lunedì 5 febbraio 2018

LA CORTE COSTITUENTE PER IMPLICITO: IL SOSTITUTO A UNA COSTITUZIONE NON VOLUTA (dai popoli)

https://pbs.twimg.com/media/Cl5QMqTWYAEByln.jpg
(L'immagine, ancora una volta, non poteva che essere questa...).

Seconda parte dello studio di Arturo che ricostruisce come, attraverso le "tecniche" giurisprudenziali della Corte di giustizia europea, si sia affermata una concezione costituente pretesamente "calata dal cielo" e dichiarata come nuova ed efficiente razionalità, ma in cui si dissolve la dialettica, tipica delle Costituzioni contemporanee, tra "diritto" e "politica" (laddove il primo limita stabilmente la seconda considerando l'effettiva partecipazione popolare alle istituzioni democratiche rappresentative l'essenza dello "Stato di diritto costituzionale").
Si afferma invece la forte scelta liberale di un "ordre naturel" impersonale, che ricalca le modalità costituzionali ottocentesche (con una tecnica normativa redazionale e poi giurisprudenziale espresse per implicito, e non apertamente enunciate), in cui la politica preserva, entro la propria riaffermata supremazia, un'ideologia non sorretta dalla condivisione popolare di un processo costituente democratico (mai avvenuto)
In tal modo, la politica libera da fini e vincoli democraticamente predeterminati, si riserva, per via giudiziale, l'affermazione continua di rapporti di forza fondamentali, mai condivisi dal corpo sociale sul quale vengono imposti.
Per un miglior raccordo con la parte prima, rammentiamo che questa terminava con un interrogativo: e quest'ultimo era relativo alla linea negoziale tedesca di porre, al centro dell'iniziale serie di trattati europei, la forza trainante di una corte di giustizia che garantisse la conformità ai trattati stessi delle decisioni dell'esecutivo sovranazionale, secondo un metodo che, tuttavia, avrebbe poi avuto un potente sviluppo nelle applicazioni successive. 
E tale sviluppo, come appare ormai evidente a tutti i (sempre più insofferenti) "sudditi" dell'Ue,  è consistito nello sforzo di "garantire", mediante un'inarrestabile estensione, non tanto la legittimità dell'azione dell'esecutivo sovranazionale (divenuta via via un aspetto del tutto trascurabile), ma l'assoggettamento ai trattati delle fonti costituzionali nazionali; e quindi l'assoggettamento delle democrazie all'ordine del mercato racchiuso nei trattati europei. L'interrogativo era così formulato: 
"Ma in cosa consisterebbe con precisione questa presunta scintilla?"

3. Nel ricorso diretto da parte delle imprese e associazioni delle medesime: il riferimento è all’art. 33, § 2 del Trattato della CECA:
Le imprese o le associazioni, previste dall'articolo 48, possono presentare, nelle medesime circostanze, un ricorso contro le decisioni e le raccomandazioni singole che le riguardano o contro le decisioni e le raccomandazioni generali che esse ritengono inficiate da sviamento di potere nei loro confronti.

Ovviamente il possibile oggetto del ricorso sono solo le decisioni e le raccomandazioni dell’Alta Autorità, nessuno aveva nemmeno affacciato la possibilità che sotto la lente dei giudici europei potessero finire disposizioni statali.

3.1. Eppure già su queste gracili basi, i giuristi della delegazione tedesca, gli assistenti di Hallstein, nel '51, subito dopo la firma del Trattato di Parigi, pubblicavano su varie riviste giuridiche articoli in cui spiegavano che “una “struttura giuridica europea di natura costituzionale” era nata, in contrasto con la dottrina maggioritaria tedesca”. (A. Vauchez, "Brokering Europe: Euro-Lawyers and the Making of a Transnational Polity", Cambridge University Press, Cambridge, 2015, pag. 27).

Lo stesso avveniva in Francia, dove Maurice Lagrange, uno dei redattori francesi del Trattato, chiedeva retoricamente se “non è chiaro che, come la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, è l’embrione di un’organizzazione federale, la Corte di Giustizia appare come l’embrione di una Corte Federale? Non può essere detto apertamente che, come il Trattato possiede un vero carattere costituzionale (e certamente ce l’ha), la Corte di Giustizia ha anch’essa un ruolo costituzionale?” (Cohen, Constitutionalism Without Constitution: Transational Elites Between Political Mobilization and Legal Expertise in the Making of a Constitution for Europe (1940s-1960s), Law & Social Inquiry, Vol. 32, Issue 1, Winter 2007, pag. 127).
Endorsement anche dagli Stati Uniti, nella persona di Eric Stein, secondo cui “si potrebbe dire che la Corte ha considerato il trattato come se fosse una costituzione, anziché un semplice trattato”. (Ivi, pag. 126).

3.2. Nell’ambito di questa organizzata offensiva culturale si distingue già chiaramente quella che diventerà una delle più importanti tecniche argomentative ">“ad sfiniendum” impiegate dalla Corte di Giustizia: attribuire un presunto carattere rivoluzionario a disposizioni già fornite di precedenti nel diritto internazionale, così da poter ricavare implicitamente una natura “costituzionale” sui generis, non internazionalistica, del diritto comunitario.

