1. La notizia è all'attenzione di tutti; anche perché i vari telegiornali ce ne fanno una cronaca quotidiana praticamente no-stop.
Riassumiamo la vicenda traendo dal sito di Sky-tg24 (che pare, a sua volta, riprendere una scheda compiuta dall'AGI e come tale riportata da Huffington Post):
"ArcelorMittal vuole lasciare la ex Ilva. La multinazionale anglo-indiana dell’acciaio ha comunicato ai commissari dell'azienda che intende rescindere i contratti. E le cause sono due: i provvedimenti emessi dai giudici di Taranto e soprattutto l'eliminazione della "protezione legale" dal 3 novembre "necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando la comunicazione di recesso". Ma cosa è lo scudo legale, l’immunità penale tolta, indicata da ArcelorMittal tra i "gravi eventi" che hanno contribuito a causare una situazione di "incertezza giuridica e operativa" alla base della sua decisione?
Cosa è l’immunità penale
Quella dell'immunità penale è una questione che va avanti da tempo. L'immunità penale concessa a Ilva in amministrazione straordinaria prima e ad ArcelorMittal poi, nasce da una norma del 2015: il decreto legge n.1. L'azienda era entrata da gennaio in amministrazione straordinaria, si era in una fase critica perché erano aperte tutte le conseguenze del sequestro giudiziario dell'area a caldo del 2012. Con questa norma si era voluto di fatto assicurare una protezione legale sia ai gestori dell'azienda (i commissari), che ai futuri acquirenti (l'offerta di gara di ArcelorMittal doveva ancora palesarsi), relativamente all'attuazione del piano ambientale della fabbrica. Evitare, in pratica, che attuando il piano ambientale, normato da un Dpcm del settembre 2017, i commissari o i futuri acquirenti del siderurgico restassero coinvolti in vicissitudini giudiziarie derivanti dal passato, essendo l'inquinamento Ilva un problema di lunga data.
Il primo stop all’immunità
Nella primavera del 2019, ad un anno circa dell'insediamento del primo governo Conte, il M5s aveva dichiarato che questa norma sullo scudo era illegittima e andava abrogata perché si sarebbe trattato di un privilegio concesso ad ArcelorMittal. Nei mesi successivi, con il decreto legge Crescita, viene quindi deciso uno stop all’immunità. "L'ipotizzato intervento abrogativo - si legge nella relazione tecnica che accompagnava il dl - mira a riconsiderare la natura delle prescrizioni poste dal piano ambientale, che vengono ora qualificate come le migliori regole preventive in materia esclusivamente ambientale e non, anche, in materia di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro. In aggiunta, si specifica che le condotte connesse all'attuazione del piano ambientale, perché non diano luogo a responsabilità, è necessario siano poste in essere nel rispetto di termini e modalità previsti dal piano ambientale medesimo, nella versione risultante a seguito del Dpcm 29 settembre 2017". "L'intento - si spiega ancora - è quello di delimitare temporalmente l'applicabilità della disciplina per quanto attiene all'affittuario o acquirente e ai soggetti funzionalmente da questi delegati".
La reazione di ArcelorMittal
ArcelorMittal ha accolto negativamente l'abrogazione della norma. Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo economico, cercò di assicurare l'azienda e disse che se ve avesse rispettato gli accordi e attuato il piano ambientale nei modi e nei tempi stabiliti, non avrebbe dovuto temere nulla. ArcelorMittal però rilanciò: senza immunità, andiamo via da Taranto il 6 settembre. A sostegno di ArcelorMittal, anche sindacati, Confindustria e Federmeccanica, per i quali non si possono mutare in corsa le regole. Con il successivo decreto legge Imprese c’è stata una correzione di rotta. Di Maio ha incontrato l'azienda per un confronto di merito e in estate l'immunità, col nuovo provvedimento, viene ripristinata con una diversa formulazione ed un perimetro applicativo più circoscritto. Vale sempre per il piano ambientale ma è a scadenza progressiva. In sostanza, "copre" gli impianti da mettere a norma per il periodo di tempo strettamente necessario ai lavori come da crono-programma.
