domenica 15 ottobre 2017

SOVRANISMO E PATRIOTTISMO: IL LINGUAGGIO DELLA COSTITUZIONE E L'AUCTORITAS DEL BIS-LINGUAGGIO


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1. Puntuale, dalle recenti parole del Presidente del Consiglio, è arrivata al conferma di quanto avevamo evidenziato nello scorso giugno.
Ci pare infatti interessante riportare le parole di Gentiloni di solo una settimana fa (ne esiste una sintesi concorde nelle varie fonti mediatiche, che riportano comunque il video del discorso, a scanso di ogni malinteso):
Gentiloni: sovranismo non c'entra niente col patriottismo "Il revival di questo sovranismo, inteso come ostilità verso i vicini non ci coinvolgerà, non coinvolgerà l'Italia", aggiunge:
'Il consolidamento della nostra identità nazionale - dice il Presidente del Consiglio - è un percorso molto importante, ma non ha nulla a che fare con le spinte sovraniste. Questo patriottismo contemporaneo non ha nulla a che fare con ostilità nei confronti di altre culture e di altri popoli'.
2. Certo, a far sorgere l'equivoco sul concetto di sovranismo contribuisce in modo determinante la difficoltà, squisitamente "culturale", di non saper definire la sovranità, nazionale italiana, in relazione alla sua espressa enunciazione normativa fattane in Costituzione (e nei lavori dell'Assemblea Costituente). Esistono, infatti, più accezioni sostanziali del concetto di sovranità, ferma restando la natura descrittiva, del potere statale, che svolge la definizione generale di sovranità, in termini di originarietà e autolegittimazione: caratteri che si eprimono in "indipendenza" (del potere statale) verso l'esterno, cioè verso gli altri soggetti di diritto internazionale (comprese le organizzazioni internazionali, specialmente se di natura economica), e "supremazia" all'interno di quell'elemento costitutivo dello Stato che è il territorio (v. qui; pp.6-9). 
Se la "forma di Stato" in cui si inserisce tale concetto descrittivo della sovranità è quella della democrazia sociale, costituzionalizzata, i fini e i valori a cui sarà vincolato l'esercizio della sovranità saranno quelli dell'eguaglianza sostanziale dei suoi cittadini e dell'intervento attivo dello Stato nel garantirla.
Se invece, si sarà in presenza di una forma di democrazia liberale, si avranno solo libertà c.d. "negative" e fini a valori che orientano il potere di supremazia statale (cioè la sovranità), esclusivamente a realizzare l'economia di mercato, e gli interessi, unici "meritevoli di tutela", di chi promuove e controlla tale mercato (qui, pp.10-14).

3. Ribadisco e riassumo questi concetti perché, pur essendo scontati (almeno nel costituzionalismo giuridico prevalente in Italia più o meno fino alla fine degli anni '70), rimangono oscurati (e sicuramente incompresi) nel dibattito politico-istituzionale attuale e ci pare che spieghino, in larga parte, l'impostazione data al discorso da Gentiloni. 
Avendo riguardo agli artt. 1, 3 capoverso, 4 e 5, della Costituzione, un dualismo tra patriottismo e sovranismo non ha alcun senso, né storico né, tantomeno, giuridico. 
La Patria menzionata in Costituzione all'art.52 Cost., costituisce solo una proiezione necessitata della "sovranità che appartiene al popolo" (art.1 Cost.) la quale non può che svolgersi (fisicamente, per quanto è fisica l'esistenza degli esseri umani) in relazione a un territorio, in cui si riconosce la propria radice e la propria appartenenza, e di cui è perciò "sacro dovere" difendere i confini (senza i quali non sarebbe possibile definire lo stesso territorio di appartenenza e la stessa "giurisdizione" geografica della sovranità popolare).

4. Cosa ci sia di ostile nei confronti di altre culture e di altri popoli nella sovranità popolare del lavoro (art.1 Cost.),  "che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art.11 Cost.), e che postula il sacro dovere di difendere la Patria posto a carico di "ogni cittadino" (art.52 Cost.), non è agevole da comprendere.
Tanto più che anche una riaffermazione della sovranità legata alla contrarietà alla immigrazione illimitata e priva di regole democraticamente conformi alla Costituzione, ha una sua ben precisa legittimazione nel fatto che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, e che, allineandosi perfettamente la nostra Costituzione, sotto questo aspetto, con il fondamentale ius cogens internazionale (art.23 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'Uomo", cioè affermazione del diritto al lavoro e allo Stato sociale come principale dei "diritti umani", qui, p.6), si abbia chiaro che  "I salari nei paesi più ricchi sono determinati più dal controllo dell'immigrazione che da qualsiasi altro fattore, inclusa la determinazione legislativa del salario minimo..." (qui, p. 8).

5. Al momento, purtroppo, non ci pare che questo equivoco, sulla presunta contrapponiblità giuridico-costituzionale, dei concetti di "sovranismo" (genus) e "patriottismo" (sua "species"), sia superabile. 
E nemmeno perciò sarà superabile il meccanismo mediatico-politico, di neutralizzazione del linguaggio a difesa della democrazia che ci offre la Costituzione italiana, che deriva da questa artificiosa contrapposizione.

5.1. Svolte queste premesse, dovrebbe essere chiaro perché l'attuale, diciamo, "nominalismo", del dibattito politico italiano, conduce alle conseguenze che avevamo così preavvertito a giugno:
"...ormai il termine "sovranismo" è considerato impraticabile perché i media e le "voci autorevoli" mainstream" hanno deciso che esso equivale a fascismo-xenofobia e quindi....ci si adegua e si rinuncia all'uso, prima ancora che del lemma (significante), del concetto stesso (significato), dando all'ipotizzato avversario il vantaggio di determinare la "tua" agenda a suo piacimento, godendo, grazie a un pervasivo controllo mediatico, di un potere di interdizione praticamente illimitato. 
E questo secondo la migliore tradizione orwelliana del totalitarismo: bisogna privare chi eserciti qualunque forma anche larvale di dissenso, delle stesse parole per definire "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".
Se ci si vergogna del "sovranismo", id est di autodefnirsi apertamente sul concetto di sovranità democratica del lavoro, si accetta che ciò che è insito nell'art.1 Cost. (e naturalmente in tutti i coordinati altri principi fondamentali della Costituzione che ne derivano), venga connotato secondo la convenienza politica dell'ordine internazionale del mercato, e si è sconfitti in partenza senza colpo ferire
La riprova? Se questa sostanza rivendicativa fosse ridenominata "patriottismo", - oltre che essere costretti ad usare un vocabolo non ancorato prioritariamente al dictum costituzionale- il mainstream del controllo mediatico-culturale, avrebbe buon gioco a "traslare" le stesse critiche e gli stessi anatemi su tale terminologia. 

Quello che conta è l'accettazione di un'auctoritas definitoria del "linguaggio" (o meglio bis-linguaggio) legittimamente utilizzabile nella dialettica politica, riconosciuta a chi questa dialettica vuole mantenerla a livello cosmetico e rendere, appunto perciò, il processo elettorale idraulico."

5.2. In questo contesto, che è, non può che essere, quello della legalità costituzionale, è altrettanto ovvio che sovranismo non può essere quello che disconosce il fondamento della sovranità nella tutela del lavoro e nella difesa dell'integrità dei confini nazionali.

30 commenti:

  1. Vabbè, Quarantotto, ma tu vuoi fare il cyber-ermeneuta ma guarda che Gentiloni se ne intende di brutto di confini. Un esperto.

    È ovvio che non è un vetero-sovranista come te: i patrioti "contemporanei" la sovranità la cedono alle nazioni ostili, senza ricambiare l'ostilità. Porgi l'altra guancia!

