giovedì 21 settembre 2017

"TIMO" CATALUNYA...ET DONA FERENTES (festosamente all'autodistruzione: ma non delle elites locali).


1. La "lotta" di cui si devono evitare i segni, stra-ovviamente, è quella con L€uropa delle macroregioni in cui dissolvere gli Stati nazionali. 
QED in diretta sincronica ital-€uropeista:


2. Sul punto macroregioni, loro essenza, e DICHIARATE finalità, da rileggere questi due post:

A) L'ATTACCO FINAL€ ALLA SOVRANITA' DEMOCRATICA: LE MACROREGIONI (zitti, zitti, nella "notte" delle Costituzioni democratiche...la "grande società" avanza)

B) MACROREGIONI E "BEST PRACTICE" (irish-way) ALL'INTERNO DELL'AREA EURO: MA SIETE SICURI?

Sintesi (dei due lunghi post, corredati dalla illustrazione della enorme mole delle fonti dirette L€uropee, già emanate "a vostra insaputa"): 

"...le macroregioni trovano il loro senso, - come risulta evidente dalla procedura di proposta e approvazione, rigidamente controllata dalle istituzioni UE all'interno (sicuramente per quanto ci riguarda) della moneta unica-, nel divenire un sistema di attuazione accelerato del modello economico dell'euro

In questo quadro strategico (intrisencamente tecnocratico), che tende ulteriormente a forzare l'applicazione dei trattati, aggirando le resistenze di Stati nazionali e relativi parlamenti, le macroregioni servono essenzialmente a evitare di dover dare soluzione ai problemi di mutamento dell'assetto europeo. 
Ed infatti, oltrepassano a livello ideologico-culturale, fondato su una neo-etnia condivisa e "contro" le identità nazionali di provenienza, i problemi di asimmetria dell'eurozona. 
Insomma, implicano un'accettazione idealistica, tanto labile quanto facile da suscitare, in nome della dissipazione delle nazionalità, identificate, senza alcuna coerenza con la realtà delle vicende dell'eurozona, con gli Stati "oppressori" e "tassatori". 
Esse possono quindi contare su un (ben noto) serbatoio propagandistico internazionalista e, al tempo stesso localista, tipico dell'attacco dispersivo delle sovranità democratiche portatrici del welfare.
Ottenuta l'adesione fideistica delle comunità interessate all'accordo autorizzato da Bruxelles (e già la contraddizione dovrebbe essere un campanello d'allarme), le macroregioni creano, a livello sub-statale (e simultaneamente internazionalizzato) una coesione competitiva, inevitabilmente diretta a prevalere, cioè ad affermare la propria supremazia economico-commerciale, sulle aree e regioni non incluse nel patto, in perfetta aderenza alla logica mercantilista e liberoscambista che inevitabilmente caratterizza lo scopo essenziale di rimodellamento sociale della moneta unica
...
Ma l'innesco della suddetta suggestione "ideale" non tiene conto degli effetti concreti che subiranno le relative comunità, proprio perchè il sistema, diretto e monitorato da Bruxelles, non può differire da quello attualmente vigente, di cui, invece, costituisce un'evoluzione accelerativa ulteriore.

La grande contropartita che viene offerta è essenzialmente psicologica, almeno per le masse "elettorali": la direzione delle operazioni è sì affidata a Bruxelles ma depotenziando radicalmente ogni voce in capitolo dello Stato nazionale.  La prospettabilità di un tale vantaggio è vera quanto è vera la vulgata che gli Stati nazionali siano di ostacolo alla efficienza dei mercati e che il libero gioco di questi sia la panacea di tutti i mali. Che è poi un altro modo di considerare vera la spiegazione per cui il problema italiano sarebbero il debito pubblico, la casta, la corruzione e la spesa pubblica improduttiva.

Ciò presuppone che all'esistenza dello Stato, ed alla sua residua (molto poca) sovranità, sia attribuibile la responsabilità della crisi economica e delle difficoltà di sviluppo dell'area interessata, in un deliberato processo di rimozione della realtà dell'intera area euro, - basti dire che, tranne la Germania, solo i paesi UEM hanno persistenti difficoltà di crescita, ma non quelli dell'UE che non sono parte dell'area euro.
...
L'assetto che si registrerebbe nelle macroregioni è facilmente prevedibile: spostando su questo governo privatizzato e localista (per quanto allargato) la responsabilità di determinare l'assetto del mercato del lavoro, ed in genere, il co-governo transnazionale della parte essenziale dell'economia, si imporrebbe la immediata (anzi, istantanea) attuazione della correzione dei CLUP e quindi dei livelli salariali "relativi" dell'area interessata, in ogni sua parte "componente"

In altri termini, le aree italiane (partecipanti alle varie macroregioni), ove poste a diretto contatto con altre aree "core", dovrebbero necessariamente devolvere alle istituzioni macroregionali, che provvederebbero in forma di accordi deliberativi che bypassano ogni competenza costituzionale e legislativa nazionale, il potere di imporre l'immediata correzione dei livelli salariali che risulti determinata dalla rilevazione delle "pratiche virtuose" della regione più competitiva coinvolta nell'accordo. 

L'aggiustamento quindi sarà in partenza asimmetrico, potendo NON esserlo solo in caso di precedente convergenza assoluta dell'andamento del CLUP e dell'indice di competitività dei rispettivi "ambiti regionali" interessati. 

L'urgenza irrinunciabile corrisponde ad una correzione che sarebbe altrimenti impossibile, nella stessa misura e tempistica, a livello dell'intera area euro, se non altro perchè gli Stati che la realizzassero integralmente nella misura "voluta" dall'€uropa rischierebbero il collasso (anche se Irlanda e Portogallo, per non parlare della Grecia, hanno attuato le correzioni in misura quasi integrale, non riuscendo certo a risolvere "l'enigma" delle crescita stabile ed effettiva: naturalmente non cercate di capirlo in base a quanto vi dicono i media italiani). 
O comunque la correzione gestita dagli Stati,  può agire solo in un periodo molto più prolungato (come sanno gli italiani, i greci, i portoghesi e gli spagnoli che emigrano in Germania attualmente).
...

La Confindustria, ancora nel 2014, parla di una correzione salariale, di recupero della competitività, nella misura del 20%: opportunamente, in questa direzione, la macroregione, col suo "piano di azione" teleguidato da Bruxelles, potrebbe realizzare "d'imperio", cioè in via normativa obbligatoria per le popolazioni interessate, sancita dal suo organismo associativo "privato", dei tagli netti delle retribuzioni nelle misure che, adattate alle specifiche realtà macroeconomiche interessate, le riportino appunto sul livello della "best practice" dell'area appartenente al paese più competitivo (cioè che ha svalutato maggiormente il proprio tasso di cambio reale) che si è associato nella stessa macroregione.

La domanda interna e le strutture industriali dell'area aderente, che si trovi a subire questa correzione, si troverebbero in una situazione "greca", o al più irlandese Questo l'esito più certo e inevitabile delle macroregioni, ove attuate nei settori che darebbero senso all'operazione - e non il carattere di ulteriore sovrapposizione di entificazioni di governo più o meno (macro)locale. Macro-locale ma, con certezza, fortemente centralizzato e, programmaticamente, autoritario (in quanto coessenzialmente orientato alla competitività sul costo del lavoro).
...

Le implicazioni sarebbe molte: dalla insostenibilità di un sistema sociale integrato, plurinazionale, che si basi esclusivamente sulla esportazione-competitività, al costo fiscale che la inevitabile caduta della domanda interna imporrebbe in termini di minor base imponibile, in situazione di obbligatorio pareggio di bilancio -immediato e senza mediazioni- e di invarianza delle precedenti risorse pubbliche (che comunque diminuirebbero), fino alla depatrimonializzazione delle attività aziendali e immobiliari, soggette, come tali, all'acquisizione "agevolata" dei famosi investitori esteri.
Naturalmente, come sta accadendo di fronte alla evidenza offerta dal complesso delle folli politiche €uropee, tutto quanto qui sinteticamente illustrato non verrà "creduto": si crederà alla immaginifica efficienza dei mercati ed al fatto che, "dentro l'euro noi ce la possiamo fare"...Andando festosamente all'autodistruzione. Autodistruzione delle "masse" e non delle elites, localistiche e estero-investitrici, per cui, invece sarebbe un autentico "banchetto"

3. Però, però...se quella che precede è la sintesi (di una pletora ingovernabile, per l'intelligenza umana, delle elucubrazioni cosmetiche sponsorizzate da ESSI), relativa alla STRUTTURA cui aspirano le macror€gioni, val bene la pena di fare un piccolo cenno alla "sovrastruttura" ideale e pseudo-culturale (chiedere a Soros...), che costituisce l'alimentatore del consenso (disinformato) indispensabile a realizzare questo (senza dubbio) brillante disegno. Anche in questo caso traggo e sintetizzo, apportando alcune precisazioni (spero) chiarificatrici, da un precedente ciclo di post sul tema "federalismo & indipendentismo" e relativa soluzione "geniale" del conflitto tra oligarchie e massa di "perdenti" (inutile che ne ri-consigli la ri-lettura):

