sabato 11 marzo 2017

LA LIQUIDAZIONE DEL PREGRESSO: DAL DANNO DA "TEMUTA COLONIZZAZIONE" AL FATTO COMPIUTO


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1. In un paese capitalistico, come l'Italia, caratterizzato dalla adozione (contra Constitutonem, peraltro), del vincolo esterno da trattato, e quindi del principio supremo dell'economia di mercato fortemente aperta e competitiva, la struttura e l'orientamento del potere politico di vertice riflettono inevitabilmente la struttura sociologica dell'offerta
Questo semplice principio di costituzione materiale, - incontroverso anche sul piano formale una volta affermata acriticamente, NEI FATTI, la prevalenza incondizionata del diritto europeo-, determina inevitabilmente una situazione programmatica per cui, a seguito di investimenti esteri, la titolarità della proprietà di controllo dei mezzi di produzione spetta a soggetti in maggioranza non appartenenti a una certa comunità nazionale
Ed è questo che implica il trasferimento del potere di indirizzo politico effettivo (cioè sostanziale e non formale-istituzionale) al di fuori degli organi di indirizzo politico espressi dalla legalità e dalla sovranità formali regolate in Costituzione.

2. Questo "trasferimento", detto anche orgogliosamente "cessione di sovranità" (sempre contra Constitutionem), unitamente a tutte le sue rilevanti premesse e conseguenze fattuali ed istituzionali, viene deliberatamente dissimulato (o "censurato"), per mezzo del sistema mediatico preposto a tale compito, di fronte alla comunità sociale (popolo) che, prima dell'intervento di questo meccanismo (proprio dei trattati), era titolare della sovranità (art.1 Cost.); e quindi non è scontato, come può parere ad alcuni.
Posto sul piano della struttura dell'offerta, cioè della proprietà del capitale predominante, e del potere socio-politico che essa riflette, questo principio organizzativo del potere sociale generale, quindi di tipo costituzionale-materiale, diviene a un certo punto del processo di "trasferimento/cessione", non un'enunciazione enfatica di danno temuto, ma la constatazione di uno stato di fatto già in gran parte realizzato.

3. Riscontri fattuali del superamento di questa soglia ce ne sono a profusione:
Per la prima volta la maggioranza degli azionisti di tutte le società del made in Italy è estera. Lo dice una ricerca di Unimpresa sui dati Bankitalia di fine 2015, che vede le loro quote apprezzarsi di più e scavalcare quelle di tutti gli altri investitori nazionali.
"...Unimpresa ha esteso l'analisi anche alla società non quotate, e complessivamente l'universo delle spa ha raggiunto un patrimonio di 2.060 miliardi, in crescita del 7,51% a fine 2015, con un ruolo in questo caso egemone delle famiglie (43,27% del capitale totale, e in crescita del 5%), mentre i soci stranieri pesano per il 24,5% con una quota di 504 miliardi, aumentata del 15,6% in un anno. Sono numeri che preoccupano il presidente dell'Unione nazionale di imprese, Paolo Longobardi: "Se da una parte va valutato positivamente l'aumento del valore delle imprese italiane, dall'altro siamo preoccupati: la fortissima crisi che sta colpendo l'Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri. Si tratta di colossi finanziari che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi". 
4. Ovviamente, come avevamo visto parlando delle finalità sistemiche dell'Unione bancaria, questo fenomeno di cessione del controllo economico= cessione di sovranità (data la presenza del vincolo esterno in surrogazione della Costituzione), registra un'accelerazione inarrestabile rispetto al sistema bancario, a cominciare dal destino già "europeisticamente" segnato di MPS (p.9), per estendersi senza limiti:
Ed infatti, conseguentemente:  
Mentre già:

4.1. Col non secondario effetto riflesso che, ad esempio:
A cinque mesi dalla scadenza del periodo transitorio che priverà dei diritti economici le quote oltre il 3% detenute dai partecipanti al capitale di Bankitalia, Intesa Sanpaolo risulta ancora primo azionista con il 30,5% delle quote. A seguire Unicredit (17,88%).
E questi sono solo alcuni fatti significativi della situazione che si stabilizza verso il "fatto compiuto".
Di tutto questo avevamo già parlato, preannunciandolo, a proposito della sub-holding Italia, evidenziando come il sistema bancarizzato del divieto di aiuti di Stato fosse stato rivisto accuratamente, con l'entrata in vigore dell'Unione bancaria ma ben dopo le "eccettuazioni" fruite da Germania e Francia, su misura per l'Italia fantozziana.