    A voi obsoleti costituzionalisti bisogna sempre aggiornarvi, lì, con quel pezzo di carta meramente enfatico-enunciativo, buono lì per far credere ai ceti subalterni di aver dei diritti (LOL! i diritti! Il popolo "sovrano":-))) Oggi c'è la Cina. C'è la Russia che è tornata a cibarsi di bambini e poi ci sono i musulmani buoni dei paesi canaglia che non vogliono porgere l'altra guancia (e l'altro barile) ai musulmani ribelli e terroristi addestrati e finanziati da cristiani protestanti, da cattolici ed ebrei... a cui si oppongono confuciani e ortodossi, ma russi, non greci... non so... mi son perso. Bisogna chiedere a qualcuno che ha capito che il materialismo storico non funziona... qualche fan di Evola o di De Maistre.

    L'esistenza umana è prima spirituale e solo in seguito materiale... non di solo pane vivrà l'uomo! Capito?

    Insomma, la sovranità appartiene al popolo ma va ceduta al grande capitale che deve fare la guerra alla Russia e alla Cina in modo da fare un governo mondiale che porti la pace e la giustizia grazie ad una tirannia illuminata che si occuperà di ecologia e sfoltimento di risorse umane difettose, non competitive od obsolete.

    Non bisogna essere ostili in un mercato fortemente competitivo! Impara da Gentiloni, che è un esperto in diplomazia!

    Vuoi la pace? E allora muori.

    Tanto semplice.

    Senza Stato sovrano, ovvero senza Stato, ovvero senza Stato di diritto, finalmente si potrà avere giustizia al di fuori del diritto. Basta con i giuspubblicisti! Dinosauri! :-)))

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  2. Se cedi direttamente la sovranità alla Svizzera si facilita il compito dell'eutanasia.

    Se cedi direttamente le armi puoi pure morire senza combattere. Voglio dire, che spreco altrimenti. Come è irrazionale ed paretianamente inefficiente difendere la Madre Patria, la propria famiglia, i confini, le proprie radici culturali che sono il più grande contributo all'umanità di ogni popolo.

    Il popolo... populista!

    Sovrano... sovranista! nazionalista, fascista e rossobruno che cita De Maistre ed Evola!

    Mi sono perso.

    Repubblica... repubblichino! ...no, no.. intendevo quella di Scalfari... appunto!... ma se vogliamo tutto privato perché mai dovremmo far delle privatizzazioni? A questo punto meglio la monarchia....

    Democratica.... democristiano! cattocomunista! ma come si fa con "le sfide che ci attendono per il futuro" affidarsi al "processo democratico" dove votano vecchi, millenials e ignoranti (categoria che poi racchiude tutte le altre categorie che non appartengano ai fanatici cosmpoliti e mondialisti)

    Fondata sul lavoro... sì, flessibile! ma fatemi il piacere. Ora ci sono i bitcoin. Stai a casa, vai davanti al pc, ne compri un pò e quindi aspetti ronfando mentre il loro valore sale all'infinito e... non c'è più bisogno di lavorare!

    Sono confuso.

    (Comunque rimango dell'idea che non è molto efficace parlare di "sovranismo" che, anche se è un lemma che deriva dalla Costituzione, definisce una categoria coniata dagli oppressori, legittima una dialettica con "l'antisovrano" che legittimazione non ha: chi non è sovranista è per definizione un collaborazionista. La sovranità, come il potere, i diritti e la libertà, non si può "cedere"... cedere nell'interesse e a favore di chi? Tutto ciò che non è "sovranista" è eversivo. Direi che nella situazione attuale, se si riconosce che esiste un interesse nazionale, va riscoperta la lotta per l'indipendenza nazionale)

    (Indipendenza nazionale.... propugnatore dell'autarchia! protezionista! keynesiano criptocomunista! nazifascista!)

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    1. Sarei totalmente d'accordo sul non utilizzare una categoria come il "sovranismo" perché ciò, - ma solo nel contesto oggettivamente eversivo che s'è creato-, implica la legittimazione dell'antisovrano (e infatti rammenterai che in un apposito post partivo "a contrario" proprio da tale ultimo concetto per attualizzare i caratteri intrinseci della sovranità IN TERMINI DEMOCRATICI).

      Ma questa è una "finezza" che prima presupporrebbe di potersi almeno riappropriare del linguaggio e del senso comune nell'intendere la Costituzione.

      Ma mi sovviene un pensiero: se questa è così vecchia e meramente enfatica, perché si preoccupano così tanto di cambiarla (da olter 30 anni) e di sopirne la violazione sistematica con strane circonlocuzioni filosofico-geo-politiche?

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  3. Tra l'altro facevo una riflessione di questo tenore: come possiamo avere una classe dirigente così cialtrona e incapace quando l'elitismo più raffinato, intelligente e sociopatico è stato storicamente espresso da italiani? più realisti e britannici del re d'Inghilterra?

    Insomma, a leggere Francesco Ferrara, Pareto ed Einaudi, ci si imbatte comunque in pensatori antidemocratici di una non comune cultura ed intelligenza.

    Stando con Riccardo Faucci, basti pensare ad Einaudi che definiva Keynes, prima che "finisse" in Costituzione - un "Marx in ritardo". Ossia un socialista promotore di utopismo umanitarista fuori tempo: così utopista che si realizzò in gran parte ciò che negli anni '30 aveva profetizzato.

    Oppure, in merito ai bitcoin, è doveroso ricordare che Hayek non si era inventato niente, fu Francesco Ferrara - malthusiano e contro la legge di Say, contro la teoria quantitativa della moneta ma... - sostenitore della concorrenza di monete emesse da banche private: altro che indipendenza delle banche centrali! (Certo che parlare di "indipendenza di una banca nazionale fa un certo effetto... a proposito di nominalismo... un effetto quasi autoesplicativo... poi se si pensa alla BCE... o a palazzo Koch in Via ... (?) al 91)

    Voglio dire: se gli austroammeregani avessero studiato direttamente il lavoro dei nostri autori risorgimentali, avrebbero realizzato la moderna globalizzazione meglio e prima... ma la « storia scritta dai Ferrara in ritardo » non si scrive con i "se"...

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    1. Interessante quesito: suppongo che l'anti-italianismo instillato negli italiani, da decenni e decenni di "agenti di influenza" anglosassoni, non possa permettersi di contraddirsi su un punto fondamentale...Quello per cui non siamo capaci di pensare e quindi di governarci da soli: se anche solo le premesse conformi fossero state già "efficientemente" enunciate da italiani, si rischierebbe di validare anche l'antitesi a origine italiana che gli si è contrapposta (Gramsci, Basso, Caffè...che invece, fuori da questo blog sono considerati - e l'ho letto riferito a Gramsci su twitter- relegati nella "spazzatura" della Storia).

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  4. Democrazia è una parola composta da demos(popolo) e kratos(potere).Se ci si proclama democratici si è sempre per il potere esclusivo della totalità degli abitanti di un territorio su di esso .Quindi anche nella stessa parola democrazia c'è essenziale l'aspetto della sovranità ,espresso poi nella maniera più cruda,kratos.Non è che in nome della pace ,poi la comunicazione delle elite arriverà ad associare la democrazia stessa al idea d' un potere sfrenato?E' anche vero che von hayek sosteneva che si può limitare una dittatura ma non una democrazia

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    1. È necessario sottolineare che per i "liberali" la democrazia è un'organizzazione contraddistinta dal processo "democratico", più o meno allargato in funzione del censo.

      In pratica il "voto" legittima il potere della classe egemone: in che senso "legittima"? perché fa gli interessi generali? no, semplicemente cosmetizza gli interessi delle oligarchie perseguiti tramite la manipolazione dell'informazione, dell'istruzione e dell'educazione religiosa. "Processo", che, stando con Hayek, viene portato a compimento con lo sciacquone delle elezioni...

      Sopratutto il "kratos" non appartiene al "demos", né inteso come nelle poleis greche, né inteso come nelle democrazie sociali: il kratos rimane in mano agli oligopolisti.

