lunedì 12 settembre 2016

LA N€W-GOLDEN RUL€...DENTRO IL FISCAL COMPACT. IL PRESUNTO ACCORDO TRA KEYNES E HAYEK


http://www.radio24.ilsole24ore.com/assets/img/Radio24/_Immagini/2015/03/mix-von-hayek-keynes-1978.jpg

1. Passato abbastanza inosservato (per ora), l'intervento di Mario Monti all'ultima riunione Ecofin (consiglio europeo dei ministri economici) dell'8 settembre scorso, ci dice alcune cose fondamentali; fondamentali perché ci restituiscono alcune verità che Monti, gli va dato atto, è tra quelli che rivela con più esplicita schiettezza (da sempre: ex multis, v. p.5; anche tralasciando la Grecia come "il più grande successo dell'euro" che, a rigore, è un'altra verità ineccepibile). 

Di tale intervento, vi riproduco una delle parti più significative, aggiungendo qualche asciutto commento (oltre a quello "di sintesi" del tweet da cui è tratto):



2. E dunque:
2.1. - emerge la giusta valutazione di insufficienza dell'agiografico "piano Juncker" (quello che: "L'Esecutivo Ue ha inoltre nominato oggi i quattro membri del comitato direttivo dell'Efsi, tra cui nessun italiano. Infine è stata pubblicata una comunicazione per chiarire il ruolo delle banche promozionali a favore del piano di investimenti.
Gli stati partecipano al piano in genere attraverso queste banche (nel caso italiano la Cassa Depositi e Prestiti per un investimento di 8 miliardi di euro). La comunicazione precisa il perimetro entro il quale le banche promozionali possono operare per rimanere classificate come soggetti esterni alla contabilita' pubblica, pur essendo prevalentemente di proprieta' statale.
Se le banche operano in modo indipendente dalle autorità politiche nazionali continueranno ad essere considerate come attori esterni. Altrimenti, i loro conti saranno integrati a quelli pubblici, con conseguente incremento del debito degli stati di riferimento, precisa la comunicazione." Ergo, l'Italia è essenzialmente tagliata fuori da politiche pubbliche di investimento, legate al Piano, che non siano comunque già scontate nella "flessibilità" concedibile a qualche titolo discrezionale: si tratta del solito metodo inibitorio legato al "cofinanziamento", a carico degli Stati, e distorsivo delle loro sovrane priorità di politica economico-fiscale, che caratterizza i "fondi UE";

2.2. - si dà atto, sia pure in modo indiretto e a denti stretti, che la flessibilità (nella misura autorizzata di sforamento degli obiettivi intermedi di disavanzo annuale verso il pareggio di bilancio) è solo un sistema attenuato di austerità (qui, p.2), teso a diluirne transitoriamente gli effetti, comunque perseguiti: e, infatti, consci della inutilità di un'austerità "a metà" per...promuovere la crescita - sempre però in una rigida cornice sul lato dell'offerta- se ne propone l'abolizione;

2.3. - e dunque si cerca di far passare l'idea che ci possa essere un punto di incontro tra "stimolo della domanda" e "espansione, - naturalmente etica-, della capacità produttiva"; questa presunta convergenza tra Keynesiani e Hayekiani, tra l'altro ci conferma, se pure ce n'era bisogno, della centralità dell'austriaco nella concezione economico-politica dominante nei trattati.

3. In realtà si tratta di una "pretesa" convergenza per il semplice fatto che non si vede come possa considerarsi Keynesiano un "programma di investimenti pubblici" all'interno dell'euro e del complesso (intatto) delle sue regole.
Vale a dire, all'interno di un'area valutaria che, pur con qualche imperfezione tattica, si intende debba funzionare come il gold standard e che, quindi, proprio per il principio "etico" invocato da Monti (che trova il suo chiaro antecedente in Hayek e Einaudi) priva della sovranità monetaria gli Stati, obbligandoli a sostituire l'aggiustamento del corso della valuta con la deflazione salariale. 

