Post di Francesco Maimone
In un recente post
abbiamo analizzato, dal punto di vista ontologico, il lavoro come fenomeno originario del mondo umano e modello
dell’essere sociale. In quella sede, si è accennato ai momenti fondamentali
dell’atto lavorativo nella regolazione del marxiano “ricambio organico” degli uomini con la natura e scaturente dalla
realizzazione di un bisogno da soddisfare calato entro la realtà della lotta
per l’esistenza.
Su tali argomenti fondamentali
bisogna ora ritornare, tenendo sin d’ora ben presente che il “lavoro”, base fondativa di ogni
socializzazione umana, si caratterizza per essere un atto “teleologico” pratico-realizzativo
(si rammenti il celebre passo de Il
Capitale di Marx sull’ape e l’architetto, qui p.1.2). L’analisi della “teleologia del lavoro” consentirà in
particolare di isolare ed analizzare, nell’economia del presente scritto, il
ruolo svolto da quel particolare momento del processo dialettico attraverso il
quale la “soggettività si oggettivizza”, ovvero quello dell’“indagine
sui mezzi per la realizzazione dello scopo”. Ad esso, come già detto
allora, è infatti riconducibile il tema generale della “SCIENZA” e del suo ruolo, sul quale nel
dibattito recente molto ed a sproposito alcuni espertologi hanno sentito e
continuano a sentire l’irrefrenabile bisogno di fare esternazioni roboanti.
1. Orbene,
la “TELEOLOGIA” – quale
categoria trattata da Hegel nell’apposita sezione della sua Scienza della Logica e valorizzata da
G. Lukacs in Ontologia dell’essere
sociale – può essere, in modo sin troppo schematico, divisa in
tre momenti che, nell’ambito dell’atto lavorativo, fanno tuttavia parte di un processo
unitario: 1) la posizione dello scopo soggettivo; 2) l’indagine sui mezzi per realizzare tale
scopo; 3) la conseguente conservazione del mezzo usato.
Più specificamente, e volendo soffermarci
sul momento della “posizione dello scopo”,
si può sin d’ora dire che nell’atto lavorativo l’essere umano cosciente – mosso
da un bisogno – agisce con l’intenzione di trasformare la natura con
la quale entra a diretto contatto e di cui vuole appropriarsi modificandone il
decorso causale: “… è il lavoro…che
introduce nell’essere l’unitaria interrelazione a fondamento dualistico fra
teleologia e causalità. Prima che esso facesse la sua
apparizione c’erano nella natura semplicemente processi causali…”.
[G. LUKÁCS,
Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale,
Napoli, 1990, 11]. E a questo primissimo stadio, il soggetto riproduce nella
coscienza l’essere in sé degli oggetti naturali, cerca cioè di darsi una rappresentazione
della realtà al fine di sondarne, in via approssimativa, la possibilità di un suo
mutamento.
1.1 Tale
primissimo atto gnoseologico di riproduzione mentale (non ancora di trasformazione)
della realtà ha una importante funzione nel rimandare all’oggettivazione dello
scopo, contribuendo a definirlo e completarlo, pur rimanendo atto
eterogeneo rispetto alla posizione dello scopo medesimo: “… i due
atti eterogenei di cui stiamo parlando sono: da una parte il rispecchiamento il
più possibile esatto della realtà presa in considerazione, dall’altra il
correlativo porre quelle catene causali che… sono indispensabili per realizzare
la posizione teleologica…”. [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, Roma, 1981, II, 36]
E’ bene precisare subito che per “rispecchiamento” il Lukacs delle opere mature
non intende affatto una passiva riproduzione fotografica della natura nella
mente, bensì il primo passo per il superamento della separazione kantiana
soggetto-oggetto, essendo dallo stesso marxianamente affermata come centrale l’unità
di una prassi non empiristica con il processo di conoscenza.
1.2 Una
realtà naturale riprodotta nella coscienza che si presenti trasformabile già nella “sfera laica” giustificherà una indagine
più approfondita sui mezzi che possono permettere la realizzazione del fine posto:
“… una
corretta fondazione ontologica della nostra immagine del mondo implica due
cose: la conoscenza della specifica peculiarità di ciascun modo di
essere, così come le connessioni, interazioni, interrelazioni, ecc. concrete
di quest’ultimo con gli altri” [G. LUKÁCS, Prolegomeni, cit., 9] modi d’essere e con l’ambiente circostante ad esso.