      La definizione formale di Hayek è corretta: demarchia. Se il liberalismo classico è definibile una timocrazia che, per una questione di egemonia culturale, produce un parlamentarismo di carattere strettamente oligarchico, la socializzazione del potere politico ed economico in aggiunta al suffragio universale rende le comunità nazionali sempre più strettamente ocloratiche in cui potenti demagoghi aizzano folle completamente irrazionali, alienate e allo sbando.

      L'oclocrazia veniva vista da Rousseau come come naturale evoluzione della democrazia nel momento in cui lo Stato viene distrutto.

      Il populismo! Il bonapartismo!

      Prima crei il problema, quindi proponi la soluzione. E vai di sintesi, portando avanti i tuoi progetti di classe.

      I banchieri non hanno letto solo Marx, hanno letto pure Hegel.

      (Tra l'altro, come faceva notare Francesco Ferrara, per evitare la "via verso la schiavitù" - sì, il concetto non è stato inventato da Hayek - e sterilizzare le rivendicazioni socialiste, era necessario distruggere lo Stato etico hegeliano)

      Stando con Polibio, ma con del sano realismo socialista, è evidente che la soluzione degli oligarchi demagoghi sarà per forza - dopo questa frammentazione di Stati e nazioni, e la conseguenze barbariche del sezionalismo tribale - il ritorno all'ordine tramite una tirannia.

      Ovviamente irenica ed illuminata...

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    2. Per definire meglio il concetto (e anche per raccordarci alla risposta data più sotto a "Stop"):

      "Come si può vedere già nel breve inciso polibiano, l'oclocrazia è considerata come uno stadio di degenerazione della democrazia. Risulta inequivocabile che il potere del Popolo, da intendersi originariamente a guisa di corpo politico unitario, dotato di un'autocoscienza storica, si tramuti ora in potere dell'ochlos, ossia di una moltitudine disordinata e senza identità, preda degli INTENTI DOMINANTI DEI CAPI CHE NE ORIENTANO A FINI PRIVATI LE OPINIONI Instillando ed inducendo falsi desideri.
      La massa pertanto si illude di esercitare liberamente la propria funzione, quando invece è diventata "STRUMENTO ANIMATO" di una o più personalità, tipicamente, nella formulazione Polibiana, DI ALTA ESTRAZIONE CENSITARIA, che la "seducono" anche distribuendo denaro e beni materiali di ogni genere.
      Il "popolo" (ormai disintegrato) diventa così corrotto, avido, spasmodico nella soddisfazione delle proprie pulsioni più egoistiche, cessando così di essere un popolo libero".

      L'attuale anti-elettoralismo (es; su Brexit e referendum costituzionale) si appunta solo sull'effetto (popolo privo di coscienza come corpo politico unitario) trascurando naturalmente le cause: cioè l'opera dei capi, di alta estrazione censitaria che orientano a propri fini privati.

      Esattamente come evidenziato da Gramsci, IN TERMINI ATTUALISSIMI.

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    3. Gramsci sul tema:
      "Lo Stato borghese è lo Stato liberale per eccellenza. OGNUNO PUÒ IN ESSO ESPRIMERE LIBERAMENTE IL SUO PENSIERO ATTRAVERSO IL VOTO. Ecco alla lunga a che si riduce la legalità formale nello Stato borghese: all'esercizio del voto.
      La conquista del suffragio alle masse popolari è apparsa agli occhi degl'ingenui ideologi della democrazia liberale la conquista decisiva per il progresso sociale dell'umanità. Non s'era mai tenuto conto che la legalità aveva due facce: L'UNA INTERNA, LA SOSTANZIALE; l'altra esterna, la formale.

      Scambiando queste due facce, gli ideologi della democrazia liberale hanno ingannato per un certo periodo di anni le grandi masse popolari, FACENDO CREDERE AD ESSE CHE IL SUFFRAGIO LE AVREBBE PORTATE ALLA LIBERAZIONE DA TUTTE LE CATENE CHE LE LEGAVANO. In questa illusione disgraziatamente non sono caduti soltanti i miopi assertori della democrazia liberale. Molta gente che si reputava e si reputa marxista ha creduto che l'emancipazione della classe proletaria si dovesse compiere attraverso l'esercizio sovrano della conquista del suffragio.

      Qualche imprudente si è persino servito del nome di Engels per giustificare questa sua credenza. Ma la realtà ha distrutto tutte queste illusioni. La realtà ha mostrato nel modo più evidente che LA LEGALITÀ È UNA SOLA ED ESISTE FIN DOVE ESSA SI CONCILIA CON GL'INTERESSI DELLA CLASSE DOMINANTE, VALE A DIRE, NELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA, CON GL'INTERESSI DELLA CLASSE PADRONALE...”.
      http://orizzonte48.blogspot.it/2017/09/cntri-di-irradiazion-vs-legalita.html

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    4. "Il "popolo" (ormai disintegrato) diventa così corrotto, avido, spasmodico nella soddisfazione delle proprie pulsioni più egoistiche, cessando così di essere un popolo libero".
      Ma finché c'è la possibilità di alimentare materialmente questa illusione.
      A me sembra, però, oramai che al popolo, tranne, forse, qualche capobranco "desinistra", non siano distribuite altro che illusioni, droghe ed elemosine; non posso pensare al reddito di cittadinanza hayekiano come qualcosa che potrà spingere le masse disgregate ad abbandonarsi alla soddisfazione di lussi e bramosie; mentre le illusioni, i Sogni (o i Fogni) secondo me, hanno un impatto molto intenso sulla psiche; e non necessitano nemmeno di così ingenti risorse.
      Però l'individualismo che vedo tra certi giovani delle classi subalterne non ha come punto di riferimento Leuropa, ma è nient'altro che obnubilamento disperato della coscienza per mezzo dell'annegamento nel mondo delle droghe; queste sì, economiche e ampiamente distribuite dal potere alle classi subalterne al fine di disgregarne qualsiasi presa di coscienza.
      Quando, nelle ore di lezione, provavo a fare un discorso sulla Costituzione, ad adolescenti figli dell'underclass impoverita, metà di loro erano in bagno a sniffare coca o a farsi delle canne, l'altra metà era in classe a dormire e il resto della classe era perennemente attaccato a cellulari di seconda-terza generazione (quelli che potevano permettersi) in giochini idioti o a contrattare il prezzo della merce con qualche spacciatore.
      Usciti da scuola, chi non passava pomeriggi a spacciare, andava a lavorare in nero, a portare pizze ad esempio; molti trascorrevano le giornate nelle comunità di recupero. Tra di loro c'era chi aveva genitori suicidati, oppure incarcerati per i reati più vari.
      Per quanto mi riguarda la mia "sfrenata" pulsione "egoistica" non è nient'altro che quella della sopravvivenza; ma questa è diventata oramai l'unica "pulsione" di molti: trovare un tetto sulla testa, riuscire pagare l'affitto, magari concedermi ogni tanto qualche lusso di una pizza al ristorante; credo che siamo già nella china verso l'abisso, io e molti altri.
      La spinta all'avidità personale e alla soddisfazione puramente individuale di desideri egoistici per mezzo dell'aspirazione al successo personale tramite la competitività può rimanere ancora il punto di riferimento di molti "imprenditori di se stessi", ma come pura illusione, credo, come una carota che più la insegui e più si allontana, e non credo che i più riescano ad arrivarci nella pratica.