Questa "eccezionale" e altrettanto "presunta" misura espansiva, infatti, agirebbe solo come espansione dal lato dell'offerta, in concomitanza con la progressiva applicazione delle riforme strutturali del lavoro; un mercato del lavoro totalmente precarizzato e con livelli salariali perfettamente flessibili, in quanto orientato alla competitività, non potrebbe infatti consentire che un modesto aumento dell'occupazione localizzato solo in certi settori (e a scapito di altri).
Non si vede, cioè, come un trade-off tra settori da privilegiare, in quanto giudicati maggiormente "competitivi", e settori da asfissiare (in quanto legati alla domanda interna, ulteriormente privata del sostegno della spesa pubblica corrente), possa condurre a aumenti salariali diffusi e occupazionali consistenti e quindi alla "crescita". Dovrebbe essere chiarissimo che nessun programma di investimenti, teso a risolvere, per volume e vastità, il problema occupazionale, potrebbe risolvere il problema di divergenza di produttività, cioè di tassi di cambio reale e di competitività relativa dei prezzi all'interno dell'eurozona; mentre, per conservare in vita la moneta unica, la correzione di questa divergenza di tassi reali rimane affidata alla svalutazione salariale interna.

4. Tanto deve esserne cosciente Monti che, infatti, propone, simultaneamente alla regola permissiva del deficit per "investimenti pubblici produttivi", l'azzeramento della flessibilità che, implica necessariamente, sia pure al netto della politica di investimenti sul lato dell'offerta, l'immediato raggiungimento degli obiettivi intermedi di pareggio strutturale di bilancio.
Si farebbe sì più spesa per investimenti, ma ampiamente compensata dal taglio immediato e divenuto inderogabile, della spesa corrente, allocata principalmente in pensioni, sanità e altre voci di consumo pubblico, già ridotte ai minimi termini (come ci accorgiamo quando vediamo lo stato del nostro territorio, non solo in occasione dei terremoti, ma percorrendo le strade dissestate, magari per portare i figli in una scuola del tutto fatiscente e carente di insegnanti di ruolo, e constatando lo stato della questione "raccolta rifiuti" in tutta Italia).
Quello che propone Monti, in "soldoni", è uno schema in cui, al netto degli "investimenti produttivi", e secondo le previsioni del fiscal compact, (di cui non chiede l'abolizione quanto, invece, la conferma "temperata" dalla regola sugli investimenti), l'Italia avrebbe dovuto avere, in teoria, un deficit dell'1,4% alla fine di quest'anno, dello 0,8 nel 2017 e il pareggio strutturale allo 0,1 nel 2018.

5. Ma anche non attenendosi (data l'evidenza dei fatti sopravvenuti, conseguente alla detestabile "flessibilità") alla appena riportata agenda previsionale del FMI e accettando lo spostamento del pareggio al 2019, come previsto dal DEF 2016, le misure del deficit strutturale - quello considerato al netto del ciclo economico e dunque scontandone, sul dato "effettivo", una certa misura aggiuntiva determinata dal livello di disoccupazione eccedente quella "strutturale", cioè la piena occupazione secondo l'€uropa, (qui, p.5)-, dobbiamo considerare che i livelli di investimento pubblico, sempre previsti dal DEF, sono decrescenti, come si può vedere, sempre ex multis, da questa tabella ritraibile dall'ultimo DEF:

http://www.unimpresa.it/wp-content/uploads/2016/04/Tabella-Def-11-apr-2016.png

6. Quindi l'incremento della spesa in conto capitale, a saldi costanti nella progressione verso il pareggio strutturale nel 2019, seguendo la regola "Monti", dovrebbe avvenire, come abbiamo detto e com'è del tutto palese, tagliando con immediatezza altre voci.