Il nuovo stop allo scudo penale
ArcelorMittal sembra rassicurata dalla nuova disposizione e annuncia che resterà a Taranto. Nel mentre però, ad ottobre è arrivata alla Corte Costituzionale l'impugnazione di costituzionalità fatta sul decreto del 2015 dal gip di Taranto. Secondo il giudice quella norma è anticostituzionale. I giudici della Consulta gli rinviano gli atti chiedendogli di rivalutare, alla luce del modificato quadro legislativo, d.l. "Crescita" e d.l. "Imprese", se il nodo di costituzionalità sussiste ancora. Il gip si era infatti appellato alla Consulta a febbraio scorso, prima dei due dl.
Il decreto legge Imprese trova intanto uno scoglio in Senato, dove approda in primo esame. Alcuni senatori M5S, tra cui l'ex ministro Lezzi, bloccano la reintroduzione dell’immunità, anche se modificata, e ottengono con un emendamento l'abrogazione dell'articolo specifico. Il testo del dl passa quindi senza immunità penale sia in commissione al Senato, che in aula al Senato e infine alla Camera.
La situazione precipita
ArcelorMittal fa filtrare al governo che senza immunità la situazione si fa insostenibile. L’esecutivo allora, prima richiama l'articolo 51 del Codice penale, che stabilisce la non perseguibilità per chiunque adempia un dovere o un obbligo stabilito dalla legge (e col Dpcm del 2017 il piano ambientale dell'acciaieria lo è), dicendo che già questa è una garanzia sufficiente.
In seguito, il governo, incontrando il nuovo Ad di ArcelorMittal, Lucia Morselli, non esclude una nuova norma di carattere generale e non specifica per l'ex Ilva, che chiarisca e rafforzi i contenuti dell'articolo 51 del Codice penale a ulteriori garanzia e rassicurazione per l'investitore. Ma questa promessa non è bastata e si è così arrivati all’annuncio di ArcelorMittal della rescissione del contratto, con la restituzione dell’azienda all'amministrazione straordinaria, perché l'aver tolto l'immunità ha modificato il complessivo quadro di regole all'interno del quale l'azienda è stata acquisita.
2. Va aggiunta un'ulteriore argomentazione che il governo si appresterebbe ad usare nel negoziato con ArcelorMittal. Come riporta Il Messaggero:
"...l'allarme arriva a Palazzo Chigi, dove il premier Giuseppe Conte passa al contrattacco, mettendo in campo una duplice strategia: una battaglia senza esclusione di colpi a ArcelorMittal e, parallelamente, la ricerca di una via alternativa per salvare lo stabilimento. "Il problema è che l'azienda vuole andarsene perché perde 2,5 milioni di euro al giorno".
«Vuole almeno 5mila esuberi», sbottano fonti del governo vicine al dossier a tarda sera, inquadrando quello che, a loro parere, è il reale pomo della discordia: «ArcelorMittal non ce la fa a mantenere la produzione richiesta e, approfittando di un quadro politico incerto ha preso l'assenza dello scudo penale come alibi per andar via».
A torto o a ragione, tuttavia, la situazione di incertezza giuridica e operativa, richiamata dalla lettera dell'acquirente (per ora affittuario in attesa del problematico completamento delle operazioni di bonifica quantomeno sugli altiforni), sussiste, così come, in effetti, la clausola contrattuale inter partes che prevede che "nel caso un provvedimento legislativo sopravvenuto incida sul piano ambientale in modo da rendere impossibile la sua gestione e l'attuazione del piano industriale, la Società ha diritto contrattuale di recedere dallo stesso Contratto".
Una questione di tale portata economico-industriale è certamente contendibile, anche di fronte a una clausola come quella ora richiamata (di "nominale" recesso - unilaterale ad nutum, art.1373 c.c., che pare qualificabile, più esattamente, una "clausola risolutiva espressa" per inadempimento attribuibile, in senso lato, alla controparte pubblica; cfr; art.1456 c.c.).
Ma un lungo contenzioso civile, esperibile (ove non via siano clausole arbitrali che coprano tale ipotesi di reciproca contestazione) davanti al giudice ordinario (si deve supporre), avrebbe tempi, anzitutto, e sviluppi potenzialmente esiziali per la prosecuzione dell'attività, la sorte dell'acciaio in Italia e, più in generale, dell'intero ampio settore industriale direttamente o indirettamente coinvolto.