"Insomma, anche l'etnia è, in definitiva, un'invenzione culturale umana, che, come per tutte le ipostatizzazioni sociali (cioè le sintesi assunte come "certezze di giudizio"), è facilmente rappresentabile come espressione di rapporti di forza: l'identità etnica è genericamente riferibile, più che ad omogeneità razziali, culturali o linguistiche –  che, come abbiamo visto, sono scientificamente non discriminabili –  a omogeneità di carattere “contrappositivo”.
Il gruppo sociale trova i propri confini e, quindi, la propria identità, nel momento in cui condivide un “nemico” – un competitor! – comune: scegliete voi dagli innumerevoli esempi degli ultimi decenni, in Italia, e sempre rammentando cosa dice Rodrik sul divide et impera su cui prosperano le elites liberoscambiste (qui, p.4). Come le classi sociali sono prodotte dal conflitto distributivo, così lo sono anche le sovranità nazionali e le entità politiche autonome in genere.
...Va peraltro aggiunto che il conflitto distributivo costituisce (comunque, in ogni periodo storico: per lo meno successivo all'instaurarsi della civiltà "agricola") il naturale esplicarsi delle dinamiche di gruppi sociali  a interessi differenziati, in ragione della "proprietà" (la Chiesa ha tanto da insegnare - alle elites contemporanee- su questo), ma gruppi coesistenti in modo continuativo su un territorio avente caratteri geo-morfologici tendenzialmente comuni, o, volendo essere precisi, "accomunanti"; e, dunque, naturalisticamente interagenti fra loro, al punto da potersi riscontrare un comune patrimonio linguistico e culturale.
Infatti, la prossimità  e la conseguente interconnessione di insediamenti, appunto caratterizzati da vicinanza fisica, rileva in funzione della consistenza del periodo storico in cui si struttura un "vincolo geografico" tra gruppi
Ovviamente ciò vale a certe date condizioni storiche di struttura economica e di conoscenze scientifiche - che determinano i mezzi di trasporto disponibili e la tipologia ed estensione di infrastrutture comuni come strade, ponti, centri di accoglienza e di stoccaggio per i mercanti in viaggio, etc.: queste condizioni promuovono e determinano- in modo variabile storicamente- l'ampiezza e la stessa omogeneità del vincolo geografico tra gruppi sociali.  Inoltre, pur ottusamente trascurate, nei nostri giorni di predominio dell'irrazionale neo-liberista e antistatalista, fondamentali risultano le condizioni organizzative e istituzionali comuni, da cui, in definitiva, dipende lo stesso avvio di ogni processo sia di avanzamento scientifico che di infrastrutturazione. Si pensi alla cesura tra medio-evo e epoca dell'Impero romano d'Occidente, in termini di diversa crescita delle condizioni di benessere generale, e di diffusione di conoscenze e tecnologie poi andate, appunto, perdute durante l'antistatalista anarchismo feudale.
...
Questo insieme di caratteri, storicamente contigenti, possono tuttavia essere "percepiti" come costanti, in termini di memoria collettiva, per varie generazioni vissute all'interno di quel territorio, plasmando i contatti e la comunicazione intragruppo. Si generano così prassi o "costumi", che, attraverso lo spontaneo rafforzamento del mezzo di comunicazione per eccellenza, il linguaggio - divenuto segno identificativo attraverso la "lingua"- fa assurgere naturalmente il frequente spostamento di "contatto" (con altri gruppi territorialmente localizzati: ma sempre in modo storicamente variabile) a autorappresentazione di una comune memoria culturale. 
Lingua e interazioni condivise, divengono memoria collettiva attraverso forme di narrazione culturale: musiche, canti, balli, credenze e celebrazioni ritualizzate, si sedimentano rispetto al gruppo che vive su quel territorio, fino alla elaborazione di una "letteratura" che codifica quella lingua e gli eventi "significativi" di quella memoria collettiva.
La precisazione appena fatta è un richiamo alla "effettività" del legame linguistico-culturale: questa effettività è, per definizione, relativa e mutevole nel tempo. Solo che risulta (intellettualmente e psicologicamente) difficile percepirlo nell'ambito di una singola generazione e, facilmente, si cade nella staticità identitaria: con grande soddisfazione delle elites, cosmopolite (qui, p.2), che godono dei frutti della strumentalizzazione di tale autopercezione statica (e torniamo sempre a Rodrik, sopra linkato).
Le "date" conoscenze scientifiche e tecnologiche, infatti, influiscono, in modo direttamente proporzionale alla loro velocità di mutamento, sul tipo di struttura economica e di comunicazione, che caratterizzano un gruppo territoriale: e questo include la (progressiva modificazione della) lingua.  Le predette condizioni (tecnologico-scientifiche e quindi proprie della trasformazione sociale capitalista) e la loro (variabile) velocità di cambiamento, quindi, influiscono anche sui caratteri sociali aggregativi in precedenza caratterizzanti un certo territorio "omogeneo": ma influiscono, appunto,  evolvendole in forme la cui portata può sfuggire all'interno della percezione propria di una vita umana
Questo mismatching o "time-lag", tra percezione dei singoli individui (interna alla durata della singola esistenza) e portata "sfasata" del ciclo di mutamenti strutturali, può dar luogo a forme "identitarie" coesistenti e, spesso, confliggenti tra loro, in funzione di fattori psicologici collettivi: il "nuovo" crea e distrugge e il bilancio (di benessere) dei più può risultare negativo. 
La spinta "conservativa" della memoria linguistico-culturale precedente, può essere tanto più forte quando più una forma "unificatrice" di struttura economica, tipicamente il capitalismo, si manifesta con la sua straripante capacità produttiva e di innovazione.
Questa forma di organizzazione sociale e politica "capitalista" (che oggettivamente ci troviamo oggi a fronteggiare, nella sua stessa evoluzione e contraddittorietà) è per definizione fortemente capace di instaurare assetti sociologici di produzione ben definiti (con la divisione del lavoro), dando luogo a forme politiche a sé convenienti, che contrassegnano il territorio, qualunque territorio, in funzione delle esigenze dei rapporti di forza dominanti così instaurati. 
Ma questi "nuovi"  rapporti di forza affermati dal capitalismo, dovrebbe essere intuitivo, non necessariamente, anzi quasi mai, coincidono con quelli delle precedenti comunità territoriali caratterizzate dalle diverse, e più antiche (obsolete, secondo il nuovo paradigma) condizioni sociali comunitarie, sempre coincidenti con una, altrettanto ingannevole, fase agricola "arcadica" intessuta della nostalgia - ideologicamente propagandata- di una perduta felicità agreste che era, invece, la dura realtà del servaggio della gleba e del latifondismo: variano in modo decisivo le condizioni di conoscenza scientifica (sistema di istruzione e formazione), di produzione e scambio (organizzazione del lavoro e infrastrutture) e le modalità di insediamento conseguente (polarizzazione su centri produttivi pianificati, rispetto all'insediamento agricolo "diffuso"). 
...
Questa precisazione ci è parsa utile per meglio comprendere il passaggio del post che precede, relativo alla generazione di un carattere contrappositivo (autodifensivo) del demos, una volta instaurate, dall'evoluzione dei rapporti di produzione, certe condizioni di forte e incompatibile mutamento strutturale (e culturale).
...
Il "nuovo", quindi, riflette anch'esso, come già il passato idealizzato agricolo-feudale, l'affermazione di interessi prevalenti e normalmente contrapposti a quelli della maggioranza, all'interno della comunità. E  ciò anche quando, come spesso, anzi per lo più, si verifica, questi nuovi interessi nascano da un'azione "innovativa" che si produce dall'interno della comunità "linguistica" medesima.  
Da aggiungere. Il tratto comune tra il passato (arcadico) idealizzato e i nuovi assetti della produzione, è tuttavia qualcosa di enormemente gradito alle elites capitaliste, specialmente quelle di scuola Hayekiana: l'implicito consolidamento delle GERARCHIE consentito dal comunitarismo ideale, propagandato come "coagulante", sebbene contro la stessa realtà del passato rinarrato dai "centri di irradiazione" del potere economico. Da questa disomogeneità di interessi ed effetti, interni alla comunità "etnica" precedentemente identificabile, e promossa da forze (dominanti) espresse dalla stessa comunità, va naturalmente differenziato il caso eclatante del mutamento indotto dalla guerra di conquista coloniale, in tutte le sue forme, "moderne" e più recenti. 
Ma anche qui, tra rivendicazione a trazione elitaria (ben dissimulata) del "localismo" e colonizzazione, si ravvisa un tratto comune, proprio del liberismo, formalmente territoriale ma sostanzialmente e sempre, "cosmopolita": in termini di stabilità della conquista, "nessuna forma (moderna) di colonialismo" (che non sia debellatio militare e sterminio con sostituzione etnica, cosa in cui pure "eccelle" una non lontana vocazione germanica), "è possibile senza la cooperazione delle elites locali". ...la conquista coloniale è quella operata da un gruppo vivente su un distinto territorio, avente una distinta lingua e tradizione culturale, e tesa ad instaurare uno stabile e unilaterale assetto predatorio delle risorse del gruppo territoriale assoggettato, che viene controllato da un governo che:  a) è situato, nel suo vertice decisionale, nel territorio del gruppo dominante (come nel caso di Bruxelles rispetto alle macroregioni...);  b) esclude istituzionalmente la partecipazione di esponenti del gruppo assoggettato a ogni forma di governo e di determinazione dell'indirizzo politico (idem come sopra).
Insomma, (al di fuori del caso del colonialismo, e peraltro solo tendenzialmente), parlare una lingua o un dialetto comuni non elimina il fatto che alcuni - pochi e autoproclamatisi "legittimati" al di sopra delle vecchie "prassi e usanze"-, in quanto divenuti capaci di dirigere l'assetto sociale, si avvantaggiano a danno di altri che, pur condividendo lo stesso idioma (e una certa tradizione territorial-culturale), subiscono le decisioni dei primi
4. Per concludere questa lunga sintesi (di tanto materiale e copiose fonti), mi rifaccio al succo del discorso che è riassumibile in questo passaggio di Lelio Basso (se non cogliete le evidenti correlazioni con tutto quanto precede, a mio modesto avviso, siete messi male, a meno che non facciate parte dell'oligarchia: ma in tal caso, coglierete benissimo e avrete anzi tutto l'interesse, molto personale, a negare l'evidenza):
“…penso che la battaglia per la democrazia nei singoli paesi debba essere prioritaria rispetto ai fini federalisti…ci sono cose che vanno, secondo me, profondamente meditate. A me, se così posso dire, la sovranità nazionale non interessa; però c’è una cosa che mi interessa: è la sovranità democratica... Nella Costituzione abbiamo scritto, nel primo articolo: “L’Italia è una Repubblica democratica”; poi abbiamo aggiunto quelle parole forse sovrabbondanti “fondata sul lavoro”; e poi abbiamo ancora affermato il concetto che la “sovranità appartiene al popolo”

Sembra una frase di stile e non lo è. Le costituzioni in genere hanno sempre detto “la sovranità emana dal popolo” “risiede nel popolo”; ma un’affermazione così rigorosa, come “la sovranità appartiene al popolo che la esercita” era una novità arditissima. Contro la concezione tedesca della “sovranità statale”, di quella francese della “sovranità nazionale”, noi abbiamo affermato la “sovranità popolare” quindi democratica. A questo tipo di sovranità io tengo[37]. La sovranità costituzionale è tutto.
(L. BASSO, Consensi e riserve sul federalismo, L’Europa, 15-30 giugno 1973, n. 10/11, 109.118).

57 commenti:

  1. "Non esiste una definizione univoca del termine Macro-regione[...]".

    Riccardo Seremedi20 ottobre 2013 22:55

    "Non esiste una definizione univoca del termine Macro-regione[...]".
    “Cara Laura Berionni, la definizione invece esiste e ce la fornisce proprio la Commissione Europea: "la macro-regione è un'area che include territori di diversi paesi o regioni associate da una o più sfide e caratteristiche comuni[...] geografiche, culturali, economiche o altro (European Commission, 2009: 1 e 7).
    Si tratta di un subdolo tentativo di svuotare ulteriormente sovranità democratiche già
    periclitanti, inserendo un nuovo elemento di "governance" collocato tra lo Stato
    nazionale e la comunità sovranazionale; tutto ciò configura una strisciante strategia
    tesa all'europeizzazione forzata, mutando strutture territoriali pregresse per arrivare -
    in definitiva - ad uno sfaldamento degli Stati così come li conosciamo; il professore
    svedese Rikard Bengtsson dell'Università di Lund ha parlato di "community challenge", considerando la macro-regione come una forma di neo-regionalizzazione
    dell'UE (intra-regionalizzazione).
    Un ottimo working paper di Andrea Stocchiero del CeSPI dà una visione più realistica del nuovo luciferino marchingegno targato CE. La reperibilità delle risorse finanziarie, al di là di una generica riallocazione di fondi comunitari già esistenti, dovrebbe (c'è da dirlo?) arrivare da Istituzioni Finanziarie Internazionali, con la distribuzione che non avverrebbe su base distributiva nazionale ma in seguito a un "processo competitivo" - ergo deflazione, deflazione e ancora deflazione - con la governance che spetterebbe (c'è da ridirlo?) alla CE con un "soft power", essendo un "impartial honest broker" e altre fregnacce assortite.
    Se la creazione di una macro-regione ha il compito di snellire, coordinare e ottimizzare gli obiettivi da raggiungere e realizzare mirati "flagship projects" concreti
    e tangibili, sembra che nel caso Baltico si siano avute diverse difficoltà: la Commissione ha aperto una consultazione che ha ricevuto 110 contributi scritti da
    diversi organismi dell'area. Secondo Carsten Schymik e Peer Krumrey la Commissione ha discusso circa 750 proposte, elaborando alla fine un piano di azione "ampio, complesso e non sufficientemente focalizzato", creando "un'altra etichetta per una cooperazione già esistente". Nonostante tutto, lo scorso luglio, il Commissario per la Politica Regionale Johannes Hahn ha presentata la prima relazione della CE sulle due strategie macro-regionali dell'UE: Strategia UE per la Regione del Mar Baltico (EUSBSR) e la Strategia UE per la Regione del Danubio (EUSDR), definite un modello virtuoso di cooperazione volto a sfruttare il potenziale delle macro-regioni e a superare le barriere che ne ostacolano lo sviluppo, presentando obiettivi e progetti che sarebbero realizzabili anche con normali canali di cooperazione ma tant'è, l'importante è che i cittadini europei sappiano che ci sono tante "opportunità di crescita" e che i media insistano sul punto. Ce n'è per tutti, dalla Serracchiani passando per Maroni e Zaia che a Grenoble, a margine della Conferenza, ha dichiarato: "La Storia di un'Europa che non ha confini mummificati, la Storia che, come diceva George Lukacs, sarà l'Europa dei Cantoni. E questi Cantoni nascono con queste macroaggregazioni che sono legali, ricordiamolo ai cittadini, e che sono la condivisione di una strategia. Gli Stati nazionali hanno fallito, le aggregazioni, quindi
    le macroregioni no". Ciao, core!”

    http://orizzonte48.blogspot.it/2013/10/lattacco-final-alla-sovranita.html?showComment=1382302505133#c8127692651762079578

    RispondiElimina
  2. Cito dall'ultimo post di Dezzani:

    La teoria della scomparsa degli Stati nazionali, cannibalizzati dall’Unione Europea e dalle macroregioni, è esplicitamente illustrata nel libro “Per l’Europa! Manifesto per una rivoluzione unitaria”, opera degli euro-parlamentari Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit. Secondo i due autori, ferventi europeisti4:

    “Gli Stati nazionali non servono più a niente, perciò è ora di voltare pagina e inaugurare la federazione europea, ovvero gli Stati Uniti d’Europa. (…). L’Europa federale è il cammino per proteggere la nostra sovranità e preservare il nostro modello sociale in un mondo dominato da imperi come Usa, Cina, India, Russia e Brasile (…) Ma cos’è in pratica la federazione europea? Il discorso è lungo, ma si può riassumere così: lo Stato nazionale (Roma, Berlino, Parigi e così via) viene scavalcato sia verso il basso, valorizzando ad esempio il ruolo degli enti locali e delle regioni, che verso l’alto, con la delega di tutta una serie di competenze a Bruxelles, come la politica estera, la difesa e, appunto, la politica economica. Una delle critiche che vengono mosse più spesso all’Euro, infatti, è di non avere uno Stato unitario dietro. Ecco che la federazione europea colmerebbe esattamente questa lacuna.”

