martedì 14 aprile 2015

LE INCROLLABILI CERTEZZE...STOCASTICHE (SULLA CRESCITA) DEi T€CNOCRATI IRRESPONSABILI

http://image.slidesharecdn.com/mefmipresentation-140115071229-phpapp02/95/mefmi-presentation-on-macroprudental-supervision-and-financial-stability-assessments-22-638.jpg?cb=1389791682

1. Vi dico subito che "stocastico" significa aleatorio, casuale, probabilistico. 
Se ci aggiungo un "dynamic" sto precorrendo l'andamento delle probabilità legate alle variabili prescelte e, quindi, affermo una certa riduzione delle "improbabilità" della previsione che formulo, appunto, col mio modello stocastico e dinamico di equilibrio (ma pur sempre basato sulla risultante di una miriade di scelte microeconomiche compiute da una serie aperta di agenti razionali...).
Insomma, trapela un certo ossimoro logico-lessicale. 
Se poi ci aggiungiamo l'idea implicita che tutto tenda a un certo "equilibrium" naturale, postulato come incontestabile in funzione di una propensione ideologica a vedere la società, ne esce una serie di previsioni regolarmente sballate.

Il fatto è che con queste previsioni, in €uropa, ci governano: e mica con metodo partecipato e ampiamente discusso nei parlamenti e nelle piazze (più o meno virtuali)! 
No, ci governano con fare altezzoso e accusatorio, colpevolizzandoci costantemente dei loro stessi errori di previsione, che hanno portato agli effetti disastrosi delle scelte da ESSI stessi effettuate (in base ai loro errori di previsione).
Capirete che non può andare così all'infinito. 
Qualcuno potrebbe non essere d'accordo e accorgersi della stranezza di questo potere tecnocratico-dogmatico-tolemaico e, principalmente, del tutto irresponsabile di fronte a coloro su cui riversa i suoi errori.

E infatti, qualche sospetto inizia a manifestarsi, come vedremo dalla rassegna di giornalismo anglosassone che segue.
Ma non in Italia: qui nessun dubbio o tentennamento. Anzi, fede cieca ed assoluta, obbedienza granitica e fanatica, tributate al vertice tecnocratico e richieste, con perentorietà spazientita, alla "base" degli zotici, colpevoli in rerum natura, che saremmo noi.
Questi i risultati italiani (e ci limitiamo a quelli previsionali).

 PIL_Italia_1997-2018_-_previsioni_Governo_italiano_contro_realtà
http://it.adviseonly.com/blog/capire-la-finanza/educazione-finanziaria/le-allegre-previsioni-di-crescita-del-pil-del-governo-italiano/

2. Come vi stavo accennando più sopra, mi ha colpito, leggendo il Financial Times del 13 aprile, una serie di articoli, cosparsi nelle varie pagine, tutti incentrati su un tema ricorrente: la crescita mondiale che non decolla.

Si comincia a pag.4, con un articolo intitolato "Stop and go global recovery risks stalling". 
Tradotto: "la ripresa mondiale a singhiozzo rischia lo stallo". Si comincia coll'evidenziare che, secondo uno studio promosso congiuntamente dal Brookings Institution e dallo stesso FT, la previsione di crescita tenuemente migliorativa nei paesi avanzati, è controbilanciata dalla debolezza nei mercati emergenti. 
In entrambe le aree ci si trova di fronte a una crescita "impedita" (stunted growth). E si fa riferimento al Tracking Indices for the Global Economic Recovery, c.d. Tiger Index, che indica come le misure delle attività dell'economia reale, dei mercati finanziari e la fiducia degli investitori siano rapportabili con le loro medie storiche nell'economia globale e in ciascun paese. 
Il Tiger growth index per le economie avanzate è migliorato leggermente da quando il prezzo del petrolio si è quasi dimezzato nella seconda parte dello scorso anno, indicando una certa ripresa dei consumi delle famiglie in Europa e in Giappone. Ma, si aggiunge, queste deboli economie ancora devono fare strada prima di mostrare quello slancio di cui normalmente godono in fase di oscillazione verso l'alto dell'economia.
Negli Stati Uniti, soggiunge l'articolo, c'è evidenza di un dato debole nel primo trimestre dell'anno con un rallentamento della crescita dell'occupazione. Secondo il prof.Eswar Prasad (del Brookings Institute), "la forza persistente del dollaro e l'onere del dover portare l'economia mondiale sulle proprie spalle può pesare sull'economia statunitense".
Direi che non è che significhi molto in termini esplicativi, questo commento di Prasad; tant'è vero che lo stesso,a dimostrazione di una vocazione mainstream che non pare proprio riuscire a spiegare nulla, alla fine dell'articolo, se ne esce così: "L'urgenza delle riforme strutturali appare essersi dissipata, con molte economie che contano sulle politiche monetarie espansive e tassi di cambio indeboliti per sostenere la crescita e contrastare le pressioni deflazionarie".
Nessuna sorpresa: la crescita, secondo questo tipo di approccio neo-liberista, consegue esclusivamente alle riforme, cioè a flessibilizzazione del lavoro e privatizzazioni statali, con finanziarizzazione ulteriore delle economie.
Che tristezza...