3. La crisi ILVA è ormai un "simbolo" riassuntivo, e per la verità protrattosi da fin troppi anni, di una congiuntura di de-industrializzazione che è stata gestita senza avere un disegno e una visione del sistema-Paese, cioè circa le realistiche prospettive, industriali e occupazionali, che possano ancora rendere vitale un'economia a consolidata e forte vocazione manifatturiera.
La piena liceità di un bilanciamento di valori costituzionali in gioco, - cioè da una parte, quello alla prosecuzione di un'attività di impresa a carattere "strategico" e alla tutela dei livelli occupazionali (artt. 41 e 4 Cost.), e dall'altra, "le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita", è stata affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.85 del 2013 e ribadita nella sentenza, sempre in tema "ILVA", n.58 del 2018 (pronunciata su una rimessione risalente al 14 luglio 2015, ma "registrata" come n.67 del 2017).
4. A questo quadro, aggiungeremmo alcune osservazioni aggiuntive su profili che appaiono non ben (o non "ancora") emersi nell'ampio dibattito politico-mediatico.
Premettiamo il testo dell'art.51 del codice penale:
Premettiamo il testo dell'art.51 del codice penale:
Articolo 51.
Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.
Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
a) una soluzione riveniente da una modifica "mirata" dell'art.51 c.p. può risultare corretta e stabilmente adeguata;
b) e può esserlo, - ferma l'attesa di una nuova pronuncia chiarificatrice della Corte in seguito alla "ulteriore" ordinanza di rimessione del febbraio 2019 -, come opportuna soluzione sistemica; cioè non limitata alla sola situazione dell'ILVA.
b) e può esserlo, - ferma l'attesa di una nuova pronuncia chiarificatrice della Corte in seguito alla "ulteriore" ordinanza di rimessione del febbraio 2019 -, come opportuna soluzione sistemica; cioè non limitata alla sola situazione dell'ILVA.
Ma ciò presuppone un'accettazione dell'idea stessa di una piena legittimità del bilanciamento dei suddetti valori costituzionali in gioco (ove, ovviamente, quello della salute dei lavoratori non è sacrificabile, e va garantito in un quadro di certezze, su modalità e tempi, specificate da una disciplina positiva speciale, in sé proporzionata e ragionevole, rispetto all'obiettivo di consentire la prosecuzione dell'attività di impresa).
Ma, per converso, un'idea trascendente della tutela ambientale che, cioè, prevalga incondizionatamente su ogni altro valore costituzionale, e non "tolleri" alcun contemperamento, non è conforme alla concezione organica dei principi fondamentali di una Repubblica fondata sul lavoro (art.1). E per motivi del tutto ovvi e palesi.
c) E conforme ai principi costituzionali inderogabili, non lo sarebbe, questa idea trascendente, neppure se si modificasse la Costituzione introducendo una simile concezione irriducibile dell'autonoma tutela ambientale: questo perché la Costituzione primigenia è fonte superiore e intangibile, in quanto derivante dall'originario Potere Costituente, e perciò prevale sul potere costituente derivato che non è abilitato a intaccare il novero dei principi fondamentali (qui, p.4).
Specialmente se la formulazione della modifica costituzionale fosse enfatica, e quindi priva di precettività in senso tecnico-giuridico, in quanto si ponesse obiettivi di tutela che trascendono la stessa disponibilità degli interessi da parte del legislatore costituente nazionale; questi, esercita un potere sovrano statuale e può disporre solo degli interessi sociali e comunitari rientranti nella sua "giurisdizione territoriale" e non può ovviamente né vincolare cittadini di altri ordinamenti, soggetti ad altrui sovranità territoriali, né vincolare i cittadini italiani ad obiettivi che dipendano, essenzialmente, da comportamenti di soggetti appartenenti ad altri Stati sovrani.
Specialmente se la formulazione della modifica costituzionale fosse enfatica, e quindi priva di precettività in senso tecnico-giuridico, in quanto si ponesse obiettivi di tutela che trascendono la stessa disponibilità degli interessi da parte del legislatore costituente nazionale; questi, esercita un potere sovrano statuale e può disporre solo degli interessi sociali e comunitari rientranti nella sua "giurisdizione territoriale" e non può ovviamente né vincolare cittadini di altri ordinamenti, soggetti ad altrui sovranità territoriali, né vincolare i cittadini italiani ad obiettivi che dipendano, essenzialmente, da comportamenti di soggetti appartenenti ad altri Stati sovrani.