Nelle mani della Corte questa tecnica le consente di conseguire due obiettivi
a) ritagliarsi un’estrema, per definizione indefinibile a priori (“sui generis”), latitudine interpretativa, emancipandosi dalle regole di interpretazione dei trattati internazionali, oggi codificate nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati; 
b) la possibilità di chiedere, anzi: ordinare sotto minaccia di una procedura di infrazione, ai giudici statali di ignorare le norme costituzionali del proprio paese relative ai rapporti col diritto internazionale. Ci dovremo tornare.

In questo, come negli altri casi, la “novità” è del tutto apparente: sono addirittura gli stessi negoziatori del Trattato di Parigi a riconoscere l’esistenza di un precedente: “Nel diritto di azione per i privati davanti ai tribunali arbitrali misti del Trattato di Versailles, che trovava applicazione anche in Belgio, vi era un precedente per la posizione tedesca”. (La citazione è tratta da una relazione del comitato di esperti legali incaricati della redazione del trattato di Parigi, seduta del 7 agosto 1950, riportato in Reiner Schulze e Thomas Hoeren (a cura di), Dokumente zum Europäischen Recht. Band 2: Justiz (bis 1957), Springer, Berlin, Heidelberg, New York, 2000, pag. 46).

Curiosamente, o forse no, proprio sul trattato di Versailles, Hallstein aveva scritto la tesi di dottorato, come apprendiamo dalla nota 25 a pag. 344 del lavoro della Boerg-Smedt.

4. Per provare a tirare provvisoriamente le somme, direi che l’antipatica verità di fondo l’ha ben individuata Cohen (op. cit., pag. 127): 
la finzione legale (“come se”) di un costituzionalismo senza costituzione dev’essere intesa come un sostituto per una costituzione politica fallita, nel più vasto contesto di relazioni fra giuristi americani ed europei: Eric Stein, per esempio, non era estraneo all’establishment del ministero degli esteri. E’ quindi questa finzione legale che logicamente ha consentito lo scivolamento dall’attività costituente alla costituzionalizzazione.” Questo ovviamente non è che un esempio di quei “network tecnocratici transnazionali” che abbiamo visto costantemente all’opera nella creazione del diritto comunitario.

Ossia, vari tentativi di creare un organo europeo fornito di una qualche parvenza di democraticità, così da ricondurvi l’esercizio di un potere costituente, falliscono.

4.1. Un buon esempio è l’art. 38 del trattato istitutivo della Comunità europea di difesa, che prevedeva l’elezione democratica di un’assemblea incaricata di redigere un nuovo trattato che coordinasse Comunità di difesa e CECA.
L’assemblea ad hoc incaricò un comitato di esperti, che sfornò una proposta di “trattato” le cui ambizioni costituzionali erano evidenti fin dall’incipit: “WE, the Peoples of the Federal Republic of Germany, the Kingdom of Belgium, the French Republic, the Italian Republic, the Grand Duchy of Luxembourg and the Kingdom of the Netherlands,…”.
Il tutto naufragò insieme alla Comunità di difesa: cercate di non essere troppo tristi…

Il processo di integrazione stesso subisce un’impasse: dagli abortiti piano Fouchet del 1961-62 e proposte Hallstein del marzo ’65, fino al c.d. ">“compromesso di Lussemburgo”
.

4.2. E allora, come dice con fine cautela Vauchez ("The transnational politics of judicialization. Van Gend en Loos and the making of EU polity", European Law Journal, Vol. 16, No. 1, January 2010, pag. 9), “Il fallimento di queste visioni politiche e giuridiche per l’Europa non spiegano la ridefinizione giurisprudenziale dell’Europa stessa. Sono tuttavia certamente una pre-condizione critica per tali sviluppi.

In altre parole una lettura politica dei Trattati da parte della Corte di Giustizia si impone come unica via per “costituzionalizzare” il diritto comunitario.

5. Osserverei in conclusione che si tratta di una scelta sofferta solo in quanto politicamente rischiosa (ma vedremo l’estrema accortezza nella scelta di tempi e modi), perché in realtà la cultura liberale è sempre stata allergica all’idea di potere costituente: ho già menzionato Hayek la scorsa volta (n. 6.4), ma un esame storico non fa che confermare questa lettura.

5.1. L’ha compiuta uno storico del diritto del calibro di Maurizio Fioravanti, a cui possiamo affidarci con tranquillità:
Ma ciò che più conta è che per il nostro Statuto, come in genere per le Carte costituzionali del diciannovesimo secolo, la monarchia ed il parlamento erano realtà storico-costituzionali da presupporre, che la costituzione doveva solo riconoscere e variamente comporre nella sintesi statale. Alle costituzioni del secolo passato mancava, in una parola, ogni pretesa instaurativa. Erano costituzioni strutturalmente prive di potere costituente.”  (La scienza del diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 876)

Ovvero: “Questa contrapposizione del ‘diritto’ alla ‘politica’, della ‘costituzione’ come stabile ordinamento dei poteri pubblici e delle pretese soggettive alla ‘costituzione’ come frutto consapevole di scelte politiche di carattere costituente, è alla base della formula dello ‘Stato di diritto’ che avrà così larga fortuna in Europa nel corso dell’Ottocento, e dunque anche in Italia.” (M. Fioravanti, Stato e costituzione, Giappichelli, Torino, 1993, pag. 226).

Quindi se si vuol dire che l’Unione Europea ha una costituzione, questa è di tipo ottocentesco.