2. Fondamentale,
quindi, è la necessità di conoscere quanto più correttamente possibile i
processi naturali che, messi in moto, possono poi permettere la realizzazione
dello scopo posto: “… Solo sulla base di
una conoscenza almeno immediatamente corretta delle proprietà reali di cose e
processi il porre teleologico del lavoro può adempiere la sua funzione
trasformatrice…” [LUKACS, Ontologia
dell’essere sociale, Roma, I, 267]. Da qui, in fondo, l’origine primordiale
della scienza: “… la ricerca degli
oggetti e processi naturali che nella creazione dei mezzi precede la posizione
della causalità è costituita per sua essenza, anche se a lungo non se n’è avuta
consapevolezza, dai reali atti conoscitivi e dunque comprende in sé GLI INIZI, LA GENESI DELLA SCIENZA …” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., II, 31].
Pur tenendo conto delle conseguenze che crea il rapporto dialettico tra lavoro
e scienza, è bene anche precisare una ulteriore distinzione tra quest’ultima e
la conoscenza in generale.
2.1 Una
conoscenza in generale è sempre indispensabile e presente, mentre la scienza
interviene solo nelle fasi successive nel corso delle quali si perfeziona
storicamente il processo lavorativo. Lukacs chiarisce bene tale concetto quando
afferma che:
“… Se per lavorare fosse necessaria una conoscenza anche solo approssimativa
di questa infinità estensiva come tale,
nelle fasi primordiali dell’osservazione della natura…il
lavoro non sarebbe mai potuto sorgere. Questo fatto va rilevato non
solo perché vi è presente la possibilità oggettiva di uno sviluppo illimitato del
lavoro, ma anche perché ne deriva con chiarezza un porre corretto, un porre che
colga i momenti causali necessari per il fine ogni volta in questione con
l’adeguatezza che è concretamente richiesta dalla finalità concreta, resta realizzabile con successo anche in
quei casi nei quali le rappresentazioni generali circa oggetti, connessioni,
processi ecc. della natura sono ancora del tutto inadeguate in quanto
conoscenze della natura nella sua totalità …” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., II, 28].
2.2 A
mero titolo esemplificativo, l’uomo arcaico, il quale ha costruito per la prima
volta un arnese di pietra o utilizzato un bastone per farsi strada nella fitta
boscaglia, già compiva un “lavoro” (praxis),
sebbene non avesse ancora adeguate conoscenze sulle leggi della natura “nella sua totalità”. In tali stadi
primordiali, in cui la prassi lavorativa sollevava l’uomo dalla sfera dei
bisogni biologici più elementari ed in cui anche le relative posizioni
teleologiche, di conseguenza, non potevano che essere tali, la conoscenza,
seppure a livello molto infimo, era in generale già presente nella posizione
dello scopo, anche se il decorso reale degli eventi naturali restava non del tutto
chiarito. In questo caso, come precisa Lukács “… vale il giudizio di Marx: “non
sanno di far ciò, ma lo fanno…” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit.,
II, 31].
2.3 Bisogna
quindi distinguere tra una forma di conoscenza, seppur limitata, quale momento
ineliminabile del porre teleologico, da un’altra forma – la SCIENZA – come momento della
conoscenza delle “leggi naturali nella loro
totalità”. La prima partecipa del principio come punto di partenza
dell’atto lavorativo, la seconda richiede una comprensione della natura come “totalità”
(beninteso, sempre limitata, perché l’uomo non è mai in grado di realizzare la
propria decisione teleologica conoscendo tutti i suoi elementi ed effetti) ed
interviene in una fase successiva come “approfondimento” legato
all’implementazione storica dei nuovi bisogni e delle condizioni di lavoro
suscitati dallo sviluppo sociale.
