giovedì 10 ottobre 2013

PER QUALCHE PUNTO FRANCOIS PERSE "LE PEN"

Ricordate questo post ("Tremonti al netto di Monti: l'inutilità contabile del "più €uropa" e la curva di Phillips implicita)"?
Vi avevamo tra l'altro detto:
Questo documento della Camera dei deputati, dell'agosto del 2011, del Servizio bilancio dello Stato, (di cui per "divertimento" consigliamo l'integrale lettura) mostra come vengano fatti i calcoli delle "tendenze", in modo puramente contabile, e come si ignori il moltiplicatore. E si vede pure, allo stesso tempo, come non siano enunziate le teorie neo-classiche che giustificano i calcoli stessi, che implicano la mira nascosta (a monte e nelle menti degli economisti che variamente programmano e avallano queste impostazioni di politica economica) di agire sulla base della curva di Philips, cioè di privilegiare (senza riuscirvi) la stabilità finanziaria e di deflazionare il lavoro provocando disoccupazione (riuscendovi). Avendo l'unico obiettivo della "competitività"...del costo del lavoro, al fine di mantenere il giogo dell'euro senza metterlo mai in discussione circa la sua sostenibilità.
Ovviamente, questa impostazione non pare cosciente in alcun dibattito tutt'ora seguito in materia, come conferma l'opinamento della Corte dei Conti: per realizzarla basta un'unica incontestabile proposizione: "adeguarsi al diktat €uropeo". E infatti quella fu proprio la manovra che conseguì alla famosa lettera BCE. La linea su cui Draghi insisterà e insiste irremovibile fin da allora.
La situazione, paradossalmente, è che se ci si fosse attenuti alla mera manovra di Tremonti, il risultato sui conti pubblici sarebbe stato grosso modo il medesimo: certo secondo "quelle" stime, ma indubbiamente, in retrospettiva, tale da rendere grosso modo pari a zero il vantaggio fiscale delle manovre successive. Insomma se il governo Monti non fosse esistito avremmo avuto una minore recessione e conti pubblici più o meno con gli stessi indicatori
.

Ora il prof. Ugo D'arrigo, colpo di scena! (dopo aver considerato assurdamente alto il livello della spesa pubblica italiana), va addirittura oltre. In questa analisi condotta sulla spesa pubblica e sulle entrate, evidenzia gli andamenti conseguenti alla "grande stagione" iniziata dallo stesso Tremonti, sotto l'assedio dello spread (con successiva espugnazione riuscitissima). E li compara con gli i medesimi andamenti (di entrate e spese) quali si presentavano autonomamente prima della stessa "grande stagione" di "pensate" austero-espansive.
Conclusioni: "poichè la spesa pubblica era stata fermata (da Tremonti, bisogna riconoscerglielo), per ridurre il disavanzo non bisognava fare proprio nulla. Bastava sedersi sulla riva del fiume e aspettare che passasse un pò di crescita portando con sè un pò di gettito ad aliquote assolutamente invarianti".
Conclusione esatta sulla riduzione dell'indebitamento, ma un pò ottimista circa l'arrivo di "un pò di crescita"; pare sottovalutare gli effetti sugli anni successivi (2012-2013: v. doc. Camera cit. sopra)) dei tagli alla spesa derivanti dalle 2 manovre di Tremonti (che in gran parte, con la sola aggiunta della riforma pensionistica, furono solo "rieditati" e "rivenduti" dal governo Monti. I mitici tagli lineari).
Ma, arrivare a chiedere di riconoscere l'esistenza del moltiplicatore sarebbe troppo (d'altra parte, lo studio esamina l'andamento in termini assoluti e non rapportati al PIL). Accontentiamoci dell'inoltro sulla via di Damasco (per la folgorazione chissà...).

Tanto più che, mentre qui si sfalda persino il "fronte" (nazionale? o "sovranazionale"?) della riduzione del "perimetro dello Stato" e del "rimettere i conti in ordine per tornare a crescere (!?)", intanto, in Francia, zitti zitti, chiotti chiotti...
Certe cose possono ben succedere se si "gioca" con la curva di Phillips, perseguendo la disoccupazione, in un disegno occultato che rimpolpa le tasche del capitalismo finanziario, con garanzie e sussidi pubblici. Arriva un momento in cui quelli rimasti "scottati" divengono talmente tanti che non gliela dai più da bere, la "stabilità finanziaria" e "l'austerità espansiva".
Ovviamente, se, poi, li si lascia votare...