5. Tornando alla soluzione "scriminante" di una modifica dell'art.51 c.p., vanno quindi svolte alcune considerazioni realistiche, perché è il principio di "realtà" - possibilmente misurata mediante indicatori univoci e attendibili -, circa le esigenze sociali concorrenti, che dovrebbe guidare il legislatore; e non la realtà immaginata in base a un senso comune creato mediaticamente, da fonti non rigorosamente scientifiche e che non siano sotto il controllo imparziale di autorità pubbliche legittimate dalla investitura democratica.
Preliminarmente, occorre dunque considerare che, oggi in Italia, l'investimento greenfield risulta un caso eccezionale, quasi "limite". Prevalentemente, l'ipotesi che si dà (nella realtà misurabile in modo imparziale sotto la responsabilità dell'autorità pubblica democraticamente preposta), è quella di riconversione o "rilancio" di impianti o di siti già esistenti, e attualmente o potenzialmente già operativi (c.d. investimento brownfield);
Questa realtà ha una ragione ben precisa, storico-economica: il raggiungimento di un'alta congestione, nella dimensione territoriale, in un Paese che si è sviluppato (per necessità funzionale) attraverso una spiccata vocazione manifatturiera e trasformativa, ma che dispone di un'estensione territoriale insediativa "utile" oggettivamente limitata: ciò per notoria conformazione geografica ma anche per via degli standard ambientali e paesaggistici che si sono progressivamente elevati a livelli di leadership (positivo-normativa) nella stessa sede Ue (v. qui, pag.65);
La incertezza giuridica, di cui si visto sopra, - legata alla diversa sensibilità, tra giudici di merito e la Corte costituzionale, circa la fattibilità di un "bilanciamento" degli interessi in gioco -, ha un riflesso profondo, in una situazione economico-industriale quale quella instauratasi in Italia a seguito del vincolo esterno monetario, cioè della costrizione deflazionista e iper-competitiva che, in forza di un'accentuazione della gerarchizzazione e specializzazione per "vantaggi comparati", (qui, p.2) ha disattivato e ristretto buona parte della base industriale nazionale preesistente.
In sostanza, tale incertezza, conseguendo a un propensione privilegiata, (allo stato stricto jure), alla "presunzione di pericolo" (principio legale di precauzione, certamente importante e lodevole), asseverata tuttavia attraverso una forte discrezionalità tecnica, tende a ridurre e, in proiezione, ad azzerare i valori economici del complesso di impianti e "siti" produttivi da riconvertire e recuperare all'efficienza, rendendo, di fatto, irrealizzabile tale obiettivo.
Un obiettivo che, allo stato, ha una funzione di "ultima istanza", nel preservare un certo livello ormai divenuto "minimo" di capacità industriale e di livelli occupazionali. Nel caso dell'ILVA basta constatare i dati, relativi al PIL e all'occupazione forniti da questo articolo di Gianfranco Viesti, e, più ancora, l'importanza dell'acciaio sull'intera filiera e sui costi del rimanente settore della meccanica, così come della cantieristica.
Un obiettivo che, allo stato, ha una funzione di "ultima istanza", nel preservare un certo livello ormai divenuto "minimo" di capacità industriale e di livelli occupazionali. Nel caso dell'ILVA basta constatare i dati, relativi al PIL e all'occupazione forniti da questo articolo di Gianfranco Viesti, e, più ancora, l'importanza dell'acciaio sull'intera filiera e sui costi del rimanente settore della meccanica, così come della cantieristica.
6. Fornito questo quadro, certamente composito, di criticità sistemiche, ipotizziamo alcune condizioni di successo legate ad una potenziale modifica dell'art.51 del codice penale.
E ciò supponendo che i criteri della parallela, e cumulativa, responsabilità civile per danno ambientale, siano incisi anch'essi dalla prefigurazione di un'assenza dell'elemento soggettivo che, in una tale scriminante, si estenderebbe anche alla colpa e, più in generale, anche alla imputabilità in senso "oggettivo", di comportamenti che, per tempi e modalità legali concretamente rispettati, fossero conformi alle prescrizioni della pubblica autorità.