5.2. All’ideologia organicista e antidemocratica che sosteneva, e sostiene, il costituzionalismo liberale, va quindi ancora replicato con le sagge parole di un grande giurista weimariano, Herman Heller (La sovranità e altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato, Giuffrè, Milano, 1987, pag. 98):

Esercitare autorità significa quindi comandare qualcosa di determinato, prendere decisioni vincolanti. Ma — e questo non è meno importante del resto — per quanto riguarda gli uomini, la decisione è una funzione della facoltà di giudizio personale. In questo fatto è racchiusa la ragione ultima per cui un ordre naturel impersonale non potrà mai assumere la funzione della decisione.  
Questordre può essere concepito come una legge relativa all’essere o al dover essere, ma deve comunque venire deciso da uomini, cioè da persone fra loro diverse socialmente ed individualmente e determinate nello spazio e nel tempo, sulla base di una scelta libera, anche se non arbitraria.
La conoscenza sempre maggiore dell’insieme delle leggi della realtà può certo influire in misura crescente sulle decisioni umane, ma non sarà mai in grado di sostituirle. Nel momento in cui è notte non è stata per questo risolta la questione se debba esserci luce o oscurità; l’uomo è infatti capace di avere ragione del buio naturale della notte grazie alla luce naturale dell’elettricità. L’alternativa espressa da ogni decisione può essere risolta soltanto dagli uomini.

6. Quindi la “densità sociale” - come peraltro qualsiasi aspetto della realtà - condiziona ogni possibile decisione, che per essere consapevole e idonea a conseguire i fini voluti dovrà avvalersi ampiamente delle scienze sociali, strumenti indispensabili anche per la successiva interpretazione di quanto deciso.
Il momento soggettivo, ossia una molteplicità di decisioni, resta però ineludibile e potrà essere occasione di intervento, e quindi – speriamo – di armonizzazione, di certi interessi, oppure no, di realizzazione di certi diritti, oppure no, di fissazione di certi fini, oppure di altri, di rispetto di pregresse decisioni gerarchicamente sovraordinate, oppure della loro violazione.

In sostanza si esprimeranno libertà politica e democrazia costituzionale, oppure no.

6.1. Anche i pilastri “supercostituzionali” del diritto comunitario non sono tavole della legge cadute dal cielo o ragione kosmica “spontaneamente” realizzatasi (vedi qui, in particolare nn. 7 e 8), ma il frutto di decisioni umane, anche troppo, come avrebbe detto Nietzsche: i giudici stessi che ne sono stati gli artefici talvolta lo ammettono.

Uno dei più attivi, tutto fa pensare sia il padre di Van Gend en Loos, è stato un italiano, tanto per cambiare, e ve l’ho già menzionato: Alberto Trabucchi.

In occasione del congedo dall’incarico di Avvocato generale (dopo aver ricoperto quello di giudice…) si concede un momento di grande franchezza: 
Questo diritto comunitario, la cui nascita, il cui senso profondo, le cui realizzazioni vere per la vita europea sono legati a questa Corte. Ce lo siamo visto nascere e crescere come crescono i movimenti della storia; ma, questa volta, architetto e costruttori non sono stati i popoli, bensì gli uomini che in questa officina hanno manovrato gli strumenti giuridici.” (udienza solenne del 7 ottobre 1976, riportata in appendice a "La formazione del diritto europeo. Giornata di studio per Alberto Trabucchi, nel centenario della nascita", CEDAM-Kluwer Italia, Padova, 2008, pag. 227).

7. Di là da tutte le fumisterie pseudo-tecniche, le melasse e i terrorismi europeisti, resta la banale domanda di fondo: quale legittimità avevano questi signori per compiere certe “manovre”? Chi rappresentavano, quali fini realizzavano?

Ovvero, è ancora lecito nell’Europa di oggi chieder conto al potere del suo fondamento o le hayekiane “intuizioni” di quelli che però, più che a giudici, somigliano ormai a sacerdoti, sono indiscutibili?

Scopo di questi post è stato e sarà quello di portare alla luce la fortissima, anche se cautamente dosata e dissimulata, politicità di una costruzione che si regge solo sulla passività di chi la subisce. 

P.S. di Quarantotto: sarà comunque utile rileggere (oltre alle puntate precedenti dello studio di Arturo, beninteso) questo post:

INTERNAZIONALISMO, COSCIENZA NAZIONALE E TUTELA DEL LAVORO

 

P.S.-bis di Quarantotto: non intendo anticipare le prossime puntate del lavoro di Arturo, ma sugli effetti, molto pratici,  della Corte auto-costituente fuori da ogni rappresentatività della base sociale, questo recente articolo di Vocidall'estero può rendere molto bene l'idea dell'instaurazione "dall'alto" di un ordinamento liberal-liberoscambista:

La Corte Europea di Giustizia ha decretato (nel caso Laval, 18 dicembre 2007) che gli imprenditori hanno il diritto di importare lavoratori da paesi UE a basso salario verso paesi UE ad alto salario, pagandogli il salario del più economico dei due paesi, indipendentemente da qualsiasi accordo di contrattazione collettiva presente nel paese a salari maggiori. Ha decretato inoltre (nel caso Viking, 11 dicembre 2007) l’illegalità di qualsiasi politica industriale tesa a impedire l’esternalizzazione verso i paesi a basso costo.