32 commenti:

  1. Anche in francia i "colonnelli" s'incazzano. Qui i dettagli. Non vorrei che alla fine in UE lo scontro finale sarà fra il metodo Egitto e il metodo Cipro :(

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    1. Ed infatti; il problema è del tutto simile a quello italiano. Con i tagli a "le budget" tutto è in stato comatoso e non si fa la grandeur, minacciando a destra e a manca per il Mediterraneo. Negli USA, dove il problema shutdown trova un motivo di superamento proprio su questo piano, non saranno molto contenti dell'andazzo UE. Ma, anche loro si devono decidere: o Stati uniti d'europa in itinere o alleati coinvolgibili nella strategia di "lead from behind" in medioriente. Non possono, WS e i tea-party avere botte piena e moglie ubriaca :-)
      Sicchè nè il metodo Egitto nè quello Cipro, se iniziano a pensarci bene (anche in chiave commerciale di mercati di sbocco), risulteranno praticabili. Ma devono iniziare a pensarci bene...

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  2. Mentre tutti i giornaloni si stupiscono e si stracciano le vesti per il successo della destra in Francia, il salmonato di regime si accorge delle lievi imprecisioni che caratterizzano il modello tedesco. Sono forse cominciate le manovre di smarcamento per poter dire, ma solo dopo l'inevitabile: noi l'avevamo detto?

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    1. Ma sai lo smarcamento presuppone un riassetto delle truppe cammellate del consenso eurista non meno traumatico, in termini di immediato consenso elettorale. Si trovano al cerchiobottismo in salsa neo-liberista e costretti dagli eventi, non sanno che pesci prendere...Paura e delirio continuati

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  3. La speranza di un vedere qualche forma di reazione dell'opinione pubblica si scontra però con l'opera instancabile della macchina mediatica italiana: dalle 7 di mattina fino a tarda notte si susseguono sulle principali reti televisive sempre gli stessi messaggi: tagli alla spesa pubblica, riduzione delle garanzie del lavoro, privatizzazione/svendita dei beni dello stato, ecc. I quotidiani fanno la loro parte, con pensosi editorialisti che da vent'anni ricicliano lo stesso articolo contro la casta dei politici, la burocrazia, i costi dello Stato, e invocano (ancora) liberalizzazioni e privatizzazioni. Credo che questo sia l'unico Paese in cui i fatti oggettivi (come l'aumento del debito pubblico seguito a un anno di Governo Monti) vengono deliberatamente ignorati, per lasciare spazio alla forsennata propaganda neoliberista ed eurista.

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    1. Bravo Gianni, al di là dei tentennamenti sui fatti che non si riescono puiù a nascondere, si evidenzia un regime ritualizzato sui soliti mantra (facciamo pure da 30 anni: basta andare a casaccio sulle pagine anni '80 di Repubblica e Corsera). Sono alla frutta; ma intanto la mangiano solo loro...

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    2. Gianni, infatti il "negare la realtà" è la necessaria fatica del pensiero liberista, quelli che si sono precedentemente "guardati intorno" sono di solito arrivati alla conclusione di questo piccolo paragrafo di un testo di Hyman di Scienza delle Finanze:

      "Surprisingly, the home of Adam Smith, champion of free market economy, was among the nations with the largest government sectors in the world at the beginning of the 19th century. In 1801, Great Britain devoted 22 percent of its GDP to governemnt expenditures".

      Cioé, alla faccia del "wealth of nations", la ricchezza in Gran Bretagna è arrivata per tuttaltri motivi che per l'"invisible hand": la spesa governativa rispetto al PIL nella Gran Bretagna dell'800 ci pone di fronte ad un'economia di tipo misto e assolutamente non liberista.

      Se condisci con la legge gravitazionale del commercio internazionale, poco ci vuole poi a capire che in tempi in cui il trasporto era estremamente lento, il solo fatto di essere a un tiro di scoppio dalle principali potenze economiche dell'era moderna, Francia e Germania, è stata l'altra causa trainante nel determinare un così diverso sviluppo economico della regione britannica e del contesto europeo. Te l'immagini la Germania buttata giù nell'Egeo e sparsa su migliaia di piccole isole? Non ci ritroveremmo forse i liberisti nostrani a venerare Zeus anziché Odino?