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    5. Detto questo, ci tengo a ribadire che l'aspirazione al benessere per mezzo del lavoro è un diritto del popolo sovrano, nel suo insieme, perché troppo spesso certi decrescisti e marxisti della cia non fanno altro che scambiare questa legittima aspirazione popolare che va perseguita all'interno di una Stato democratico che tutela il lavoro, con l'individualismo e un certo concetto moralista di "consumismo" secondo il quale sarebbe virtuoso qualsiasi cittadino austero che si accontenta dello stretto necessario a sopravvivere, che produce e consuma sempre di meno e che riduce, quindi, l'impatto ambientale sul pineta Gaia; meglio si suicidasse. E questo, il suicidio, pare sia l'obiettivo, il FOGNO ULTIMO dell'UE, al di là della propaganda.
      Difatti, sui giornali "desinistra" si tessono le lodi di coloro che vivono di rinunce "pieni di gioia" con 2 euro al giorno, dipingendoli come più elevati moralmente della maggior parte dei dipendenti pubblici italiani, che hanno il posto fisso e stipendi da "capogiro", dipendenti pubblici che sarebbero null'altro che "furbetti" spendaccioni, nullafacenti, consumisti, depravati, dediti a egoismi e orge di ogni tipo.
      Ho conosciuto diversi netturbini pubblici che, prima della legge Treu, avrebbero potuto essere il bersaglio perfetto di questi marxisti decresciti della cia, tale era il livello di benessere raggiungibile attraverso l'impiego pubblico, anche non qualificato. E' strano che certi decrescisti siano accomunati ai liberisti nell'avercela con il pubblico impiego, o con il lavoro ben pagato con diritti garantiti?
      E' strano che decrescisti, marxisti della cia e liberisti non facciano altro che reclamare il reddito di cittadinanza hayekyano?
      Una mia vecchia amica infermiera pubblica, che si faceva un mazzo tanto tutta la settimana in ospedale, dedita al prossimo, con spirito di sacrificio, anche in condizioni spesso difficili, in pronto soccorso o nel reparto tumori, col suo lavoro si era comprata la casa dove viveva, era piena di libri, gli piaceva fotografare, e nei periodi di ferie amava viaggiare, e viaggiava per l'Europa quando Leuropa non era ancora quella di adesso e non c'era ancora Ryanair; bisogna spiegarlo a quelli che credono che poter vedere paesaggi e bellezze naturalistiche nel nostro continente sia solo possibile adesso con Leuropa nazista.

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    6. E' da un po di tempo che leggo questo blog e i relativi commenti ai relativi post. Vi faccio i più sinceri complimenti per le cose fantastiche che leggo. Sulla decrescita ho letto molte argomentazioni critiche. Sono in buona parte d'accordo con voi, però devo dire che la critica di Pallante ad un certo tipo di occupazione, non la trovo cosi sbagliata. Sbaglierò, ma concordo quando viene sostenuto che il lavoro non è un valore in sè, ma è un valore solo se serve a fare delle cose utili. Invece in un sistema dove è tutto mercificato, ogni occupazione assume un valore in quanto senza reddito non si può campare. Dove secondo me Pallante sbaglia... innanzitutto non farei questa battaglia spasmodica al Pil e probabilmente non chiamarei nemmeno "Decrescita" il movimento. E poi sopratutto quando parla di " - Stato e - Mercato". Io direi che deve essere lo Stato a governare e finanziare con spesa pubblica una diversa strutturazione dell'economia. Che poi questo processo porti ad un aumento del Pil o ad una "diminuzione qualitativa(?)" questo poco importa. La Decrescita diventa funzionale al sistema liberista nel momento in cui compara il debito pubblico al debito privato escludendo cosi lo Stato come alleato delle classi meno abbienti, e arrivando a pensare che è il sistema della crescita con il relativo sviluppo tecnologico, a portare a queste crisi. Questi errori sono dovuti ad una scarsa conoscienza dell'economia, ma secondo me rimangono valide le critiche al concetto di occupazione come valore in sè.

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    7. Se interessa puoi leggere anche questo:

      Proseguiamo con alcuni punti salienti dei commenti di Arturo:

      "Vorrei anche citare alcuni passaggi piuttosto significativi de "La sinistra assente" di Losurdo (Roma, Carocci, 2014, pp. 261 e ss.), a proposito di Latouche:
      "La delegittimazione dello Stato sociale è ribadita in più occasioni a partire da un angolo visuale di volta in volta diverso: «Voler salvare l'occupazione a tutti costi [...] sta a indicare nella maggioranza dei casi un attaccamento viscerale, conscio o inconscio, alla società lavorista» (Latouche, ioo8, p. 104).
      Il diritto al lavoro, parte integrante dei diritti sociali ed economici e a partire almeno dal 1848 obiettivo essenziale della lotta del movimento operaio, è così liquidato; ed è liquidato con una presa di posizione che cade alla vigilia della crisi economica che, in Occidente e in altri paesi capitalistici sviluppati, ha condannato milioni e milioni di persone alla disoccupazione, alla precarietà, agli stenti, a una condizione di permanente esposizione al ricatto padronale e quindi di sostanziale illibertà.
      La lotta per il diritto al lavoro e la piena occupazione è stata al centro di quelli che in Francia sono chiamati i «Trent'anni gloriosi», gli anni che hanno fatto seguito alla seconda guerra mondiale e che hanno visto l ’edificazione dello Stato sociale e in una certa misura la partecipazione delle masse popolari al miracolo economico. Le diseguaglianze si erano attenuate, «i proprietari privati avevano cessato di controllare le più grandi imprese», si era indebolito il «capitalismo patrimoniale privato» (Piketty, 1013, pp. 219-21).
      Senza appello è la condanna espressa da Latouche (2011, pp. 105-6): «se si calcolano i danni subiti dalla natura e dall’umani¬tà», quelli che tradizionalmente sono celebrati come i Trent’anni gloriosi si rivelano in realtà i Trent’ anni «Disastrosi».
      È una dichiarazione sorprendente: a essere considerata una catastrofe non è la miseria di massa dell’immediato dopoguerra bensì il suo superamento; per quanto riguarda la questione ecologica, più che il sistema capitalista e la sua caccia al massimo profitto, a essere presa di mira è la lotta delle classi popolari per la realizzazione dello Stato sociale; il capitolo di storia di cui esse sono state protagoniste e di cui ritenevano di poter essere orgogliose si configura ora come un marchio d’infamia.

      Ancora:
      “Secondo Latouche (2011, p. 72), tanto meno c’è bisogno dello Stato sociale per il fatto che «la miseria è in primo luogo psichica». È un’affermazione che fa trasecolare. Alcuni mesi dopo lo scoppio della crisi del 2008 la fao rendeva noti questi dati: «Oltre un miliardo di persone - un sesto dell’umanità, 100 milioni in più dell’ anno scorso - soffre la fame. Ogni 3 secondi un uomo, una donna o un bambino muoiono di fame».
      E non si tratta solo del Terzo Mondo: nei paesi sviluppati «le persone denutrite sono 15 milioni, con un aumento del 15,4% rispetto all’anno scorso»
      (“La Stampa”, 10 giugno 2009).
      Negli USA - comunicava il Dipartimento dell’Agricoltura - nel 1007 «circa 691.000 bambini hanno sofferto la fame, mentre quasi un Americano su otto ha lottato per nutrirsi adeguatamente, ancor prima della grave crisi economica» (“ International Herald Tribune”, 19 novembre 2008). «La miseria è in primo luogo psichica»?

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/01/ordoliberismo-mondialismo-decrescismo.html?spref=tw

      p.s. ho riportato solo una parte del post (aprire il link e leggere tutto)

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    8. @Nicola

      « il lavoro non è un valore in sé, ma è un valore solo se serve a fare delle cose utili. »

      Insomma, "scava la buca, ricopri la buca" piuttosto che lasciar i mezzi di produzione fermi, è un vizio morale e un vilipendio a Gaia.

      Bè, se veramente sei d'accordo con questo atteggiamento alla questione sociale ed economica, hai fatto proprio uno dei fondamentali slogan mistificatori neoliberisti.

      Oramai anche tra catastrofisti e decrescisti questa consapevolezza (più o meno...) si sta facendo strada.