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/970640/image21.png

Certo, non andrà esattamente in questo modo, dato che questi saldi (strutturali) presuppongono delle misure di crescita del PIL che si è ben lungi dal rispettare, come ci conferma (ultimo rigo: variazione del PIL nominale) quest'altra tabella ex DEF, con, tra l'altro, il maggior dettaglio dell'andamento della spesa in investimenti fissi lordi e in conto capitale, essenzialmente decrescente:

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/970640/image13.png
Incidentalmente, con la flessibilità ottenuta (circa 0,8 punti di PIL), quest'anno, il deficit nominale "lordo" dovrebbe attestarsi (salvo complicazioni da mancata crescita superiore al previsto), a 2,2-2,4% del PIL, mentre, in assenza di essa, avrebbe dovuto essere dell'1,4%.
Per il 2017, prima che ricominci il balletto per ottenere una flessibilità allo stato negata (persino alla luce del terremoto), il deficit dovrebbe risultare all'1,1%, secondo l'originario target della Commissione, ovvero all'1,8% secondo il DEF
Ma la manovra prossima ventura non dovrebbe/vorrebbe puntare su questo target, bensì su un'ulteriore flessibilità, per portarlo più o meno allo stesso livello di quest'anno.

7. Nota bene: il discorso di Monti, lo ribadiamo, dice "si introduca una regola" sugli investimenti, non "si modifichi il fiscal compact", (di cui tale regola risulterebbe complementare).
E neppure dice, come pure ben avrebbe potuto, "si applichi" l'art.126, par.3, attuale del trattato (TFUE), laddove prevede che la Commissione, nel valutare lo scostamento dai criteri (imposti dall'UEM, attualmente, il fiscal compact), del debito e del disavanzo (deficit) annuale, possa, già oggi, tenere conto "dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per investimenti" nonchè "di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro". 
Questa previsione è la c.d. golden rule, tutt'ora praticamente inapplicata perché l'insieme delle condizioni di "scusabilità" legittima dello scostamento non sono - e non saranno- mai riscontrabili.
Insomma: cosa ci sia di keynesiano in questa auspicata operazione di ristrutturazione della spesa pubblica non si sa. Sostanzialmente: espando gli investimenti tagliando la spesa corrente, mantenendo, quanto ai saldi complessivi, effetti equivalenti alla "flessibilità", ma indirizzati sul solo lato dell'offerta; peraltro, una ristrutturazione non ben chiara nei suoi termini quantitativi di eventuale tolleranza, dentro le politiche imposte dal mantenimento dell'euro e dalla irrinunciabile flessibilità verso il basso dei salari.

8. Ma non possiamo e non dobbiamo sorprenderci: la proposta nasce come documento del "Council on the Future of Europe", un think tank, costola del Berggruen Institute, nella cui homepage campeggia la foto di Mario Monti e il cui scopo è elaborare la "global governance", mentre, tra i membri dello stesso Council, figurano, inter alios, vecchie conoscenze quali: Monti (ovviamente), Robert Mundell, Otmar Issing, Jean Pisani-Ferry, Prodi, Roubini, Peter Sutherland, Tony Blair, Jacques Delors e...Joseph Stiglitz. Tutti parrebbero d'accordo su "questo" futuro dell'€uropa...(?)
Per ognuno (cliccando sulla rispettiva foto), c'è anche il curriculum. E tanti altri dati sono disponibili in rete. Ad esempio:


15 commenti:

  1. Torno da un esame di francese scritto al termine del quale, essendo la professoressa competente reticente ad accettare la consegna del lavoro dopo due ore di tempo sulle quattro disponibili, alla decima sommation verbale, vieppiù condita dal minaccioso "Per ogni parola sbagliata tolgo un voto", mi sono sentito di replicare: « Lei è il punto che si trova esattamente a metà strada sulla retta che va dagli antichi Romani, che ne falcidiavano uno ogni dieci, e i vetero-nazisti, che ne trucidavano dieci per ogni uno: si ricordi che mentre i primi durarono mille e rotti anni, i secondi, che mille anni volevano durare, dopo due lustri e mezzo crollarono ignominiosamente». Poi mi sono ricordato del riso sardonico di Bagnai quando è ospite in televisione e ascolta sciorinare lievi imprecisioni da qualche cialtrone patentato (che Dio li abbia tutti in gloria!) e ho evitato la bocciatura perenne per insurrezione.
    Rimetto i piedi sul suolo che tanto mi è caro, e dopo un po' squilla il telefono: alzo la cornetta con la serenità di chi sa che, comunque vada, Mondial Casa lo aspetta. «Buongiorno! Sono Pinco Pallo e lavoro per la PincoPallaInc. Ci risulta che in passato è stato nostro cliente, quindi vorremmo proporle un offerta per tornare con noi. » Rispondo cordialmente: «Buongiorno a lei! La ringrazio per la telefonata, ma guardi: non intendo farle perdere del tempo. Cambiare operatore in questo momento non mi interessa ». « Ma si figuri, non mi fa perdere tempo. » « E allora lo fa perdere lei a me perché, come le ho già detto, non sono interessato. » « Ah! » « Buona giornata e buon lavoro! »
    Morale della storia: qualcuno la piccata stoccata ironica se la becca. Professore universitario con l'ego di Monte Nevoso e il carisma di un'ostia sconsacrata e operatore telefonico sottopagato e soprasfruttato per me pari sono.

    Se siete arrivati vivi fin qui, vi meritate di suggere direttamente dalla fonte un bel Gramsci d'annata (un ringranziamento a Francesco Maimone per la fonte): « Era un principio universale quello affermatosi nella storia attraverso la rivoluzione borghese? Certamente si. Eppure si è soliti dire che se J.-J. Rousseau potesse vedere quale foce hanno avuto le sue predicazioni, probabilmente le rinnegherebbe. In questa affermazione paradossale è contenuta una critica implicita del liberalismo. Ma essa è paradossale, cioè afferma in modo ingiusto una cosa giusta. Universale non vuol dire assoluto. Nella storia niente vi è di assoluto e di rigido. Le affermazioni del liberalismo sono delle idee-limiti che, riconosciute razionalmente necessarie, sono diventate idee-forze, si sono realizzate nello stato borghese, hanno servito a suscitare a questo stato un'antitesi nel proletariato, e si sono logorate.
    Universali per la borghesia, non lo sono abbastanza per il proletariato. Per la borghesia erano idee-limiti, per il proletariato sono idee-minimi. E infatti il programma liberale integrale è diventato il programma minimo del partito socialista. Il programma cioè che ci serve a vivere giorno per giorno, in attesa che si giudichi giunto l'istante più utile [... 1 '.] (mancano alcune parole censurate)
    Come idea-limite il programma liberale crea lo stato etico, uno stato cioè che idealmente sta al disopra delle competizioni di classe, del vario intrecciarsi ed urtarsi degli aggruppamenti che ne sono la realtà economica e tradizionale. E' un'aspirazione politica questo stato, più che una realtà politica; esiste solo come modello utopistico, ma è appunto questo suo essere un miraggio che lo irrobustisce e ne fa una forza di conservazione. Nella speranza che finalmente esso si realizzi nella sua compiuta perfezione, molti trovano la forza per non rinnegarlo, e non cercare quindi di sostituirlo ».

