della-sovranita.html?showComment=1505377878420#c8978231280338694658
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/09/vademecum-per-la-difesa-della-sovranita.html?showComment=1505386953544#c3151274191049149751
...e via approfondendo.
Dunque, per Costituzione, questo non si sarebbe potuto fare:
RispondiElimina“Quel "free", dunque, non è mai la libertà del gruppo sociale che - chissà come e perchè- è finito nella maglie dell'altrui trade, ma è, immancabilmente, una "free-competition" industriale e poi commerciale che impegna i sistemi sociali apertisi reciprocamente ad uno sforzo collettivo contrastante gli interessi dell'altro gruppo, sforzo del tutto omogeneo a quello espresso durante la guerra.
Pure il conflitto armato, come tutti dovrebbero sapere, è essenzialmente vinto attraverso uno sforzo industriale: sia per produrre le armi, sia per supportare e finanziare l'azione bellica dei propri, tesa ad eliminare e ad uccidere abbastanza soldati e cittadini "nemici" da indurli alla resa, cioè alla sottomissione.
L'apertura delle economie al free-trade - lo abbiamo tante volte detto, come pure Bazaar- è dunque un vincolo (da trattato) allo scontro permanente.
Nella guerra vera e propria muoiono i lavoratori delle classi economiche subalterne divenuti soldati.
Nello scontro industrial-commerciale fra "economie aperte", sono sempre i lavoratori a subire le perdite; sia con la disoccupazione, cioè con la miseria, sia con la costrizione all'emigrazione, sia col subire la propaganda dell'oligarchia del proprio regime che, comunque, riduce il loro benessere e la rappresentatività generale dello Stato, come pure le loro aspettative di vita e persino di riprodursi, mettendo su famiglia in condizioni di dignità e sopravvivenza.
5. Ma riprecisato questo, l'Italia non era, fino all'irrompere del "vincolo esterno", un paese così "debole" da essere destinato a soccombere in ogni scontro industriale e commerciale con altri sistemi-paese (come si dice oggi, in tecno-pop, per dissimulare la conflittualità inesorabile che deriva dalla "apertura delle economie"...per trattato free-trade, cioè un trattato free-fighting one-against-each-other, che è poi esattamente l'opposto di quello che ammette l'art.11 Cost., come saprà ormai chiunque abbia letto "La Costituzione nella palude"...o anche solo abbia veramente seguito questo blog).
Per porlo in condizioni di debolezza, cioè per far sì che la situazione divenisse tanto sfavorevole, per il popolo italiano, - e tanto favorevole per l'elite capitalista (nazionale e sovranazionale: in ciò naturalmente solidali) che vede sempre con favore questa situazione (per i motivi che vedremo, ben indicati da Kalecky e Caffè), si è dovuto inventare il vincolo esterno: al suo meglio, l'euro. Che ha epigraficamente gli effetti che segnala più sopra la frase di Padoan.
6. Dunque, per Costituzione, questo non si sarebbe potuto fare:
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/03/v-behaviorurldefaultvmlo.html?spref=tw
IL PERICOLO DI UNA NUOVA DITTATURA DENUNCIATO DALL’ON. BASSO ALLA CAMERA
EliminaBASSO prende la parola alle 18,45. Il deputato socialista inizia col diagnosticare il silenzio mantenuto dalla maggioranza durante il dibattito sulla politica interna del governo. Esso dipende da due motivi: sfuggire alle accuse mosse dall'Opposizione e diminuire l'importanza del dibattito. Perciò l'Opposizione ha voluto dare alla discussione una costruzione organica esaminando la situazione provincia per provincia, allo scopo di informare il Paese sullo stato reale della nostra politica interna. Fatta questa premessa, l'oratore entra nel vivo della questione, affrontando direttamente il problema dei rapporti fra Maggioranza e Minoranza. Se Il Governo fosse capace di sviluppare una politica veramente sociale - osserva BASSO - la polizia non avrebbe un ruolo così importante nella vita del nostro Paese. E prosegue: “Un paese è tanto più democratico in quanto più realizza consensi popolari intorno a sé, perciò noi intendiamo che sia democrazia sostanziale quella che si fonda sugli interessi delle masse popolari. Una democrazia parlamentare è possibile laddove i contrasti sono trascurabili e la stragrande maggioranza erede nell'operato della classe dirigente al potere”. Dopo aver fatto un esame storico del processo attraverso il quale la classe borghese, abbandonato ogni principio liberale, ha abbracciato il sistema totalitario, BASSO mette a nudo gli interessi e i principi sociali che sono alla base di questo governo: interessi del grande capitale, dei grossi complessi monopolistici e industriali, degli istituti di credito, delle compagnie di navigazione, ecc. “È questa coalizione di interessi oligarchici - spiega l'oratore - che influenza e regola la politica italiana, mettendola al passo con quella del capitalismo internazionale. Da tali interessi non può non derivare una politica sociale che comprime sempre più le condizioni di vita delle classi popolari, alle quali si vogliono limitare prime fra tutte le libertà di lavoro e la libertà politica. Di qui il formarsi di una incolmabile frattura fra borghesia e proletariato, che dà luogo ad un conflitto sociale permanente. In questo gioco è facile che i partiti socialdemocratici perdano ogni contatto con le masse, per divenire strumenti del capitale. E qui , BASSO fa riferimento al fenomeno che si sta verificando in Francia con l'investitura conferita al pseudo-socialista Moch. Passando ad occuparsi della situazione italiana, l'oratore denunzia un risorgente pericolo fascista e dittatoriale: “Se vi è pericolo fascista nel nostro Paese, questo non è nella sparuta minoranza del MSI, ma nell'orientamento fascista e dittatoriale del partito di governo “.