Nel caso Alamo-Herron (18 luglio 2013), in cui alcuni membri del sindacato Unison erano stati trasferiti fuori dalle amministrazioni locali, ha decretato che indipendentemente da ciò che dicesse il loro contratto, i benefici contrattati collettivamente a favore dei lavoratori degli enti locali potevano essere ignorati dai loro nuovi datori di lavoro. “Questo caso è un attacco spaventoso alla contrattazione collettiva ed è almeno altrettanto grave dei casi Laval e Viking”, ha scritto John Hendy, il celebre avvocato del lavoro britannico.
Hendy ha poi aggiunto che “la UE è diventata un disastro per i diritti collettivi dei lavoratori e dei loro sindacati”.

20 commenti:

  1. Del resto "chi la subisce" è martellato, un giorno sì e l'altro pure, da una propaganda mediatica che spaccia una costruzione Hayekkiana (ideologicamente), e para-fascista (metodologicamente), per una grande conquista democratica e socialista sorta dalle ceneri del nazifascismo.

    Eppure, in questa democratica e socialista €uropa, succedono cose molto singolari: si vorrebbero combattere i nazionalismi con una supernazione, abbiamo una tutela del lavoro da prima rivoluzione industriale, la Grecia è ridotta a una versione hayekkiana 2.0 del tristemente famoso "Governatorato generale della Polonia", i meccanismi democratici sono neutralizzati.....in nome di quella stessa democrazia che si vorrebbe tutelare (con tanto di intellettualoidi di varia natura a parlare di 'democrazia oligarchica' sui giornali), si pretende di tutelare la verità storica reintroducendo la fascistissima figura del reato d'opinione, si spaccia per aiuto umanitario l'importazione di disperati per farne dei semplici 'disoccupati di riserva', si vorrebbe combattere la burocrazia con una struttura iper-burocratica che produce leggi incomprensibili, si parla di 'rispetto delle regole' quando quelle stesse 'regole' sono applicate discrezionalmente a seconda dei rapporti di forza (tu devi stare sotto al 3 per cento del deficit, lui invece può fare come vuole...la ragione? Non sentono il dovere di spiegarcela), e via dicendo.

    Insomma, la fiera dell'illogicità e dell'ipocrisia, attraverso la quale si riaffermano, in modo nascosto ma allo stesso tempo forte, idee, principi e metodi che, dopo il 1945, apparivano ormai superati dalla Storia. Ma se lo fai notare, il fascista sei tu.
    Come uscirne?

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    1. Ma sei sicuro che contenutisticamente, oltre che metodologicamente, il nazismo non c'entri (considerato pure...Hallstein)?
      http://www.limesonline.com/cartaceo/il-mondo-secondo-hitler?prv=true

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    2. C'entra e come, in effetti.
      E anche a voler rimanere 'sulle sole figure' del libro, basta ricordare, ad esempio, la forte retorica 'europeista' che veniva sbandierata nelle nazioni assoggettate, come attestato da questa cartolina della Francia di Vichy: https://pbs.twimg.com/media/C5mDkoZWUAozSn5.jpg

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    3. OTC
      in un testo di pedagogia che sto leggendo, l'autore, trattando della "violenza", mette in correlazione l'approccio pedagogico prussiano con l'avvento della prima guerra mondiale (e le sue conseguenze) nello sviluppo della "mentalità" nazista. Cita a questo proposito "Comandante ad Auschwitz", l'autobiografia di Rudolf Höß. [Interessante particolare, wikipedia ci dice che: La prima pubblicazione italiana, della casa editrice Einaudi (collana Gli Struzzi), non è l'integrale traduzione dell'originale versione tedesca. Vengono tralasciate alcune parti che non hanno rilevanza nel racconto della vita di Höß. Va anche precisato che la stessa pubblicazione tedesca non trascrisse integralmente i manoscritti di Höß, adducendo le stesse ragioni. I manoscritti di Höß si trovano a Varsavia, presso il Ministero della giustizia]. Sul tema della pedagogia prussiana ci suggerisce anche di prendere visione del film Il nastro bianco (2009) di Haneke http://www.imdb.com/title/tt1149362/ ma purtroppo non ci dà fonti documentali a cui attingere per approfondire l'argomento.

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    4. @mrsme: il film vale comunque la pena di vederlo; della questione prussiana ho letto soprattutto in riferimento alla disciplina militare - la c.d. “libertà prussiana” - proprio su una monografia sulla shoah che ho letto di recente: come riferimento bibliografico indicava questo libro: magari puoi trovarci qualcosa sul contesto più generale.

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    5. Meglio la pedagogia prussiana o quella liberal politicamente corretta?

      Dal mio gerarca piddino (cit.) preferito:

      Forse adunque l'insaziabilità di quel bene che la democrazia [liberale] si prefigge, la manda in rovina? - Ma quale bene? - La libertà [del mercato] - E in che modo? - Quando uno Stato retto a democrazia, assetato di libertà, si trovi ad avere per capi cattivi coppieri, e oltre il dovuto si inebrii di libertà non annacquata, allora esso punisce i suoi governanti se non sono molto miti e non concedono molta libertà [al mercato], e li accusa di essere tristi e oligarchici [e un po' fascio-protezionisti]. Ed è inevitabile che il disordine penetri anche nelle case private e finisca per ingenerarsi l'anarchia anche fra gli animali. - In che modo? - Così: che il padre [sessantottino] si avvezzi a divenire simile al figlio e a temere i figli; ed il figlio si faccia simile al padre e non rispetti e non tema i genitori… in tale ambiente il maestro teme e adula gli scolari, e gli scolari fanno poco conto dei maestri e dei pedagoghi; e in tutto i giovani si mettono alla pari con gli anziani e con essi gareggiano a parole e in atti; e i vecchi, cedendo ai giovani, si mostrano pieni di arrendevolezza e di gentilezza, ed imitano i giovani per non sembrare sgraditi né autoritari. … tutto questo ammollisce l'anima dei cittadini… infine non si danno pensiero delle leggi né scritte né non scritte per non avere nessun padrone [perché il mercato deve essere libero]. Questo veramente è il bello e baldanzoso principio da cui si genera la *tirannia*.

