domenica 30 luglio 2017

LA MACCHINA DEL PUDE HA UN BUCO NELLA GOMMA...

https://www.flashlyrics.com/image/tw/francesco-salvi/la-macchina-del-capo-95

1. Il titolo di questo post può essere anche meglio definito utilizzando il termine PUO (partito unico ordoliberista). Ma la "metrica" non sarebbe stata altrettando felice (rispetto al verso originale della nota canzoncina). 
Ai due commenti ho aggiunto dei links che consentono di richiamare nel loro pieno significato la portata del "buco" che i mandatari nazionali di ESSI non riescono a riparare...

A proposito di Ciampi (che non riuscivo a trovare): 
«Che poteri ha, quanta e quale sovranità possiede uno Stato, in regime di totale libertà dei movimenti di capitale? 
I mercati finanziari, i flussi di capitali determinano in misura significativa il prezzo del denaro, elemento fondamentale in una società moderna. 
Un paese, dunque, tanto più esercita la propria sovranità quanto più sa produrre il bene pubblico della credibilità e della fiducia (ndQ: v.sotto la voce Hazard Circular "und" scarsità di risorse)
Si tratta di un bene immateriale, che però è ben misurabile in termini economici e politici. La fiducia e la credibilità contribuiscono ad abbassare i tassi di interesse, a fare affluire capitali esteri e a far rimpatriare capitali nazionali fuggiti, ad apprezzare il cambio, a moderare l’inflazione. 
In un regime monetario intemazionale che si basa sulla libertà dei movimenti di capitale, produrre fiducia significa migliaia di miliardi in meno di spesa improduttiva nel servizio del debito, migliaia di miliardi di minori oneri debitori per le imprese, migliaia di miliardi in meno per la rendita finanziaria» (C. A. Ciampi, Un metodo per governare, Il Mulino, Bologna, 1996, pag. 15).

Gli stessi concetti esposti da Einaudi nel ’14. Impressionante questa imperterrita continuità. Ha ragione Berta a dire che per questa gente la storia dell’ultimo secolo è come se non fosse esistita.


Scorgo in effetti una coerenza esemplare in tutto ciò: e si basa sulla tecnica espositiva per cui mai e poi mai vengono presi in considerazione i costi (superiori) legati a questi (presunti) benefici (come inutilmente aveva ricordato Caffè). 
Peraltro, è tragicamente divertente come, in questi giorni, GLI STESSI CHE ANCORA SOSTENGONO QUESTE COSE (cioè i vantaggi di politiche rigidamente deflattive), si stiano pateticamente affannando a creare l'apparenza di una rinnovata sensibilità per "l'interesse nazionale".

Poiché questa "sensibilità" implicherebbe di tutelare l'interesse generale del popolo sovrano ex art.1 Cost. (occupazionale, salariale, di partecipazione politica pluriclasse), e non solo quello di pochi a percepire interessi reali positivi, in realtà STANNO SIMULANDO.
Mentre gli interessi reali positivi svaniscono (più che altro per la fine generalizzata della solvibilità nazionale sistemica), e la crisi bancaria è praticamente inarrestabile, - e mentre il rapporto debito/PIL dilaga, pur riducendosi l'onere degli interessi, sicchè si vuole intaccare, direttamente in sede UE, lo stock del risparmio (e non più solo il reddito)-, semplicemente non trovano più i vantaggi della perdita del "controllo" dell'offerta nazionale e dell'esclusione progressiva dall'appartenenza all'oligarchia di chi ha promosso questa "fiducia".

Insomma, la "credibilità" verso i "mercati finanziari" - incredibilmente proposta come esercizio della sovranità!- è un servizio a favore degli investitori esteri che, alla lunga, inevitabilmente, fa svanire i vantaggi della "complicità" per chi l'ha promossa: contro l'interesse di coloro che pure, deliberatamente mal informati e fomentati, avevano fornito (ai complici pro-investitori esteri) il consenso elettorale. si corre tardivamente ai ripari, quando ormai è lo stesso controllo mediatico ad aver perso gran parte della sua credibilità...