SCELBA: “Anche Hitler e Mussolini dicevano di essere un regime popolare, ma non hanno mai detto di essere democratici”.
BASSO: “Si sbaglia, on. Ministro: lo hanno sempre sostenuto, ma la democrazia non basta sostenerla a parole, bisogna attuarla con fatti concreti e questa non mi sembra una prerogativa del governo al quale lei si compiace di appartenere”.
L'oratore prosegue dimostrando come il sistema e la psicologia totalitaria del fascismo non siano sostanzialmente mutate in questo governo clericale: allora come adesso l'ideologia della classe al potere si fonda su un mito: i fascisti avevano il mito della nazione-impero; oggi i clericali e i conservatori hanno adottato un altro mito: quello di una ipotetica aggressione russa: allora come oggi chiunque cerchi di svelare tutta la falsità di questi miti opportunistici è tacciato di traditore della nazione. Quando il governo di un paese - prosegue BASSO - fonda su simili principi, la classe può inimicarseli nella eventualità di salire al potere non fa altro che concentrare tutta la sua opera per soffocare qualsiasi germinazione di vita democratica e per mortificare le aspirazioni popolari. Ed esclama: “Ma il gruppo che si assicura il potere con questi mezzi è destinato a finire nella corruzione classica dei regimi totalitari”. Di qui l'oratore passa ad analizzare un lato molto curioso e sintomatico di questo governo: esso si fonda su una maggioranza parlamentare che non ha alcuna fiducia nei componenti della coalizione governativa; l'oratore cita numerosi casi in cui deputati della maggioranza hanno ammesso che il governo è coinvolto in scandali che vanno da illeciti arricchimenti a forme di omertà con il banditismo siciliano e di indulgenza verso le speculazioni di gruppi capitalistici. Inoltre BASSO cita numerose dichiarazioni fatte pubblicamente dal ministro degli Interni che rivelano palesemente come egli intenda governare con la violenza. Una fra tutte è veramente sorprendente: secondo quanto ha riferito un autorevole giornale milanese, l'on. Scelba avrebbe dichiarato che per instaurare la dittatura in Italia non è necessario ricorrere a leggi straordinarie, perché basta applicare le leggi che sono in vigore. E Infatti - prosegue BASSO - la legge viene applicata in modo elastico e fazioso e si riesce ad applicare la dittatura in Italia salvando le apparenze anche senza bisogno di leggi straordinarie. Basta limitare le libertà sindacali, la libertà di lavoro, basta affamare il popolo, isolare l'attività politica dell'Opposizione, mantenere i tutori dell'ordine nell'ignoranza delle norme costituzionali. A questo proposito l'oratore cita due episodi veramente significativi.