      Platone, La Repubblica

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    6. In quanto a pedagogia, tertia dantur, speriamo; Voegelin però avrebbe sicuramente accettato l'analogia. Il che dimostra, mi pare, quanto bisogno dell'economia abbia la filosofia per distinguere il contingente dallo strutturale...;-)

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    7. Credo che una cosa che insegna l'epistemologia (e Husserl) è proprio l'indisgiungibilità tra scienza e filosofia: ossia la scienza è una parte fondamentale della filosofia.

      L'aspetta fondamentale che manca alla scienza, almeno stando con Husserl, è quello interpretivo-significativo.

      Chi interpreta senza un fondamento epistemico fa invece da controparte ai positivisti, proprio come han fatto gli idealisti alla Croce, i fascisti, i cattonazisti e... i seguaci di Voeglin.

      E questa, epistemologicamente parlando, non è semplice doxa.

      Il punto però in cui, come sai, credo molto, è proprio quello rappresentato dall'illuminante passaggio di Herman Heller: la divisione paradigmatica tra "storicismo" e "naturalismo".

      Voglio dire, nelle scienze sociali anche lo "strutturale", nel lungo periodo, è congiunturale... o no? :-)


      (Alla fine, di leggi naturali, a livello sociale, ci sono l'istinto alla vita, e quindi la necessità di soddisfare i bisogni primari, e la riproduzione. Date queste premesse di carattere corporeo-neurologico-biologico, tutto il resto è scelta, individuale e politica. Le scelte che si cristallizzano in istituzioni, sopravvivendo alla morte di chi le ha create, diventano, per bias cognitivo, un nuovo "fatto naturale" per le future generazioni: ma poiché le istituzioni sono state create secondo una certa logica, proprio in quanto create dall'Uomo, sono scientificamente indagabili e, in ultimo, interpretabili in quanto frutto di un'interpretazione di chi le ha create... capisco perché all'MPS ci vanno ormai solo psicosociologi e gli economisti disertano... e questo è pure il motivo per cui trovo Husserl, e il cognitivismo in genere, importante e forse fondamentale come il materialismo storico)

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    8. per bias cognitivo

      [il link è fondamentale: il conservatorismo è ideologico per definizione, falsa coscienza]

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  2. "Scopo di questi post è stato e sarà quello di portare alla luce la fortissima, anche se cautamente dosata e dissimulata, politicità di una costruzione che si regge solo sulla passività di chi la subisce."

    Questa è una buona notizia.

    Quando i tempi saranno maturi (arrivo dello shock esterno) tutto il castello di carte verrà giù più facilmente.

    Avendo [per ora almeno] trascurato l'aspetto "boots on the ground" per evitare di attirare troppo l'attenzione dei 'passivi' non ci sarà nemmeno il rischio di un colpo di mano militare [tipo operazione Alarico].

    Comunque il primo marzo è vicino, e se fosse vero che in quella data inizierà l'operazione IMF "fine $ moneta di riserva", l'agonia si concluderà presumibilmente prima del 2019 (a mente sto anche canticchiando 'io penso positivo perchè son vivo, perchè son vivo', a differenza del mio amico Massimo, a suo tempo brillante studente di economia ed ammiratore di Federico Caffè, che ieri è stato travolto da una slavina in Abruzzo).

    Come osserva acutamente il diavolo nel romanzo di Michail Bulgakov "Il maestro e Margherita", il vero problema dell'uomo (quindi anche di coloro che "hanno manovrato gli strumenti giuridici") non è che è mortale, ma che è improvvisamente mortale.

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. Troppi errori di battitura. Riscrivo:
      Commento denso, tra vita e morte, caro Luca.

      La questione del 1° marzo, ti confesso, mi incuriosisce alquanto; ove preluda ad una concentrata e ragguardevole svalutazione del dollaro, - a parte lo smottamento geo-politico (e, prima ancora, a Wall Street!) che accelererebbe-, porterebbe a circa un anno e mezzo, due anni, di feroci lotte interne alla classe dirigente italiana, lacerata tra TINA economici di austerità "espansiva" e rivolta popolare da ulteriore distruzione della domanda interna; con il ritorno ad una recessione fiscalmente re-indotta.

      E last but no least, ciò dovrebbbe inevitabilmente avvenire (dato che già oggi si reclama di "dover" essere sulla stessa barca della Germania), in una cornice di ambigua e autolesionistica di tentata mobilitazione in funzione anti-USA.

      Quindi, sarebbe una specie di 8 settembre e eventi susseguenti...

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    3. Dopo aver letto stamattina del tonfo in borsa comincio a temere che lo 'shock esterno' sia in pieno sviluppo e che rischia di colpire duro anche prima che si insedi ad Aprile il nuovo governo.