    RispondiElimina
  2. Questo ipotetico Keynes hayekiano mi convince poco (Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET-De Agostini, Novara, 2013, pp. 379 e 381): ”Salvo che in una collettività socialista, nella quale la politica dei salari è stabilita per decreto, non vi è alcun mezzo di assicurare riduzioni salariali uniformi per ogni categoria di lavoratori. Al risultato si può arrivare soltanto mediante una serie di variazioni graduali e irregolari, non giustificabili secondo alcun criterio di giustizia sociale o di convenienza economica; che termineranno probabilmente soltanto dopo lotte distruttive e disastrose, nelle quali coloro che si trovano nella situazione contrattuale più debole soffriranno rispetto agli altri. D’altra parte, una variazione della quantità di moneta può già esser praticata dalla maggioranza dei governi mediante una politica di mercato aperto o misure analoghe. Considerata la natura umana e le nostre istituzioni, soltanto uno sciocco preferirebbe una politica salariale flessibile ad una politica monetaria flessibile, a meno che egli potesse indicare vantaggi della prima che non fossero ottenibili dalla seconda. Inoltre, a parità di altre circostanze, un metodo di applicazione relativamente facile dovrebbe reputarsi preferibile ad un metodo che è probabilmente tanto difficile da essere inattuabile.

    “Alla luce di queste considerazioni sono adesso dell’opinione che il
    mantenimento di un livello generale stabile dei salari monetari è, tutto
    sommato, la politica più consigliabile per un sistema chiuso; mentre la
    stessa conclusione varrà per un sistema aperto, purché l’equilibrio col resto
    del mondo possa essere assicurato mediante cambi esteri fluttuanti.


    D'altra parte è lo stesso Hayek (Hayek, Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), Milano, 2000, pag. 38) a riportare questo passaggio di Keynes, come prova della sua perversione: "Per quel che mi concerne, ormai è troppo tardi per cambiare. Sono, e resterò sempre, un amorale".

    Non infanghiamo quindi la memoria del povero Hayek mischiandolo con certa gentaglia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo, infatti, quella che Hayek chiama "amoralità" è ciò che Nietzsche spiega essere una forma integerrima e suprema di morale: la morale dell'aristocratico radicale.

      Che poi è l'humus da cui nasce il celebre ed agghiacciante articolo di Padoa-Schioppa sulla "durezza del vivere".

      Costoro, esattamente come i nazisti, sono fieri di distruggere milioni e milioni di vite per avere "un mondo migliore".

      Pensano di fare bene: non si può liquidare come un semplice atto di agenti razionali che per far dell'egoistico bene per sé compiono dei disastri.

      La fallacia di composizione è solo una risposta parziale.

      Esiste una morale degli schiavi ed una morale dei padroni.

      Non si può essere "amorali".

      Se non fosse così non ci sarebbe questa motivazione, questo committment nel perpetrare genocidi.

      Innanzitutto è necessario essere convinti che - appunto - i propri geni siano diversi da quelli delle vittime.

      Poi, come ci si spiega l'impegno di queste vecchie cariatidi come Padoa-Schioppa, Napolitano, Amato, Monti; per non parlare di Soros...

      Fino all'ultimo a operare per ciò che ad una persona sana di mente appare una mostruosità.

      La verità è che l'ideologia nazista - come già argomentato in altre occasioni - è la versione pop-nazionalista della morale elitista.

      Nietzsche odiava il nazionalismo antisemita per gli stessi motivi di Coudenhove-Kalergi (il quale cita espressamente il filosofo morale tedesco).

      Inoltre, ricordiamoci che a Mario Monti è andato il premio von Hayek 2005 di cui Bolkestein e Issing fanno parte del board del fondazione che, guarda a caso, si trova a Friburgo.

      Per questo è fuorviante sottolineare che Milton Friedman è il padre ideologico degli assurdi parametri europei senza ricordare quanto la componente giuridico-istituzionalista sia parte della ristrutturazione sociale portata dalla globalizzazione di cui la UE è parte.

      Evidenziare il ruolo di Friedman senza la dimensione istituzionale di Hayek, è non permettere di cogliere il disegno alla base della costruzione europea e della globalizzazione: che non è la semplice composizione irrazionale di agenti razionali...

      Elimina
    2. Gli spunti di Arturo tirano il meglio fuori da te :_)
      Sintesi avanzata da incorniciare...