EliminaNelle campagne emiliane un bracciante veniva arrestato unicamente perché si era permesso di avvicinarsi ad un campo e di guardare alcuni crumiri che vi lavoravano; in seguito, naturalmente, questo bracciante veniva assolto dalla magistratura, ma, intanto la polizia di Scelba ha dimostrato che a un libero cittadino non è concessa nemmeno la libertà di guardare un suo simile. L'altro episodio anche più curioso è quello relativo e un commissario del P.S. di un piccolo paese del Meridione, il quale, interrogato da un magistrato, dichiarava candidamente che nessuno mai gli aveva detto di essere tenuto a conoscere la Costituzione, ma semplicemente il testo, di P.S. Da questi esempi, che denotano come in Italia sia ormai instaurato un regime totalitario e poliziesco, BASSO denuncia come sono trattati i detenuti e quanti di essi siano morti nelle carceri: in seguito al maltrattamento subito dai guardiani. Vi sono interi paesi terrorizzati dalle violenze subite dalla polizia e queste popolazioni non oseranno mai riferire quello che è avvenuto nel segreto delle camere di sicurezza. “Talvolta il ministro Scelba - osserva BASSO - parla di illegalità commesse dalla classe operaia, ma egli non considera che la classe operaia è tenuta a commettere delle piccole illegalità di folla, attraverso le quali essa raggiunge le sue maggiori conquiste che prima o poi sono destinate a divenire legali; ma ciò non autorizza i rappresentanti della legge e i tutori dell'ordine a violare la legalità. BASSO ricorda l'inqualificabile proposito del ministro Scelba il quale intende mantenere in vigore il confino di polizia che è stato cancellato dalla stessa Costituzione. Avviandosi alla conclusione del suo interessante ed applauditissimo discorso, BASSO fa accenno ad una altra caratteristica tipicamente totalitaria di questo governo: la paura del ridicolo. Paura del ridicolo che va dalla censura preventiva delle novità librarie e delle novità teatrali; paura del ridicolo che fa sì che i copioni delle compagnie di riviste siano epurati impedendo qualsiasi battuta contro il governo e i suoi rappresentanti. Un funzionario troppo zelante, e anche molto ignorante, è arrivato al punto di voler leggere “Tristi amori” di Giacosa temendo che contenesse un attentato alla pubblica morale. Concludendo BASSO invia un saluto ai morti di questo tragico dopoguerra che ha visto scatenarsi la lotta civile laddove or non è molto è passata la guerra; ai morti di ogni parte politica, ma specialmente alle vittime dei lavoratori: “Voi non li potete commemorare -- esclama BASSO - perché ne avete offeso la memoria”, e prosegue: “Il socialista Chiesa, quando giunse in quest'aula il tragico annunzio della morte di Giacomo Matteotti, disse: il Governo è complice; ebbene, anch'io devo dire: il Governo è complice”. La fine del forte discorso dell'on. Basso è salutata da un lungo e fragoroso applauso, mentre molti colleghi fra i quali l'on. Nenni e l'on. Togliatti, vanno a congratularsi.
EliminaSi Max…. era un Grande…. Grande critica anche questa:
EliminaArturo17 settembre 2015 17:36
Questo è veramente Hayek al suo meglio: un frullato di discipline disparate, di giudizi morali e analisi "fattuali", per riuscire a riverniciare a nuovo quello che è sempre stato il mantra liberale, cioè "che le funzioni di governo e le direttive politiche possono, anzi devono in certo senso, prescindere dalle volontà individuali, perché devono ubbidire alla logica del sistema, devono applicarne le leggi secondo un'intima razionalità che non può essere in nessun caso piegata ad arbitri o a prepotenze di partiti o di uomini. Non solo, quindi, non è necessario che il potere politico nasca dalla partecipazione di tutti, ma questa sarebbe addirittura controproducente; trattandosi soltanto di interpretare le esigenze e di applicare le leggi che sono imposte dalla logica del sistema, dal rispetto delle forze sociali spontanee, cioè di difendere l’interesse generale della società contro qualsiasi interesse particolare che volesse assicurarsi speciale protezione o favore, è chiaro che solo le persone capaci possono essere qualificate a farlo. Solo l’élite della nazione può governare nel rispetto dell'interesse generale: una eccessiva partecipazione rischierebbe di far pesare sulla cosa pubblica precisamente tutti gli interessi particolari con danno evidente dell’interesse generale e della libertà stessa. Dato il carattere sussidiario di mezzo a fine della libertà-partecipazione rispetto alla libertà-autonomia, è evidente che la prima, cioè il diritto di partecipare alla cosa pubblica, non deve essere esteso al di là di quanto potrebbe riuscire pregiudizievole a quello che è il vero valore essenziale, la libertà-autonomia, il rispetto cioè della sfera autonoma dell’iniziativa e della attività individuale.