      Tuttavia anche questo potrebbe facilitare l'uscita dell'italtacchino, perchè in caso di Governo di centro-destra con la Lega (e non di Troika/Governo-PD-M5S, evento che ancora non possiamo escludere) permetterebbe di operare da subito una cesura netta con le politiche fin qui imposte dalla EU (con pure l'appoggio tattico - in quanto in corso di riposizionamento - del quarto partito, che già sembra gradire la 'flat tax').

      Siccome la cesura politica richiederà necessariamente la messa in discussione aperta dei trattati fin qui subiti entusiasticamente, si può così sperare che cessi finalmente la 'passività' che ci opprime.

      Basterebbero anche solo un paio di decisioni coraggiose della Corte Costituzionale (che è difficile che a quel punto possa ignorare il cambio di vento) e per l'EU sarebbe la fine (tanto rapida quanto meritata).

      Modo ironia ON
      A quel punto si potrebbe pure incoraggiare il Vaticano ad aiutare di nuovo gli 'ex nazisti' EU ad espatriare in Argentina (come nel periodo 1945-1955), imbarcandoli tutti a bordo di un bel sottomarino extralusso di costruzione tedesca, che così siamo certi che li aspetteranno a braccia aperte per inabissarli tutti in qualche fossa oceanica (insieme al San Juan ed alle sue batterie tedesche difettose).
      Modo ironia OFF

      Un'ultima osservazione: se lo 'shock esterno' è in corso di dispiegamento proprio ora, potrebbe darsi che sia stato 'apparecchiato' come evento preparatorio a quanto sarà eventualmente annunciato dall'IMF.

      Mettere il Tesoro USA in difficoltà nel reperire i fondi per un ennesimo salvataggio della finanza significa in termini scacchistici 'scacco matto'.

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  3. « “WE, the Peoples of the Federal Republic of Germany, the Kingdom of Belgium, the French Republic, the Italian Republic, the Grand Duchy of Luxembourg and the Kingdom of the Netherlands,…” »

    Direi che avessero in mente più che altro una costituzione settecentesca più che ottocentesca... solo non "repubblicana".

    Come fare ad armonizzare ordinamenti di repubbliche, granducati, monarchie, stati regionali e stati federali, stati di diritto Common law e di diritto romano-germanico... se non con l'imperialistico "diritto comunitario" teorizzato dai gerarchi nazisti. (Di cui Hallstein è solo il più celebre dei tanti compromessi col nazifascismo...)

    « La conoscenza sempre maggiore dell’insieme delle leggi della realtà può certo influire in misura crescente sulle decisioni umane, ma non sarà mai in grado di sostituirle. Nel momento in cui è notte non è stata per questo risolta la questione se debba esserci luce o oscurità; l’uomo è infatti capace di avere ragione del buio naturale della notte grazie alla luce naturale dell’elettricità. L’alternativa espressa da ogni decisione può essere risolta soltanto dagli uomini. » Sembrano Marx ed Engels a parlare. Ma che fine ha fatto questa Germania? sono rimasti solo analfabeti nazistoidi?


    (Tra l'altro l'argomentazione ricorda molto da vicino la "Legge di Hume"...)

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    1. Indubbiamente: c'è un prima e un dopo la Repubblica di Weimar (intesa come uno spartiacque psicologico collettivo, laddove le generazioni che si divisero su questo spartiacque non coincidono necessariamente con un ordine cronologico).

      Per la Germania, o meglio per la cultura che è stata in grado di esprimere con la propria classe dirigente, il fallimento di Weimar coincide essenzialmente con la creazione di due tabù: l'inflazione e il movimento operaio bolscevico. A torto o a ragione che sia: e non a caso Bruning continuò a pontificare di austerità espansiva nell'accademia americana.
      E si incupì tantissimo della prevalenza degli Hansen e degli Eccles (e del movimento degli studenti keynesiani partito da Harvard).

      Ebbene, entrambi i "fenomeni" furono stroncati, già allora (intendo prima ancora dell'avvento del nazismo), con il decisivo contributo degli Stati Uniti. Il nazionalsocialismo poi sappiamo quanto costituisse un gradito completamento.
      La sua stessa sconfitta è essenzialmente legata alla necessità di fermare il bolscevismo in Europa, d'altra parte.

      Capirai bene come e quale fu la classe dirigente tedesca che risultò pertanto "selezionata" (meticolosamente) per guidare il dopo 1945: si può dire che, a livello mondiale, sia stata proprio la Germania, molto prima che gli stessi USA, a costituire la roccaforte avanzata della rivincita dei neo-classici e della programmatica eliminazione di ogni traccia di formazione e espressione del pensiero democratico-sostanziale.

      Direi che l'operazione sia riuscita molto bene e stia dando i suoi frutti, abbondanti e contagiosi, nel resto d'€uropa.