3. Ma subito dopo, a pag.8, un nuovo articolo affronta il tema con questo taglio: "US and Eurozone growth seem to converge".
E ci segnala il quasi repentino cambiamento delle previsioni di crescita rispettivamente di USA e UEM: il "consensus" di marzo, infatti, accreditava la crescita USA di un +3,1 per il 2015 e 2,9 nel 2016. A sua volta, l'eurozona era accreditata di una crescita solo dell'1,4 per quest'anno e dell'1,7 nel 2016.
Tuttavia, Gavyn Davies stima ora che la crescita annualizzata degli USA sia ora al 2%, in diminuzione dal 2,5% di un mese fa, e dal 4% di questo autunno. Nel frattempo, nell'eurozona la crescita annualizzata è portata all'1,7% per il 2015, dall'1,3 di un mese fa.
La spiegazione di questa convergenza di crescita, ridotta ad un mero 0,3% di differenziale, è attribuita al collasso dei prezzi del petrolio, al deprezzamento dell'euro ed alla pur tardiva ripresa di paesi in crisi dell'eurozona come Spagna e Italia. 
L'articolo prosegue attribuendo buona parte dei meriti alla nuova politica monetaria "aggressiva" della BCE. Laddove la Fed, di fronte ai segnali di indebolimento, dovuti a debito eccessivo e a debole propensione all'investimento, avrebbe ben poche ragioni di aumentare i tassi di interesse. L'articolo conclude che parlare di  "stagnazione secolare può essere un'esagerazione. Ma non eccessivamente grande".

3. Insomma questi due articoli non ci dicono poi molto di concreto, ma ben più di "rivelato dell'inconscio collettivo" (del mainstream): si tratta di gente disorientata di fronte alla proprie stesse stime di crescita. Con il sospetto di non riuscire a farle correttamente se non quando ci si trova di fronte all'inevitabile smentita della realtà.
Ma senza alcun sospetto che, piuttosto, la capacità i previsione di questo "consensus" mainstream sia falsata da qualche marchiano errore di impostazione.

E, a coronamento di questo (mancato) sospetto, nella pagina seguente, Munchau parla proprio del fatto che "Macroeconomists need new tools to challenge consensus".
Non so se sia un caso o meno la contemporanea uscita di questa serie di articoli in un'unica edizione del FT, ma, di certo traspare come un certo disagio stia prevalendo, almeno negli ambienti anglosassoni, nel doversi regolarmente presentare con previsioni di crescita clamorosamente sbagliate, per eccesso, alle fine di ogni anno. 
E sappiamo che la stessa preoccupazione non pare albergare nelle fila degli espertoni nostrani, tutti "spaghetti-liberisti" e straconvinti che le riforme strutturali del lavoro e il taglio selvaggio della spesa pubblica siano le risposte adeguate per sfruttare i fantomatici vantaggi dell'euro indebolito e del petrolio dimezzato.

4. Munchau, dicevamo, cerca di dare una spiegazione sistemica a questo fenomeno di previsioni regolarmente toppate, che è ormai evidente a tutti; se non altro perchè esso è strettamente correlato alla altrettanto errata formulazione di diagnosi e terapie.

Parte dal descriverci il dibattito tra Lawrence Summers e Paul Bernanke sulle cause del rallentamento economico (rispetto alle attese di crescita, sicuramente). Il primo, com'è noto, parla di Stagnazione Secolare (quella citata alla fine del precedente articolo commentato), mentre il secondo, più ortodossamente, si appella a eccesso di risparmio rispetto agli investimenti.
E di entrambi gli approcci abbiamo già parlato, evidenziando come, quando si trattò di affrontare la crisi del '29, gli stessi fenomeni fossero in realtà entrambi connessi nella visione (keynesiana) di economisti come Alvin Hansen (che, infatti, proprio sull'equilibrio della sotto-occupazione, connesso alla mancata trasformazione del risparmio in investimento, aveva parlato per primo di "stagnazione secolare").
La parte interessante del discorso di Munchau è che egli sottolinea come la cronica instabilità dell'economica globalizzata ponga una sfida per la macroeconomia contemporanea, alla quale questa non pare presentarsi con gli strumenti adeguati. Almeno per quanto riguarda gli strumenti dell'attuale ortodossia neo-classica che domina (per lo più) incontrastata.
E Munchau fa specifico riferimento al cosiddetto modelllo di Equilibrio dinamico generale stocastico (Dynamic Stochastic General Equilibrium; DSGE).