Sono evidenti i limiti di classe di questa dottrina e di questo Stato. Se il predominio deve esser lasciato al libero gioco delle forze sociali, saranno appunto le forze della classe dominante che detteranno legge allo Stato. E poiché questo libero gioco vien proclamato "interesse generale”, gli interessi reali dei ceti subalterni non troveranno protezione presso il potere supremo, e saranno anzi respinti come “interessi particolari". Naturalmente un simile regime può durare a condizione di escludere dal potere precisamente le forze popolari, cioè a condizione di non essere realmente democratico." (L. Basso, Il principe senza scettro, Milano, Feltrinelli, 1998 (1958), pp. 37-38).
http://orizzonte48.blogspot.com/2015/09/la-grande-societa-per-porre-sotto.html?showComment=1442504168105#c7358337471996864757
Come ridurre gli interessi della maggioranza a "interessi particolari". E vale anche, e specialmente, se trasposto su bai territoriali (proprio perché le elites hanno più buon gioco ad affermare la "logica del sistema" come spontanea e incontestabile, creando appositamente una "tradizione" e una rilettura di fatti storici svincolate da qualsiasi analisi dei rapporti di classe).
EliminaConcordo Presidente….. come dicevamo la volta scorsa.. credo prima o poi si arriverà a questo:
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2017/10/lipotesi-calamandrei-la-prossima.html?showComment=1506980803327#c833021192916797650
ma io non sono Lei :) .... ho solo questo timore
Portate pazienza DEVO condividerlo,più lo leggo e più ne rimango affascinato,uno stralcio qui tutto il discorso http://leliobasso.it/documento.aspx?id=a27780392b8fb9514058e775e91c2ebb&pag=1&q=costituzione%2bitaliana
EliminaIntervento sul disegno di legge “Stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno per l’esercizio finanziario dal 1 lug. 1949 al 30 giu. 1950”(seduta del 17 ott. 1949)
“Ora, a me pare, e mi sia lecita questa osservazione di carattere preliminare prima che io entri nel pieno dell’argomento, a me pare che, a questo proposito, si comincino in questa Camera a invertire le parti; perocché a me non sembra veramente - se la fortuna delle parole non ha mutato il significato dei vocaboli più comuni - che si possa chiamare ostruzionismo il venire, come noi facciamo, a presentare alla Camera argomenti seri e sostanziosi, per sostenere una data tesi; il fare appello ai migliori sentimenti dell’Assemblea; l’analizzare giuridicamente e politicamente i disegni di legge in discussione. Quando, di fronte a questo genere di lavoro, io vedo i deputati della maggioranza chiacchierare o assentarsi dall’aula allora a me pare che il vero ostruzionismo sia fatto da quelli che, mentre seggono in un Parlamento (vocabolo che evidentemente deriva dal verbo parlare), non ascoltano, non discutono, ubbidiscono, a un partito preso e di nulla sono ansiosi fuorché di votare”. Onorevoli colleghi, sono parole di un nostro predecessore su questi banchi, di Filippo Turati, in occasione di un discorso che egli pronunciò in una discussione che aveva naturalmente per oggetto una modifica della legge di pubblica sicurezza, in un tempo in cui su quei banchi vi era un predecessore dell’onorevole Scelba, il ministro Pelloux: tanto è vero che mutano i tempi, ma non mutano i costumi delle classi dirigenti italiane, dei nostri governi e delle maggioranze.Non vi è dubbio però che anche una società divisa in classi può realizzare, entro certi limiti, delle forme di vita democratica nella misura in cui essa riesce ad ottenere il massimo consenso intorno ad alcuni principi fondamentali che reggono la comunità civile, nella misura in cui cioè essa riesce a soddisfare non soltanto le esigenze dei ceti dominanti, ma anche larghe esigenze dei ceti popolari; nella misura cioè in cui riesce a stabilire, nell’ambito della vita nazionale, quello che io chiamavo l’anno scorso, parlando su questo stesso bilancio, un comune linguaggio. Ed ecco perché è stato affermato che una democrazia parlamentare è possibile soltanto in quei paesi in cui vi sia il consenso sui principi fondamentali che reggono la vita del paese e i contrasti si limitino, viceversa, ad aspetti e problemi secondari della vita pubblica. È naturale, del resto, che sia così perché la regola che regge tutta la dialettica della democrazia parlamentare è il principio dell’alternarsi al potere, è il principio del passaggio della minoranza a maggioranza, e quindi a governo, e reciprocamente del passaggio della maggioranza a opposizione. E questo non sarebbe possibile se fra maggioranza e minoranza non vi fosse un fondamentale consenso sui principi basilari della società, se ogni passaggio dovesse stare a significare un sovvertimento profondo dei rapporti sociali.