      Elimina
    3. Monti, collegando Padoa-Schioppa con una certa la tradizione liberale, auspicandosi evidentemente il superamento della sovranità nazionale, afferma:

      “… In uno dei suoi ultimi articoli, Tommaso Padoa-Schioppa sviluppa una distinzione interessante tra quello che lui chiama “Demos-della ragione” (che si fonda per esempio su interessi comuni) e il cosiddetto “Demos-del cuore” (che si fonda su affinità). La sua tesi si avvicina a quella di Tocqueville che distingue “un amore della patria che trova origine in quel sentimento irriflesso, disinteressato ed indefinibile che lega il cuore dell’uomo ai luoghi che l’hanno visto nascere” e il patriottismo “PIÙ RAZIONALE, MENO GENEROSO, forse meno ardente ma più fecondo e più duraturo che nasce con i Lumi” e che il pensatore chiama “patriottismo riflesso della repubblica” …

      Pierre Rosanvallon si spinge oltre: per lui “un raggruppamento umano che si pensa esclusivamente nei termini di un’omogeneità data, quali che siano gli scopi che lo muovono, NON SOLO NON E’ DEMOCRATICO, ma non è neppure politico. Allorchè viene assimilata all’idea di identità, la nozione di comunanza si riduce generalmente a un catalogo di nostalgie e di luoghi comuni. Inoltre, essa si pensa al singolare, come un dato bruto ed indivisibile. E’ così che diventa strutturalmente passiva, conservatrice, incapace di illuminare un futuro e di dare un senso ad un mondo nuovo” … Siamo a tal punto dominati dal riflesso nazionale da sentire più vicini individui ideologicamente contrapposti a noi ma che vivono nel nostro Paese d’origine? E’ tempo di far valare l’idea che l’ESERCIZIO CONGIUNTO DELLA SOVRANITA’ può solo migliorare le nostre performance collettive: abbiamo tutto da guadagnare dall’ampliare il vivaio nel quale viene selezionata la nostra classe dirigente e dall’aprirci a esperienze diverse dalla nostra …” [M. MONTI – S. GOULARD, La democrazia in Europa, Guardare lontano, cit. 69-70].

      Questo è il massimo di democrazia che riescono a concepire questi soggetti. Caro Bazaar, facciamocene una ragione, per Padoa-Schioppa (come per Tocqueville) saremmo dei “patrioti irriflessi”!!

      Elimina
    4. Ridotto in soldoni: conservatore - avverso alla rivoluzione verso il totalitarismo neo-liberista- è tutto ciò che vuole preservare il perseguimento solidale del benessere generale (cioè pluriclasse).
      Un benessere espresso, nella sua concretezza (per ESSI insopportabile), dai diritti sociali senza i quali, come ci dicono Basso, Calamandrei, Mortati, i diritti di libertà sono riservati ai pochi...pochissimi.

      Gli stessi che fondano il progresso e la sovranità (come puro potere di comando incondizionato) sulla misurazione delle "performance collettive". Secondo l'efficienza allocativa che implica profitti agli stessi pochi e flessibilità retributiva verso il basso per tutti gli altri.

      Elimina
    5. Mi sembra di cogliere un elemento di novità: stiamo passando dal "patriottismo ultimo rifugio delle canaglie" all'etica usata per lo stesso scopo.
      C'è anche una razionalità: alla larga dai dati, quando le promesse di crescita o anche solo di stabilità diventano assurde. occorre aggrapparsi a qualcosa che non sia riducibile in aride cifre.
      E poi vuoi mettere, IO HO UN'ETICA mentre voialtri miserabili pensate solo ai vostri consumi! La stessa formula repressiva che sta alla base del politicamente corretto, buonista e decrescista, e funziona splendidamente per chiudere la bocca agli obiettori, a condizione di avere sufficiente claque. Che d'altra parte costa veramente poco.