E’ in ciò che quindi deve essere
operata una netta differenziazione tra ONTOLOGIA E GNOSEOLOGIA:
“… Qui tocchiamo con mano la differenza tra porre in senso ontologico e
gnoseologico. In quest’ultimo senso una posizione che manchi il
proprio oggetto rimane una posizione, anche se il giudizio di valore che le
concerne dovrà essere di falsità o magari solo di incompiutezza. Quando invece si pone ontologicamente la causalità nel complesso
costituito da una posizione teleologica, questa deve cogliere correttamente il
suo oggetto, altrimenti non è… una posizione…” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., II, 27]. In questo
senso, per esempio, la posizione gnoseologica “che manchi il proprio oggetto”
può anche rendere “… socialmente
possibile e necessario tanto il funzionamento prolungato e indisturbato di
teorie incomplete, contenenti verità parziali…” [G. LUKÁCS,
Prolegomeni, cit., 13] (si pensi al lunghissimo predominio scientifico
dell’astronomia tolemaica), mentre la mancata “posizione” ontologica porta semplicemente
ad una assenza di prassi.
3. In
disparte le interessanti riflessioni che potrebbero discendere da quanto detto
(in termini di spinta, contenuta nell’atto lavorativo, verso un approfondimento
sempre maggiore delle leggi naturali, e quindi come strumento per un
miglioramento della conoscenza e delle condizioni di vita sociali), ciò che risulta
chiara è la duplice natura del lavoro, ovvero come principio e allo stesso tempo
come mezzo, dovendosi tuttavia specificare che è solo nel porre
teleologico che è possibile rintracciare il vero e determinante momento
della genesi conoscitiva e, quindi, della scienza.
3.1 Ed
infatti, è esclusivamente nella posizione dello scopo che l’uomo avvia il
processo teso alla soddisfazione del bisogno, solo successivamente avviando l’indagine
sui mezzi per la trasformazione ed appropriazione del mondo naturale e la
realizzazione materiale dello scopo (praxis).
Nel rapporto tra gnoseologia e ontologia, dunque, il limite che la prima pone
alla seconda è l’adeguatezza della conoscenza della realtà per realizzare il
fine e da ultimo soddisfare il bisogno, ma
è pur SEMPRE IL FINE CHE DOMINA
IL MOMENTO CONOSCITIVO (scienza) ED I MEZZI
REALIZZATI A VALLE (tecnica, intesa come “capacità scientifica
oggettivata”):
“… La libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della
natura, ma nella conoscenza di queste
leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano per UN FINE determinato”
[F. ENGELS, Anti-Dühring].
E, come precisa sempre Lukács,
“… Libertà, che qui veramente designa
soltanto la decisione alternativa entro la posizione teleologica, significa
dunque uso sociale, poggiante sulla
conoscenza pratica corretta, delle causalità della natura per realizzare determinati FINI SOCIALI”
[G. LUKÁCS,
Prolegomeni, cit., 19]. Gramsci, nell’ambito della sua filosofia della prassi, a
sua volta coglie bene quest’aspetto allorché afferma: “…Tutta la
scienza è legata ai bisogni, alla vita, all’attività dell’uomo…” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di
V. Gerratana, Torino, 1975, 1457].
3.2 Ed
ancora, è solo il momento teleologico, proprio dell’atto originario del lavoro
come finora inteso (cioè come praxis umana),
che si presta ad essere utilizzato per la fondazione di una ontologia del
soggetto (che è sempre soggetto sociale),
con buona pace di ogni forma di razionalismo ed empirismo che (come si dirà) hanno
reso superfluo ogni discorso ontologico legato “ai bisogni, alla vita, all’attività
dell’uomo”, dirottando invece l’interesse in modo esclusivo verso una più precisa
ed astratta indagine gnoseologica: “… La teleologia presuppone, per essere
posta, una corretta conoscenza dei nessi causali, cioè una gnoseologia, CHE PERÒ DEVE ESSERE CONSUMATA
DAL PORRE TELEOLOGICO …” [A. INFRANCA, Individuo,
Lavoro, Storia – Il Concetto di lavoro in Lukacs, Udine, 2011, 63].
3.3 Per
essere ancora più espliciti: la prassi è inscindibile dalla conoscenza nel
quadro del complesso concreto rappresentato dal lavoro, ma la scienza,
in quanto situata all’interno della posizione gnoseologica, non pone scopi primi, essendo tali scopi propri
del porre teleologico come peculiarità dell’essere sociale nel suo rapportarsi
in modo attivo con l’ambiente: “… la
collocazione ontologica centrale della prassi nell’essere sociale rappresenta
la chiave della sua genesi dall’adattamento meramente passivo all’ambiente che
si ha nella sfera d’essere della natura organica…” [Lukacs, Prolegomeni, 36]. La scienza chiarifica soltanto
“in modo ancillare” il fine posto perché questo possa via via essere realizzato
socialmente nella prassi. La gnoseologia è, con terminologia lukacsciana e nel contesto di un discorso teorico correttamente posto,
“… integrazione ed appendice…”
dell’ontologia [G. LUKÁCS, Ontologia
dell’essere sociale, cit.,
38].