Con dedica particolare ai secessionisti,che a mio parere non sanno neppure dove sono girati
A proposito di Zio Adolfo, è per certi (tristi) versi affascinante constatare quanto beffardamente la SStoria possa perseguire i suoi fini usando come mezzi totalmente inconsapevoli coloro che vorrebbero rappresentarne la più intellettualmente (per la precisione, ermeneuticamente) solida ed ‘esperienzialmente’ inappuntabile antitesi. Per quanto eccessivo e improprio possa essere in casi come questi parlare di ‘bandierismo a sua insaputa’, la rara cristallinità con cui certi sillogismi latenti (nella fattispecie tali soprattutto per comprensibili ragioni diplomatiche) sono enunciati, senza il minimo sospetto della possibili aporie capaci di inficiarli alla radice, ha veramente qualcosa di spettrale.
RispondiEliminaUn'analisi anti-fenomenologica e tutta ideologico-liberista, scissa dalla considerazione della struttura (dei rapporti di produzione instaurati nell'eurozona).
EliminaL'UE-M non può ANCORA permettersi di offrire un modello appetibile di superamento degli Stati nazionali a cui ricorrere nell'immediato: per il semplice fatto che il suo modello di Stato federale minimo hayekiano, cioè abrogatore dei diritti sociali e del lavoro, in questo momento DEVE ancora seguire la GRADUALITA' ORDOLIBERISTA.
E ciò semplicemente perché l'UE stessa non ha completato il lavoro in tempo, cioè prima che la deflazione salariale e l'alta disoccupazione strutturale fossero stabilizzate SENZA SUSCITARE UN DIFFUSO MALESSERE SOCIALE.
E' questione di timing: OGGI, l'UEM è alle prese con una difficile transizione (mediatico-propagandistica) per completare il suo disegno e stabilizzare nuove istituzioni che svuotino la sovranità: l'effetto di queste riforme sarebbe più austerità e più gold standard (bilancio federale con contribuzione maggiorata paritaria tra gli Stati rispetto al PIL, ESM come FM€ e condizionalità perenne su inasprimenti della riduzione degli Stati, unione bancaria "selettiva" e accentratrice della moneta privata sui sistemi, privati, dei paesi dominanti).
Alla difficile riuscita del disegno corrisponde un tale livello di privatizzazione finanziaria delle istituzioni (ex-solidaristiche e divenute "competitive"), che esigerebbe un tempo di digestione sociale alquanto lungo: almeno quello lungo il cui arco, nei vari paesi, scomparissero i baby-boomers (che rammentano gli ordinamenti previgenti del welfare) e in modo che funzionasse a regime la storiella cosmetica del "conflitto generazionale".
La Catalogna, regione spagnola dove si è realizzato di gran lunga il più alto livello di austerità fiscale pro-investitori esteri, è quindi (solo) in contro-tempo: ha anticipato eccessivamente la sua rivendicazione mettendo in difficoltà i suoi sponsor sovranazionalisti.
E ha sbagliato il timing, PER ORA, PERCHE' si è trovata, per sue difficoltà interne, a dover SCARICARE SULLA SPAGNA IL MALCONTENTO CREATO DAL SUO ZELO FISCALE, deviando il malcontento dalla sua vera causa, l'euro e il suo sistema di aggiustamento "gold-standard".
L'UE sta semplicemente segnalando questo ai catalani e ai vari "indipendentisti": quando sarà arrivato il momento del colpo finale alle sovranità statali democratiche lo stabiliamo noi, cioè l'oligarchia sovranazionale.
Non "voi" meri SEGUACI LOCALI ENTUSIASTI E ZELANTI del riordino oligarchico supply-side e privatizzato delle società.
Se dal "centro di irradiazione e deliberazione", cioè il comitato delle elites degli STATI DOMINANTI, non arriva il segnale- che coinciderà con la istituzionalizzazione delle macroregioni multinazionali (che per configurazione geografica è meno realizzabile in Catalogna), il segnale è questo: lasciateci lavorare e abbiate fede; E INTANTO RISOLVETEVI I PROBLEMI DI SCONTENTO SOCIALE REGIONALIZZATE DA VOI, perché l'operazione di scaricabarile verso lo Stato centrale mette in difficoltà quest'ultimo che DEVE FARE COMUNQUE IL LAVORO PIU' GROSSO E PIU' UTILE AL COMPL€SSIVO DISEGNO (basta rileggersi la Sassen sul ruolo delle classi politiche nazionali nel promuovere la globalizzazione).