      Solo negando la realtà si può dunque affermare che anche la sola diversa localizzazione geografica o l'orografia di un territorio (trasporta un po' le merci su per le Alpi...), non attribuiscano vantaggi o svantaggi indipendentemente dall'abilità di chi partecipa alla corsa all'oro e che dunque non vi sia alcun ruolo per lo stato "baro", in quanto già vince chi meritocramente è più competitivo. Peccato che la corsa sia falsata in partenza e che lo stato ci debba mettere le pezze...

      Come può allora Marx "guardandosi intorno" (il materialismo storico), non richiamare tale ruolo nella politica economica di un paese ed in questo precursore di quel Keynes (che era tuttaltro che marxista e forse per questo abbiamo la sinistra "liberist"), che nel solo farsi un giro per strada si trova circondato da masse di disoccupati che mendicano la propria sopravvivenza, non iniziare anche lui a porsi le stesse domande e a ribadire la centralità del ruolo dello stato nell'economia?

      E poi, per analogia, ipotizzando un'economia mondiale come un sistema chiuso, un rimborso "svalutato" di debito estero e un trasferimento fiscale sono di fatto la stessa cosa: trasferimenti di ricchezza dalle aree ricche a quelle più povere, quasi una legge dei vasi comunicanti. Tutto va da dove ce n'è di più a dove ce n'è di meno per giungere ad un equilibrio stabile e opporsi costa fatica, la "necessaria fatica dei negazionisti liberisti"... :-D

      Bisogna ammettere però che sono proprio formichine!

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  4. Ammettiamo -come credo si insiste anche in ambienti tipo Keynesblog, da quel che capisco- che sia possibile "un'altra Europa ed un altro Euro".
    Dopo quasi due anni di personale "ricerca della conoscenza", credo di non sbagliare (almeno non del tutto), nel considerare possibile la cosa a patto che:

    a) Si riformi la costituzione dell'Unione in senso più chiaro e leggibile, e si riformino le stesse istituzioni dell'Unione in senso maggiormente rappresentativo, trasferendo i potere legislativo in capo al Parlamento europeo e imponendo alla Commissione di presentarsi innanzi alla predetta Assemblea con il proprio programma politico.

    b) Riforma del board della BCE per garantire una partecipazione partitetica, e -almeno- sottoposizione dell'operato della stessa al controllo parlamentare (magari di una commissione "ad hoc" per le politiche monetarie e gli indirizzi macroeconomici dell'Unione);

    c) sindacati europei e diritto del lavoro generalizzato, con contratti collettivi europei non derogabili dai singoli paesi (potrebbe azzerare il discorso della competitività intra-europea, eliminando le c.d. "gabbie salariali");

    d) se proprio il cambio deve essere fisso, controllo dei movimenti di capitale (da parte della stessa BCE, tenuta, magari, a riferire periodicamente al Parlamento europeo il quale ultimo può, a seguito di ciò, votare criteri di indirizzo), e introduzione di "clausole della valuta scarsa" che consentano il riequilibrio delle bilance dei pagamenti dei paesi in crisi.

    Si potrebbe (forse) proseguire con le proposte, ma penso ci si possa fermare qui e fare una prima (e forse unica), constatazione. E cioè che, a dispetto del mantra del "più europa", di quanto detto sopra, non si parla minimamente. Ma se non si parla di questo, di che europa politica stiamo parlando? A mio personale avviso, del nulla: si ripete un mantra che copre, in sostanza ed ipocritamente, una sorta di anarchismo finanziario che stritola l'economia reale.....

    Si potrebbe allora obiettare: "va bene, non se ne parla, ma si potrebbe provare ad inserire queste argomentazioni nel dibattito politico. Insomma: provare a parlarne".
    Ma io mi domando: sicuro che, nell'Europa figlia del funzionalismo economico, che ha dato luogo a squilibri e tensioni sociali devastanti e che Jean Claude Junker vede pericolosamente vicina a quella del 1913, discorsi come quelli sopra possano essere accettati? Sicuro che se ne possa parlare con la dovuta serenità ed onestà intellettuale, in un contesto dove l'Italia è "nave sanza nocchiero in gran tempesta", in Grecia sta -sostanziamente- tornando la dittatura e la Germania è rimasta ancorata alle stesse categorie egemoniche del primo '900?
    Per non scadere nell'ipocrisia e nella malafede, la risposta a queste domande non può, a mio personale avviso, che essere una sola: no.
    Per normalizzare la situazione europea, non si può che prendere atto del fallimento del funzionalismo economico. Smettere, allo stesso tempo, di conciliare l'inconciliabile e fare innanzitutto il necessario passo indietro prima che la situazione degeneri.
    Poi, si potrà parlare di tutta la politica europea che si vuole (sempre tenendo conto delle lezioni della Storia).
    Ma "questa" europa, non ha, a mio avviso, futuro.