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  4. C'è di che illanguidirsi nell'osservare la fiera compostezza che pervade gli europeisti più accaniti, segnatamente italiani, in ogni fibra del loro essere.
    Taluni di loro, perlomeno quelli più scaltriti, non potendo più negare la natura antidemocratica e mercantile dell'attuale costruzione europea, dinanzi alla stritolante medocrità dei burocrati contemporanei, chiamano a raccolta le "forze migliori" per un ritorno agli ideali dei "Padri Fondatori".
    E' difficile non cogliere la fallacia logica di codesto evemerismo eurista - gli euristi sono geneticamente sempre rivolti al Futuro - soprattutto se si analizzano, alla luce delle più o meno recenti acquisizioni documentali, i loro retroterra culturali e le gesta politiche consentanee, che intaccano considerevolmente quella patina di "santità" troppo frettolosamente attribuita da "certa" storiografia interessata:

    "(...) Tuttavia, nonostante la denazificazione producesse in genere sentenze miti, essa provocò un aspro risentimento nella stragrande maggioranza della popolazione. Quando la Repubblica Federale fu proclamata nel 1949, una delle prime priorità del governo di Konrad Adenauer fu ottenere l'amnistia per le "vittime" della denazificazione. Con il supporto di tutti i partiti politici, Adenauer approvò una serie di leggi di amnistia che essenzialmente capovolsero il processo di denazificazione e portarono alla reintegrazione di ex nazisti nelle professioni e al governo. In una dichiarazione audace di questa politica, Adenauer nominò Hans Globke, un ex funzionario nazista che aveva scritto commentari sulle leggi razziali di Norimberga, suo "chief of staff" nel 1949. Il governo di Adenauer spinse anche per il rilascio dei criminali di guerra. Nel 1958, solo pochi criminali di guerra, la maggior parte di loro imputati originari di Norimberga, erano ancora in prigione. (...)"
    [DAVID ART - The Politics of the Nazi past in Germany and Austria - Cambridge University Press 2006 pag.53]

    Una delle figure chiave in quel torno di tempo per la Comunità Europea ineunte fu Allen Welsh Dulles:
    "(...) Pochi mesi dopo la dichiarazione del Piano Marshall, Allen Dulles, ex Direttore della sede svizzera dell'OSS, l'agenzia americana di intelligence e progenitrice della CIA, pubblicò un libro sul Piano Marshall e rimpiazzò il linguaggio diplomatico con parole chiare:
    "Se il Piano Marshall si realizza, noi agiremo in un campo più ampio per contenere l'avanzata del comunismo in Europa... Abbiamo adottato questa politica non per carità ma per la nostra protezione... Non vogliamo permettere a una grande potenza, con un sistema incompatibile con il nostro di invadere l'Europa... L'Europa oggi è particolarmente vulnerabile al comunismo... Separatamente essi non saranno forti abbastanza, anche con l'aiuto americano, per elaborare un futuro vivibile... Gli Stati Uniti sono l'unico paese... che può realmente aiutare a portare gli Stati europei insieme in un'unione che sarà il bastione difensivo contro l'avanzata del comunismo... Il Piano Marshall non è un'iniziativa filantropica... E' parte integrante della politica americana. E' basata sulla nostra visione per l'esigenza della sicurezza americana... Questa è la sola direzione pacifica che ci si è ora aperta e che può rispondere alla sfida del comunismo al nostro stile di vita e alla sicurezza nazionale."
    Dulles articolava la speranza e l'obiettivo dell'amministrazione Truman che se i paesi europei "si fossero seduti insieme... essi si sarebbero avvicinati alla costituzione degli Stati Uniti d'Europa.(...)"

    [IVAN T. BEREND - The History of European Integration: A New Perspective - Tylor & Francis Ltd 2016 pag.30]

    Amen





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  5. “Come uscirne?”

    Così:

    E in sostanza, si ha la clamorosa conferma che la sovranità è un concetto equivoco, se non ingannevole, se ci affidiamo alle generalizzazioni mediatiche e perdiamo di vista la nostra Costituzione e 150 anni di conflitto sociale che la precedettero: la "democrazia liberale", alla fine, è inevitabilmente tendente all'idraulica. Sovrana o meno che sia.
    Questioni di gerarchia nella politica internazionale non interessano le masse dei disoccupati ma scaldano i cuori di qualche oligarchia-aristocrazia "nazionale".
    La solidarietà internazionale tra popoli, come insegnano Basso e Rosa Luxemburg, è concepibile solo tra Stati sovrani che siano democrazie sociali; altrimenti, si ha inevitabile competizione per una posizione gerarchica nella comunità internazionale e soprattutto economica.
    L'Italia, anche se non è quasi più consentito dirlo - in un crescendo di neo-autoritarismo realizzato per via mediatica-, è una democrazia "sociale", non una democrazia "liberale": la nostra Costituzione lo afferma con chiarezza.
    La democrazia sociale è un di più, perché tutela anche i diritti di libertà, ricomprendendo in sè le garanzie apprestate dalle carte liberali. Chi vi parla dell'Italia come democrazia liberale, lo fa per affermare la soppressione del "di più", in termini di democrazia, che è sancito dalla nostra Costituzione, cioè dei diritti sociali.

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html?spref=tw

    perché?

    Il punto è che non si può ritagliare la Costituzione e tenerne solo un pezzo. La Costituzione è un’armonia complessa, secondo la felice formula di Lelio Basso che Quarantotto spesso ricorda: se si tutela il risparmio, si deve tutelare anche il lavoro, da cui il risparmio deriva. Se non si vuole una disparità di trattamento tra le banche italiane e quelle degli altri paesi europei, allora si deve recuperare il senso pieno dell'art. 11.

    È chiaro per chi segue questo blog che chi invoca l'art. 47 implicitamente sta chiedendo un ritorno alla democrazia sostanziale, visto che non è la ritualità della democrazia formale che possa servire.

    https://orizzonte48.blogspot.com/2016/02/il-risparmio-secondo-luropa-e-la.html?showComment=1455115775316#c5686665123677429133

    Dedicato a tutte le “forze politiche “ scese in campo.