    RispondiElimina
  3. Le macroreagioni europee: realtà e prospettive. Adattamento di testi ufficiali dell'Unione europea da parte di Antonella Olivieri In sigla si chiamano GECT, Gruppi Europei di Cooperazione Territoriale; introdotte nel 2006 e operative dal 2007, le macroregioni sono state istituite per risolvere le problematiche incontrate dai Paesi nella cooperazione alle frontiere. I GECT sono strumenti dotati di personalità giuridica, che nascono con l'intento di agevolare e promuovere la collaborazione sui confini e coordinare le azioni dei diversi livelli di governo (Unione europea, Stati membri, Enti e Autonomie territoriali), valorizzando il senso di appartenenza che si è diluito dal dopoguerra ad oggi, anche a causa della globalizzazione. Le macroregioni possono essere composte da due o più territori collocati in diversi Paesi e hanno il compito di affrontare problemi comuni: salute, politica dei trasporti, energia, economia interna, turismo e politiche occupazionali e sociali. La loro struttura non pregiudica la responsabilità finanziaria delle autorità regionali e locali, né quella degli Stati membri. In tutto ad oggi sono 37. L'Italia è coinvolta in cinque di queste: AlpiMediterraneo, Tirolo-Alto Adige-Trentino, Arcimed, Alpe Adria e la neonata macroregione Alpina. Ad oggi, la Commissione ha attivato due diverse strategie macro-regionali: la Strategia UE per la Regione del Mar Baltico (EUSBSR) [1] e la Strategia UE per la Regione del Danubio (EUSDR) [2]. Il Consiglio Europeo ha inoltre invitato la Commissione a presentare una Strategia UE per la regione Adriatico-Ionica (EUSAIR) entro la fine del 2014. La macroregione Alpina è stata istituita il 18 ottobre 2013 con la firma a Grenoble della risoluzione sulla 'Strategia dell'Ue per la Regione Alpina'. Emma Bonino, Ministro degli Esteri, e i suoi colleghi di Germania, Austria, Francia, Slovenia e i rappresentanti di Svizzera e Liechtenstein hanno dato il via ad una macroregione che, se tutto andrà per il verso giusto, dovrebbe essere tra le più ricche d'Europa, visto che i suoi territori provvedono a una buona percentuale del PIL italiano e di quello europeo. Il 1 luglio 2013, data che segna l’ingresso della Croazia nell’UE, il Commissario per la Politica Regionale Johannes Hahn ha presentato la prima relazione della Commissione sulle due strategie macro-regionali dell’UE. Entrando nel dettaglio di quali sono stati e sono gli obiettivi politici ed ideologici che hanno portato alla creazione di queste macroregioni europee, l'austriaco Johannes Hahn, Commissario europeo per le Politiche Regionali dal 2010, spiega: “Credo che questo strumento di cooperazione territoriale abbia un ruolo rilevante nell'attuazione della strategia Europa 2020, che ha come obiettivo primario la crescita e la promozione della competitività e della sostenibilità nelle regioni dell'Ue. Ė unico nel senso che coinvolge diversi livelli istituzionali e perché più Stati sono coinvolti in un'unica struttura cooperativa volta a fornire servizi alla comunità, senza dover incorrere in accordi internazionali. Si tratta di un vero e proprio esempio di 'governance multilivello' in cui le macroregioni europee sono il timone principale per mettere in atto misure politiche comuni nel loro territorio”. “L'impostazione macroregionale ha inoltre permesso la creazione di reti di cooperazione, il lancio di numerose iniziative congiunte e l'adozione di decisioni politiche a livello collettivo. La relazione spiega come la cooperazione tra gli Stati membri dell’UE e i paesi terzi limitrofi sia stata significativamente rafforzata, permettendo così un uso più efficiente delle risorse disponibili”.

    RispondiElimina
  4. a strategia UE per la Regione del Mar Baltico (EUSBSR) è stata adottata dal Consiglio Europeo nel 2009 e raggruppa otto Stati membri (Svezia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania e Polonia), uniti dalla comune necessità di affrontare sfide specifiche attinenti alla regione, con un’attenzione particolare per la situazione ambientale del Mar Baltico. La strategia, oltre ad essere aperta alla cooperazione con i Paesi vicini (Russia e Norvegia), si suddivide in tre obiettivi principali: salvaguardare il mare, collegare la regione e accrescere il benessere dei cittadini. Le tre priorità di intervento si traducono poi in una serie di progetti chiari e ben definiti, come ad esempio: Baltic Deal (che riunisce gli agricoltori locali con l’obiettivo di accrescere le loro competenze in merito alle pratiche agricole sostenibili), EfficienSea (volto a trasformare la regione del Mar Baltico in una regione pilota per l’”e-navigation”), Baltic Manure (progetto che permette di produrre energia rinnovabile e fertilizzanti biologici a partire dal letame) e BSR Stars (che mira ad accrescere la competitività regionale mediante la creazione di legami transfrontalieri per ricerca e innovazione). [2] La strategia UE per la Regione del Danubio (EUSDR), adottata nel 2011, raccoglie nove Stati membri dell’UE (Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Bulgaria, Romania e Croazia) e cinque Paesi extra-UE (Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Ucraina e Moldavia) attorno al comune obiettivo di trovare una risposta congiunta alle numerose sfide che interessano una macro-regione che si estende dalla Foresta Nera al Mar Nero, e che conta più di 100 milioni di abitanti. Tra i progetti che rientrano nella strategia, si possono ricordare: il completamento del ponte Vidin-Calafat tra Bulgaria e Romania, il progetto Danube Shipwreck Removal (volto a rimuovere i relitti navali dal Danubio), il Business Forum della regione del Danubio (che rappresenta per oltre 300 PMI un’occasione unica per stabilire nuovi contatti commerciali) e Danube floodrisk (progetto contro i rischi di inondazione che promuove forme di cooperazione tra 19 istituzioni in ben 8 Paesi della regione). La relazione della Commissione sul valore aggiunto delle strategie per le regioni del Baltico e del Danubio dimostra con chiarezza come queste ultime abbiano promosso una più stretta collaborazione tra tutti i Paesi partecipanti, dunque anche quelli extra-UE

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Faccio notare un particolare della neolingua (n)europeista :i problemi da risolvere vengono chiamati "sfide":perchè un termine "bellicoso"?Non vogliono solo ubbidienza ,i europeisti pretendono "entusiasmo"

      Elimina
  5. Mi par di capire che a questo punto i paesi del sud sarebbero, ognuno a modo suo, una serie di "laboratori".+
    La Grecia -ormai ridotta di fatto a un "governatorato generale"- sarebbe il banco di prova della sottomissione ottenuta per vie finanziarie;
    La Spagna -che soffre la presenza di separatismi molto robusti con profonde radici etniche e storiche, come quello catalano e basco- sarebbe il banco di prova del passaggio dallo Stato nazionale alle cosiddette "macroregioni" (anche se, contra, va registrata la posizione formale assunta dall'UE a favore del governo di Madrid).
    L'Italia, è il banco di prova della tenuta sociale a fronte dell'immissione a tappe forzate di numerosa "manodopera di riserva", via immigrazione (nella gestione della quale rimaniamo di fatto soli e con le accuse francesi di trattare con i trafficanti).

    Ho capito bene o mi sfugge qualcosa?

    RispondiElimina
  6. Bè, direi che siamo al redde rationem con la Lega: o con Miglio, o contro Miglio.

    Salvini avrà la coscienza o, quanto meno, l'istinto politico di rivoluzionare l'ideologia neoliberista e schmittiana dietro al federalismo e al secessionismo leghista? Evviva lo sbrego?!

    Riuscirà a capire il senso della bassiana autodeterminazione dei popoli? riuscirà a capire la differenza tra demos ed ethnos? tra Stato nazione, feudo, colonia? tra lotta per l'unità nazionale e lotta contro il colonialismo (c'è?)? capirà il senso di tutti i primi dodici articoli della Costituzione? capirà che l'imperialismo mondialista è fondato sulla frammentazione delle statualità e sui conflitti sezionali?

    Riusciranno i nostri eroi a capire che la nostra Costituzione è progressista mentre tutta la letteratura federalista e secessionista è reazionaria ed imperialista?

    Nella Lega sono tutti oligopolisti che si possono permettere di essere federalisti, secessionisti e liberisti?

    La fantasia in politologia.


    (Si salvi chi può... questo è proprio l'ABC... e lo scrive uno che credeva che Miglio fosse il successore di Cattaneo e Salvemini! che brutto studiare!)


    (Comunque, sotto le spinte antisovrane, frammentazioniste e sezionaliste del'atlantismo eurounionista, tutto liberoscambismo e immigrazionismo, se i leghisti non si fanno due domande del tipo, « perché ora? », bè... vadano tucc a ciapà i rat!)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. a leggere in questi giorni tuitter e rileggendo Basso mi sa che a ciapà i rat sono già in tanti.
      La terza ed ultima ragione specificamente italiana che ha segnato una certa crisi delle Istituzioni - e anche qui non vorrei essere frainteso, per carità, perché sarebbe la cosa più lontana dal mio spirito quella di apparire un razzista - è la meridionalizzazione della vita pubblica italiana. Che cosa intendo per meridionalizzazione della vita pubblica italiana? Noi abbiamo avuto il Nord che praticamente ha conquistato il Sud, quantunque si è parlato di unità d’Italia, in realtà il settentrione si è comportato nel Mezzogiorno come il conquistatore e ha saccheggiato il Mezzogiorno. Se noi andiamo a vedere quali erano le differenze, il distacco fra Nord e Sud quando Garibaldi fece l’impresa dei Mille, vediamo che le differenze non erano molto gravi, non è che il Nord fosse un Paese così sviluppato e industriale e il Sud fosse un Paese in miseria, le differenze erano piuttosto modeste. Ma il Nord riuscì ad avere in mano il potere, furono create le tariffe doganali che favorivano l’industrializzazione del Nord, si creò a poco a poco una situazione, che non sto a descrivere perché andremmo troppo lontano, per cui il Nord si industrializzò sfruttando, depauperando il Sud.
      I poveri abitanti del Sud, dovettero emigrare (centinaia di migliaia in alcuni anni, in un solo anno oltre 900 mila emigranti) emigravano, sudavano, faticavano, morivano per mandare a casa pochi risparmi, questi pochi risparmi venivano depositati nella banca locale o nella Cassa Postale locale, ma poi venivano da queste banche da queste Casse Postali prestati, investiti all’industria del Nord, alle banche del Nord, cioè il Sud industrializzava il Nord. Quale è stata la conseguenza logica, inevitabile, meritata di questa situazione ? che avendo tolto ai meridionali la possibilità di fare carriera nel mondo industriale, nel mondo commerciale, nel mondo moderno, non è rimasta che la carriera statale. Al cittadino meridionale è rimasta aperta per forza, per necessità, solo la carriera statale. Ma questo ha fatto sì che a un certo momento tutti i meridionali si riversassero sulle carriere statali. Mentre la gente del Nord pensa a prendere un diploma di ingegnere, ad andare ad un’industria, ecc. gente del Sud pensa di trovarsi un posto nella polizia, nella Magistratura, nella burocrazia, nelle varie carriere statali. Per cui noi oggi troviamo che quasi tutte le carriere statali sono invase da meridionali, con quale differenza? (io ripeto, vorrei che fosse chiaro il mio discorso, io non faccio la distinzione di superiorità o inferiorità, faccio distinzione di diversità: sono due culture diverse). Il Sud è rimasto in gran parte ancora oggi una cultura prevalentemente agricola, il Nord è una cultura prevalentemente industriale. Che cosa accade? In una città come Milano a fare il Prefetto, il Questore, il Primo Presidente della Corte d’Appello, il Procuratore Generale, sono meridionali; ad occupare tutte le alte cariche è gente che viene da una civiltà diversa, né inferiore né superiore, diversa, che non ha nessuna idea di quello che è una civiltà industriale. Prendete un Pretore che viene dalla Sardegna o uno che viene dalla Sicilia dove si è occupato di delitti di mafia e mandatelo a discutere di bilanci, di società anonime o di altre cose complesse e troverete veramente che tutto questo comporta una pessima amministrazione perché non sono in grado neppure di capire quella realtà tanto diversa.
      Prendete un Prefetto o un Questore che deve dirigere l’ordine pubblico, e spiegate a un Prefetto o a un Questore,latifondisti del Sud che vengono da una famiglia meridionale, che sono abituati a un certo tipo di mentalità, che lo sciopero è un diritto, spiegategli che la lotta di classe non è un delitto: non lo capirà.
      Lelio Basso Intervento in Crisi politica: Stato e partiti, Modena, Centro culturale San Carlo, 1974, cicl., pp. 2-13.

      Elimina
    2. Temo che Salvini non lo farà sostanzialmente per due motivi. Il primo è politico, il timore di perdere voti da parte della base trinariciuta della Lega, per intenderci, quelli che hanno l' ampollina con l' acqua delle sorgenti del Po sul mobile in soggiorno, e che crede in Bossi e in Miglio ma fondamentalmente di base è ignorante nel senso più nobile del termine. D'altra parte il Presidente nel recente incontro di Torino organizzato proprio dalla Lega la scorsa primavera utilizzò un linguaggio ... come dire, più immediato. Il secondo motivo è che, molto semplicemente, Salvini .... non sa, oppure finge di non sapere anche se propendo per la prima ipotesi. D'altra parte ancora stamane alla radio il governatore del Veneto Zaia ha nominato Einaudi un paio di volte. Sarò banale e scontato, ma ancora non ci siamo

      Elimina
    3. @natolibero68

      Grazie mille.

      È piuttosto emblematico come già Lelio nel '74 dovesse sentirsi obbligato a fare un numero di precisazioni "politicamente corrette" descrivendo una fenomenologia del tutto evidente e socialmente esplosiva. Ha pure il coraggio di parlare di "meridionalizzazione" e, quindi, di fenomeno politico di portata nazionale.

      Basso poi parla del sistema giudiziario. Mia madre era insegnante; avvelenata. Le scuole; i concorsi; le poste. Il catasto. I ghisa!

      Questo sta avvenendo di nuova su scala continentale.

      Quando ci saranno le forze dell'ordine composte da persone di altre nazionalità, sarà drammatico.

      Quando Saviano pubblicamente auspica a vedere un "sindaco di colore"... bè... abbiamo capito in che razza di distopia i mondialisti (ok? non i "globalisti"...) ci stanno cacciando.

      L'antileghismo ideologico non lo sopporto, perché il populismo manipola demagogicamente sentimenti, sofferenze, che sono reali. Rimangono tali anche se si negano e si incolpa chi le prova di essere "intollerante". Xenofobo. Razzista. E via cattofascisteggiando...

      Il politicamente corretto è un totalitarismo di tipo assolutamente religioso, monoteistico: con il moralismo si condannano i sentimenti che non possono non essere vissuti, creando danni al guilt system individuale e, di converso, alla coscienza morale. Il danno politico e materiale deriva poi dal piegamento dell'eticità delle istituzioni a favore delle classi parassitarie.