5. Ma una volta che la titolarità effettiva dell'indirizzo politico sia stata trasferita a mani estere, appunto in quanto proprietarie del capitale industriale nella cornice €uropea, fenomeni come questo non possono che costituire la normalità:
"La vicenda è presto detta: la Deutsche Bank spa, emanazione italiana del principale gruppo bancario tedesco, ha deciso di addebitare 24 euro e 32 centesimi, una tantum, ai circa 500mila titolari di conto corrente che ha nella Penisola. 
Come apprendiamo dalla lettera pubblicata nell'articolo a fianco, la comunicazione è stata inviata in gennaio e prevede, in caso di silenzio assenso, l'addebito a fine giugno. Salvo decidere di recedere. Tutto regolare. Anche la spiegazione: i costi dei conti correnti possono essere aumentati dalle banche a fronte di motivi che ne giustifichino l'innalzamento, tipicamente legati ai maggiori costi di esercizio. Il punto è che in questo caso i maggiori costi, effettivi, sono molto particolari.
Riguardano la partecipazione di Deutsche Bank al Fondo di Risoluzione presso la Banca d'Italia, l'autorità introdotta dalla direttiva Brrd (cosiddetta bail in) per effettuare i salvataggi bancari. Al Fondo partecipano, in ogni Paese dell'area euro, tutte la banche del sistema, in proporzione agli attivi. Quindi Deutsche Bank partecipa anche in Italia in proporzione alla sua spa. Il sistema così studiato - in estrema sintesi - permette appunto il «bail in», cioè che il salvataggio delle banche in difficoltà resti all'interno del sistema bancario («in»), senza interventi esterni pubblici («out»). Viene finanziato dal Fondo e, per gradi successivi, come noto, anche dagli azionisti stessi della banca, dagli obbligazionisti e se serve anche dai correntisti più ricchi (oltre i 100mila euro).
Le banche italiane sono state chiamate a versare al Fondo molti quattrini: non solo le annualità previste per 2015 e 2016, ma anche altre tre annualità anticipate, per un totale di 3,8 miliardi: tanto serviva per la «risoluzione» della crisi di Popolare Etruria, Banca Marche, Carichieti e CariFerrara a fine 2015. Per Deutsche Bank il conto è stato di 11,7 milioni (ordinario) più altri 13,3 milioni (straordinario). E l'istituto ha deciso di spalmare i contributi ordinari sui suoi correntisti.
La banca tedesca è comunque in buona compagnia, visto che una scelta analoga è stata effettuata da vari istituti in forme diverse (una tantum piuttosto che un aumento del canone annuo). Tra questi hanno ritoccato i costi Ubi, Intesa, Unicredit, Banco. Ma chi l'avrebbe mai detto?
Dai paladini del rigore e delle regole, il giochino di trasferire sui propri correntisti i maggiori costi sopportati per un'operazione prevista dal sistema suona male. Sul rispetto delle norme del «bail in» si continua a discutere molto in Europa. E i tedeschi restano schierati tra i più rigidi nel non consentire deroghe: chi sbaglia paga. 
Allo stesso modo, in Germania è forte la convinzione che sia da evitare qualsiasi forma di solidarizzazione europea delle «perdite», siano esse debiti piuttosto che sofferenze bancarie. 
Ma se alla prima prova dell'applicazione del bail in, la prima banca tedesca non accetta di accollarsi nemmeno il «minimo sindacale» previsto dalla direttiva, cioè il finanziamento del Fondo, allora c'è qualcosa che non funzionerà mai in questa Europa.
Alla fine, a ben pensarci, a pagare le crisi bancarie si trovano coinvolti non i correntisti delle banche fallite, ma tutti gli altri. Alla faccia del «bail in», questo è esattamente il sistema del «bail out». Con qualsiasi banca libera di decidere quanto e come far pagare".

5.1. E questo senza dimenticare che, anche se l'intervento di risanamento delle perdite degli istituti creditizi sia pubblico - e non autogestito dal sistema privato bancario-, per evitare il bail-in (mitigabile col burden sharing a carico di azionisti e obbligazionisti), comunque, i contribuenti pagheranno "in quanto" risparmiatori (e dunque, essenzialmente e inscindibilmente, "correnstiti" estranei alle insolvenze bancarie): perchè il "rientro" di questa spesa pubblica aggiuntiva farà sì che il loro reddito/patrimonio sarà ulteriormente diminuito dalla connessa austerità fiscale, fino al punto da rendere praticamente sicura l'intensificazione della tassazione patrimoniale, sullo stock del risparmio accumulato (e naturalmente azzerando ulteriori possibilità di risparmio delle famiglie): sia attraverso misure di aggravamento delle imposte già esistenti sui vari beni patrimoniali (e sono già tante e alte; v. bolli auto, prelievi sui titoli in deposito o "riforme" delle rendite catastali, o inasprimento dell'imposta di successione), sia attraverso l'imposizione patrimoniale straordinaria

6. Abbiamo dunque visto l'effetto politico-istituzionale della "estero-proprietà" del capitale sui risparmiatori, ma il fenomeno, nei suoi esiti, non differisce se prendiamo gli effetti sui rapporti di lavoro, e sul regime euro-imposto di mercato del lavoro.
In fondo, il meccanismo è lo stesso.
Sempre la Legge naturale del mercato agisce senza freni opponibili in base alle previsioni fondamentali della Costituzione fondate sulla eguaglianza sostanziale (art.3, comma 2). 
Infatti: la posizione del contraente debole, il cittadino italiano comune, è sottoposta al principio di mera eguaglianza formale delle posizioni contrattuali: se il proprietario del capitale vede compresse le sue aspettative di profitto, rende deteriore unilateralmente la remunerazione della controparte-cittadino. In virtù della eguaglianza contrattuale formale, (cioè de "il mercato"), il cittadino-parte debole può recedere, cioè andare da un'altra banca che, però, avendosi una situazione di omogeneo potere di posizione dominante oligopolistico, che domina tutta l'offerta nel sistema €uropeo, gli farà lo stesso identico trattamento
A sua volta, il cittadino-lavoratore, se non accetta la svalutazione salariale, impostagli dall'investitore estero-datore di lavoro, vedrà il contratto risolto (o in pratica il legittimo recesso del datore).