L'UE, perciò tra due "progetti" in corso, sceglie razionalmente quello che dà i vantaggi maggiori e bacchetta i "primi della classe" che vogliono ottenere subito un risultato complessivamente meno €fficiente.
Credo che le "leggi razziali" possano essere messe in relazione con lo "ius soli", ovvero con la disintegrazione della sovranità e della libertà garantiti dallo Stato nazione.
RispondiEliminaL'immigrazionismo fomentato dal capitale finanziario tramite le ONG è razzismo purissimo contro gli europei.
Razzismo biologico classista ed imperialista di cui sono in primis vittime i ceti salariati dell'area del marco e del franco.
Sarò più esplicito: la Soluzione finale è riservata a tutti gli europei.
Il modello nazista si è mascherato dietro il politicamente corretto europeista e gli sbarchi sembrano propedeutici a organizzare i sonderkommandos.
Le fondamenta strutturali sono euro più CFA.
Mai come ora è stato importante rifiutare i sezionalismi localistici e trovare coscienza di classe tramite la coscienza nazionale, risvegliando il sentimento solidaristico ed internazionalista tramite una comune identità di classe.
"Mai come ora è stato importante rifiutare i sezionalismi localistici e trovare coscienza di classe tramite la coscienza nazionale, risvegliando il sentimento solidaristico ed internazionalista tramite una comune identità di classe."
Eliminami chiedo se sia possibile nel 2017 poter parlare di identità di classe a chi, rimbambito da quarant'anni di indottrinamento, blatera di residui fiscali e "piccole patrie" mentre €ssi ingrassano e ridono.
E' oggettivamente impossibile. Allo stato.
EliminaPrima che questi esagitati al servizio oggettivo delle elites mondialiste possano divenire marginali occorrerà una serie di eventi traumatici collettivi.
Una tragica pedagogia "rieducativa" aspetta la massa incapace di autodifendersi, psicologicamente prima ancora che culturalmente.
Nel frattempo, noi che ci rendiamo conto di questi aspetti, possiamo solo fare analisi scientifiche, con serietà e passione, e...attendere
Certo, non si puó semplicemente presumere di poter dare come cura a chi si è nutrito delle amanite falloides dell'europeismo prigionistico-darwinista una carrettata di altettanti funghi velenosi.
RispondiEliminaServono tempo e un accurato lavoro propedeutico per ottenere l'adeguato precondizionamento utile a far si che siano proprio i pazienti avvelenati a richiedere come cura proprio lo stesso alimento, magari reso esteticamente più "digeribile", che li ha stesi sui letti d'ospedale.
Chiedo sempre scusa per le sintesi semplicistiche che espongo, ma la metafora sembrava calzare.
Calza
EliminaPure malthusiano,pag 28 dello stesso discorso
RispondiEliminaQuale è la ragione di tutte le nostre difficoltà di ordine economico?La ragione va ricercata nella superpopolazione del territorio in cui viviamo!
Qui lo si trova in italiano http://olodogma.com/wordpress/wp-content/uploads/2014/09/Adolf-Hitler-discorso-al-Reichstag-del-30-Gennaio-1939.pdf
Parlando del diritto costituzionale tedesco (ma il discorso, lo vediamo bene, ha validità ben più ampia), del nazismo si è trovato molto più conveniente dare un’interpretazione morale e “antipopulista”, imbellettando con un po’ di giusnaturalismo vecchie formule liberali e associando il plebiscitarismo nazista alla sovranità popolare:
RispondiElimina“Formule vuote come l’inviolabilità della dignità umana, il diritto al libero sviluppo della persona umana ed il riconoscimento dei diritti dell’uomo, anzicihé attribuire ai diritti fondamentali di conio liberale della LF un nuovo significato, vengono piegate alla funzione tradizionale dei diritti fondamentali” mentre da parte dei redattori della Legge Fondamentale si è manifestata “sfiducia nei confronti della classe operaia e delle masse popolari, da essi ritenute componenti consapevoli e determinanti dei successi elettorali e in definitiva dell’ascesa e della permanenza al potere del nazismo. La sfiducia dichiarata in ogni forma di democrazia diretta e quindi un coerente impegno di molti giuristi contro l ’immissione nella Legge fondamentale di istituti che potessero in qualsiasi modo richiamarsi ad essa sanzionava questo giudizio.”, (C. Amirante, Diritti fondamentali e sistema costituzionale nella Repubblica Federale Tedesca, Lerici, Roma-Cosenza, 1980, pagg. 24 e 85).