      La dissociazione cognitiva del devoto religioso, nasce da questa potente e strutturale manipolazione della coscienza; colpa e terrore mortale della colpa.

      La critica al discorso politico leghista è di fatti strutturale: al problema sociale - reale, non da sedare con del viscido moralismo buonista - si risponde con degli argomenti concreti, economici e politici, come fa Basso.

      Ma se la Lega sviluppa consensi pluriclasse sull'onda di Volker, SME e Divorzio, il separatismo catalano esplode con l'euro.

      Non mi si vengano a raccontare fregnacce sull'autodeterminazione dei popoli: chi non spiega, chi non aiuta a capire, ai ceti subalterni che il motore politico è sempre di carattere economico, e che il conflitto distributivo si articola sui fattori della produzione che esprimono un rapporto di sfruttamento tra classi - quella che possiede il Capitale, i mezzi di produzione, e il Lavoro, la propria pelle - e che il conflitto e la lotta politica iniziano da questa coscienza, può solo far dei danni.

      La coscienza di classe muore nel moralismo: nella falsa coscienza dei liberali di sinistra e di destra; dei cattolici.

      Un fascista è un socialista che non sa l'economia.

      Questo deve essere chiaro: chi farfuglia cazzate sui sentimenti, sulla "visione dell'uomo", sull'uguaglianza cosmopolitica dei massoni de me nona che son talmente democratici che parlano di "iniziazione" (cfr. Schmitt), propaganda falsa coscienza.

      Essere "di sinistra" non significa un cazzo.

      Parlare a vanvera di sentimenti di "sinistra" o di "destra", è mettersi a banchettare con Pareto e seguaci che ragionano nel medesimo modo.

      Nel relativismo culturale, nell'anarchia morale, non c'è politica: c'è solo la legge del più forte. Quello coi soldi.

      Se non si fonda empiricamente il proprio percorso morale e politico, non si può essere efficaci su nulla.

      Non si entra nel merito delle rivendicazioni catalane: esiste innanzitutto un diritto internazionale e una Costituzione.

      Preso atto di questo - ovvero delle scienze "positive" - si tengono saldi i "principi fondamentalissimi", a partire dalla dignità e dalla tutela del lavoro, quindi si valuta la concretezza dei rapporti di forza in atto ed il momento storico.

      Vabbè... almeno a dar retta a chi qualche successo politico contro i poteri egemoni lo ha ottenuto.

      Elimina
    4. A proposito di "scienze positive" e "filosofi", confido che troverai irresistibile questo l'incipit di questo intervento (...) di Benedetto Croce in Costituente (...!) che assume la forma dell'excusatio non petita etc., e che conferma che "l'irrilevanza" non è un giudizio di valore ma una elementare constatazione di fatto:

      "Dopo l'ampia discussione generale di questo disegno di Costituzione, dopo la critica di cui è stato oggetto — nella quale si direbbe che le censure hanno soverchiato i consensi — dopo che si è udita la parola di tanti esperti giuristi, permetterete a me che, quando tento di sottrarmi al NOME IMPOPOLARE DI FILOSOFO, mi rifugio in quello di LETTERATO..."

      Tradotto: "non sono un giurista ma"...a me questa Costituzione non mi sta bene lo stesso".

      Segue discorso incomprensibile, coronato da latinorum poetico, applausi e...successiva illuminante spiegazione di Ruini, molto cortese, sul fatto che non c'aveva capito nulla (Lucifero, un po' perfido, allude ai "troppi incompetenti"), dopo che Togliatti e Nenni - che in quel momento godevano di una netta maggioranza assembleare- avevano a lungo parlato (invano per il "nostro" a quanto pare) della gran prevalenza di elementi di accordo che derivavano da "lo spirito del 2 giugno".
      http://www.nascitacostituzione.it/05appendici/01generali/03/index.htm?007.htm&2

      Le cose non cambiano mai...Si ritrovano precise nella loro ripetizione e non bisogna quindi stupirsi. Ma solo evitare di impegolarsi coi "reinventori" della ruota...

      Elimina
    5. Da nenniano convinto (e da ex fascista che ha capito l'economia, per dirla con Bazaar):

      "Per me è evidente che, come l'Italia non poteva formarsi se non attraverso lo Stato uno e indivisibile, così oggi sarebbe un errore politico e un errore economico voler attuare le autonomie locali e amministrative sotto forma di federalismo regionale. Sarebbe un errore politico, perché l'Italia è un Paese a formazione sociale, troppo diversa, perché una differenziazione legislativa nel campo regionale non metta la Regione in concorrenza con lo Stato. Non ci sarebbe nessuna difficoltà a ordinare l'Italia sulla base del federalismo regionale, se le condizioni della Calabria fossero identiche a quelle della Lombardia (Commenti al centro), se la Campania si trovasse allo stesso piano di sviluppo economico, e quindi di sviluppo politico, della Liguria o del Piemonte. Ma, in una Nazione dove all'antagonismo sociale fra poveri e ricchi si unisce il dislivello fra le regioni settentrionali e quelle meridionali, un simile esperimento non può essere tentato prima di aver operato una vasta riforma sociale. Si rischia in caso contrario di mettere in pericolo l'unità della Nazione. (Vivi applausi).
      Il federalismo regionale è anche un errore economico. Non è serio dire alle popolazioni del Mezzogiorno che attraverso un sistema regionalista esse potranno meglio salvaguardare i loro interessi economici di quanto non lo abbiano fatto nel passato con lo Stato unitario. Le regioni meridionali hanno il diritto di contare sull'assistenza di quelle settentrionali, ciò, che è possibile soltanto sulla base di una legislazione unitaria.
      Signori, è mia profonda convinzione che, se la Sicilia, la Sardegna o altre regioni meridionali sono economicamente in ritardo, non è per un eccesso di centralismo, ma perché il loro legame col restante del Paese non è abbastanza intenso. La soluzione del problema meridionale non la si trova nella separazione ma in una più intima fusione del Nord col Sud, in una politica di solidarietà delle regioni più ricche verso le più povere.
      Per queste ragioni non posso che associarmi agli oratori che hanno messo in guardia l'Assemblea contro i rischi delle improvvisazioni. Il problema di oggi è quello delle autonomie locali e delle autonomie amministrative regionali. Stiamo al tema e aspettiamo di avere creato le condizioni economiche e sociali che ci consentiranno di fare un ulteriore passo innanzi. Quando il Governo discusse lo Statuto siciliano, io dissi, con una frase che fu commentata in vario modo, che non mi piacevano le diete italiane. Mi pare infatti che da una esperienza di diete il Paese non trarrebbe alcun elemento di progresso."

      Sulla LN non ripongo più alcuna speranza: galantuomini come Borghi dimostrano la loro impreparazione ideologica (spesso rivendicata come vanto...liberale) nel dover sempre spiegare "in rincorsa" i fatti, non avendo solide basi su cui poggiare l'intero esame dei fenomeni strutturali.

      Marx può essere scomodo, ma da lui non può prescindere chiunque voglia genuinamente intendere il moto della Storia

      Elimina
    6. Intervento (estratto) del 10 marzo 1947 in Assemblea Costituente (se ben ricordo). E c'è molto altro ancora...

      Elimina
    7. Che orrore...

      D'altronde, Basso:

      « Non abbiamo appreso, onorevole Calamandrei, il nostro storicismo da Benedetto Croce; lo abbiamo appreso da coloro che sono stati maestri vicini e lontani di Benedetto Croce: da Carlo Marx e da Antonio Labriola. »

      È anche vero che è Husserl a chiarire una volta per tutte la relazione tra empirismo ed "idealismo".

      La fondazione materiale tipica della fenomenologia è dirimente, come fa emergere il Luporini, pure per capire il metodo marxiano. Il Marx (come lo chiama Pareto) è rispettato pure dai grandi pensatori reazionari; ed i marginalisti non lo temono in quanto "filosofo", ma in quanto economista e sociologo: ossia lo temono come scienziato sociale. Tanto che devono suicidare l'economia classica insieme al buon senso; stravolgendone le basi, l'epistemologia.

      La filosofia non empiricamente fondata non può essere "critica" in senso marxiano: rimane sempre e solo sovrastruttura, falsa coscienza, prodotto del potere dominante che esprime la propria egemonia.

      L'empirismo senza un orizzonte "ideale", significante e coscienziale, si trasforma nel nichilismo "positivista"; l'idealismo senza fondamento nell'empiria, si trasforma in fascismo o in liberalismo idiota... alla Croce.

      E, tornando on topic, per chi raglia di "referendum per secessione" == "democrazia", Basso ricorda che:

      « Ogni Costituzione è un limite che la sovranità popolare dà a se stessa. »


      (comunque il "latinorum" è tipico del clero...)

      Elimina
    8. Il discorso l'ho estrapolato dal link relativo al latinorum crociano (espresso nella stessa seduta): occorrerebbe stampare un bel libro sugli interventi in Costituente

      Elimina
    9. Il Parlamento Provvisorio della Repubblica Veneta

      CONDANNA E CENSURA

      l’abuso di credulità popolare effettuato nei confronti dei cittadini veneti nel corso degli ultimi decenni da parte del movimento politico lega nord che ha millantato una difesa delle istanze territoriali puntualmente tradite dalle proprie scelte politiche contrarie all’indipendenza della Repubblica Veneta e puntualmente condotte nel corso degli ultimi 25 anni.

      Venezia, Repubblica Veneta, 29 maggio 2015

      il PARLAMENTO PROVVISORIO

      Questa delibera demenziale, si trova sul sito di plebiscito.eu.
      Non so se ricordate il gruppo indipendentista che insceno' un referendum online per la secessione, nel 2014 mi pare.
      Un movimento indipendentista ed ovviamente eurista e EUropeista con tutto l'ovvio corollario di Roma ladrona, ci vuole più austerità e altre ricette agghiaccianti.
      Sono per fortuna una netta minoranza i veneti che dan credito a queste sciocchezze, che qui non siamo in Catalogna, e di popolo veneto non parla (quasi) nessuno.
      Ad ogni modo per costoro il nemico numero 1 è ovviamente lo Stato italiano, il numero 2 è la Lega.
      Sostengono che l'aver promosso il referendum sull'autonomia sia una soluzione win-win per la Lega.
      Se vincesse la richiesta di più autonomia comunque non produrrebbe effetti essendo solo consultivo e necessitando di un maggioranza relativa o qualificata in Parlamento non produrrebbe mai risultati, o quantomeno non nel medio termine. Ma sarebbe una vittoria in termini di popolarità per Zaia e la Lega.
      Se perdesse la richiesta di più autonomia si archivierebbe la questione (una buona volta) con "abbiamo sentito il popolo e il popolo ha detto no", con danno per i movimenti estremisti che da sempre sobillano che la Lega tradisce il suo mandato.
      Se poi non si raggiungesse il quorum i perdenti sarebbero solo Zaia che l'ha voluto (e Maroni in Lombardia), l'autonomismo e l'indipendentismo, con Salvini che si libera di personaggi non del tutto comodi in questa fase di passaggio verso un partito che deve porsi a livello nazionale con un programma che rivendica l'unità della Nazione italiana tutta, a partire dal nome del partito stesso e dall'obiettivo dell'indipendenza della Padania da togliere nello statuto.

      Perché è vero che la Lega si porta dietro una serie di difficoltà nate dalla sua origine bossiana che proprio nulla ha a che vedere con il recupero della sovranità costituzionale.
      Sarebbe stato bello che un altro partito con una nomenclatura e un percorso ideologico meno compromessi fosse stato disponibile ad abbracciare il movimento di liberazione nazionale dall'euro e dalla UE. Ma non c'era nessuno.
      Solo la Lega si è resa disponibile a fare una completa inversione di rotta e grazie a Borghi i passi avanti sono stati molti.
      All'ultimo Congresso è passata la linea Salvini/Borghi per il recupero della sovranità monetaria, mettendo all'angolo Maroni, Bossi e sostenitori vari.
      Bossi non è stato fatto salire sul palco di Pontida e, dati gli ultimi accadimenti giudiziari, gli oppositori di Salvini hanno abbozzato. D'altro canto gli rinfacciano la batosta della Le Pen in Francia e su un accordo per una uscita concordata Borghi e Salvini ci avevano scommesso parecchio. Voglio dire Salvini combatte all'interno non meno che all'esterno, non solo per il potere, come negli altri partiti, ma per raggiungerlo con un programma noeuro, difficoltà che ha solo lui.
       
      Io mi sento di continuare a dare fiducia a questi grandi sforzi, sapendo che la strada è lunga e ardua. Non vedo un'altra via percorribile.
      Voi la vedete?

      Elimina
    10. @chiaraped

      Non solo la vediamo, ma tra il serio e il faceto facciamo consulenza a iosa e aggratis.

      Qua non si fa politica o propaganda: qua si fanno analisi.

      Chi crede che la realtà sia "semplice", è perché per merito e per fortuna ha avuto vita "facile": la situazione è difficile e complessa, e ci vogliono strumenti adatti per chi "crede di avere una visione".

      Questi strumenti sono utili a tutti. Pure ai Rothschild. (ma "ste cose le sanno meglio di noi). Servono a tutti: ai sovranisti e ai sovversivi. Ai patrioti e ai collaborazionisti.

      Magari se i vertici della Lega prendessero in considerazione gli strumenti critici che vengono forniti... Bè... Magari non continuerebbero a prestare il fianco allo squadrismo politicamente corretto.

      Devono dire la verità alla base.

      Ma prima devono essere coscienti i vertici stessi!

      La Lega non può più parlare di secessione e federalismo: neanche degli altri stati nazionali! È l'ABC!