 http://libertystreeteconomics.typepad.com/.a/6a01348793456c970c01b8d0708b22970c-450wi

Questo modello, prosegue, era congegnato per avere a che fare con perturbazioni imprevedibili come uno shock tecnologico (ed infatti, tutt'ora, molta parte della crisi si tende a riportarla a problematiche di innovazione e automazione tecnologiche: non senza una certa forzatura, ossessivamente legata al versante supply side ed alla sociologia internazionalista che gli fa da complemento). Tuttavia, aggiunge M., il DSGE (e altri modelli della neo-macroeconomia classica) non sono stati in grado di spiegare e prevedere gli shock che abbiamo effettivamente subito, la crisi finanziaria, le insolvenze e la deflazione.
Il problema sta già nella (consueta) supposizione di base di questi modelli: che esista un unico equilibrio macroeconomico e che ad esso debba riportarsi invariabilmente l'economia dopo uno shock.
Dopo aver ulteriormente evidenziato le falle di questa impostazione (costruire modelli complessi che però non incorporano la nozione di non linearità e di caos; l'idea di spazi illimitati, che non contempla l'ipotesi dei persistenti tassi a zero, costituente un limite invalicabile contrario agli assunti di partenza delle teorie dominanti), M. ci dice che i macroeconomisti del mainstream, avendo fatto l'investimento di una vita sul modello DSGE, proseguono cercando di accomodare i loro modelli ("tinker"= rabberciare)...ma con la speranza che nessun governante li utilizzi mai.
E questo, aggiungiamo, ovviamente fuori dall'Europa (e specialmente fuori dall'Italia).
Ed infatti, M. aggiunge che "sfortunatamente, molte istituzioni hanno utilizzato" questi modelli. E fa l'esempio della BCE, il cui utilizzo del modello DSGE ha prodotto persistenti previsioni eccessivamente ottimistiche.

http://www.federalreserve.gov/pubs/feds/2007/200708/img208.gif

5. Ed ecco che la connessione tra i vari articoli sul FT si salda su un punto inquietante: ma non tanto per chi, come chi conosce questo blog, già ha evidenziato che di previsioni non ne azzeccano una, quanto per, diciamo, ESSI.
Cioè inquietante per la governance mondiale ed €uropea che, come traspare da un importante organo non certo "avverso" come il FT, appare percorsa, sia pure con un'enorme e piuttosto rigida titubanza, da qualche serio dubbio sulla propria capacità di prevedere, analizzare, diagnosticare.

http://apecons.weebly.com/uploads/3/3/0/9/3309542/2657250_orig.jpg

Il problema, come abbiamo visto è che, se, da parte dei decidenti governativi, in USA o, per altri versi, in Giappone, questi modelli sono tranquillamente messi da parte per un, più o meno coerente, approccio più empirico o, diciamo, teoricamente "pluralista" (nel bene o nel male), in €uropa la tecnocrazia neo-liberista (DSGE-dogmatic), non solo governa saldamente ex cathedra, ma ha a disposizione automatismi normativi inarrestabili (perchè internazionalizzati) che si impongono alle decisioni legislative dei policy makers dei singoli Stati (svuotate così di ogni autonomia) per rendere immutabili e incontestabili le proprie terapie (sbagliate).

3 commenti:

  1. questa è proprio la società fondata sul merito.

    a partire dal ceto dirigente: 18 anni di risultati disastrosamente disattesi e sono ancora lì intoccabili come non mai.

    a competizione ai lavoratori, la rendita di posizione ai potenti. il liberismo per i lavoratori, l'aiuto di stato per i potenti. e così via....

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  2. un lavoratore lo licenziamo per uno o due errori...o anche solo per aumentare i profitti. i governanti non so...30 anni d'errori basteranno?

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  3. E ricordiamo anche il non superamento del market test (maggiori dettagli qui). Questo per quelli che col "mercato" e la sua superiore saggezza fanno quotidiani gargarismi.

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