Quest’ultima l’abbiamo risentita qualche mese fa, naturalmente dopo essercela sorbita all’epoca della Brexit.
In questo terrore per il momento soggettivo e popolare della politica (comprensibile, ovviamente. Come diceva ironicamente Gramsci (Q 13 (XXX), § 30) in quell’analisi delle polemiche contro la legge del numero “è certo miglior cosa diventare élite per decreto”. O per trattato) non è difficile rivedere vecchie impostazioni liberali ottocentesche, come abbiamo già detto tante volte.
Qui me ne interessa in particolare una: “In Inghilterra, in Germania, e un po’ dappertutto in Europa, ivi compreso lo stesso paese della Rivoluzione, s’inizia così a contrapporre le ragioni costruttive del ‘diritto’ - secondo le diverse formule della ancient constitution di Burke, o del Rechtsstaat dei giuristi tedeschi, o del juste milieu dei liberali francesi della Restaurazione e della Monarchia di Luglio - alle ragioni distruttive della ‘politica’, individuate sempre più nell’immagine rivoluzionaria, dispregiativamente connotata come ‘atomistica’, dei cittadini politicamente attivi come titolari in senso soggettivo del potere costituente, ad essi imputato nella loro qualità di popolo sovrano.”, che non poteva che sfociare “quasi inevitabilmente nel Terrore giacobino”. (M. Fioravanti, Stato e Costituzione, Giappichelli, Torino, 1993, pag. 222)
Mi pare che oggi il nazifascismo svolga la stessa funzione retorica di spauracchio antidemocratico ricoperta nell’Ottocento dal Terrore: è solo grazie a questa logica che si può arrivare a definire il sovranismo, o addirittura il popolo, come “fascista”. Certo, nel caso di una Costituzione di qualità democratica così intensa come quella italiana salvare l’apparenza del diritto diventa un po’ difficile, ma un po’ per volta, con l'aiuto dellEuropa...
Perfetto.
EliminaMa sei il fratello o cugino di Arturo, o hai studiato alla stessa scuola ;-)?
(Avrei una piccola riserva sul brano di Amirante: la verità dei dati economici asseveranti una molto presunta complicità delle masse popolari, id est, di lavoratori, all'ascesa elettorale di Hitler.
Si dà per scontata una versione elittica e incompleta degli eventi, giustificante in qualche modo l'intelighenzja tedesca post-nazista, oltreche nutrirsi una mal riposta "fede" nella significatività della "numerazione dei voti" quale precisata da Gramsci.
E quale oggi del tutto dimenticata, con effetti di dissonanza cognitiva praticamente devastanti).
“…Per competere efficacemente con altri imperi, vale a dire con i domini britannici e con il vasto impero interno americano, secondo List occorreva attuare “un sistema protettivo metropolitano-coloniale”. Era questo l’obiettivo finale cui puntava la sua “economia nazionale”; un mezzo grazie al quale la forza dell’impero tedesco potesse proiettarsi al di fuori della patria.
RispondiEliminaNel suo filone principale la teoria mercantilista assegnava assegnava al commercio con l’estero un’importanza cardinale per la forza di una nazione (e di un impero) … il mercantilismo chiedeva una bilancia commerciale positiva e di conseguenza una posizione patrimoniale netta sull’estero positiva.
Il fatto che per la sua tesi Schacht abbia scelto quell’argomento è in sé interessante: analizzando lo sfondo intellettuale del mercantilismo inglese egli cominciò occupandosi di economia imperiale…Nella visione giglielmina del primissiomo novecento l’obiettico prioritario era procurarsi una sfera di influenza esclusivamente tedesca in cui avere accesso a quelle risorse a quelle risorse naturali che continuavano a spingere la bilancia commerciale dell’impero verso il passivo…era tempo di aspirare al colonialismo. Non si trattava di discutere se l’imperialismo fosse una mira opportuna, ma a quale tipo di imperialismo la Germania dovesse puntare…
La tesi di Schacht sintetizzava i principali assunti di una tradizione mercantilista che nel corso del tempo aveva saputo evolvere e adattarsi. Innanzi tutto c’era la consapevolezza che la tipologia dei beni commerciati è importante “i profitti generati dai beni d’esportazione è maggiore qualora si tratti di beni lavorati, anziché di meterie prime”…Ma ancora più importante era il ruolo dell’influenza politica nell’affermazione della supremazia economica “Risulta estremamente proficuo” scriveva Schacht “commerciare con paesi sui quali si esercita un’influeza politica o dei quali, in quanto colonie, si ha il completo controllo”.