      La coalizione di federalisti e secessionisti copre già tutto l'arco parlamentare!

      Un partito che aspira all'indipendenza nazionale e alla democrazia, si rifà alla costituzione. E, chi crede nelle costituzioni, crede a tutte le costituzioni.

      Sono riusciti persino quegli impossibili ipocriti di Bruxelles a far una figura migliore!

      Elimina
    11. I prossimi mesi chiariranno i tuoi dubbi.
      Se ne hai.
      Ma anche le tue certezze: che, peraltro, sono obiettivamente un po' riduttive rispetto al presente dibattito (lo hai seguito prima di intervenire?), nonché alle numerose fonti da anni riportate su questo blog.
      Anche qui (mi) chiedo: hai mai pensato di leggerle o rileggerle con attenzione?
      Oggi, il timing delle vicende politiche le rende straordinariamente attuali.

      Elimina
    12. @Antonio Martino

      On. Lussu, il fascismo è liberalismo con altri mezzi:

      « lo Stato liberale è in crisi e crolla appunto quando questa immensa massa [di lavoratori] che vi era estranea si presenta e reclama il suo posto. Allora questa costruzione austera e gioiosa, stile rinascimento [il Parlamento], spara da tutte le porte e da tutte le finestre. Questa è la fine dello Stato liberale e questo è l'atto di nascita del fascismo. »

      Elimina
    13. @Bazar mi sono permessa di intervenire perché condivido (nel senso che imparo e cerco di far mie perché illuminanti, non che metta del mio perché non ne ho) le analisi di questo blog, perché sono utili a determinare una prassi. Determinare nel senso di ispirare l'azione. L'azione è necessariamente politica, e lei parla di Lega nello specifico. Ispirare un partito esistente, quando tutta la panoramica dei partiti esistenti è liberista perché la cultura dominante lo è richiede perseveranza, generosità e fiducia. Se no l'analisi rimane sterile. Arroccata. La Lega è nata federalista, prima ho cercato di dimostrare più di facciata che altro, e questo è lo snodo che deve superare. Se ad accogliere Borghi (o Bagnai) fosse stata una sinistra anche questa avrebbe avuto i suoi problemi a giustificare ai suoi elettori, peggio ai competitori interni, posizioni programmatiche altrettanto liberiste, come l'internazionalismo. Proprio perché non credo che la realtà sia semplice, godo dei successi della linea Salvini/Borghi sperando che l'opposizione interna non li logori. E mi aspetto progressi.
      @Quarantotto non ho certezze, solo fiducia che da questa gabbia si possa iniziare a uscire. Anche le analisi, che leggo dall'inizio del Blog, mi hanno orientato in questo senso. A non disperare.

      Elimina
    14. Chiara, il federalismo è liberismo.
      Chiedere a Einaudi, Erhard, Robbins, Hayek e naturalmente Miglio (una pallida riedizione di Einaudi, senza averne la preparazione e la coscienza economica).

      "Interstate federalism" è concetto hayekiano, - ripreso dalla "madre di tutti i federalismi", cioè l'ordinamento USA (v. Madison)-, e espresso esplicitamente in tempi coevi da Einaudi.

      Un meccanismo, con ogni evidenza (storica, economica, istituzionale), derivante da una ratio strumental-economica unitaria, per qualsiasi tipo di ordinamento, nazionale o sovranazionale: fondarsi sul conflitto sezionale per consolidare, a QUALSIASI livello territoriale, nessuno escluso, l'oligarchia capitalista adoratrice (e c'ha pure le sue ragioni) del gold standard-pareggio di bilancio.

      Questo, non ti dovrebbe sfuggire, è il più importante fondamento teorico della moneta unica e della intenzionale de-sovranizzazione degli Stati nazionali.

      Perciò, o si è capito cosa sostengono tutti questi federalisti, ispiratori e anzi spesso direttamente fondatori de L€uropa, e perché (cioè con quali obiettivi socio-economici) o no.
      Se ci ispira esplicitamente a loro (magari per inerzia e "sentito dire"), ci si dovrebbe chiedere perché mai essere contro la moneta unica.
      Abbattere l'euro per realizzare il "federalismo" è esattamente la tecnica di tessitura di Penelope (un controsenso che valeva per non dover "scegliere" fino a tempi più propizi, se rammenti l'Odissea)...

      E ciò è stato detto qui, e (specialmente) non solo qui, ma anche in molti "tentativi" con "perseveranza, generosità e fiducia". Anzi, con una specifica volontà di "non mettere in difficoltà".

      Rimane il fatto che, fenomenologicamente, cioè nell'effettiva prassi politica, non puoi combattere una costruzione einaudian-haekiana abbracciandone il principale elemento politico-istituzionale.

      Questa contraddizione è molto, molto, pratica e riverbera i suoi effetti su inevitabili scelte dell'indirizzo politico: solo il suo superamento può differenziare un partito neo-liberista (cioè, oggi, TUTTI, come ti rendo conto che sia, e tutti rappresentativi degli interessi delle elites) da un "partito di massa". Quindi elettoralmente capace di attirare il consenso maggioritario nella società.

      Partito di massa, infatti, è quello che offre rappresentanza e speranza alla preponderante "non elite" ed è, perciò, democraticamente orientato all'autodeterminazione di un popolo (correttamente intesa), cioè sovrano e pluriclasse.
      Come vorrebbe la nostra Costituzione.

      Elimina
    15. @bazaar: ne sono oramai convinto. Lo stesso Mussolini non aveva capito granché dell'economia (naturale, avendola imparata da Pareto...) e andò sempre a rimorchio- lui che era il duce, almeno su carta- dei vari Di Stefani, Volpe, Thaon di Revel, schiettamente proni al liberismo più abietto.

      Lo stesso corporativismo fu un fuoco di paglia: Spirito e Bottai lo sapevano benissimo, e oltre ai- per me interessanti- articoli su Critica Fascista nulla fu realmente fatto se non tagliare i salari, bloccare le rivendicazioni operaie e servire il padronato "sull'altare della Patria".

      Chi poteva portare qualcosa di progressivo al movimento mussoliniano o fu inertizzato o fu preso in giro: naturale conseguenza di un fenomeno asservito presto o tardi agli interessi reazionari del Capitale

      Elimina
    16. "perché il populismo manipola demagogicamente sentimenti, sofferenze, che sono reali."
      Caro Bazaar ne so qualcosa che sono REALI.
      Nella mia attività di insegnante precario ho esperito sulla mia pelle quelli che sono stati gli esiti della rivoluzione di costume "antiautoritaria" del sessantotto abbinata all'immigrazione massiccia.
      Ho dovuto gestire classi sovraffollate con anche oltre il 70% di immigrati, la maggior parte dedita a "ribellioni antiautoritarie" contro gli insegnanti precari stessi, ma anche con quelli di ruolo da molti anni; in sostanza, fancazzismo, danni pesanti ad automobili di professori parcheggiate all'interno del perimetro della scuola, metà del tempo passato in bagno a farsi delle canne, spaccio continuo di droghe nei corridoi, insulti e minacce continue agli insegnanti (che, a loro volta non potevano insultare o prendere a calci gli studenti perché sennò avrebbero rischiato severe condanne, perché tutti gli alunni hanno il cellulare in mano pronti a riprenderti e registrare quello che dici o fai); danni ovunque ai beni della scuola, dirigenza senza alcuna capacità di far rispettare delle regole minime di civiltà.
      Quindi, anche se le risorse e gli insegnati fossero i più bravi in assoluto, ti trovi davanti questi "rivoluzionari" ingestibili. E anche i più "bravi" alla fine davano voti "clementi" che facevano andare avanti dei veri e puri ignoranti e delinquenti.
      A livello istintuale, quindi, lo so bene quello che avrei fatto a certi "alunni"; il problema è che il populismo, come dici tu, manipola i sentimenti, facendoli rimanere al mero stato istintuale.
      Ma non è l'istinto il terreno opportuno su cui basare soluzioni politiche.
      Il terreno opportuno, sul quale siamo stati sempre d'accordo, è quello della coscienza di classe, è quello di interrogarsi e del chiedersi:"perché avviene tutto ciò, adesso?", "quali sono i mandanti?", "chi è che spinge questa gente ad arrivare in massa nel nostro paese?", "quali sono le organizzazioni che finanziano questa deportazione?"; per poi scoprire che la gestione dei flussi dell'esercito industriale di riserva è operata da un'élite, che ha tutto l'interesse a distruggere il benessere e i diritti delle classi subalterne all'interno dei paesi (ex) socialdemocratici. Ed allora, alla fine, l'unica "lotta" che possiamo intraprendere è quella contro questa élite deportatrice, e ritornare al pieno ripristino della sovranità del popolo italiano per mezzo della Costituzione.

      Elimina
  7. Sono d'accordo su ogni passaggio del post, e anche con i due commenti già fatti. Solo che... non ritengo che la Catalogna (e la Scozia, peraltro) rientri nella categoria di "macroregione".
    Le macroregioni targate UE, infatti, hanno come carattertistica precipua, proprio per le ragioni esposte da Quarantotto nel post, quella di porsi a cavaliere dei confini degli stati-nazione, all'evidente scopo verhofstadtiano e cohn-bendittiano di umiliare e disconoscere le nazioni. Si vedano le "cartine" della macro-regione Danubio, di quella adriatico-ionica, di quella baltica e di quella alpina.
    Al contrario, l'indipendentismo catalano e scozzese rappresentano, mi pare, una risposta nazionalista, all'insegna del si salvi chi può, rispetto ai fallimenti redistributivi di stati oggettivamente multinazionali come la Spagna e la Gran Bretagna. Le nazioni "spagnola" e "britannica", infatti, hanno potuto mantenersi a galla, e anzi attrarre a sé altre piccole nazioni a loro periferiche, grazie ai successi redistributivi che la loro potenza economico-militare aveva creato nel corso della storia, e che si era poi cristallizzata sotto forma di nuove entità "nazionali", spagnola e britannica. La Scozia ha abbassato la testa, sebbene mai completamente, solo agli inizi del Settecento, mentre la Catalogna ha come mito fondante la resistenza a Franco durante la guerra civile, oltre a ben note radici culturali specifiche.
    L'analisi proposta, quindi, mi pare corretta, ma applicata al soggetto (o soggetti, se includiamo la Scozia) sbagliato. Da un punto di vista delle élite ordoliberali, la Scozia dovrebbe essere vista con favore, e la Catalogna con sfavore, nelle attuali contingenze politiche. La mia opinione, tuttavia, è che entrambe le indipendenze siano oggettivamente auspicabili, in un'ottica socialista anti-elitista, perché quella scozzese garantirebbe la Brexit rispetto a ogni possibile trucco dell'ultimo minuto - uscita Edimburgo, l'Inghilterra non avrebbe davvero altra alternativa alla Brexit senza se e senza ma - e quella catalana indebolisce la Spagna, che è un ascaro della Germania, sottraendole 8 milioni di abitanti e un'economia non disprezzabile. La stupida protervia tedesca potrebbe persino "punire" la Catalogna con l'espulsione dall'euro e dalla UE. Sarebbe magnifico, e considerando l'intelligenza del duo Merkel-Schaeuble non è certo da escludere.
    La secessione del Veneto (o della Lombardia, o di entrambi) dall'Italia, per capirci, sarebbe a mio parere evidentemente nefasta e ingiustificata, in quanto separatismo sub-nazionale auspicato da Berlino...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Giustissimo: la macroregione tipizzata in UE non si applica alla diversa rivendicazione di indipendentismo "nazionale".
      Ovviamente, non siamo noi (come dimostra il brano di Formiche in apertura) ad averle chiamate in causa.

      Ma credo che la ragione stia nel fatto che le rivendicazioni nazionali riguardano "popoli" (comunque non giuridicamente rilevanti secondo il diritto internazionale, si badi), di limitate dimensioni demografiche.
      Quantomeno, cioè, comparabili con le dimensioni demografiche che dovrebbero assumere le macroregioni "limitanee-multinazionali".

      Peraltro, data la "curiosa" volontà di saldarsi con l'UE, e di rimanere nell'eurozona, mostrata dagli attuali indipendentisti catalani - considerato che, (come già in Ucraina), i manifestanti agitano anche bandiere UE blustellate nelle piazze- è presumibile che i "circoli politici" che hanno organizzato il tutto siano loro stessi a voler utilizzare lo strumento macroregione come "leva" di ammorbidimento/dissuasione dello Stato spagnolo.

      Anche se tale aspirazione risultasse in "sviamento" dalla sua fattispecie e "funzione normativa" tipizzate, in effetti lo strumento si presterebbe ottimamente al fine di ottenere un duplice obiettivo:
      a) avere una sponsor-ship, magari in modo informale e per via di contatti negoziali "diplomatici" riservati, dalle istituzioni UE;

      b) cristallizzare automaticamente l'ordinamento catalano, che ne emergerebbe, sul modello ordoliberista de-sovranizzante e dominato dalla finanza privata che caratterizza la costruzione UE. Senza cedimenti o ripensamenti su tendenze democratico-social sovraniste (sostanziali).

      Ma la "protervia" tedesca, se pure agisse nel senso che hai prospettato, - come ha pure detto Borghi, "macchiavellicamente"- temo che si arresterebbe di fronte alle riflessioni che una trattativa, ripeto, ragionevolmente segreta, potrebbero razionalmente indurre, ove fossero coinvolti questi "ambienti influenti".