7 commenti:

  1. E il bello, diciamo così, è che uno dei fondamentali presupposti di questa nefasta ideologia, lo "spiazzamento" degli investimenti privati per opera della spesa pubblica, è tanto vecchio quanto falso: “Despite alarms raised by economists throughout the eighteenth and nineteenth centuries over the burden created by raising, and then increasing, the national debt, the British economy prospered and expanded. This vibrant growth occurred even as the ratio of the stock of national debt to the annual flow of gross domestic product rose sharply with each successive war. The evidence is clear that the periodic increases in the size of the British national debt did not ‘crowd out’ private investment, but were, indeed, associated with increases in the ratio of investment to GNP.” (L. Neal, How it all began: the monetary and financial architecture of Europe during the first global capital markets, 1648-1815, Financial History Review, VII (2000), pag. 125).

    Ma niente, a certe altezze rarefatte pare non ci sia verso che la verità arrivi e rimanga: toccherà riscoprire il saputo dopo l'ennesimo disastro.

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    1. Certo, stavano nel gold standard: cioè le guerre bisognava vincerle, per affermare il free-trade.
      Ma questa, semmai, è un'altra riprova che free-trade e gold standard non hanno nulla a che fare con la "pace": semmai con la forzata "pacificazione" delle popolazioni dei territori sottomessi.

      Poi sono arrivati i trattati fondativi delle grandi organizzazioni economiche internazionali e la guerra da affare militare è divenuto affare di finanza (pubblica per chi perde, privata per chi vince).

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    2. Ovviamente in quel periodo la Gran Bretagna, a casa sua, così free trade non lo era affatto:

      "In the late 17th century and 18th century, cheap high-quality Indian textiles competed with the domestic wool, linen and silk textile industry in Britain. These woolen, silk and linen textile producers demanded and were given import relief from Indian goods by tariffs and sumptuary laws in the early 18th century.

      These were some of laws passed to protect British industry:
      1685 – 10% import tariff on Indian goods;

      1690 – tariff doubled to 20%;

      1701 – First Calico Act, legislation banning imports of dyed, painted or printed fabric;

      1707 – British textiles manufacturers obtained further tariffs on Indian textiles;

      1721 – Second Calico Act, which further banned imports of Indian textiles.

      Britain’s textile industry was able to develop behind tariff barriers, and the home market started to develop a cotton textile industry. In fact, just before the industrial revolution, the tariff on Indian cotton goods imported into Britain had gone up to 50% (Alavi 1982: 56).

      [...]

      According to the conventional view, the technological innovations made British textiles cheaper and able to compete with Indian textiles both in the UK and in the global markets in the late 18th century.

      But this is not correct. The inventions of Kay, Hargreaves, and Arkwright did not make British textiles more competitive than Indian goods, and Indian goods were still of a finer quality. Even with the invention and gradual use of Crompton’s mule in the 1780s, British textiles still could not compete with Indian calicoes (Alavi 1982: 56).

      The producers were protected with more tariffs, and by 1813 the import duty on Indian cotton goods stood at 85% (Alavi 1982: 56).

      [...]

      British textile goods probably became internationally competitive by the mid 1820s (when tariffs were still in place). The British protectionism that lasted until the 1820s allowed British goods to become competitive
      ."

      Ma lo era a casa altrui: "This is not the whole picture either, because from 1757 the British East India Company (EIC) won control of Bengal, the centre of Indian textile manufacturing.

      The Indian states could not impose retaliatory tariffs on British goods in the early 19th century in response to British protectionism, because they were effectively ruled by Britain through the East India Company.

      After the successful decades of tariff protection and shelter from competition, British goods succeeded in global markets at the expense of India’s exports. Bengal and the textile manufacturers were ruined and the resultant de-industrialization impoverished the previously prosperous towns
      ".

      Ovvero l'interesse nazionale per qualcuno, il mercato per qualcun altro. Suona stranamente familiare...