Infine, Schacht evidenziava nella teoria mercantilista l’importanza di un intrinsecamente virtuoso circolo di potenziamento: “L’influenza politica viene peraltro rafforzata da una accresciuta influenza economica”. Questa miscela di scelte economiche e politiche ispirerà le strategie di Schacht sia sul fronte interno sia su quello estero…“…” [P. BARBIERI, L’impero Ombra di Hitler, Mondadori, 2015, 101-106]. Come ci dice l’Autore, dall’impero ombra, Hitler sarebbe poi passato con le vie di fatto all’impero formale.
Schacht queste cosette le ribadirà in un suo libro pubblicato nel 1967:
“Foreign assets and overseas loans play a not inconsiderable part in politics. He who lends money gains an influence over the economy of the borrower, and the economy forms a substantial part of politics in general…Today the close connection between money and foreign policies becomes especially clear in the so-called development aid for the underdeveloped countries. However great their need for help, such countries do their best to eliminate the lender's political influence on their development. They regard every kind of economic tutelage as politically suspect and undesirable…”. (segue)
E il prestito di capitali (sottinteso, sempre derivanti da surplus commerciale) si trasforma addirittura in obiettivo filantropico, come è avvenuto, per esempio, nella Grecia de l€uropa:
RispondiElimina“… It is urged upon us that every undeveloped country must be put on an industrial basis as rapidly as possible. Yet such industrialisation not only presents a monumental task of education and training, it also requires a vast amount of capital. How vast can be appreciated by considering that some two-thirds of all mankind live in the underdeveloped countries. This huge demand for capital must, if the wishes of the philanthropic are to be met, be supplied by that remaining third of the world which has lost and squandered a large part of its savings in the course of two cataclysmic world wars…”.
Quindi, banca centrale indipendente, controllo dell’inflazione e … mercato. Per la pace e la cultura dei popoli: “… Yet unfortunately an excessive emphasis on the idea of autarchy results in weakening the friendly ties between the nations, and increases isolation and estrangement. Exaggerated autarchy is the greatest obstacle to a world-wide culture. It is only culture which can bring people closer to one another, and world trade is the most powerful carrier of culture. For this reason I was unable to support those who advocated·the autarchistic seclusion of a hermitage as a solution to Germany's problems…”
Nonché investimenti esteri del surplus commerciale per evitare l’inflazione interna: “…Export is essential for a Germany short of raw materials and foodstuffs. But the conversion of the export surplus into German currency which unleashes inflation, as well as overheating an already booming economy, should not be allowed. Instead such surpluses ought to be used to rebuild Germany's foreign investments in order to secure the supply of raw materials, and ensure future orders for German goods. In addition to the surplus of foreign exchange, I singled out excessive government expenditure as a second cause of inflation…” [H. SCHACHT, The magic of money, London, 1967, 56, 84-85, 145].
I Trattati e l€uro hanno realizzato questo meraviglioso sogno coloniale della Germania
Se Sergio Govoni (lui sa...) ci aiuta, siamo pronti a fare un libro organizzando la mole di fonti e analisti storico-economiche a supporto di quella istituzionale (€uropea).
EliminaBasta comporre i vari pezzi della ricostruzione in un discorso unitario "minimo"...
Ma poi lo leggeranno? :-)
RispondiEliminaCeliavo. Se avesse ancora senso scrivere altri libri, lo avrei già fatto. O forse un senso lo trovi solo scrivendoli...
EliminaMa di certo non nel fatto che ci siano dei lettori (numerosi). E' un fatto di promozione e distribuzione.
Magari dopo le elezioni, visto che le future grandi intesone tenderanno inevitabilmente a riprodurre l'effettone 2011-2012 (Dragi si è già avvantaggiato col nuovo regime degli accantonamenti sulle sofferenze bancarie).
E sarà subito "la nott€ della R€pubblica" (anche più n€ra a sto giro)...
Certo che lo leggiamo, il libro, e chissà quanti altri se ne potrebbero estrarre da questo blog. Io sinceramente non capisco come fate a produrre tutto questo materiale in cosi pochi (ma evidentemente molto buoni) e non so come ringraziarvi per i riferimenti così precisi e illuminanti. Non ci sono parole per ringraziare. L'effetto su noi "normali" lettori è anche psicologico e di trasformazione.
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