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    9. Se posso… vorrei aggiungere anche questo commento (Caffè):
      Arturo1 giugno 2016 00:07

      Che poi ce ne fosse una, dico una, che sia nuova. A proposito della critica ecologica alla "sviluppomania" scriveva Caffè (I ricchi hanno un alibi, Il Mondo, 8 agosto 1974 ora in La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino, pag. 125), recensendo il libro di Wilfred Beckerman In Defence of Economic Growth: "In definitiva, ciò che va corretto non è di certo la preoccu¬pazione per la difesa dell’ambiente, bensì la possibilità che essa finisca per distrarre l’attenzione dai reali problemi dell’umanità, che sono ancora problemi di povertà e di inadeguatezza delle condizioni elementari di vita di larga parte dell’umanità stessa.
      Questi problemi non impongono di «mitizzare» lo sviluppo economico, ma non possono essere affrontati con il rinunciare a considerarlo come obiettivo essenziale della politica economica.
      E in questi termini, con una accentuazione polemica che mi sembra del tutto giustificata, che lo stesso Beckerman sintetizza il significato essenziale del suo volume.

      La tesi da me esposta è che il movimento ostile allo sviluppo economico,
      malgrado il fervore morale che ostenta, costituisce di fatto la reazione della sezione più ricca della comunità mondiale, che considera l’ulteriore svi¬luppo economico come pregiudizievole ai propri privilegi e teme, spesso erroneamente, che quegli aspetti della qualità della vita ai quali essa può permettersi di attribuire un valore elevato, possano essere sacrificati dall’accresciuta produzione di beni che sono tuttora fondamentali per garan¬tire un tenore di vita decente ai componenti più poveri delle società pro¬gredite e ai disperatamente poveri che costituiscono la maggioranza della popolazione mondiale.

      Il che, se non è proprio l’intera storia, ne è sicuramente una
      parte essenziale."

      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/05/la-nostaglia-artistica-della-lira-e-gli.html?showComment=1464732444046#c2271556062265097400

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    10. Democrazia non vuole dire esattamente governo del popolo, perchè demos non è interpretabile come popolo in senso lato, ma piuttosto come insieme di abitanti di un luogo geografico, infatti ad Atene venivano associati i demo del circondario e gli abitanti di quei posti erano considerati ateniesi, mentre chi non era compreso nel novero di quella popolazione non aveva alcun diritto a partecipare al governo, demo è un termine sopravvissuto anche nella lingua italiana e proprio nel senso di luogo, o almeno ricordo di averlo sentito usare con questo significato.
      P.S.
      correggetemi se sbaglio.

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    11. Perché complicarsi la vita con definizioni non giuridiche che gli stessi ateniesi non avrebbero condiviso? Demos è l'insieme degli aventi diritto di cittadinanza (insieme identificato dal legame con un certo territorio, su cui qualcuno, i cittadini ovvero altro individuo o gruppo sociale, esercita la sovranità).
      Vale ancora oggi. Con non banali ripercussioni sulle vicende politiche attuali.

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    12. @Bazaar

      Se l'alternativa è rimanere disoccupati e non vivere dignitosamente, non lo trovo un vizio morale l'intervento diretto dello Stato in economia per garantire un qualsiasi tipo di occupazione. Nel paradigma produttivista sono sempre a favore dell'economia keynesiana a scapito di quella liberista. E non concordo con Pallante quando dice che quest'ultima si è rivelata più efficiente della prima, oltre alla sua comparazione tra Debito Privato e Pubblico che rende effettivamente la decrescita il rovescio della medaglia del liberismo. Adesso stando il fatto che non credo ad un riscaldamento globale causato dall'uomo, però in un ipotetico scenario dove lo Stato ritorna padrone della moneta e dell'economia, ritengo che l'economia keynesiana debba rappresentare solo una fase intermedia più o meno lunga allo scopo di far fronte all'emergenza della disoccupazione. Dopo progetterei un sistema di produzione totalmente diverso. Un sistema che rispetti i limiti delle risorse ambientali, che riduca drasticamente l'inquinamento, e che ridefinisca il concetto di lavoro. Il lavoro non come fine ma come mezzo. Il lavoro che serve a produrre cose utili e che durano nel tempo, assieme ad un ritorno a modigerate forme di autoproduzione che possano fare rete in un'economia locale. Un sistema dove si lavora liberi dalla costrizione di doverlo fare e che dia un grande valore al tempo libero, emancipando le persone dal denaro per poter condurre una vita dignitosa.

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    13. http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/produttivita-falso-mito-della.html
      Per un (illustre) approccio economico-scientifico a queste problematiche.

      E con l'avvertenza che l'economia keynesiana, cioè l'intervento delo Stato volto alla piena occupazione, rimane un indispensabile drive DINAMICO per:
      a) prevenire gli eccessi di produzione derivanti dall'inefficienza intrinseca dell'applicazione tecnologica sul lato dell'offerta (privata) e della "falsa" innovazione di processo;
      b) compensare la debolezza intrinseca dei "mercati del tempo libero" che esigono una scelta politica che ha nello Stato sociale keynesiano la sua unica opzione durevole e istituzionale.

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    14. @Nicola

      Mi limitavo tranchant a segnalare il frame neoliberale.

      E se cerchi coscienza politica vorrai rifuggire da un framework (ideologia, "falsa coscienza") che ti porta ad atteggiarti a livello cognitivo in un modo controproducente rispetto ai tuoi interessi di classe.

      Il liberalismo (con il coprifuoco positivista e determinista malthusiano) è una gabbia concettuale, fitta fitta di trappole cognitive elaborata dalla classe egemone a cui - se siamo qui a discuterne - non apparteniamo.

      Se il malthusianesimo è l'altra faccia del liberismo, e l'ecologismo è (a)dialetticamente l'altra faccia del consumismo, è chiaro che chi ha la responsabilità materiale dei disastri ecologici, dell'alienazione delle masse di lavoratori trasformati in famelici "consumatori" o affamati disoccupati, plagia con il suo becero moralismo parareligioso i subalterni.

      I frame creano un "senso comune" che non è buon senso: il buon senso rifugge da ciò che a primo acchito può apparire... sensato.

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    15. Ma cosa sono le "morigerate forme di autoproduzione"?? No industria statale, no produzione industriale? Ma io non sono felice a vivere nelle ristrettezze dell'autoproduzione di qualche pomodoro del mio orto sotto casa? Questo è un mito che propalano i decrescisti che intanto girano il mondo e si godono la vita.
      Voglio una vita ricca di beni, (mezzi per riscaldarmi, computer, telefoni, libri, strumenti musicali, lampade, divani, mobili, trasporti, lavatrice, frigo, ecc.) prodotti per mezzo del lavoro ben pagato e tutelato! Come posso autoprodurmi un frigo o un computer? Ci dev'essere un'industria! Si auspica che sia pubblica! Si auspica che tuteli il lavoro! Sia auspica che non faccia lavorare 18 ore al giorno le persone!Io mi accontenterei di 6, se il lavoro è usurante.
      L'obiettivo è produrre prodotti che hanno due FINI: l'elevazione materiale della società e la sua elevazione spirituale: cioè la possibilità di esprimersi nelle varie forme di scrittura e arti, di elevarsi, di creare bellezza che vada OLTRE la mortificata sopravvivenza con le "risorse scarse".

      "rispetti i limiti delle risorse ambientali", ma quali sono i limiti delle risorse ambientali??? TU E PALLANTE LI CONOSCETE VERAMENTE?? Siamo sempre nel mito! L'effetto serra è un mito! Gli altri tipi di inquinamento possono essere benissimo superati da innovazione tecnologiche, come sta già avvenendo; e quindi, una volta superati i "limiti delle risorse" qual'è il problema se non il MORALISMO?? Il problema è il limite delle risorse culturali che vede come consumismo qualsiasi cosa che non sia mera sopravvivenza con "risorse scarse".