4. Se
quanto sin qui argomentato risulta comprensibile, è alquanto singolare l’affermazione
di quanti si sono spinti a proclamare in Italia che “la scienza non è
democratica”. La giustificazione relativa alla non democraticità della scienza fa
il paio con l’altra vulgata sulla “neutralità della scienza” la
quale, con la propria razionalità e con le proprie “evidenze”, sarebbe tutta
protesa alla ricerca della “verità
obbiettiva”. Come si cercherà di spiegare, entrambe dette affermazioni - epifenomeni
di falsa coscienza – tradiscono un
essenziale errore teorico di fondo, sia sul piano ontologico, di cui ci
occuperemo tra poco (considerate le distorte ricadute gius-politiche che ne conseguono),
sia sul piano della pura epistemologia (assunta qui come sinonimo di “teoria
della conoscenza”) e, correlativamente, sul piano metodologico.
5 Sotto
il primo profilo, che possiamo definire per semplicità “onto-politico”, l’erroneità delle riportate affermazioni non è particolarmente
difficile da smascherare per quanti, in questi anni, hanno imparato a
comprendere i principi contenuti nella nostra Costituzione del lavoro e l’impianto
sistematico della stessa. Ed infatti, considerato il “lavoro” come specificità
ontologica suprema dell’essere sociale tutelata
dalla Costituzione, ed individuato nell’emancipazione umana da ogni bisogno (in primis, proprio mediante la promozione
del lavoro dignitoso) lo scopo primario
veicolato dalla metanorma precettiva di cui all’art. 3, comma II, Cost. [non solo L. Basso, infatti, ma
anche C. Lavagna, in Costituzione e
socialismo, Bologna, 1977, 53, parla espressamente di “norma di scopo”], è facile ricavarne
che la ragion d’essere dell’attività scientifica non può che consistere
in un’indagine conoscitiva tesa alla ricerca degli strumenti più adatti a
soddisfare i bisogni storicamente determinati di quella comunità concreta.
5.1 Si
ripropone cioè in questo caso (in una visione di necessità orientata in senso giuridico-costituzionale,
dove la Costituzione
non rappresenta altro che la fissazione del fine primario che una comunità conferisce
alla propria prassi sociale) il processo dialettico della categoria
teleologica come sopra esaminata, ovvero: la scienza (ricerca
scientifica e suo risultato) ha solo carattere servente rispetto allo SCOPO fissato
dai Costituenti. Solo mediante un’inammissibile manovra che
passa per l’obliterazione tout court
del processo teleologico-costituzionale (manovra occultata tatticamente, come si
spiegherà, da una epistemologia di grado “debole”, cioè specialistica, perché esclusivamente
interna alle singole discipline) è possibile asserire che la scienza non è
democratica o che la stessa è neutra. La
gnoseologia (scienza) trattata nel
contesto costituzionale - di chiara ispirazione socialista - ha un ben riconoscibile fondamento
ontologico.
E non si lasci impressionare il
lettore dall’aggettivo “ontologico”; esso rimanda semplicemente al concetto husserliano
di Lebenswelt, cioè al vero mondo
della vita reale ed attiva degli uomini per quello che sono, con i loro concreti
bisogni materiali e spirituali che necessitano di essere continuamente soddisfatti.
Quel mondo concreto “… che siamo noi,
essere che è conoscere, conoscere che è essere…” [G. GENTILE, Sistema
di logica come teoria del conoscere, Opere, Vol. II, Firenze, 1942, 65].
Insomma, niente di più concreto.