    Nel freattempo, mentre Draghi immagine timide "ripresine", in America c'è chi la pensa diversamente..........

    http://www.corriere.it/economia/13_ottobre_09/yellen-prima-donna-guida-fed-possiamo-dobbiamo-aiutare-tutti-e5ce647a-311a-11e3-b3e3-02ebe4aec272.shtml?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook

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    1. Ma hai notato che chi si ostina a predicare la conciliabilità dell'inconciliabile non si premura di indicare praticamente mai:
      a) la vastità giuridico-istituzionale delle modifiche da apportare a un ordinamento dei Trattati che è solidamente incompatibile, nel suo insieme sistematico (e consolidato in una prassi che non si può ignorare), a quelle proposte di "nuovo" modello economico UE?

      b) la connessa ricognizione delle indispensabili precondizioni politiche (internazionali) che potrebbero, almeno in astratto, rendere realistica la prospettiva di una così vasta rinegoziazione con esiti almeno vicini a quelli auspicati?

      Che aggiungere? Quando sentiremo discorsi che almeno considerino queste "piccole" variabili in campo, potremo dire di avere trovato una linea unitaria politicamente rilevante.
      Altrimenti, rimanessero pure a polemizzare sul nulla, delle proposte wannabe...But not in my name

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    2. Che poi, volendo proseguire, anche il metodo (di fatto) prescelto per arrivare al "più europa" stride fortemente con l'immagine della solidarietà europea (come più volte ribadito in questo blog).

      Se volevamo uniformare il diritto del lavoro e determinati indirizzi economici, gli strumenti "europei" c'erano eccome. Non si potevano avviare riunioni di ministri, di Capi di Stato e di Governo, Consigli europei sulla materia, risoluzioni del parlamento europeo, per poi, magari, arrivare alla definizione condivisa di una o più direttive?

      No. In quel caso il "metodo europeo" non andava bene. C'è stato un Paese che, senza alcuna forma di coordinamento e non rispettando i parametri sul deficit ha fatto "dumping" intra-europeo, causando la crisi, e poi le "lettere minatorie" della BCE per imporre l'adeguamento a quella politica (a proposito, ma che valore "formale", a livello eruopeo, hanno simili documenti? Non credo di sbagliare nel dire "nessuno" e che la "forza" loro sottesa sia dovuta esclusivamente al ricatto di un uso "punitivo" da parte della BCE dei "poteri sovrani" ad essa trasferiti senza alcuna forma di controllo esterno......).

      Ma allora: se il nuovo "metodo europeo" consiste nella definizione di una politica economica da parte del "paese leader" (La Germania), e in un adeguamento forzoso imposto agli altri (via BCE), ebbene, ragionando "alla Rizzo & Stella", mi si dica a che serve mantenere a Bruxelles tutta quella pletora di organismi (dal Parlamento alla Commissione), e le loro connesse ed inutili burocrazie!
      La sola Commissione europea, conta la bellezza di 34.000 dipendenti. 34.000 (più che lauti) stipendi, a carico di tutti, per supportare un semplice "organo-immagine" della politica tedesca. Se proprio vogliamo parlare di "spesapubblicaimproduttiva" e di "dipendentipagatitroppo", io comincerei proprio da qui. E dal pubblicare anche (e soprattutto) i "loro" di stipendi.