      Per addolcirsi la bocca, propongo un articolo di giornata sul Huffington Post. C'è tutto, dalla ricerca scientifica alle lobby, dall'inganno che non inganna ma fa "bias" (e come tale funziona) all'occupazione di posti chiave nell'amministrazione, dal valore della ricerca storica (che è alla base dell'articolo originale) ad Harvard (er mejo).
      Non manca nulla per dimostrare come funzionano le cose.

      Elimina
  3. Al netto di ogni altra riflessione, che qui svolgete tutti benissimo, tanto che ne faccio puntualmente tesoro parassitandovi per bene, sono letteralmente sgomentato dall'abisso estetico che separa la prosa dei due.

    Non lo reputo affatto un aspetto trascurabile. Ho letto qualcosa di Hayek: paragonato a Keynes è come un palazzone da speculazione edilizia, uno di quei monstra democristiani, confrontato col Partenone.

    Il senso di schifo precede la nausea per la semantica del testo, è immediato. Hayek è irredimibilmente brutto, e una tale estetica-cianuro non poteva che produrre le devastazioni che sappiamo.

    RispondiElimina
  4. Ulteriori tagli della spesa corrente potrebbero avere come conseguenza una ancora maggiore paralisi dei servizi pubblici, con conseguente voluta e auspicata privatizzazione dei medesimi a prezzi (cioè salari) da JA? Vale a dire un altro dei successi dell'euro secondo il pensiero di Monti. Tutto il pubblico a fare esclusivamente il bene del profitto, il quale a sua volta può ormai permettersi di non tener conto alcuno dei diritti del salario.

    RispondiElimina
  5. E’ da quattro anni che il podestà straniero ripete le stesse cose come un disco rotto. Nel 2012 all’European Business Summit affermava “L’Europa deve perseguire (?) con decisione delle politiche di crescita, non solo attraverso le riforme strutturali, ma anche salvaguardando gli investimenti produttivi che creano domanda e generano crescita per il futuro, SENZA PERÒ ILLUDERSI CON LE ‘SCORCIATORIE KEYNESIANE’ DEL ‘DEFICIT SPENDING’ e delle politiche espansionistiche orientato al consumo, ma CONTINUANDO A RISPETTARE RIGORSAMENTE LA DISCIPLINA DI BILANCIO ACQUISITA CON IL ‘FISCAL COMPACT’… non bisogna dimenticare che le riforme strutturali di per sé non generano mai crescita, se non c’è domanda. Le nostre misure strutturali e misure di consolidamento sono deflazioniste, non creano crescita automaticamente. Abbiamo bisogno della domanda, altrimenti la crescita non si materializza. Per questo, dobbiamo salvaguardare CERTE CATEGORIE DI SPESA CHE CREANO DOMANDA OGGI E GENERANO CRESCITA PER IL FUTURO. non è il caso per spesa corrente e i consumi, MA LO È AD ESEMPIO PER LE INFRASTRUTTURE TRANSFRONTALIERE E INTERNE, CON INVESTIMENTI SIA PUBBLICI CHE PRIVATI”. Non poteva mancare un accenno alle riforme del lavoro; infatti poi arrivò quella Fornero (http://qn.quotidiano.net/politica/2012/04/26/703364-monti-ue-investire-sulla-crescita.shtml).

    D’altronde, “… non saranno certo i deficit pubblici incontrollati e quello specchietto per le allodole che è l’inflazione a produrre la crescita, ne siamo convinti, tuttavia il risanamento delle finanze pubbliche non dovrebbe andare a scapito degli investimenti. Distinguere scrupolosamente tra i prestiti destinati a spianare il terreno per il futuro e quelli che servono solo a coprire le spese di funzionari sconsiderati è una nostra precisa responsabilità nei confronti delle prossime generazioni. E’ …difficile definire con esattezza che cosa possa essere considerata una spesa di investimento … ma questo non è un buon motivo per non provarci nemmeno … Con il Fiscal Compact del marzo 2012 è stata adottata una “regola aurea” sul modello di quella che compare dal 2009 nella Costituzione tedesca … si potrebbe perfezionare il dispositivo ispirandosi alle regole costituzionali in vigore in Germania all’epoca del Trattato di Maastricht che esigevano “l’equilibrio tra entrate ed uscite”…Siamo dell’avviso che in determinate circostanze gli investimenti produttivi conformi agli obiettivi CONCORDATI COLLETTIVAMENTE IN SEDE EUROPEA dovrebbero poter essere dedotti dal calcolo del deficit o del debito…” [M. MONTI – S. GOULARD, La democrazia in Europa, Guardare lontano, Bur Rizzoli, 2012 100-101]. (segue)