Ora, il processo di colonizzazione è compiuto: siamo ormai al di fuori dei semplici meccanismi "indiretti e informali" di controllo economico-politico propri dell'imperialismo, e invece di fronte al ritorno alla diretta dominazione formale-istituzionale di un popolo su un altro, seguendo proprio le definizioni di E. Hobsbawm (sempre qui, nota 1).

8. E infatti, contrariamente ad ogni logica apparente, e come già segnalato qui, p.11

Ue, verso un'Europa a due velocità. Gentiloni: "È necessario". Juncker: "Non è cortina di ferro"

Le implicazioni di questa "festosa" presa di posizione comune di parti che non sono affatto su un piano di parità, e che quindi non possono semplicemente, e in alcun caso, avere interessi convergenti, dovrebbero essere ovvie alla luce delle premesse qui svolte. 

E magari approfondiremo ulteriormente, una volta che l'evoluzione ultima della colonizzazione si manifesterà in forme di ulteriore vincolo sempre più concrete. Intanto, però, sappiamo che non si tratta più di un "pericolo", ma di un "fatto compiuto".

5 commenti:

  1. Per fortuna che sto a Gerusalemme: a questo punto mi sa che mi fermerò piuttosto a lungo.

    Almeno qui un muro su cui piangere c'è....

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    1. Mi ha sempre stupito l'enorme capacità di quel popolo di provare pietà per se stesso, fino a creare simboli rituali e monumentali, in quanto unita alla totale spietatezza verso gli altri

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    2. Bè, è ingegneria sociale dell'impero angloamericano di cui le loro stesse élite occupano i posti di egemonia più importanti.

      Lo facevano spietatamente anche durante la II guerra mondiale.

      Parliamo dell'elite che si è inventata la "giornata della memoria" per far dimenticare cosa realmente è successo.

      (E che ha promosso le baggianate degli utili idioti del negozionismo, creando la solita (non) dialettica tra ignoranti e insipienti)

      Teocrazia e nazionalismo su base razziale che i tedeschi dei "tempi d'oro" non si sarebbero mai sognati.

      La "questione israeliana" è una delle più evidenti manifestazioni di "materialismo storico": altro che conflitti religiosi.

      Esiste solo conflitto tra classi.

      E le questioni esoteriche appartengono ad un metalivello che non è di competenza del tempo umano della politica.

      Almeno che non si è un po' nazisti inside....

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  2. Qui ci sta una citazione di Gallino (La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi, Torino, 2003, s. p.): “Ma con un rapporto di tre a uno tra le acquisizioni estere in Italia, e le acquisizioni italiane all'estero, sono le imprese estere ad avere in mano le leve di comando sui nostri mercati, ivi compreso il mercato del lavoro, mentre le nostre, sui loro, hanno poteri minimi. La conclusione che appare lecito trarre da tali considerazioni è semplice. Il ciclo di cessioni a imprese estere, privatizzazioni e smembramenti di grandi gruppi, di cui abbiamo sopra riportato solo alcuni casi a titolo indicativo, ha concorso ad avvicinare l'Italia allo stato di colonia industriale.
    Magari relativamente prospera, eppur colonia. Nelle colonie, com'è noto, sono i governatori, nell'interesse dei paesi che rappresentano, a stabilire in quale direzione deve procedere, o arrestarsi, l'economia locale. Non i dirigenti o i lavoratori di questa.


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    1. Appunto, 2003.
      Quando era giustificabile che non avesse ancora compreso gli effetti accelerati della specializzazione selettiva in base ai vantaggi comparati, imposta dall'euro.

      Quando cioè, poteva ancora sostenersi che la colpa era nostra perché eravamo indietro con le riforme, "flessibilizzanti" e de-burocratizzanti, e gli investimenti innovativi (IRS) a causa delle insufficienti dimensioni delle imprese e bla, bla, bla (diciamo l'analisi uffciale di "regime", politico-mediatico-burocratico ancora dominante).

      Ma nel liberoscambismo "gold standard" (cioè l'euro), si realizza, appunto, l'ordine sovranazionale dei mercati, e quindi la forma più drastica e aggressiva di capitalismo sfrenato.

      Ed allora, il "RELATIVAMENTE PROSPERA" della (futura: siamo ancora nel 2003) colonia-Italia, non è mai stato realistico se riferito all'esito finale del processo di colonizzazione, inteso in senso istituzionale, e non "indiretto e informale" (cioè mera dominanza imperialista, cui l'Italia era "abituata" da decenni...)

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