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    3. Lorenzo, che poi il colà osannato Brancaccio è il primo ad ammettere che in Europa non si cava un ragno dal buco. E' ancora più esplicito nella prefazione al Capitale finanziario di Hilferding (che è una lettura molto interessante): "La «mezzogiornificazione» delle aree periferiche del continente, evocata da tempo e da più parti, non costituisce a questo punto una minaccia, ma un fatto. E che per molti anni si sia comunque riusciti a produrre una sintesi politica tra capitali forti e deboli, soprattutto grazie alla riduzione del lavoro a variabile residuale, a mero canale di scolo delle contraddizioni intercapitalistiche, non deve ingannare: per effetto della crisi i contrasti hanno raggiunto proporzioni tali che l’impossibilità di una sintesi politica e la conseguente deflagrazione dell’Unione europea sono divenute eventualità tangibili. Sarà la storia futura a dire se l’attuale forma dell’Unione monetaria europea alla fine imploderà o sopravvivrà al prezzo di una desertificazione economica e sociale delle sue periferie; quel che è certo è che in entrambi i casi le conseguenze dovranno per forza rientrare nel novero delle responsabilità storiche dei socialisti e dei comunisti." Più chiaro di così...Quindi continuiamo serenamente con le analisi e chi vuole alimentare divisioni o diversioni per poter piantare la propria bandierina se ne assumerà la responsabilità.

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  5. "Ovviamente, se, poi, li si lascia votare..."

    Martedì sera ho visto il documentario "Capitalism: a love story" di Michael Moore; intorno al 52° minuto si accenna a Citibank e ai 3 rapporti riservati Citigroup per gli investitori più facoltosi in cui si faceva il punto della situazione (2005/6): lo scenario descritto era paradisiaco, con gli Stati Uniti che, da democrazia, erano diventati una
    Plutonomia, una società controllata da e per l'1% della popolazione, con i ricchi assurti a rango di Nuova Aristocrazia e possibilità illimitate di incrementare il bottino.
    Il rapporto tuttavia lamentava che i "non ricchi potessero avere non molto potere economico ma lo stesso potere di voto dei ricchi - equal voting power with the rich", un voto a persona.

    Seguiva poi un'intervista rivelatrice a Stephen Moore giornalista e membro del
    consiglio editoriale del WSJ che, papale papale, dichiarava: "Il capitalismo è molto
    più importante della democrazia", affermando poco dopo che lui, tutto sommato, è favorevole al diritto di voto ma " lo sa quanti paesi hanno il diritto di voto e sono
    ancora poveri?"
    Dopo gli stupri alla Costituzione prepariamoci a un futuro in cui la democrazia partecipativa rischierà di soggiacere al mercato poiché - Essi diranno - visti i continui
    aumenti nelle percentuali di astensionismo il "votare" comporta costi che "i mercati"
    non capirebbero. Ricordiamo bene lo "stato di eccezione" e l'invocazione alla "stabilità" quando si vuole procrastinare le elezioni.
    Fantascienza?
    Forse, ma ricordiamoci ciò che pochi anni fa lo sembrava oggi è divenuto realtà.

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    1. Il principio è semplice: si vota se il controllo mediatico-culturale dell'oligarchia assicuri la vittoria dei suoi mandatari.
      Altrimenti, si genera, attraveso lo stesso controllo mediatico-culturale, uno stato di emergenza per cui non si debba votare.
      Purtroppo dispero che sia in Italia che una tale sistema di controllo sociale trovi la sua fine (ingloriosa, come deve essere)

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    2. L'incredibile mondo delle contraddizioni piddine.......

      a) se si coagula un consenso intorno a visioni che propongono politiche alternative a quelle definite dai principi dell'economia neoclassica e dell'Europa così come configurata dai Maasrticht e da Lisbona, questo consenso non va legittimato, bensì represso in quanto -per definizione- "populista".

      b) E' legittimo, nei singoli Stati, imporre, anche con tempi contingentati (vedi ddl Letta), riforme della forma di Stato e di Governo per renderla più aderente ai principi sopra elencati. A livello europeo, quegli stessi principi NON sono reversibili nè oggetto di discussione, a nessun livello. Chi si permette di pensare anche solo un'Europa che non sia l'€uropa, non è europeista (ma, per l'appunto, "populista", "nazionalista", etc....);

      c) nonostante quanto detto nel punto b), per evitare di essere "populisti" o "euroscettici", si deve seguire il pacato e politcamente corretto approccio del "cambiare le cose dal di dentro". Configurando da un lato una "delega in bianco" al sistema e dall'altro non tenendo conto che lo stesso sistema pretende di non essere messo MAI in discussione;

      d) come già detto da Quarantotto, il voto, che dovrebbe essere la normale e più legittima soluzione delle crisi politiche, va evitato....... nelle crisi politiche e proprio per "salvare la democrazia"!!!!!