5.2. Quanto
appena detto trova sin ovvia conferma nell’esame del diritto positivo al suo più
supremo livello gerarchico. L’art. 9,
comma I, Cost. prevede il principio fondamentale secondo cui “La
Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica”. Con detto articolo – individuato come
principale disposizione della “Costituzione culturale” [si vedano in proposito E. SPAGNA
MUSSO, Lo Stato di cultura nella
Costituzione italiana, Napoli, 1961, 40 e 52; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano, 1994,
665; L. PALADIN, Diritto Costituzionale,
Padova, 1995, 555 ss.], “… ci si richiama ad un profilo dello Stato sociale di diritto e del
principio d'eguaglianza sostanziale, espresso dall'art. 3, 2° co., Cost.,
cioè alla necessità di attuare un progetto di trasformazione
sociale e di realizzazione di condizioni di eguaglianza di fatto tra tutti i
cittadini … grazie ad un intervento attivo
degli organi del pubblico potere…” [G. BIANCO, voce Ricerca scientifica, in Digesto delle disc. pubbl., 1997, 360-361].
5.3 Secondo
la dottrina, in particolare, “… la
disciplina giuridica relativa all’attività di ricerca è costruita intorno a due
poli fondamentali: la libertà di ricerca e la
necessità di interventi
pubblici per la sua promozione e sviluppo…” attraverso “…. l’organizzazione diretta in
forma pubblica dell’attività di ricerca…[e] la costituzione di strutture istituzionalmente VOLTE A TAL FINE…” [F. MERLONI,
voce Ricerca scientifica, in Enc. dir., 1989, 394-395].
Proprio l’art. 9 sopra
menzionato costituisce in tal senso il primo “polo fondamentale”, in forza del
quale si ricava che nell’attuale assetto costituzionale risultano necessitati l'iniziativa
e l'attività dei poteri pubblici affinché si creino le condizioni più
favorevoli per lo svolgimento della ricerca scientifica, nonché per la “… predisposizione
delle condizioni, mezzi e strumenti per una più compiuta esplicazione e sviluppo…”
dell'attività di ricerca. Ciò – si badi bene - proprio entro
la normatività del principio di uguaglianza sostanziale, poiché “… sotto questo profilo, ricorre una fattispecie
analoga a quella di cui al 2° co. dell'art. 3 Cost., circa la realizzazione
delle condizioni materiali per un adeguato e concreto perfezionamento
dell'efficacia comunemente attribuita al principio d'eguaglianza…”
[V. LABRIOLA, Libertà di scienza e promozione
della cultura, Padova, 1979, 40].
5.4 L’art. 33,
comma I, Cost., invece, rappresenta in materia quel “secondo polo”
dell’attività di ricerca, allorché viene sancito che “L’arte e la scienza sono libere
e libero ne è l’insegnamento”. In tal modo, è stato notato che la
Costituzione ha innanzi tutto inteso conciliare “… l’interesse statale allo sviluppo… della scienza da una parte e
dall’altra la libertà della scienza …” che dovesse trarre origine dalle iniziative
dei privati [C. MORTATI, Istituzioni
di diritto pubblico, Padova, 1969, II, 1080]. Allo stesso tempo, si è intesa
riaffermare “una libertà già compresa
nell’art. 21” alla quale sono state anche introdotte “… due integrazioni: l’una rivolta a fare
venire meno il limite del buon costume posto dall’u.c. di quest’ultimo…; l’altra
indirizzata a garantire l’assoluta autonomia delle attività che ammaestrano
all’arte ed alla scienza” [C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., 1071]. Tutto quanto detto, tuttavia, non comporta affatto
un’assenza di limiti nella libertà di ricerca scientifica e nella
sua divulgazione. Tutt’altro:
“… si è prospettato il dubbio se la libertà di cui si parla possa essere
estesa al punto di consentire l’esposizione di idee del tutto contrastanti con
i principi che reggono le istituzioni statali. Precisato che oggetto della garanzia è l’obiettiva
rappresentazione delle conoscenze … con esclusione di ogni esorbitanza
in campi estranei e di qualsiasi forma anche indiretta di propaganda,
è da ritenere che sottratti a svalutazione, e
tanto più a denigrazione, devono ritenersi, non già singole
istituzioni dell’ordinamento statale o sociale…, bensì I VALORI ETICI SUPREMI
POSTI A FONDAMENTO DELLO STATO, formando essi il “patrimonio spirituale” comune
della nazione…Deve tuttavia precisarsi che il richiamo fatto ai
“valori supremi” non significa che si sia voluto comprendervi le convinzioni
politiche o religiose dominanti, rimanendo essi piuttosto identificati con gli
ideali attinenti ALL’ASSOLUTO PREGIO DELLA
PERSONA UMANA,
che entrano a comporre LA PARTE INVIOLABILE DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI,
SOTTRATTA ALLA REVISIONE…” [C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., 1071]. Bisogna aggiungere che se – come
ormai sovente avviene - la libera attività di ricerca scientifica e
la sua divulgazione private assumono carattere economico-imprenditoriale, questo
comunque “non può svolgersi in contrasto
con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana” (art. 41, comma II, Cost.).