      Ma qui nessuno vuole che la gente si riduca lavorare 24 ore al giorno per comperare una lavatrice al giorno. Per produrre delle scarpe di buona qualità oggi è necessario molto meno tempo; è logico che non possiamo produrre miliardi di scarpe in più del necessario. Ben inciso, il contrario della tendenza attuale che, invece, porterà allo sterminio per mancanza di consumo di larga parte degli strati subalterni, e distruzione dei beni prodotti invenduti.
      Il problema, come segnalato da alcuni, è la qualità della vita. Se un lavoro è faticoso e usurante è auspicabile che vi sia una diminuzione del tempo di lavoro, a vantaggio della qualità della vita; ma i salari devono restare ad un livello tale da poter avere la possibilità di avere una vita dignitosa, anche "ricca"; quindi, vuol dire avere la possibilità di avere trasporti, istruzione, sanità, case moderne e/o ristrutturate, scuole, biblioteche, libri, consumi culturali, musica, danza, architettura, sviluppo tecnologico, città moderne.

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    16. Se un lavoro produttivo è invece ricco di soddisfazioni e i suoi prodotti hanno un limitato o nullo impatto ambientale, perché diminuirne obbligatoriamente le ore? Potrebbe essere lasciata la scelta al diretto interessato.
      Però Nicholas Georgescu-Roegen, che ho visto citato sovente da Latouche, non mi convince, ma non l'ho letto come fonte diretta.
      Quel che mi da fastidio è che, sotto la coltre del problema ambientale, avanzi il moralismo che vuole abbandonare tutto ciò che di buono vi è stato nel benessere e nell'aumento dei consumi da parte delle classi subalterne; quel moralismo che non fa altro che affermare quanto siano "corrotti" gli uomini moderni che adesso hanno raggiunto il benessere, mentre prima, nella miseria, nelle malattie e nella più nera povertà, avevano il senso della comunità ed erano tutti solidali; molto spesso la "solidarietà", il "riciclo" non erano altro che strategie di sopravvivenza; per il resto non vi erano altro che sofferenze, malattie, ignoranza, vizi morali, ecc.; il ritorno alla vita agreste è un mito intramontabile borghese, di coloro che non hanno mai vissuto le ristrettezze che mi ha raccontato mia nonna, sotto il regime fascista; ad esempio, il suo percorrere 20 Km tutti i giorni a piedi coi secchi per andare a raccogliere un po d'acqua potabile.
      Vorrei, come parte di un popolo, vivere un po meglio di mia nonna, se permetti; e anche, "rimuovendo gli ostacoli della mia classe di appartenenza" esprimere me stesso nei più vari mestieri (medicina, scienza, arte) e non solo a coltivare l'orto di sussistenza sotto casa; e, tramite questi mestieri, contribuire ad elevare materialmente e spiritualmente il mio popolo; è questo il fine del lavoro non alienato; e' questo il concetto di LAVORO che avevano in mente i costituenti.

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    17. L'impiego pubblico e gli appalti pubblici come mero stipendiare persone che fanno e/o producono cose inutili tanto per ricevere un reddito è un concetto che mi sfugge.
      Gli impiegati pubblici non stanno tutti lì a produrre lavatrici che devono poi essere obbligatoriamente vendute! il settore pubblico deve arricchire lo spazio pubblico!
      Bisogna tenere le strade pulite e decorose; mantenere le strutture fognarie, elettriche, gli acquedotti, le linee di telecomunicazioni; creare e mantenere parchi naturali ricchi di attrazioni, in città e fuori, dove la gente possa godere del proprio tempo libero.
      Mettere in sicurezza gli edifici, o ricostruirli con le più moderne tecnologie antisismiche, mantenere nella perfetta efficienza le infrastrutture di ogni genere; ristrutturare/modernizzare piazze, strade, edifici pubblici, teatri rendendoli luoghi dove la gente è orgogliosa di vivere e felice di trascorrere il tempo, e non abbandonarli al degrado.
      Modernizzare/fondare nuovi ospedali, arricchendoli di medici specializzati, strumentazioni, arredamenti decorosi, ecc.
      Modernizzare/ristrutturare/edificare ogni genere di scuola pubblica, fare in modo che i tetti non cadano nella testa degli studenti durante le lezioni. Assumere molti più professori con contratti a tempo indeterminato, e non farne lavorare pochi con contratti precari.
      Creare una rete di trasporti pubblici moderna, efficiente, tecnologicamente avanzata.
      Finanziare la ricerca universitaria nei più svariati settori.
      Aumentare il personale delle forze dell'ordine al fine di rendere sicuro il nostro paese, da ogni punto di vista.
      Tutte queste cose arricchiscono un popolo nel suo insieme e non sono finalizzate solo a dare uno stipendio a qualche disoccupato, o a aumentare il "consumismo" o l'individualismo; è questo il concetto che si deve capire: il concetto di lavoro finalizzato ad elevare materialmente e spiritualmente la società, che la Costituzione impone come dovere. Non si può fare tutto ciò con il reddito di elemosina baumaniano; c'è bisogno di investimenti pubblici sostanziosi, altro che coltivarsi l'orticello di pomodori nella casa in campagna!

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  5. “Quello per cui non siamo capaci di pensare e quindi di governarci da soli:”

    “La questione dell'autorazzismo è documentata essere una forma di colonialismo.”

    Bazaar29 agosto 2017 10:52

    “Notare che dal materiale desecretato dei servizi inglesi e statunitensi visionato da Fasanella e Cereghino, emerge come lo stesso assassinio di Matteotti può essere coerentemente relazionato alle politiche energetiche, in cui tanto i britannici quanto quanto gli americani erano coinvolti su suolo italico.

    Matteotti tornava da Londra dopo pare aver ricevuto documentazione compromettente sui "giochi petroliferi" tra fascisti, americani ed inglesi: la mano assassina fu fascista. Ma, a quanto pare, i mandanti no.

    Gli Einaudi, i Montanelli, gli Scalfari, i Barzini, i Severgnini, hanno tutti qualcosa in comune; sicuramente, direi, non è l'amore per la Patria e per gli Italiani.

    La questione dell'autorazzismo è documentata essere una forma di colonialismo.

    L'analisi marxiana porta con certezza a questa conclusione: razzismo e manipolazione del guilt system (autorazzismo, moralismo clericale o laico-politically-correct), sono secolari strumenti usati dall'imperialismo e dalle ierocrazie, nella versione internazionale di lotta di classe e oppressione dei subalterni.

    Il riscontro empirico esiste, e Fasanelle e Cereghino riportano l'esempio del nostro Paese.

    L'unico familismo amorale è quello delle grande dinastie che controllano oligopolisticamente gran parte delle risorse del pianeta.”

    http://orizzonte48.blogspot.it/2017/08/la-trappola-dellodio-degli-agenti-di.html?showComment=1503996752106#c4554244823419527543

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  6. “(Gramsci, Basso, Caffè...che invece, fuori da questo blog sono considerati - e l'ho letto riferito a Gramsci su twitter- relegati nella "spazzatura" della Storia).”