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  6. “dedicato a tutte “le forze politiche” scese in campo”

    Perché?.... perché siamo messi male se qualcuno crede ancora a Aberluscone:

    Per Almunia il nostro Paese è ancora lontano dal raggiungimento del pareggio del bilancio. Padoa -Schioppa: "Il 2011 è una data invalicabile"
    (12 febbraio 2008)

    Via libera dall'Ecofin al programma di stabilità 2007-2011 aggiornato dell'italia che fissa la strategia di finanza pubblica. L'Ecofin raccomanda all'Italia di rafforzare la Finanziaria 2008 perché, visto l'alto debito, visti i rischi legati all'attuazione delle misure di bilancio e quelli legati alla crescita economica più debole del previsto, possa realizzare gli obiettivi che si è posta. Riforma delle pensioni e garanzia della riduzione del debito pubblico sono, inoltre, per l'Ecofin due priorità sulle quali l'Italia deve puntare il più velocemente possibile. Vale l'obbiettivo generale di un pareggio di bilancio nel 2010, ma anche per l'Italia varrà il principio inaugurato per la Francia secondo il quale si valuterà ex post, nel caso in cui nel 2010 il bilancio non si trovasse al pareggio, se si sono verificate e in quale misura condizioni cicliche sfavorevoli. Dunque, per l'Italia il pareggio di bilancio nel 2011 è invalicabile, ha detto il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. "La fissazione per il 2010 è stato un momento importante che ha rafforzato l'attenzione sul braccio preventivo del Patto di stabilità", ha spiegato il ministro ricordando che a Berlino "c'era stato un consenso su questa accelerazione".
    "Mi rendo conto - ha sottolineato - che l'aver detto in quella occasione che non me la sentivo di sottoscriverlo è stato più importante di quanto pensassi allora. Questo significa -ha concluso - che per noi il 2011 è assolutamente invalicabile".
    Ma l'Italia ha ancora una lunga strada da fare per raggiungere il pareggio di bilancio e per quest'anno la correzione dello 0,2 per cento del Pil prevista dal Governo è a rischio. Lo ha detto il commissario Ue agli Affari economici Joaquin Almunia al termine della riunione Ecofin. "L'Italia, insieme alla Francia, è ancora lontana dal raggiungere il suo obiettivo di medio termine, quello del pareggio di bilancio", ha detto Almunia, "e l'aggiustamento dei conti nel 2008 è lento e sottoposto a rischi". L'Ecofin ha dato il via libera anche ai programmi di Francia e Germania.
    L'accordo con la Francia è che la scadenza del 2010 è subordinata, appunto, alla valutazione delle condizioni cicliche".

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/brexit-e-il-vizio-del-fate-presto.html?spref=tw

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  7. Riporto le citazioni di due importanti giuristi che allora avevano capito che aria tirava:

    Animati in genere…da quella visione mitica e mistica della Comunità, da quella sorta di massimalismo europeistico, che tanto poco hanno giovato alla chiara e realistica comprensione dei problemi comunitari, questi autori passano con grande facilità sugli ostacoli frapposti da una realtà normativa e da una prassi non ancora in linea con le loro aspirazioni, divagando in considerazioni di carattere non propriamente giuridico e, soprattutto, facendo leva su una esasperata ricerca della novità a tutti i costi … Di qui la drastica e severa ripulsa [della tecnica giuridica]; di qui il frequente ricorso ad argomenti di natura politico-ideologica; di qui, ripetiamo, tutti i ben noti e continui richiami alla “novità” del fenomeno comunitario e delle sue manifestazioni…”diverse” sarebbero le categorie giuridiche e i criteri interpretativi da utilizzarre e “nuovo” dovrebbe perfino essere il ruolo del giurista, il quale…anziché analizzare con obiettivo rigore scientifico i fenomeni giuridici, dovrebbe favorire la realizzazione di un disegno politico” [A. TIZZANO, Recenti tendenze in tema di competenza a stipulare C.e.e., in Foro Italiano, 1973, V, c. 15].

    Ed ancora:

    …Sotto la spinta di una dottrina europeistica alimentata in larga misura da scritti di funzionari comunitari e avvocati, e avallate da alcune sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità, si è cercato e si cerca da più parti di differenziare in ogni modo il diritto comunitario dal diritto convenzionale internazionale per riconoscergli un’assoluta prevalenza e precedenza su tutto il diritto interno, compreso il diritto costituzionale, e addirittura per sostenere … l’inesistenza delle eventuali disposizioni interne contrastanti con quelle emanate da Bruxelles!” [B. CONFORTI, Lezioni di diritto internazionale, Napoli, Ed. Scientifica, 1976, 166].

    Fiumi di inchiostro per perorare un fenomeno - quello del diritto comunitario a sembianze costituzionali - assolutamente basato su mere astrazioni politico-ideologiche!

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    1. Il problema è sempre lo stesso; "persa la guerra", i giuristi oppositori scompaiono e si dedicano all'esercizio "intellettuale" di cui parlava Barcellona:
      "quando il potere è saldamente in mano alle potenti lobby degli affari e della finanza, dei circoli mediatici e della manipolazione delle informazioni, i giuristi si abbandonano al cosmopolitismo umanitario e si arruolano nel "grande partito" delle buone intenzioni e delle buone maniere; magari fornendo una inconsapevole legittimazione al mantenimento dello stato di cose esistenti"

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