La prima condizione di successo è di sistematica costituzionale: il bilanciamento dell'interesse ambientale, nella sua prima accezione legittimante che è la tutela della salute umana, con quello sociale-occupazionale, dovrebbe trovare un chiarimento definitivo nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Ma la stessa Corte costituzionale si trova in una duplice condizione; una attuale: cioè il dover esaminare legislazioni speciali che si succedono a distanza di pochi anni e, ormai, di pochi mesi, non perfettamente coerenti tra loro; l'altra potenziale e conseguente alla prima: il prevedibile doversi comunque pronunciare sulla stessa (auspicabile) modifica mirata dell'art.51 c.p.
Ciò induce a ritenere, ancora una volta, opportuno che la stessa Corte sia investibile in tempi rapidi e con immediatezza, su questioni della massima importanza per la vita sociale ed economica di un Paese "allo stremo", prevedendo un accesso diretto da parte di una serie di pubbliche istituzioni, quali, abbiamo visto, una componente qualificata del parlamento (non maggioritaria) e lo stesso Presidente della Repubblica, ovvero, da parte di una regione principalmente interessata; e non per la via del conflitto tra Poteri dello Stato o Stato-Regioni, ma per ricercare preventivamente un equilibrio razionale nel governo della rispettiva comunità sociale.
Questa esigenza di accesso immediato alla Corte da parte di legittimati individuati nelle istituzioni costituzionali, si conferma come uno degli elementi decisivi per la preservazione della legalità costituzionale, di fronte ad ogni tipo di decisione politica e di interessi confliggenti che emergono, praticamente ogni giorno, dalle fonti di diritto europeo, quand'anche, siano manifestazioni di soft law non esattamente circoscrivibile nei suoi effetti, molto concreti, sulla vita dei cittadini e dei lavoratori italiani.
un'idea trascendente della tutela ambientale che, cioè, prevalga incondizionatamente su ogni altro valore costituzionale, e non "tolleri" alcun contemperamento, non è conforme alla concezione organica dei principi fondamentali di una Repubblica fondata sul lavoro.
RispondiEliminaCome se, ad una lettura sistematica, la nostra Costituzione non si occupasse già di “ambiente” (che peraltro, come ricorda A. Predieri, “non è nozione tipicamente giuridica, anche se la parola viene usata in senso ampio”). Ad ogni starnuto sopranazionale si pretenderebbe di mettere mano alla Carta senza nemmeno capirne la sua “armonia complessa”!
“… Di paesaggio parla l’art. 9, comma II, cost., assumendo come un compito fondamentale e qualificante della Repubblica: lo dobbiamo desumere, non solo e non tanto dalla collocazione della proposizione, quanto dal combinarsi della norma con le altre, segnatamente con quelle dell’art. 3, comma II, degli artt. 2 e 42 e, per gli altri aspetti, dell’art. 32…
Paesaggio non significa solamente le “bellezze naturali” o anche quelle che ad opera dell’uomo sono inserite nel territorio, o dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi è insediata, con una continua interazione della natura e dell’uomo.
Paesaggio, in un ambiente naturale modificato dall’uomo, È L’ESPRESSIONE DI UNA DINAMICA DI FORZE NATURALI, MA SOPRATTUTTO DI FORZE DELL’UOMO E QUINDI DI FORZE SOCIALI…condizionate dall’ambiente geografico e dal clima, ma che non accettano supinamente le costrizioni e operano contro di esse, o sono addirittura particolarmente stimolate da esse. Il paesaggio è fatto fisico, oggettivo, ma al tempo stesso un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà o dato immobile; è il modo di essere del territorio nella sua percezione visibile.
Il paesaggio, insomma, viene a coincidere con la forma e l’immagine dell’ambiente, come ambiente visibile, ma inscindibile dal non visibile, come un conseguente riferimento di senso o di valori a quel complesso di cose. La nozione di paesaggio ha punti di coincidenza strutturali, a diverse profondità, con quella di ambiente e l’attività di tutela del paesaggio è funzionalmente connessa a quella di tutela dell’ambiente…” [A. PREDIERI, voce “Paesaggio”, in Enc. dir., Milano, 1981, 507]. (continua)
Non esiste l’ambiente in astratto e, appunto, “trascendente”. Esiste “l’ambiente” come frutto della relazione del mondo circostante con l’uomo ed in funzione dell’uomo, in quello che Marx chiamava continuo “ricambio organico” con la natura.