    Vero…. E pensavo a questo…. (giusto per fare un esempio):

    “E tutto questo può risultare chiaro e fondamentale, purché sia chiara la ragion d'essere del sistema proporzionale, una volta calato dentro il sistema di poteri, certamente "governabili" (e in effetti "governati" con successo), della nostra Costituzione del 1948:
    "Oggi invece ogni Costituzione moderna, che risponda alle esigenze della vita moderna, considera che IL FULCRO DELLA VIA COSTITUZIONALE, IL CENTRO, IL PUNTO DI EQUILIBRIO DELLA VITA COSTITUZIONALE, NON È PIÙ QUESTO EQUILIBRIO FRA L'ESECUTIVO E IL LEGISLATIVO, inteso il legislatore come rappresentante della volontà indistinta di tutto il popolo, ma è viceversa L'EQUILIBRIO FRA MAGGIORANZA E MINORANZA, fra una parte del popolo e un'altra parte del popolo; diremmo, se volessimo introdurre il concetto in termini nostri, marxisti, FRA CLASSI DOMINANTI E CLASSI DOMINATE E OPPRESSE.
    Ma se non vogliamo tradurlo in termini marxisti, fra maggioranza parlamentare da cui si esprime il governo, che è quindi un tutt'uno con il governo, con coloro cioè che presiedono alla funzione esecutiva, e la minoranza che ha viceversa una funzione costituzionale di stimolo e di freno, a seconda dei casi, e di controllo dell'attività della maggioranza.
    Non vi è, dicevo, nessun dubbio, che la dottrina costituzionalista moderna ha posto a fondamento della vita costituzionale di uno stato democratico non più semplicemente il rapporto fra esecutivo e legislativo e non più semplicemente l’affermazione del principio maggioritario come espressione della volontà di tutto il popolo, ma un principio maggioritario e minoritario, cioè di un certo equilibrio che deve essere tenuto fra maggioranza e minoranza, equilibrio per cui la maggioranza legiferi con il rispetto della minoranza, con il rispetto dei diritti fondamentali che le Costituzioni moderne riconoscono alle minoranze…
    Lo scopo delle elezioni non [è] quello di indicare una maggioranza e di darle un largo margine perché essa possa meglio governare secondo i propri principi, ma [è] invece quello di INDIVIDUARE LE DIVERSE CORRENTI POLITICHE E DI ATTRIBUIRE A CIASCUNA IL SUO REALE PESO, IN MODO CHE IL GOVERNO POSSA POI TENERE CONTO DELLE DIVERSE ESIGENZE, E NEI LIMITI DEL POSSIBILE, CONTEMPERARLE.
    … se la presenza e la funzione della minoranza è di rilievo costituzionale (e, ripeto, non v'è dubbio che sia di rilievo costituzionale, talché la nostra Costituzione attribuisce diritti alle minoranze, e fra l'altro appunto quello di far convocare il Parlamento ai sensi dell’art. 62), essa minoranza deve essere presente con il suo peso effettivo.
    Se il rapporto minoranza-maggioranza, che è un rapporto fondamentale, basilare nella vita dello stato moderno è artificiosamente alterato, è artificiosamente alterata la base e la vita dello stato moderno. La minoranza viene privata delle possibilità, delle podestà, dei diritti, delle garanzie che la Costituzione le offre; LA TUTELA COSTITUZIONALE È PRATICAMENTE ANNULLATA…”.
    [L. BASSO, La violazione dei diritti del corpo elettorale, in Mondo Operaio, 20 dicembre 1952, n. 24, 7-10].”

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/11/il-boomerang-inconsapevole-respinto-il.html?spref=tw

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  7. Certo. Il modo migliore, per Gentiloni di riaffermare la nostra sovranità è quello di smantellarla del tutto in nome de Leuropa.
    "dobbiamo cedere sovranità a un'Europa unita e democratica"
    http://www.ilgiornale.it/news/politica/quando-gentiloni-twittava-dobbiamo-cedere-sovranit-ue-1341173.html

    Bisogna interpretare bene le parole di Gentiloni: l'affermazione della sovranità statuale di una repubblica fondata sul lavoro è per forza di cose un atto di "ostilità verso i nostri vicini RENTIERS che non ci coinvolgerà"; adesso si capisce meglio!

    Siamo di fronte ad un discorso pubblico completamente incoerente, schizofrenico, fonte di malattie mentali, elaborato da gente disturbata; o da menti raffinatissime. Però non posso distrarmi con questi discorsi sovranisti, vorrei impegnarmi ad integrare, gradatamente si intende, per non far sfiorire nessuno si intende, i riti mussumlmani con quelli cattolici, ortodossi, protestanti, confuciani, buddisti ecc. al fine di creare un'arena planetaria di condivisione; ma non lo posso fare finché non mi viene concesso un reddito di cittadinanza incondizionato al fine di impegnarmi in questa arena politica; c'è un mio amico che ha fatto 10 anni di medicina tra laurea e specializzazione e che anche lui, disoccupato, reclama il reddito di cittadinanza (mica il posto fisso ben pagato in un ospedale pubblico) per poter fare i trapianti di cuore a casa sue con le posate. Invece di lavorare precario in mille impieghi inutili, subissato da mille incertezze, io anche potrei, con un reddito di cittadinanza, andare in giro a curare il bene comune, raccogliendo le erbacce e le cicche di sigarette per le strade; le cacche dei cani però raccoglietevele da soli. Anche il mio amico ingegnere precario a vita potrebbe impegnarsi, in assenza di appalti pubblici, alla Caritas nell'arena della condivisione del "bene comune" a tempo pieno a distribuire pasti, se solo avesse anche lui il suo reddito di cittadinanza.
    Ma anche tutto il discorso sul "consumismo" baumaniano non è, per me, nient'altro che moralismo. Questo strano accostamento tra l'aumento dei consumi, e quindi di benessere delle classi subalterne, l'affrancamento, quindi, dalla povertà e dalla miseria, avvenuto tramite le socialdemocrazie interventiste del dopoguerra, come causa profonda dell'individualismo, non mi quadra per nulla. Semmai l'individualismo è stata un'ideologia di reazione a tutto ciò, diffusa dalle classi dirigenti capitaliste, che ha diffuso l'idea che, nell'arena del libero mercato senza Stato e senza intervento pubblico, si possa diventare benestanti con le sole proprie forze, in perenne competitività; ma questa idea porta inevitabilmente allo sterminio, alla povertà e alla miseria della maggior parte delle classi subalterne; cioè l'obiettivo dei rentiers; perché è un'illusione, per la maggior parte di noi, che si possa arrivare al benessere e a una vita dignitosa da soli, senza alcuna solidarietà, in perenne competizione con gli altri. D'altro canto, che si debba auspicare tutti una vita austera di rinunce, senza consumi e senza lavori ben pagati, al fine di disintossicarci dal cosiddetto individualismo, reclamando quindi l'elemosina di cittadinanza al fine di ritrovare, come minions, lo spirito di condivisione nell'occuparci della politica e del "bene comune" è un concetto tra i più reazionari che io conosca. Per fare il medico chirurgo in un ospedale pubblico vorrei avere una paga commisurata all'impegno di anni di studio e alla delicatezza che la professione comporta. Ma anche per raccogliere la spazzatura vorrei uno stipendio di un certo livello, con un contratto pubblico regolato da accordi collettivi. Qualche decennio fa in Italia i netturbini guadagnavano bene; era un lavoro dignitoso, anche ambito, fonte di benessere, prima che arrivassero le leggi Treu e i tagli alla spesa pubblica.

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  8. Le lotte marxiste delle origini, prima che arrivassero i marxisti moralisti finanziati dalla Cia, riguardavano gli aumenti salariali, la possibilità di ritagliarsi la propria fetta di torta, il miglioramento delle condizioni di lavoro, l'aumento del benessere, il fuoriuscire dalle privazioni, dalla miseria. L'intervento pubblico keynesiano è proseguito su questa strada; la vera strada della solidarietà è crescere prima di tutto materialmente, tutti, come società, tramite le istituzioni pubbliche di uno Stato sovrano volto all'interesse collettivo, all'affrancamento dalla miseria materiale e all'aumento del benessere. I moralisti baumaniani hanno riconvertito tutti questi risultati benefici frutto della solidarietà socialdemocratica e delle lotte di classe, come qualcosa di intrinsecamente brutto e cattivo, e il raggiunto benessere delle classi subalterne è stato rielaborato come null'altro che fautore di individualismo; costoro infatti sembra che auspichino tutti il ritorno alla vita austera come fonte di virtù, con il nostro bel reddito di cittadinanza hyekiano, mentre ogni aumento dei consumi , dei salari e dei diritti collettivi non farebbe altro che creare "l'individualismo".

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    1. Caro "stop", la propaganda ultradecennale, con le sue "sterminate risorse" non poteva che essere efficace sugli strati sociali a cui mirava: e proprio per suscitare quella identificazione degli oppressi negli interessi degli oppressori di cui, qui, abbiamo parlato tante volte.