      Riassumendo. Un piddino, di quelli colti, che "sanno di sapere", vuole difendere la democrazia:

      i) individuando una forma di Stato e di Governo irreversibile a tutela di un ordine politico, sociale ed economico a sua volta irreversibile;

      ii) delegittimando aprioristicamente come "populista" tutto ciò che raccoglie consenso popolare;

      iii) delegittimando lo strumento del voto per la risoluzione delle crisi politiche.

      Mi sono perso qualcosa? Se no, allora pongo un'altra domanda: CHE GENERE DI DEMOCRAZIA DIFENDE, IL "PIDDINO"????

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    3. Anch'io non so' che democrazia difende il piddino / puddino, ma come tassatori gli preferisco lo sceriffo di Nottingham, almeno svolgeva la propria attivita' per conto di un proprio connazionale.

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  6. P.S.
    Per il piddino che avesse voglia di obiettare, il dato è rinvenibile sul sito dell'organo in questione, qui (http://ec.europa.eu/civil_service/index_it.htm). In alto a sinistra si legge, testualmente, "Con i suoi 34 000 dipendenti provenienti da ogni parte dell’UE [...]"

    Dato che la "trasparenza" è importante, soprattutto a livello europeo, sempre sullo stesso sito, in un'altra pagina, si legge la cifra più "contenuta" di 23.000 (qui: http://ec.europa.eu/about/index_it.htm).

    Stiamo in ogni caso parlando, anche nel caso più "economo" della popolazione di una cittadina.......

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  7. Ciao Quarantotto ma secondo te ammesso che ci sia la volontà politica di riformare i trattati da parte di tutti, Germania compresa ( ma qui siamo nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie) quanti anni sarebbero necessari per fare questa opera ciclopica? E ammesso che s'iniziasse questo percorso, chi ci garantirebbe che i paesi del nord parteciperebbero solo allo scopo di dilazionare il tempo, con il solo scopo di recuperare i crediti in moneta buona? Come diceva il buon Keynes, sul lungo periodo siamo tutti morti.

    PS: Su Libera Età giornale mensile dello Spi CGIL c'era un intervista a Rampini, il quale magnificava il welfare tedesco. Si continua imperterriti su questa favola, negando volutamente la realtà, come si faceva ai bei tempi del sole dell'avvenire.

    ti riporto parte di una risposta di Rampini:
    Quello tedesco ( welfare) rappresenta il modello sociale europeo nella sua forma migliore, che si concretizza in: Alti salari, sindacati forti, tutela ambientale, garanzie per il lavoro, servizi sociali e scuola pubblica di qualità, maggiore uguaglianza.
    sociale. Questo è quello che leggono i pensionati della CGIL e non vogliono sentire altra versione.

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    1. Questo ci riporta a quanto risposto sopra a Riccardo sulle 2 opzioni (0 democrazia) a disposizione dell'oligarchia...

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  8. lei dice che gli americani devono cominciare a pensari e bene anche , poi trovo su voci dall'estero un articolo interessantissimo sui negoziati , rigorosamente a "porte chiuse ", per il trattato transatlantico che, mi pare di capire sembra la riproposizione su scala gigante dei trattati europei , un'enorme area di libero mercato e libero scambio che necessita di un forte abbattimento dei diritti sociali e sindacali verso la quale la UE sembra ben disposta .A questo punto non riesco più a capire quale sia la politica a mericana emi viene da pensare che non ve ne sia alcuna anche loro prigioniere delle propie elite economico -f finanziarie

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    1. Io da tempo sostengo che Obama e i keynesiani d'oltreoceano non siano i salvatori che la Sinistra Antieuro si illude essi siano.

      Vedasi non solo la TAFTA che Lei cita, ma anche la deriva autoritaria Obamiana (DHS, NDAA, NSA, drone strikes, militarizzazione polizia, kill lists, politica estera neo-con).

      E che in sostanza si attacchi gli USA con armi diverse dal liberismo.

      Ma vengo censurato e tacciato di complottismo.