    RispondiElimina
  6. Dove vuole andare a parare? Nonostante il gioco delle tre carte, la sinfonia è sempre la stessa:

    “… TUTTI I GOVERNI EUROPEI SONO TENUTI A FARE PROPRIO L’OBIETTIVO DI “UN’ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO FORTEMENTE COMPETITIVA”. Eppure, se si esclude la Germania, dove il concetto ha avuto origine, è giocoforza constatare che l’impegno resta piuttosto vago. La nozione di soziale Marktwirtschaft è stata formulata nel 1947 dall’economista tedesco Alfred Muller Armack e messa in pratica da Ludwig Erhard (NdR.: una vecchia conoscenza del blog!) … Trattandosi anche degli anni del cosiddetto miracolo tedesco…la nozione gode ancora oggi di grande popolarità in Germania. … Semplificando, si puà dire che essa concilia un’adesione di fondo ai principi della libertà d’impresa, dell’iniziativa privata e della concorrenza con l’idea che lo Stato sia chiamato a vigilare affinché le condizioni del funzionamento del mercato siano leali e foriere di progresso sociale … Allo stesso tempo, il concetto di “economia sociale di mercato” sottintende misure per la regolazione del mercato del lavoro e la tutela della protezione sociale volte a garantire “benessere per tutti”, per riprendere il titolo di un celebre volume di ” Ludwig Erhard… Siamo convinti, e i molti successi della Germania e dell’Austria lo dimostrano, che il concetto di “economia sociale di mercato” racchiuda una promessa di prosperità…” [M. MONTI – S. GOULARD, La democrazia in Europa, Guardare lontano, cit., 88-89].

    Non è male come apostolato dell’ordoliberismo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E le parole chiave rimangono, a conferma di quanto qui sostenuto, certificato in via di "interpretazione autentica":
      <>

      Elimina
    2. ...rimangono
      "CATEGORIE DI SPESA CHE CREANO DOMANDA OGGI E GENERANO CRESCITA PER IL FUTURO. non è il caso per spesa corrente e i consumi"

      Elimina
  7. Esatto. Ma non sa altresì definire con esattezza cosa può essere considerata "spesa di investimento". Non si capisce cosa sarebbero le "infrastrutture transfrontaliere ed interne": qualche autostrada, la TAV? Dal punto di vista economico, bisogna superare l'ostacolo della previsione di redditività di tale infrastrutture e, soprattutto, l'opposizione perenne della Germania che è a favore solo delle politiche di rigore nei conti pubblici.

    Sognano questi ordoliberisti, impapocchiano discorsi del tutto avulsi dalla realtà solo per cercare di salvare sine die il fottutissimo €uro

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Al di là della singola infrastruttura, però, si fa capire benissimo: gli investimenti vanno a vantaggio di grandi aziende, su lavori ormai meccanizzati, per quali magari si comprano le macchine (frese?) in Germania, mentre l'occupazione resta sotto il tacco del JA.
      E poi come si permette costui di definire "sconsiderati" i funzionari che lavorano per lo stato che sta governando? nell'assoluto silenzio di tutti, dai media in su e in giù?
      P.S.: ci sono anche lavori al Brennero comunque, che prevedono gallerie ecc. e qualcosa di simile anche in Val Rendena, una piccola valle alpina (praticamente uno sventramento del monte e della valle).

      Elimina