      Poi, sai, la questione del reddito di cittadinanza è un'enorme false flag con cui li tengono in perenne stato di distrazione dai rapporti causa/effetto: per questo non lo otterranno finchè il sistema finanziario non sia collassato nuovamente e, quindi, solo dopo che saranno del tutto state privatizzate previdenza, istruzione e, above all, sanità.

      Ma in quella situazione i poveri in fila per un pasto nelle strade, - anche se beneficiari del RdC (suddiviso per milioni di disoccupati "reali" e perciò irrisorio)-, saranno un po' troppi (facciamo qualche centinaio di migliaio di ex dipendenti pubblici con le relative famiglie?) per fargli pensare che il RdC sia un presupposto per potersi dedicare "all'impegno militante".

      I "volenterosi" rischierebbero di essere presi per complici e leggermente insultati

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  9. Se è vero che siamo parlati dal linguaggio, emergono dalle dichiarazioni riportate due termini che la dicono lunga sul pensiero delle attuali classi dirigenti (“patriottismo” e “nazione”, identità nazionale), le quali continuano a muoversi del tutto al di fuori del recinto della Costituzione, come precisato nel post. Tali classi dirigenti sono sostanzialmente ritornate all’Ottocento, e perciò non possono che parlare di “nazione” e di “patria” in senso squisitamente borghese, quasi vi fosse stata una sorta di continuità sostanziale del Risorgimento nella Resistenza, con il riconoscimento di un motivo nazional-patriottico in quest’ultima.

    Come ci spiega Basso, “…questa presenza di un significato nazionale nella Resistenza per il tramite della continuità col Risorgimento, a nostro avviso, non si verifica” al di là dell’identificazione nella Resistenza di una “situazione oggettivamente – …estrinsecamente… - paragonabile alla situazione prerisorgimentale. Le preoccupazioni di garantire l’unità della Resistenza conducevano facilmente, d’altra parte, alla scelta di riferimenti nel passato, riferimenti dei quali il tempo avesse, almeno a un esame superficiale, smussato gli spigoli taglienti (la tradizione viene spesso usata con questo scopo, di assicurare una unità che purtroppo è spesso più formale che sostanziale)...”.

    Perciò, utilizzando sempre le parole di Basso, si può dire che “Qui si cade spesso nel grossolano: il valore nazionale della lotta non solo SOSPENDE E CANCELLA QUALSIASI INTERPRETAZIONE DI CLASSE, ma compone la lotta risorgimentale, e la lotta resistenziale, nella visione AGIOGRAFICA E A-DIALETTICA DI UN PATRIOTTISMO TRADIZIONALE”.

    Questa continuità degli aspetti più estrinseci di una tradizione nazionale tramandata dal Risorgimento alla Resistenza è forse una delle radici del fenomeno per cui, durante la Resistenza e alla conclusione di essa, la continuità della Nazione si è tradotta in una continuità giuridica dello stato, facilitando il tentativo della classe dirigente post-liberazione di dare, della Resistenza, un’immagine agiografica e quasi apolitica.

    … difatti durante la Resistenza la classe operaia italiana ebbe una funzione di guida, un ruolo dirigente, non solo dal punto di vista della più intensa e numerosa partecipazione alla lotta, ma dal punto di vista - che più conta - dell’assunzione di certi obiettivi propri come obiettivi di tutto il movimento di liberazione. Ma l’operazione descritta implica dei rischi, quando il ruolo dirigente non è ancora consolidato in maniera definitiva. Essa ha dunque avuto un prezzo, che la classe operaia italiana ha pagato allorché non ha saputo proseguire la funzione di guida esercitata durante la Resistenza nella costruzione dello stato post-resistenziale.

    Si può tuttavia aggiungere che, accanto a questa interpretazione popolare ed estrinseca del Risorgimento, che induceva a considerare la Resistenza come una continuazione dei suoi motivi, ve n’era un’altra che non ignorava IL VERO CARATTERE DI CLASSE DEL RISORGIMENTO CONSIDERATO COME RIVOLUZIONE PURAMENTE BORGHESE, e vedeva per conseguenza nel carattere di classe del fascismo lo sbocco del processo risorgimentale
    . (segue)

    RispondiElimina
  10. Ma la necessità di fare assumere alle masse il ruolo di protagoniste indispensabili nella costruzione del nuovo stato era del resto in questa condizione, e indipendentemente da qualsiasi propaganda, caratteristica della Resistenza.

    E, quando la coscienza di questa responsabilità si proiettava nel futuro, allora nasceva la coscienza democratica, la coscienza che LO STATO NON È COSA D’ALTRI, DELLE CLASSI DOMINANTI, MA COSA PROPRIA, DI CIASCUNO E DI TUTTI, “cosa pubblica” . Su questa coscienza, frutto della Resistenza, si è fondata, immediatamente dopo, LA PREPARAZIONE DELLA NUOVA COSTITUZIONE REPUBBLICANA, CON IL CARATTERE DEMOCRATICO DELLE SUE ENUNCIAZIONI
    ” [L. BASSO, Sul carattere nazionale e internazionale della Resistenza in Italia (I), Il Movimento di liberazione in Italia, gennaio-marzo 1963, n. 70, 3-22].

    E’ l’art. 1 Cost. che segna una svolta rispetto al passato: assurgono a protagoniste le “masse”, il Popolo cui non può che appartenere la sovranità (non quindi alla Nazione né allo Stato):

    … tutte le Costituzioni contenevano l’affermazione che la sovranità risiede nel popolo, emana dal popolo e così via. Questa era una clausola di stile nelle Costituzioni, ma non aveva nessuna incidenza pratica nei risultati, il rapporto era sempre quello. L’autorità è al di sopra del cittadino. Qual è allora il carattere profondamente innovativo, vorrei dire rivoluzionario, da questo lato, della Costituzione italiana?

    Che la Costituzione italiana non si limita a riprendere una formula di stile; lo prevedeva il progetto di Costituzione, ma l’assemblea costituente respinse quella formula e la sostituì. Il progetto diceva che la sovranità risiede nel popolo. La costituente, quando votò il primo articolo, respinse quella formula e SCRISSE UNA FORMULA NUOVA PER IL DIRITTO COSTITUZIONALE, il cui significato era proprio quello DI ROVESCIARE IL RAPPORTO CITTADINO-STATO. Cioè disse, non che la sovranità risiede nel popolo, o emana dal popolo per trasferirsi poi a un ente superiore, ma disse: LA SOVRANITÀ APPARTIENE AL POPOLO CHE LA ESERCITA. Cioè, NON PIÙ LO STATO, NON PIÙ LA NAZIONE, ma il popolo, secondo la Costituzione italiana, è il titolare effettivo della sovranità.

    Può sembrare una piccola differenza verbale, e molte volte il diritto può cadere anche nei formalismi verbali, ma in questo caso rappresentava veramente una differenza molto importante…
    ” [L. BASSO, Stato e cittadino, in 1945-1975 Italia. Fascismo, antifascismo, Resistenza, rinnovamento, Milano, 1975, 409-421].

    Quelle dichiarazioni lasciano quindi interdetti perché fanno trasparire, con un linguaggio crudo, il carattere a-dialettico (e quindi pervicacemente conservatore) della classe dominant€, come è stato notato nei commenti: la sovranità risiede in un’oligarchia che, in forma retorica e fumosa, si identifica con la nazione. Il Popolo, di conseguenza, ripiomba nel suo secolare ruolo di suddito.

    (Si spiega l’esorcismo del termine sovranità, che diviene spregiativamente sovranismo. E’ quella che A. Hirschmann definisce “tesi della perversità”, una caratteristica basilare e ricorrente che la retorica reazionaria globale utilizza da sempre per annullare ogni progresso, ovvero: il tentativo di spingere la società in una certa direzione avrebbe l’effetto sì di un movimento, ma nella direzione opposta. Nel nostro caso il presunto nazionalismo e la guerra. Potenza della mistica orwelliana)

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