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    2. Quale sarebbe la sinistra antieuro?
      E da dove si ritrae la stravagante idea che Obama sia keyensiano e non, piuttosto, in legami coattivi, magari obtorto collo, verso gruppi di potere finanziario di preponderante forza?
      E quella che i keynesiani siano in qualche modo al potere negli USA, cioè in grado di imporre le loro politiche (post o neo)?
      Stiglitz e Krugman non sono operativamente ignorati solo in Italia

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    3. Quindi non si puo' sperare neanche nella Yellen?

      http://hereandnow.wbur.org/2013/10/10/joseph-stiglitz-yellen

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    4. Certo che si può.
      La situazione è quella di un conflitto colossale, come dimostra la questione dello shutdown. Quale se sarà l'esito non è dato sapere. Lo shutdown può risolversi in un disastro per l'uno o l'altro dei contendenti. Allo stesso modo, la Yellen può portare a grandi cambiamenti o navigare a vista in una situazione che le sottrae spazi di manovra (cioè se la politica monetaria, non convenzionale o convenzionale che sia, rimane nel suo alveo e non bypassa la marcatura finanziaria svolgendo una funzione, realmente atipica, di supplenza)

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    5. In merito allo shutdown le ripercussioni non sono di poco conto. Sommiamo poi il fatto che si è già passati attraverso il sequester di inizio anno... Diciamo che i Repubblicani hanno "vinto" per ben due volte, ma i loro successi si sono tramutati in dolorosi tagli per l'americano medio comune. In teoria l'accordo si dovrebbe raggiungere, anche per evitare un default che, come dice Einchergreen, sarebbe disastroso... Leggendo però quanto dice non so se aver paura di quanto egli afferma, oppure aver un senso di "speranza"... non lo so...

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    6. Sì viene da pensarlo. Nella comune coscienza "politica" degli americani, anche non ricchi, c'è la diffusa diffidenza verso lo Stato (US government), visto comunque come "interferenza", magarai piegato agli interessi del business, magari solo perchè le tasse sono riscosse a tamburo battente e si avverte l'autoritarismo di ciò.
      Sta di fatto, che culturalmente, e quindi in termini di partecipazione civile, rendersi conto della tangibile necessità di un governo pubblico delle proprie vite e della sua utilità (nonchè addirittura, semmai, del suo sottodimensionamento, fosse anche solo law and order), potrebbe fargli riscoprire una visione dell'interesse generale e solidale (che altrimenti, decenni di propaganda, hanno confinato al patriottismo militare e all'associazionismo delle class action)

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    7. Perchè negli USA, purtroppo e come accade in gran parte del mondo cosiddetto Occidentale, Wall Street ha preso il sopravvento su Main Street. WS quanti ministri del Tesoro ha dato? Quanti invece sono i giornali o i mezzi di informazione in mano o i cui azionisti sono grossi istituti finanziari? Questi veicolano la diffidenza di cui giustamente parli che, come qui in Italia, sposa il pensiero dello Stato Ladro ecc. Rimane il fatto che, mia personale convinzione, una cosa non è buona o cattiva a priori. Dipende dall'uso che se ne fa o dalla visione che se ne vuole dare. Lasciando da parte l'Italia (che ben conosciamo). guardiamo ancora gli USA. Negli ultimi decenni è stato tutto un rincorrere una crescita che doveva essere guidata dal taglio delle tasse e dal ritiro del perimetro produttivo dello Stato che, altrimenti, spiazza. Michael Hudson in questo studio del Levycurrency swap realizzato fra BCE e PBOC, vista l'imminente deflazione italiana che andrà praticamente a regime con le prossime misure e col fiscal compact (c'è già in Grecia ad es.), siamo di fronte al redde rationem?

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    8. La parte mancate (quella fra le parole "Levy" e "currency swap") riportava: afferma “…shifting taxes off property and finance promotes a “free market.” What it actually does is favor the debt-leveraged buying and selling of real estate, stocks and bonds, distorting markets in ways that de-industrialize the economy.
      This is the tragedy of our financial system today. Credit creation, saving and investment are not being mobilized to increase new direct investment or raise living standards, but to bid up prices for real estate and other assets already in place, and for financial securities (stocks and bonds) already issued. The effect is to load down the economy with debt without putting in place the means to pay it off, except by further and even more rapid asset-price inflation – and sale or forfeiture of property from debtors to creditors.
      This kind of economic distortion is largely the result of relinquishing planning and the structuring of markets to large banks and other financial institutions. In the name of “free markets” the economics profession has celebrated the shift of planning and tax policy to the financial sector, whose lobbyists have rewritten the tax code and sponsored deregulation of the checks and balances put in place in the Progressive Era a century ago. At that time it seemed that banking and finance would be industrialized, while landed wealth and monopolies would become more socialized and their “free lunch” (economic rent) fully taxed. Rather than real estate prices rising as we are seeing today, this “free lunch” (what John Stuart Mill called the “unearned increment”) would provide the basic source of public finance, including the financing of public infrastructure.”