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    3. È il principio changhiano dei "Bad samaritans", protezionismo selettivo a cui segue il benessere economico, poi ci si apre alla concorrenza del free trade, poi ci si pone come modello rispetto ai paesi arretrati e si da un "calcio alla scala"... certamente nell'ambito di un gold standard e senza moneta sovrana uno stato in difficoltà ha bisogno di moneta, così gli viene data a credito da FMI e Banca mondiale che "obbligano" il debitore ad attivare politiche free trade, come se queste fossero una garanzia di successo secondo il modello dei cattivi samaritani. Ma l'unica garanzia che puó dare un paese che si apre prematuramente al mercato è proprio quella di restare inchiodato al grado di colonia di mercato.
      Vogliate perdonare il semplicismo.

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  2. "Gli stessi concetti esposti da Einaudi nel ’14. Impressionante questa imperterrita continuità."

    Il pensiero economico di C. A. Ciampi non e' mai esistito e tecnicamente non ha mai avuto titolo alcuno per ricoprire cariche apicali in Banca d'Italia.

    Mi meraviglio che si arrivi a citare i suoi scritti economici: nulla vi si puo' trovare di originale se non la paccottiglia ordo-liberista (ripetuta senza comprensione) dei suoi 'mecenati'.

    Poniamoci infatti la seguente domanda: puo' diventare banchiere centrale un letterato oppure un avvocato?

    (Ciampi consegui' infatti la laurea in lettere e quella in giurisprudenza)

    Credo che il 99,99% delle persone interpellate risponderebbe: NO!

    Poniamoci invece quest'altra domanda: verra' ammesso a sostenere le prove di un concorso della Banca d'Italia (per 30 posti di assistente) un ingegnere disoccupato con oltre 35 anni di esperienza (di cui una decina da dirigente) che come titoli di ammissione al concorso puo' esibire 60/60 alla maturita' e 110/110 alla laurea?

    La risposta della Banca d'Italia e' stata: NO!

    Intelligenti pauca.

    Occhio alle date.

    Nell'ottobre del 1979 Ciampi fu nominato governatore della Banca d'Italia e presidente dell'Ufficio italiano dei cambi DOPO l'incriminazione del governatore Paolo Baffi e l'arresto del vice direttore Mario Sarcinelli (ambedue poi scagionati da ogni accusa).

    Ricoprì l'incarico fino al 1993.

    Ricevette, l'11 dicembre 1991, la laurea honoris causa in economia e commercio dall'Università degli Studi di Pavia.

    La successiva candidatura di Ciampi al Quirinale fu proposta dal MSI di Giancarlo Fini (dopo che la sua proposta passo', dopo la sorpresa iniziale, di stretta misura alla direzione MSI).

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  3. Io aspetto che di questo si accorgano i miei conterranei massacrati dai "fallimenti" di VB è BPVI. Ma da quello che ho capito, questi aspettano l'invasione tedesca. Se potessi ritirarmi in Abruzzo dai suoceri (piccoli imprenditori che si fanno il *ulo e stanno morendo di stretta bancario e morte dell'immobile) gliel'augurerei. Magari si svegliano come si svegliarono i miei bis-nonni partigiani.
    Piccolo aggiornamento: pare che la marea montante degli spossessati sia stata arginata da un murazzo di mandati alle liti "per punire la mala gestio". Sarà che il principe del foro di qui (scappato a Malta, Ca va sans dire) ha scritto nel 2012 un libro titolato "Mala gestio"...era l'avvocato di VB.
    Comunque sia, vedere la classe forense di qui mi ha insegnato una cosa: l'egemonia culturale permette davvero di fare miracoli. Al costo fisso di qualche giornalista prezzolato si è creato un sistema in cui, autonomamente, attori indipendenti agiscono di concerto col sistema "semplicemente" seguendo lo schema memico dominante. Se i posteri saranno liberi, guarderanno alla grancassa mediatica con la terrorizzata ammirazione con cui noi guardiamo il meccanismo dei lager.

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  4. P.s.: la nascita di Forza Europa permette di individuare "frattalicamente" Farinacci, no?

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