      E non credo che tali potenti "ambienti cosmopoliti", con l'interesse diretto alla conservazione e accentuazione del modello eurozona, possano essere estranei alla preparazione e programmazione di una mossa del genere. E dunque proprio in QUESTO MOMENTO (cioè di tentate e difficoltose riforme dei trattati in senso dissolutorio definitivo delle sovranità statali nazionali).

      Il timing di questa secessione è troppo "consonante" con tali obiettivi per non porsi delle domande...

      Elimina
  8. time will tell, come avrebbe detto Shakespeare
    E' possibilissimo che lo scenario che descrivi sia quello corretto, intendiamoci, ma ho l'impressione che le bandiere del Reich ordoliberale e i vari Quisling presenti tra gli indipendentisti siano, più prosaicamente, degli infiltrati a libro-paga franco-tedesco. Per essere sicuri che, in ogni caso, il Pjotr Velikij non getti mai le ancore all'ombra della Sagrada Famiglia, o che Barcellona diventi una specie di super-Gibilterra filo-USA/GB. In caso di indipendenza catalana, credo che avremo uno scenario stile-Portogallo 1975, cioè un tentativo NATO di favorire un esecutivo moderato, non necessariamente filo-EUropeo, e dunque con la possibile partecipazione come junior partner governativo della sinistra "vera", e un tentativo franco-tedesco di favorire un esecutivo centrista e EUropeista (e quindi una Grossekoalition).
    Ma, appunto, vedremo cosa succederà nelle prossime settimane, posto che non è affatto detto che il voto si tenga davvero

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma proprio perché il voto non si terrà diventa molto più pragmaticamente ipotizzabile, AB INITIO, la via della soluzione negoziata "riservata", a cui lo STRUMENTO dell'aperta secessione referendaria risulta utilmente preparatorio.

      Indubbiamente il tempo chiarirà e vedremo...Ma personalmente non credo a reali tendenze al clash geopolitico dentro il Continente in una contrapposizione tra "atlantisti" e "franco tedeschi.
      Above all ci sono i "padroni del vapore" finanziario e monetario. Con tanti, tanti, "centri di irradiazione" che muovono realmente i fili del gioco...

      Elimina
  9. Ho sempre diffidato della "Macroregione adriatico -ionica" visto l' entusiasmo che suscitava nei politicanti come l' ex presidente della regione Marche Spacca vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Gian_Mario_Spacca,proveniente dalla Merloni,l' azienda ,sviluppatasi nel Fabrianese trasformandolo da area depressa in una zona prospera per poi riprecipitare questa zona nella depressione ,dopo una delocalizzazione spietata vedi http://www.manageronline.it/articoli/vedi/6024/la-indesit-vuole-delocalizzare-la-produzione-in-polonia/ oppure http://www.marche.cna.it/vicenda-indesit-ultimo-capitolo-della-crisi-del-modello-marchigiano-di-sviluppo/.Un dettaglio per gli intenditori è questa manifestazione che si svolge da diversi anni ad Ancona ,roba da regime ..http://www.cultmarche.it/2014/06/02/ad-ancona-1000-giovani-per-youth-games/2279/

    RispondiElimina
  10. Catalogna come Irlanda?

    A me ritorna in mente il caso dell'Irlanda.

    A partire dai moti del 1916:

    https://en.wikipedia.org/wiki/Easter_Rising

    fino alla guerra d'indipendenza irlandese (1919-1921):

    https://en.wikipedia.org/wiki/Irish_War_of_Independence

    Nel 1916 ci fu sicuramente un intervento attivo della Germania guglielmina, sia per fornire armi che finanziamenti.

    Il precedente Irlandese mi sembra interessante anche perche' le parti in lotta nel conflito (sezionale?) condividevano la stessa lingua.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E la condividevano persino meno di quanto la condividano spagnoli e catalani: il gaelico è molto più differenziato dall'inglese di quanto non lo sia il catalano dal castigliano.
      Sebbene proprio in questi anni, di fronte alla sostanziale desovranizzazione ultra-free trade irlandese, - pensa un po', sarà un caso?-, cartelli e segnali nonché documenti e discorsi pubblici in gaelico, dilagano.

      Ma va detto che anche il secessionismo catalano, in quegli anni del '900 e in quelli successivi che portarono alla guerra civile, era molto diverso da quello attuale.
      Che infatti ha il non-committal endorsement persino di una fonte USA (apparentemente) non-mainstream come zerohedge: "Now,why do we have a feeling that placing a riot police force of 16,000 in a Catalan port, ready to pounce at a moment's notice, will not help reduce the local push for independence..." E poco prima, nell'articolo, non si era battuto ciglio sul fatto che una regione a statuto speciale avesse un "foreign affair minister"
      http://www.zerohedge.com/news/2017-09-21/spanish-police-mount-force-16000-catalan-port-raid-government-offices-tensions-mount

      Il tory Telegraph, in aggiunta, esorta il governo spagnolo dicendo che "la secessione è motivata più da MOTIVI ECONOMICI che culturali" e che, quindi, "alla crisi si può porre fine ma senza calpestare le legittime preoccupazioni della gente", alludendo con ciò alla rivendicazione di un governo catalano incentrato su nazionalisti "moderati" che quindi reclamano più autonomia delle IMPRESE dal regime amministrativo e fiscale "centrale": che è sì plasmato da quello €uropeo ma che, stranamente, deve pensare a come mantenere una governabilità minima - il consenso elettorale maggioritario in Spagna non lo ha nessuno, neppure in coalizione- e PERCIO' deve effettuare un minimo di spesa pubblica generale pseudo-redistributiva "se non altro per proteggere (le elites) dagli atti di disperazione degli indigenti" (cit. Hayek).

      Quindi i catalani, sostanzialmente, premono per un'autonomia fiscale ritenendo che sia nel loro interesse (pluriclasse?) sganciarsi dal public deficit maker governo spagnolo e gestire la propria "competitività" in pareggio di bilancio, come "meno tasse per tutti" (e quindi anche per "Messi").
      Get the drift?

      Un'agenda €urista "dentro", che infatti diviene €urista anche fuori, cioè proiettata nelle future wannabe relazioni economiche internazionali.

      Fossi nei catalani mi informerei bene su cosa significhi dover mantenere pareggio di bilancio e saldo attivo delle CA estere, in termini di compressione della domanda interna e di livelli di occupazione.

      Certo che tale obiettivo è MEGLIO raggiungibile dalla Catalogna da SOLA, ma non credo che con una produzione industriale catalana già controllata da "investitori esteri", ulteriori politiche deflattive, DENTRO L'EUROZONA, li porrebbero in condizioni molto diverse da quelle dell'Irlanda, SE GLI VA BENE (cioè, tutt'ora, hanno altissimo debito privato, altissimo debito estero, e vistose oscillazioni del saldo bdp in funzione di quanti utili si portano a casa, in ciascun anno, i padroni esteri).
      Avere un forte sistema bancario non basta a garantire sufficienti afflussi di redditi e pagamenti in valuta dall'estero. Non ci riescono neppure gli USA...

      La differenza di trattamento, da parte dell'establishment anglosassone, tra il vecchio secessionismo (comunista! Kaput!) e di quello attuale, tutto supply side e distintivo (persino il pallido PSOE catalano dà solo un appoggio esterno al governo localistico), salta agli occhi e qualcosa vorrà dire.

      Infatti la Merkel ha liquidato la "crisi secessionista" come un "affare interno". Più verosimilmente lo intendeva come interno all'eurozona (sapendo dove arriverà a parare nella peggiore delle ipotesi: appunto, la creazione di una macroregione UE-type).

      Elimina
  11. Sento invocare dagli espertologi il principio di “autodeterminazione”, la mitica “libertà dei popoli”:

    … Il fatto che il principio di autodeterminazione tuteli la libertà dei popoli di decidere del proprio status politico…non vuol dire che esso garantisca per qualsiasi popolo, in qualsiasi situazione, un diritto di secessione o all'indipendenza (o a qualsiasi altro esito s'indirizzino le scelte popolari)… il rispetto dell'autodeterminazione, quale regola giuridica internazionale, non equivale ad un obbligo incondizionato per gli Stati di dare piena attuazione alle aspirazioni di status politico dei popoli. Secondo il diritto internazionale, tale rispetto va piuttosto coordinato con altri principi e regole fondamentali delle relazioni tra Stati, tra i quali assume particolare rilievo - vista la possibile valenza "esterna" del diritto all'autodeterminazione - l'obbligo di rispettare l'integrità territoriale degli Stati.

    In effetti, le diffuse preoccupazioni antisecessioniste degli Stati hanno da sempre accompagnato, e continuano ad accompagnare, il riconoscimento e l'applicazione concreta del principio di autodeterminazione, manifestandosi sul piano giuridico nel tentativo costante di contrapporre o anteporre al rispetto di tale principio quello dell'integrità territoriale degli Stati, al fine di circoscrivere la possibilità per il diritto di autodeterminazione di fondare pretese per l'appunto secessioniste o comunque lesive dell'integrità territoriale degli Stati. Per un verso tale tentativo è andato nella direzione di circoscrivere il novero dei potenziali beneficiari del diritto di autodeterminazione (ESCLUDENDONE, AD ESEMPIO, LE MINORANZE)

    Per altro verso esso è andato invece nel senso di salvaguardare l'integrità territoriale degli Stati (e il principio dell'inviolabilità delle frontiere) in quanto condizione da rispettare nel contesto dell'attuazione del diritto all'autodeterminazione. Esempi di ciò sono sia la cosiddetta clausola di salvaguardia inserita nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970 - volta a garantire che l'attuazione del principio di autodeterminazione non metta in pericolo l'integrità territoriale degli Stati “possessed of a government representing the whole people belonging to the territory without distinction as to race, creed or colour” - sia l'enfasi attribuita al dovere di non pregiudicare l'integrità territoriale riscontrabile nell'ambito della OSCE, sia il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione a favore dei popoli indigeni alla condizione di riferirne l'applicazione ai soli aspetti interni di autonomia e autogoverno (senza possibilità di dedurne la fondatezza di pretese o attività lesive dell'integrità territoriale degli Stati in cui tali popoli vivano), sia infine l'applicazione del criterio dell'uti possidetis iuris alla delimitazione delle frontiere degli Stati formatisi in virtù di un processo di autodeterminazione, nel contesto tanto della decolonizzazione quanto dello smembramento della Iugoslavia
    . (segue)

    RispondiElimina
  12. … la necessità di coordinare e contemperare l'attuazione del principio di autodeterminazione col rispetto dell'integrità territoriale degli Stati non si traduce in un'assoluta, né tendenziale, prevalenza giuridica di quest'ultima esigenza sulle pretese di autodeterminazione avanzate dai popoli . Ben diversamente, il modo in cui sino ad oggi si è realizzato il contemperamento tra i due principi -- sia nei casi concreti che nelle enunciazioni normative — ci dice piuttosto che si danno una varietà di situazioni in cui l'invocazione dell'integrità territoriale non costituisce un argomento idoneo a determinare l'inammissibilità giuridica di esiti secessionisti quali possibili “modes of implementing the right of self-determination” (per usare le parole della Dichiarazione sulle relazioni amichevoli) … la tutela dell'integrità territoriale di uno Stato non costituisce, ad esempio, un limite giuridico all'autodeterminazione di un popolo che sia sottoposto al suo dominio coloniale e che intenda costituirsi in Stato indipendente o associarsi ad un altro Stato. Lo stesso può dirsi per la situazione dei popoli sottoposti ad un'occupazione straniera. Ma la prassi e il confronto di posizioni giuridiche caratterizzanti gli ultimi decenni…vanno decisamente nel senso di avvalorare questa conclusione con riferimento a tutte le situazioni in cui la permanenza di un popolo sotto la sovranità dello Stato che lo governa RISULTI ASSOLUTAMENTE INCOMPATIBILE CON L'ESIGENZA DEL POPOLO STESSO DI AFFERMARE E VEDER RICONOSCIUTA LA PROPRIA IDENTITÀ sul piano dello status politico, e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale…” [G. PALMISANO, Enc. del diritto, Milano, Annali V, 2007, 117-118].

    Ancora più chiaramente:

    IL PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE NON IMPLICA IL DIRITTO DI SECESSIONE DA PARTE DI MINORANZE DESIDEROSE… DI ERGERSI A STATO INDIPENDENTE [in nota: Anzi, il diritto di secessione delle minoranze fu espressamente escluso, secondo quanto risulta dai lavori preparatori della Carta delle Nazioni Unite, dalla nozione di autodeterminazione: United Nations Conference (on International Organization, Documents, VI), cit., 298. E la prassi internazionale in alcuni casi di tentata secessione (per es. Katanga, Biafra) è stata del tutto conforme a tale scelta].

    I diritti delle minoranze possono essere garantiti in uno Stato retto da un regime democratico rispettoso dei diritti dell'uomo in generale e dei diritti specifici delle minoranze in particolare e disposto, a tal fine, a concedere ampie autonomie di governo a determinati gruppi etnici stanziati su una parte del territorio nazionale [in nota: il rispetto dell'autodeterminazione può essere garantito anche con la concessione di ampie autonomie: (per questa soluzione si veda Tran van Minh, op. cit., 107 a proposito della questione kurda e di quella del Sud Sudan) o semplicemente attraverso il rispetto dei diritti delle minoranze così come specificati in numerosi accordi internazionali (si veda in proposito Capotorti, Etude des droits des personnes appartenant aux minorités ethniques, religieuses et linguistiques, Nations Unies, New York, 1979). Le minoranze, infatti, nella misura in cui sia loro garantita un'identità storico-culturale, non sono altro che articolazioni del popolo complessivamente considerato al quale, nella sua totalità, spetta il diritto all'autodeterminazione]
    (segue)

    RispondiElimina
  13. La nozione di popolo come beneficiario dell'autodeterminazione è storica e dunque relativa: nell'attuale contesto IL POPOLO SI IDENTIFICA NON GIÀ AUTOMATICAMENTE CON UNA QUALSIASI COMUNITÀ ETNICA E CULTURALE … bensì piuttosto con una determinata comunità avente una particolare coscienza politica e cioè la coscienza del diritto alla propria autodeterminazione in relazione a qualsiasi tipo di oppressione…Autodeterminazione e popolo sono dunque due concetti interdipendenti che si definiscono a vicenda e che risultano strettamente legati alla realtà storico-sociale emergente in un particolare momento e contesto, grazie anche al sostegno che il popolo che pretende all'autodeterminazione riesce a ricevere dalle forze prevalenti della comunità internazionale…” [F. LATTANZI, Digesto, IV edizione,Torino, 1987, Autodeterminazione dei popoli, 4 ss]. Si potrebbe continuare con analoga dottrina.