6 Alla
luce del dettato costituzionale e delle precisazioni di cui sopra, sotto il
profilo qui considerato ci pare non solo di poter smentire la mistificata non
democraticità o neutralità della scienza, ma di dover anzi rivendicare che in
Italia la SCIENZA DEVE ESSERE DEMOCRATICA E NON PUÒ ESSERE NEUTRA in un duplice senso che, per estrema
chiarezza, è bene riepilogare.
In un primo senso, come abbiamo
visto, tale deve essere se riferita all’attività necessitata dei pubblici
poteri espressione della sovranità del Popolo, dal momento che la previsione di
un’attività scientifica promossa direttamente con risorse dello Stato si
annovera in un generale progetto di appropriazione collettiva dei risultati
dell’indagine conoscitiva, per la tutela
e la realizzazione di interessi pubblici ed in vista di quel processo storico di trasformazione
sociale delle strutture in senso progressivo voluto dal potere costituente e
democratico.
In un secondo senso correlato,
la scienza deve essere democratica e non può essere neutra anche quando sia ricondotta
alla “libertà negativa” di cui all’art. 33,
comma I, Cost., dal momento che in ogni caso detta libertà non può mai porsi in contrasto con i principi fondamentalissimi
della Costituzione che informano la
democrazia sostanziale disegnata dai nostri Costituenti e nella quale è assolutamente
centrale sempre la tutela della dignità dell’uomo come essere sociale. Ciò è tanto più necessario in un
contesto socio-economico globalizzato e capitalistico-borghese di stampo
liberista, il quale aspira sempre più alla privatizzazione anche della ricerca
scientifica ed alla utilizzazione dei suoi risultati per esclusivi fini di
profitto privato (quando non come strumento di oppressione), un contesto di
forze regressive dalla cui riviviscenza, con il varo della Carta, i Costituenti
avevano in animo di difenderci (si ricordino le parole di Ghidini, qui, p. 3).
7 Certo,
se per inciso si rivolge l’attenzione allo stato della “non democraticità e
neutralità della scienza” nel senso poc’anzi sviluppato (obbligo di intervento attivo
dello Stato nell’attività di promozione della ricerca pubblica), bisogna purtroppo
dare ragione agli espertologi, dal momento che ci tocca constatare anche in questo
caso la diuturna disapplicazione dei precetti costituzionali. Tale è almeno lo “stato
dell’arte” che si ricava dalla lettura della Relazione del CNR del giugno 2018 nella
quale sono esposti i dati relativi agli investimenti pubblici in materia di
politica scientifica (Ricerca e Sviluppo, abbreviato “R&S”) negli ultimi lustri.
Al riguardo, è utile riportare di seguito alcune allarmanti conclusioni contenute
soprattutto nel Capitolo I della Relazione (pagg. 55-56) che presenta gli
indicatori relativi alle risorse finanziarie per attività di R&S e che,
nella sostanza, dimostra come i risultati si allineino perfettamente alla
tendenza €uro-liberista finalizzata a “ridurre il perimetro dello Stato”.
Le risorse finanziarie
destinate alla R&S in Italia sono, in sintesi, caratterizzate da:
“- Un livello di spesa molto
inferiore rispetto ad altri paesi dell’Europa occidentale, sia in valori
assoluti sia in rapporto al PIL, con
un andamento decrescente negli anni considerati che allontana l’Italia dai
principali competitor a livello
europeo.
(Figura
1.1. - Dati relativi alla spesa per R&S in valori assoluti)
- Una riduzione piuttosto consistente della
spesa pubblica, che si accompagna alla stagnazione dell’investimento in
ricerca di base con un prevedibile effetto negativo sulla performance
scientifica collegata alla produzione di risultati particolarmente innovativi e
di frontiera.