      Collegando quindi questo a ciò che afferma Chang "QE has become the weapon of choice by these governments because it is the only way in which recovery – however slow and anaemic – could be generated without changing the economic model that has served the rich and powerful so well in the past three decades."

      ed alle conseguenza che un default potrebbe avere secondo Einchengreen "The impact on the rest of the world would be even more calamitous. Foreign investors, too, would suffer severe losses on their holdings of US treasuries. In addition, disaffected holders of dollars would rush into other currencies, like the euro, which would appreciate sharply as a result. A significantly stronger euro is, of course, the last thing a moribund Europe needs. Consider the adverse impact on Spain, an ailing economy that is struggling to increase its exports.
      Likewise, small economies’ currencies – for example, the Canadian dollar and the Norwegian krone – would shoot through the roof. Even emerging-market countries like South Korea and Mexico would experience similar effects, jeopardizing their export sectors. They would have no choice but to apply strict capital controls to limit foreign purchases of their securities. It is not inconceivable that advanced countries would do the same, which would mean the end of financial globalization. Indeed, it could spell the end of all economic globalization"... Mi chiedo quindi se, visto il currency swap...

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    9. Eppure sull''International Herald Tribune (non posso linkarlo perchè è a pagamento: ho solo il cartaceo) il default non preoccupa CIna e Giappone. Sanno che non succederà e comunque hanno drasticamente già ridotto sotto il 10% (negli ultimissimi anni) lo share di debito del Treasury.
      E DAI, FAI UN BEL POST CON IL QUADRO DELLA SITUAZIONE :-) In fondo la vera partita, come dice oggi Bottarelli è su cosa potrà fare la Yellen...

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    10. Da quanto capisco io però i casi sono tre. Con accordo su debt ceiling (che anche secondo me verrà raggiunto), anche la Yellen, se segue le orme di Bernanke, sarà poi costretta a seguire certi binari:
      - o tapering forzato ---> rialzo tassi USA---> outflows da paesi terzi ---> crisi valutarie?
      - o QE "infinito" ---> asset bubble (cfr. utili Wells Fargo) ---> altro scoppio?
      Senza accordo:
      - global financial meltdown? Fine del dollaro come valuta di riserva. Nuova BW?

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    11. In realtà se guardi (anche su Vocidall'estero) la sottolineatura della Yellen sulla "stabilità" finanziaria, intesa come aspettativa di solvenza dei pagamenti da parte dei debitori, e sapendo che la questione dei mutuatari post-bubble è centrale, potrebbe configurarsi una linea di intervento diretto sui soggetti istituzionali mutuanti con adempimenti del 3°, Fed. Ciò sbloccherebbe realmente il mercato immobiliare (con una generale rivalutazione "urbanistica" di tutto il comparto), facendo ripartire l'occupazione e in generale l'economia.
      L'avallo in tal senso di Stiglitz potrebbe indicare questa linea.
      O qualcosa del genere.

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  9. La firma del trattato USA-UE potrà avvenire solo quando si sarà stabilizzata la situazione politica UE. Stabilizzata significa che le oligarchie Ue avranno non solo vinto, ma stravinto. Dobbiamo pregare la Madonna e Santa Marine Le Pen che il trattato non si firmi mai, perché una volta firmato quello, l'uniformazione del diritto e del sistema sociale europeo al modello americano sarà cosa fatta. Purtroppo, ogni prospettiva di uscita dall'euro comporta un trauma politico di prima grandezza, per la posta in gioco (enorme) e per le forze in campo, himalayane. Negli USA sarà più facile trovare alleanze con le forze isolazioniste ("di destra") che con le forze mondialiste ("democratiche"), le quali nel breve periodo sono sì interessate a esportare in Europa, e quindi a mantenere vivi i mercati interni europei, ma nel medio periodo sono interessate a integrare il mercato europeo (e L'Europa, che per loro è la stessa cosa) alle proprie condizioni.

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