    (La Corte Suprema canadese, per esempio, nel parere sulla secessione del Québec del 1998 affermò “people are expected to achieve self-determination within the framework of their existing state … A state whose government… respects the principles of self-determination in its internal arrangements, is entitled to maintain its territorial integrity under international law”).

    Ora, non risulta che la Spagna sia uno stato autoritario e che sia perpetrata a danno dei catalani una grave e persistente oppressione e violazione dei diritti umani della popolazione, né risulta che la Catalogna versi in una situazione di colonizzazione. Quindi non capisco cosa intenda dire il ministro degli esteri catalano quando afferma che “è un problema di democrazia”. Democrazia de’ che?

    Infatti, la Catalogna ha uno Statuto (approvato da Madrid nel 2006 ed innovativo rispetto a quello del 1979) in cui viene riconosciuta una ampia autonomia e che mi pare sufficiente come espressione del rispetto dell’autodeterminazione interna di quella “minoranza”, in grado di preservare ampiamente la identità di quelle genti e di proteggere i loro diritti ad opera dello Stato sovrano in cui esse sono inserite.

    Conclusione: trattasi di semplice flirt globalista e liberoscambista etero-diretto e contrario al diritto internazionale ius cogens. In Spagna l’imperisalismo continua semplicemente a fare il suo corso, sorretto dai media: distruggere la sovranità e mettere gli spagnoli gli uni contro gli altri in un potenziale scenario di guerra civile. In Italia… beh, chi ha orecchie per intendere, è ora che cominci a svegliarsi.

    Ha fatto più vittime il concetto di libertà che il petrolio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il che semmai dimostra,a fortiori, che il diritto all'autodeterminazione spetta indifferenziatamente e nel suo insieme ALL'INTERO POPOLO ITALIANO e verso ogni forma di coercizione politica ed economica esterna che lo privi del suo potere di governare gli aspetti fondamentali del proprio benessere, autoriferito "ai" e autovalutato nei fini fondamentali della sua legalità suprema: cioè la nostra Costituzione.

      Sicchè, abbiamo uno ius cogens che configura, ad ulteriore titolo (il diritto all'autodeteminazione), una MATERIA INDISPONIBILE per qualunque trattato internazionale: essendo quest'ultimo, per definizione subordinato a tale ius cogens.

      Cioè i trattati UE-M sono illeciti anche internazionali oltreche costituzionali.

      Ma la parte lesa da tale illecito è SOLO IL POPOLO ITALIANO NEL SUO INSIEME INDIVISIBILE, secondo il diritto internazionale inderogabile riconosciuto dalle "nazioni civili".

      O anche il popolo spagnolo (cioè l'intero insieme dei cittadini residenti nel relativo territorio statale che è intangibile proprio secondo il principio di autodeteminazione.
      I catalani sul piano giuridico hanno ottenuto GIA' tutto ciò che è leggittimo ottenere secondo "l'autodeterminazione".

      Per i reali moventi, egoisticamente materiali e supply side (cioè elitari) dei neo-secessionisti, non rimane che la spiegazione tratteggiata nella risposta a Luca Cellai.
      Che vale per qualsiasi altra rivendicazione interna a ordinamenti democratici che promuovono le "autonomie".

      Ma, a questo punto, ti preannunzio, l'agit-prop neo-secessionista, si è giò spostato su un paradossale intendimento dell'art.5 Cost. (e naturalmente, TUTTI-COSTITUZIONALISTI IN 5', E A "PRIMA LETTURA" PERMEISTICA, DILAGA).

      L'effetto Dunning-Kruger è parte essenziale della prassi dell'oligarchia "liberal-einaudiana", dato che, come dice Bazaar, i capitalisti sono quelli che hanno capito Marx (e COME VINCERE IL CONFLITTO SOCIALE con la cooperazione dei subalterni) meglio di tutti.

      Elimina
    2. Ma infatti, caro Quarantotto.

      E' esattamente quello che, nei post su "ordine pubblico", dice Basso a proposito dell'interpretazione corretta del concetto di "autodeterminazione dei popoli" (a proposito, in particolare, del diritto di autodeterminarsi economicamente).

      Ma ggnente, ormai si attaccano a tutto, contro ogni evidenza




      Elimina
    3. Ribadisco: tieni d'occhio l'art.5 Cost. e preparati (ti avverto perchè altrimenti ne va della digestione...mentre si potrebbe riderne tranquillamente).
      Le vie del signore (degli Anelli) sono infinite...

      Elimina
    4. Va bene. Mi preparo anche il sacchetto...non sia mai qualche rigurgito

      Elimina
    5. Non so se Francesco si riferisce a questo:

      “La constatazione che l’autodeterminazione è proclamata dalla Carta a beneficio di tutti i popoli trova difatti sostegno anche nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Particolarmente significativi si rivelano l’art. 1, par. 1, il quale prevede che “Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale….”, nonché l’art. 4, secondo cui “Gli Stati parte del presente Patto riconoscono che, nell’assicurare il godimento dei diritti in conformità del presente Patto, lo Stato potrà assoggettarli esclusivamente a quei limiti che siano stabiliti per legge, soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con la natura di tali diritti e unicamente allo scopo di promuovere il benessere generale in una società democratica”.
      Come ci ricorda L. BASSO, in sintesi, “… questo “sviluppo economico, sociale e culturale” implica necessariamente [per il popolo, NdR] la libertà permanente di determinare in ogni campo il proprio futuro e quindi la libertà permanente di disporre delle proprie risorse e di sottrarsi a coazioni esterne, e i governi hanno il dovere di garantire ai loro popoli questa libertà. E difatti l’art. I, comma 2, del Patto internazionale relativo ai economici sociali e culturali dice esplicitamente che “gli Stati contraenti del presente Patto.... sono tenuti a facilitare la realizzazione del diritto dei popoli a disporre di se stessi” [37].”

      http://orizzonte48.blogspot.com/2017/08/ordine-pubblico-economico-privatistico.html?spref=tw

      Elimina
    6. Esatto, Luca. E tale diritto i Popoli ce l'hanno anche nei confronti del proprio governo che deve assicurare il benessere ai propri cittadini i quali, a loro, devono pretendere cio' dal proprio governo (nel nostro caso, dalla Repubblica=Parlamento e Governo richiamati negli artt. 3, comma II, e 4 Cost.).

      Oggi con il vincolo esterno e l€uro tutto possiamo fare come Popolo italiano (vale lo stesso per i Paesi dell'€uro zona) tranne che autodeterminarci ed aspirare al benessere.

      Altra notazione: le Nazioni sono obbligate a rispettare questi principi. Ed invece noi assistiamo, come faceva rilevare Basso, ad una neocolonizzazione da parte di alcune nazioni a danno di altre. Dietro il paravento dei trattati ed in nome della pace!

      Se non e' questo uno scenario kafkiano...


      Elimina
    7. Anche i costituenti del 1849 avevano ben chiari molti concetti (vedi articoli III e IV)....

      http://www.dircost.unito.it/cs/docs/romana1849.htm

      COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA (1849)
      Principii fondamentali

      I – La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

      II – Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

      III – La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

      IV – La repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

      Elimina
    8. Caro Luca,

      In linea di principio, il federalismo deriva dalle vedute piccolo-borghesi dell'anarchismo”.

      Così lapidariamente affermò Lenin in “Stato e rivoluzione” contro vecchi e nuovi proudhoniani che Marx si premurò di stroncare in Miseria della filosofia. Portatori insani di acqua al mulino del liberoscambio sorretto dal individualismo metodologico, per definizione antisolidale ed antisociale. Ognuno per sé e dio per tutti. Soprattutto se credi (furbi!) di essere più evoluto dal punto di vista economico e assumi la competizione €urofascista come stella polare. In definitiva, altro cascame del cretinismo economico e dell’alienazione.

      E da questa ideologia reazionaria non possono che essere partoriti mostriciattoli. Ogni singolo villaggio diventa “popolo” e così via all’infinito. Il problema non è il centralismo burocratico, la capitale ladrona o altre minchiate simili. Il problema per €SSI è LO STATO, quello fondato sulla Costituzione democratica in grado di mettere il bavaglio al “capitalismo sfrenato”. Punto.

      La Costituzione vigente è chiara: Repubblica UNA E INDIVISIBILE, UN POPOLO cui appartiene la sovranità “indivisibile, imprescrittibile ed inalienabile” (volendo richiamare la costituzione giacobina, che i nostri Costituenti ovviamente conoscevano bene). Principio fondamentale e non soggetto a revisione. Altra cosa sono le autonomie locali, riconosciute e garantite.

      Bisogna quindi chiarirsi definitivamente le idee: in capo a chi viene reclamata la sovranità?

      Elimina
    9. E non abbiamo necessità neppure di esaurirci per dimostrare che la Terra gira intorno al Sole. Prima o poi lo sviluppo naturale delle cose dimostra la verità fattuale della realtà (quale sarà la capitale della Padania? O avremo uno stato serenissimo Veneto, subito secessionista dalla Lombardia e ad essa commercialmente contrapposto? E i bresciani e i bergamaschi saranno ancora contesi tra tali due "sovranità" tradizionalmente e storicamente distinte? E a quando dovrà risalire la residenza "terronica" al nord, secondo le leggi delle due entità statuali, prima di disporre reimpatri ed espulsioni?)

      Elimina
    10. Temo che bisognerà dar battaglia anche sull’ovvio. Non mi piacciono le brutte voci hayekiane che girano: conta lo spontaneismo della ggente. La Costituzione? Quando è stata firmata io non c’ero!!

      La situazione è preoccupante. Ed è orribile essere copernicani in un mondo che sempre più sembra flirtare con Tolomeo

      Elimina
    11. Come sappiamo è sempre stato così, dal "quarto partito" in poi. "L'ovvio" ha il terribile difetto (per ESSI) di prendersi la sua rivincita quando la propaganda neo-liberista, nei suoi variegati cavalli di battaglia, raggiunge il suo apice.

      Cosa che ci riporta direttamente a quanto sta per accadere nelle prossime elezioni, una volta che sarà stata calibrata (non dico su "cosa") la manovra di stabilità.

      Elimina
  14. Per @natolibero68 … che poi è un po’ la sintesi che fa Bazaar in questo commento:

    Bazaar21 ottobre 2015 15:58

    “In realtà credo che il discorso sui trasferimenti sia più complesso: mi ricordo bene a lezione la docente che faceva notare lapidariamente che, valutando e confrontando povertà relativa tra Lombardia e Campania, i trasferimenti non erano nel loro complesso giustificabili come semplice redistribuzione del reddito. Troncando la considerazione con: "ci sono motivazioni politiche".

    Ma il punto è: è meglio avere "il lavoro" o "un trasferimento a sostegno del reddito"?

    L'ingiustizia sociale non deriva semplicemente dal reddito disponibile e dal potere d'acquisto relativo di un'area geografica: la vera ingiustizia antidemocratica consiste nella diversa possibilità di avere un'occupazione, e di potere esercitare attività o funzioni in linea con la propria vocazione.

    Se uno nasce poeta può vivere nel golfo di Sorrento con poco e niente ed essere realizzato come il più beato dei santi: ma se uno studia e desidera realizzarsi come ragioniere? Commercialista? Imprenditore? È uguale abitare in Aspromonte o a Torino? (Bè, forse ora sì)

    Questo è il senso di ciò che ricorda Calamandrei, sulle orme di Basso.

    Infatti, al nord, in tutta la mia vita, non ho mai sentito nessuno al bar lamentarsi dei "trasferimenti fiscali". Checcavolo sono?

    Al bar tutti si lamentavano dei trasferimenti delle "persone", del fatto che negli uffici pubblici, nella forze dell'ordine, nelle poste, nelle scuole, ci fosse un numero sproporzionato di lavoratori delle regioni del sud.
    Ho al limite sentito lamentarsi di disparità di trattamento nei concorsi pubblici a causa di presunte "statistiche" funzionali alle graduatorie non omogenee tra nord e sud: ovvero sempre a livello di "competizione" nel mercato del lavoro.