(Figura
1.3 - Dati sulla
spesa per ricerca di base in rapporto al PIL)
- Una mancata crescita della spesa delle università e delle istituzioni
pubbliche in percentuale al PIL…
- Una riduzione particolarmente marcata
degli stanziamenti pubblici destinati agli enti di ricerca vigilati dal
MIUR…
(Figura 1.3. – Finanziamento
pubblico degli enti di ricerca sotto vigilanza MIUR. “L’andamento degli stanziamenti dal 2002 al 2015 calcolato a prezzi
costanti presenta in generale una
graduale e costante contrazione dei fondi negli ultimi tredici anni”, così a pag. 50 della
Relazione)
- Una distribuzione territoriale della
spesa pubblica e privata molto squilibrata, che desta forti preoccupazioni
per i possibili effetti negativi in termini di crescita economica, sociale e
culturale delle regioni del Sud e delle Isole”. Con buona pace anche di
quanti continuano a sbandierare un auspicato riequilibrio nello sviluppo tra il
Nord Italia ed il Mezzogiorno.
7.1 Dalla
lettura della Relazione veniamo altresì a sapere che, accanto ad un progressivo
disimpegno pubblico nel finanziamento all’attività di ricerca scientifica
causato in maniera inconfutabile dall’appartenenza allU€, si
registra d’altro canto una simmetrica ascesa del
settore privato:
(Figura 1.4 – Dati
per fonte di finanziamento e per settore di esecuzione nel 2015)
“… Si può notare che in
generale in tutti i paesi la quota maggiore di risorse per
R&S proviene dalle imprese (Figura 1.4) … In Italia le
imprese spendono 11.077 milioni di dollari per finanziare la ricerca, mentre le
istituzioni pubbliche 8.415 milioni di euro…”, confermando che “IL PESO DEL SETTORE PUBBLICO È MINORE RISPETTO A QUELLO
PRIVATO” (così a pag. 42 e 43 della Relazione), con
conseguenti ricadute negative anche sulla educazione terziaria (non si
finanziano per quanto necessario e con fondi pubblici i ricercatori e, quei
pochi che vengono finanziati e che riescono ad eccellere, sono destinati a
trovar ricovero all’estero).
7.2 Ciò significa che, se è vero che per
l’art. 33 Cost. “l’arte e la scienza
sono libere”, è altresì vero che dei
risultati di tale libertà di ricerca scientifica finanziata in maniera prevalente dalle imprese private (ormai, non
di rado, multinazionali) si
avvantaggiano esclusivamente queste ultime, così come si conviene in un
regime liberal-capitalistico (il cui unico scopo, si ripete, è quello di realizzare
un profitto privato), non trovando invece il necessario bilanciamento in un doveroso
e diretto intervento statale che, di contro, ha come scopo irrinunciabile la tutela dell’interesse pubblico generale
(si pensi, per esempio, alla ricerca nel campo sanitario e farmaceutico o in
quello dell’alimentazione).
7.3 Ci
si potrebbe chiedere, a questo punto, se sia frutto di mera coincidenza che la
non democraticità e neutralità della scienza vengano predicate in un momento
storico in cui l’unica forma possibile della medesima aspira ad
essere - come abbiamo visto - quella regolata dal Mercato, ovvero
dalla legge delle élites in grado di poterla lautamente finanziare mettendo, al
contempo, fuori gioco lo Stato costituzionale. Così come, di conseguenza, ci si
dovrebbe interrogare a quali reali scopi - che non siano, beninteso, quelli
democratici - quella stessa scienza “neutrale” ha intenzione di
attendere.
Il circolo degli odierni scienziati,
nella maggioranza, non esiterebbe a bollare però come tendenziosi tali
interrogativi, continuando ad insistere, persino stizziti, sulla non
democraticità e neutralità della scienza in
virtù di un suo statuto autonomo, rigorosamente oggettivo ed empiricamente
controllato, e che perciò non ammette intromissione alcuna, tanto meno ad
opera del Popolo “somaro” (ogni riferimento alla querelle sui vaccini è del tutto voluto). Vedremo, tuttavia, in un
altro post che simili argomentazioni “scientiste”
affondano le proprie radici in schemi epistemologici e di metodo che fungono, e
non da ora, da foraggio per l’ideologia liberal-borghese.
Bellissimo post, che, mea culpa, leggo solo ora. Grazie :)
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