    La maledetta mobilità del fattore lavoro: la forza esportatrice della lira "debole" era dovuta allo sfruttamento dei lavoratori del sud, mica grazie a misteriose italiche magie della nostra rimpianta divisa. L'intervento pubblico chiudeva il giro portando stabilità sociale a favore della grande impresa in via di internazionalizzazione, mantenendo i livelli di impiego e consumi con il supporto di parastatali e PMI.”

    http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/il-mezzogiorno-e-leuro-che-me-ne.html?showComment=1445435921161#c4073850884062390670

    RispondiElimina
  15. Ma perché lo studio di un post (e commenti) così non mi vale come 'formazione' per il 'centro dell'impiego' di Padova? Ora devo farne due, uno sfigato sovvenzionato (dal denaro pubblico) e uno "figo" che dovrò pagare a mie spese. È meraviglioso: mettersi a studiare dopo cena cose che non ti interessano, insegnate da esperti cui "tu" non interessi, per essere preferiti ad altri in posti di lavoro futuri che, se ci saranno, non ti interessano.
    Non ricordo quando ma lo disse Maimone in 'capital letter': DARSI DA FARE.:(

    (Il tutto per poi sacrificare una parte di ciò che "ci" interessa
    .MALEDIZIONE!)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahò, 'a formazzzione è 'a formazzzione. E l'accademia è l'accademia: nun vorrai insiste', no?
      Percorsi formativi e accademici: su rieduchescionel ciannel

      Elimina
    2. I liberisti hanno trasformato il mondo del lavoro, ossia lo spazio in cui ogni persona può trasformare i propri sogni in realtà, in un vero e proprio incubo.

      Elimina
  16. Occhio...sempre seguendo le 'european guide lines...' per essere competitivi nel 'mercato del lavoro europeo'...devo dire che ormai i 'formatori' iniziano a non fare più questo discorso...oppure lo fanno ridendo con noi 'formandi'.
    Perché se mi dici che fra i trenta e i quaranta potrai utilizzare le tue 'competenze' per offrirti oltre ogni confine (il 'non solo in Italia!' come fosse una figata, dissimula il 'NON più in Italia') al 'datore europeo complessivo'...bellissimo! Ma (visto che hai omaggiato Corrado):" ABBORIGGENO (ordo-datore impersonale totale)...MA IO E T€..

    MA CHE CA#####O SE DOVEMO DÌÌ !!!"

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ho parlato soltanto di "formazzzione" e "accademia". Mica ho detto che entro i limiti del vincolo irreversibile non siano abbastanza flessibili da adattare la "narrazzzione". Lo fa persino Draghi:
      http://www.lastampa.it/2016/09/26/economia/draghi-inflazione-ferma-allo-O68o5rI1yH9xYXQmxQs91M/pagina.html
      http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/03/10/draghi-deflazione-sconfitta-per-la-ripresa-salari-piu-alti26.html

      L'euro però rimane irreversibile.

      Elimina
  17. “In realtà tutto il pensiero liberale e federalista”

    Bazaar27 luglio 2016 15:51

    “Ricordando che fu Einaudi a fornire i testi di Robbins ad Altiero Spinelli tramite Ernesto Rossi, possiamo fare due considerazioni: innanzittutto che Einaudi e Robbins erano elitisti e antidemocratici convinti, ma erano degli intellettuali seri.

    Considerando che Caffè definiva "acqua fresca" il povero Ernesto Rossi, e che Spinelli era parimenti infarcito di idee elitiste (cfr. Masini) e non si discostava molto da quest'ultimo per acume e preparazione intellettuale, emerge con chiarezza la cinica e perfida intelligenza di Einaudi (che già aveva inquinato di liberalismo il pensiero democratico di Carlo Rosselli): prendere due "sempliciotti" con militanza antifascista e usarli - mi si perdoni - come utili idioti per tinteggiare di rosso un progetto mostruoso già stigmatizzato mezzo secolo prima dai massimi rappresentanti del pensiero progressista, quali Lenin (1915) e la Luxemburg (1911).

    In realtà tutto il pensiero liberale e federalista - si pensi in Italia al solo Albertini - è tanto profondamente antidemocratico quanto raffinatamente cosmetizzato a fruizione della plebaglia non "iniziata" al liberalismo classico.

    Come non ricordare la pubblica protesta di Ernesto Rossi ed Einaudi contro lo Stato sociale del Rapporto Beveridge?

    Ed infatti, sono proprio i nipotini di Einaudi, insieme ai federalisti a ricordarci il rapporto tra federalismo e incoraggiamento dei conflitti sezionali, cosmesi del conflitto sociale paludando quello tra classi e strategia della tensione a fini imperialistici.

    Per chiosare, non farei passare in cavalleria l'asserzione di Robbins per cui « Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o ["O"!] nazionale. »

    Per Robbins è evidente che socialismo e, quindi, Stato e democrazia sociale, sono strettamente legati allo Stato-nazione.”

    http://orizzonte48.blogspot.it/2016/07/hayek-monnet-robbins-le-ragioni.html?showComment=1469627487239#c920422613839239608

    P.S. credo di prendermi un’altra pausa da twitter…. Ci sentiamo Presidente

    RispondiElimina
  18. Presidente di Confindustria Veneto Roberto Zuccato:

    «L’autonomia non è un fine, ma un mezzo. Autonomia significa anzitutto responsabilità nell’uso e nella finalità delle risorse. Per questo è utile ricordare e sottolineare che l’obiettivo delle nostre imprese è che ci siano le condizioni per meglio competere nel mondo. Il manifatturiero concorre in modo determinante alla produzione di ricchezza. Se una parte maggiore di questa ricchezza rimane nelle disponibilità del territorio, certamente ci sarà un moltiplicatore.

    Confindustria Veneto con il MANIFESTO #VENETO2020 ha indicato chiaramente le sfide per le imprese, per la società che produce e per la politica. All’autonomia deve corrispondere una politica regionale in grado di interpretare le nuove sfide e soprattutto di avere una visione e una strategia per l’economia e la società venete.
    Per questo ci auguriamo che il negoziato col Governo sia condotto con saggezza e professionalità in modo da conseguire risultati concreti e non solo una “bandiera” ideale».

    RispondiElimina
  19. Il manifesto del nuovo manifatturiero (Confindustria Veneto)

    "Ripensare il futuro
    La consapevolezza di trovarsi nella “grande discontinuità”, impone un giudizio coraggioso sul modello economico e sociale che abbiamo alle spalle.
    […] Occorre che le rappresentanze delle imprese e del lavoro agiscano in modo integrato e consapevole, suggerendo percorsi di analisi e di azioni condivise, che valorizzino le specializzazioni del territorio [...].
    Il Manifesto del Nuovo Manifatturiero con le proposte di analisi e di obiettivi che indica, ha una duplice finalità:
    1) È un piano strategico che l’industria e le numerose filiere industriali venete si danno come orientamento, […]costruendo, giorno per giorno, azioni di lobby coerenti,facendo quotidianamente tesoro dell’inesauribile e innovativa “ricerca sul campo” degli imprenditori.
    2) È il contributo di visione e di proposte che il mondo dell’impresa offre alla Politica ed ai Decisori pubblici locali, utile ad azioni di programmazione flessibile […] È dunque […] un’autentica rivoluzione dal basso […] verso un rinnovato interesse per quei valori condivisi beni comuni che sono il collante delle comunità e l’indispensabile componente del “business sostenibile”.

    RispondiElimina
  20. Il nuovo scenario della competitività

    L’ultimo rapporto della Fondazione Nord Est racconta come […] si è allargato il divario fra i risultati di chi è in grado di reggere la sfida del mercato e chi, invece, stenta a tenere la pressione della concorrenza internazionale in presenza di una forte riduzione della domanda interna.

    La lunga fase di transizione

    La nuova fase, che dura ormai da più di sei anni, segna definitivamente la conclusione di un lungo ciclo espansivo dell’economia regionale. Il punto di svolta si materializza nel brusco rallentamento della produzione (-7 punti percentuali nel Pil e -10 punti per la domanda INTERNA tra il 2008 e il 2014), in un mercato del lavoro seriamente in sofferenza e in una dinamica demografica sempre più problematica

    RispondiElimina
  21. I punti di forza

    Le difficoltà messe in evidenza non devono, in alcun modo, oscurare i tanti punti di forza
    Questi gli “ingredienti” più rilevanti:
    • la qualità del capitale umano testimoniata dalle indagini Ocse-Pisa, che certificano come gli studenti del Veneto mostrino livelli di apprendimento equivalente, se non superiore, a quelli misurati nei paesi con i migliori sistemi di istruzione d’Europa;
    • la forte vocazione internazionale delle imprese, confermata dal numero di aziende esportatrici (ben 30mila, secondi solo alla Lombardia) e dalla crescente propensione all’export dell’economia regionale (le esportazioni valgono il 40% del Pil, 10 punti oltre la media nazionale);

    Le priorità per un Veneto nuovamente competitivo: capitale umano, cultura, attrattività

    […] Il nuovo manifatturiero avrà bisogno di investimenti specifici, non solo da parte delle imprese e delle associazioni che le rappresentano, ma anche da parte delle istituzioni politiche, educative, culturali e finanziarie. […]
    […]Negli ultimi anni si è consolidata una serie di esperienze positive per la formazione tecnica superiore (ITS), che rappresentano una vera discontinuità positiva in un quadro di progressiva separazione tra attività educative e industria.
    Il nuovo manifatturiero ha bisogno di maggiore interazione tra i circuiti del sapere: quello pratico operativo dell’impresa, quello formativo della scuola superiore e quello scientifico dell’università. Gli ITS riescono a raggiungere questo obiettivo, perché la governance dei loro progetti è sottratta ai vincoli decisionali burocratici e c’è vera autonomia. Gli ITS di oggi assomigliano ai vecchi centri di formazione professionale, di ispirazione tedesca, che svolgevano funzione di ponte tra le conoscenze e i bisogni delle imprese e le conoscenze dei docenti e dei ricercatori a tempo pieno.
    [...]
    Sono un esperimento da salvaguardare, anzi da estendere ulteriormente. Gli ITS e le loro Fondazioni possono diventare il perno di un esperimento di autonomia e innovazione nella Regione Veneto.
    La estensione dell’esperienza degli ITS, in un quadro di rilancio della politica industriale della Regione Veneto, può diventare un’infrastruttura permanente, caratterizzante dell’economia veneta.

    RispondiElimina
  22. Nuovo Manifatturiero e Capitale Umano Innovativo
    Obiettivo prioritario
    Si punta prima di tutto a qualificare in modo innovativo il SISTEMA FORMATIVO REGIONALE attraverso una serie di azioni complementari.
    Fra queste:
    a) ESTENDERE IN MODO SISTEMATICO L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO, intesa come continuum formativo, in cui l’acquisizione di competenze avviene sia in aula che sul luogo di lavoro, dal terzo anno delle superiori in poi.
    b) Promuovere lo sviluppo di approcci didattici innovativi per favorire nuovi modi di imparare, attraverso la sperimentazione attiva e la risoluzione di problemi concreti, favorendo la connessione fra scuola e specialisti che operano all’interno delle imprese, nelle strutture di ricerca e nei laboratori.
    c) Incentivare le attività e i processi in grado di favorire l’interazione fra il mondo della scuola, la società civile e le comunità professionali che operano sul territorio, attraverso la costituzioni di spazi di incontro e di sperimentazione attiva.
    d) Avviare e stimolare percorsi di confronto e di interazione fra saperi tecnico-scientifici e saperi umanistici, attraverso iniziative ed eventi in grado di stimolare la curiosità e lo scambio di esperienze, andando oltre la platea degli specialisti (ad esempio festival culturali, open day scolastici, giornate dedicate, promozione via web).
    […] Una burocrazia più efficiente: pochi centri di competenza, semplificazione, tempi certi, riduzione Enti e livelli decisionali #Veneto2020

    Il nuovo Veneto abbisogna di soggetti, di risorse (finanziarie e professionali) e di strutture efficienti.
    La Regione, che è soggetto legiferante ed è il principale soggetto di programmazione e di regia, può svolgere - in un momento generale di riorganizzazione della macchina pubblica - un ruolo importante, attraverso l’adozione e la costruzione di competenze interne elevate, di una nuova cultura del servizio, di una forte autorevolezza verso gli Enti Locali e lo Stato centrale.

    Nuovi ruoli della rappresentanza e delle istituzioni

    obiettivo prioritario
    La finalità è quella di creare un sistema della burocrazia più efficiente attraverso alcune azioni:
    • riorganizzazione dell’amministrazione regionale, attraverso pochi centri unitari di competenza politico/amministrativa e tecnico/amministrativa;
    • vincolo nella distribuzione delle risorse finanziare regionali, finalizzandolo ad una radicale riduzione degli Enti Locali e dei livelli decisionali, attraverso gli accorpamenti e la polarizzazione/riaccentramento delle deleghe.

    CONCLUSIONI
    Le azioni accompagneranno le idee

    Le idee e le proposte contenute nel documento sono il punto di arrivo di un percorso di ricerca che i rappresentanti degli Organi Direttivi delle Confindustrie del Veneto, hanno intrapreso e compiuto.
    Il Manifesto del Nuovo Manifatturiero è […] Sarà un “punto luce”, da cui Confindustria Veneto attingerà per una chiara e trasparente azione di lobby verso le Istituzioni pubbliche, le altre Organizzazioni di Rappresentanza e la stessa società civile, di cui gli imprenditori sono peraltro una componente attiva.
    Dai quattro grandi temi, che disegnano il perimetro delle sfide dell’industria e dell’economia, discenderanno la progettazione e la programmazione di specifiche azioni di lobby.
    Il lobbying è un metodo e un percorso che prevede, prima di tutto, la convergenza dei portatori di interesse nella definizione dei contenuti e degli obiettivi, e poi il confronto negoziale con gli interlocutori: i Pubblici Decisori, quali la Regione Veneto ed il suo governo e gli altri Enti che rivestono funzioni e giurisdizione regionali.
    Faremo questo, sempre, anche quando “agire secondo quel che si è pensato, può divenire scomodo”.”

    Et voilà...

    RispondiElimina