RispondiEliminaSi aggiunga, in tal senso, che alla parola “ambiente” non può riconnettersi un significato solamente settoriale, come sembra fare chi identifica tout court l'ambiente con il paesaggio [F. MERUSI, cfr. Commento all'art. 9 Cost., in Commentario alla Costituzione, Scialoja e Branca, Bologna, 1975, 445]. Le risultanze cui è pervenuta la migliore dottrina, in tal senso, sono oggi tutte connesse alla ricostruzione del concetto di “ambiente” cui è pervenuto M.S. Giannini il quale ha elaborato le tesi che ancora oggi sono quelle maggiormente condivise e conformi a Costituzione. Egli individua tre distinti significati giuridici del termine ambiente: “… 1) l'ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi al paesaggio; 2) l'ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi alla difesa del suolo, dell'aria, dell'acqua; 3) l'ambiente a cui si fa riferimento nella normativa e negli studi dell'urbanistica” [M.S. GIANNINI, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, RTDP, 1973, 15 ss].
Ambiente, inteso in tal senso, “… correlato alle valenze di protezione degli insediamenti umani e della qualità della vita, intorno alle due disposizioni costituzionali dell’art. 9, comma II, e dell’art. 32, l’una e l’altra strutturalmente dipendenti dalle disposizioni fondamentali dell’art. 3, comma II e dell’art. 2; l’una e l’altra correlate, nell’organizzazione operativa attuale, alla bipartizione di una gestione sanitaria e di una gestione territoriale urbanistica, riassumibili nelle forme ellittiche dell’ambiente salubre e del governo del territorio quali aree di funzioni…
Questo collegamento con il testo…consente di vedere ed utilizzare la Costituzione NON SOLO COME UN NON OSTACOLO ALLE DOMANDE EMERGENTI DALLA SOCIETÀ CHE RICHIEDONO MIGLIORI QUALITÀ DI VITA, più ampio sviluppo della persona, maggiore partecipazione, MA ANCHE UN RAPPORTO PROPULSIVO AD UNA DIVERSA CONFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ E AI SUOI FERMENTI LIBERATORI…
Il vedere dunque, l’azione del paesaggio, nella forma dell’ambiente inteso come spazio visibile, e l’azione per l’ambiente salubre come i due cardini delle risposte alle esigenze attuali di una società industriale complessa, qual è la nostra, che sente la necessità di uno spazio o di un ambiente tali che la persona sia sviluppata e non conculcata, corrisponde ad un’orditura che si ritrova nel tessuto normativo costituzionale, tanto nelle norme dello Stato-comunità, quanto in quelle sullo Stato-apparato E CHE SI CONCENTRA NELLA SUPERNORMA DELL’ART. 3 COMMA II e nelle proiezioni più specifiche di riconoscimento di situazioni soggettive e di promozioni di attività pubbliche nelle due aree dell’art. 9 e dell’art. 32. Che sono, ad un tempo, indicatori e indirizzi…” [A. PREDIERI, cit., 510]. (continua)
Cerchiamo di essere più chiari. L’uomo-essere sociale è l’unica creatura che per vivere deve lavorare (https://orizzonte48.blogspot.com/2018/08/liberta-liberale-e-democrazia-di-tutti.html). La Repubblica si incarica di rimuove tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale perché i cittadini possano svilupparsi pienamente come persone (art. 3, comma II), innanzi tutto promuovendo le condizioni che rendano effettivo proprio il diritto al lavoro (art. 4), senza il quale l’uomo non potrebbe modificare l’ambiente e nemmeno sé stesso. La Repubblica, tuttavia, non può consentire che questa promozione della persona umana avvenga in un “ambiente” insalubre, altrimenti non avrebbe sensoalcuno parlare di libertà, dignità e di sviluppo della persona.
RispondiEliminaSenza lavoro, brevemente, non si porrebbe nemmeno il problema dell’ambiente, mancando qualsiasi ricambio organico con la natura e, di fatto, qualsiasi attività trasformativa (anche peggiorativa) del mondo esterno. Ecco perché una generica “tutela ambientale” non può prevalere “su ogni altro valore costituzionale”, perché se così fosse violerebbe appunto “la concezione organica dei principi fondamentali di una Repubblica fondata sul lavoro” e, quindi, il suo intimo assetto ontologico. La tutela ambientale del “green new deal” si rivela, in concreto, l’ennesimo feticcio liberista: non si tutela il lavoro, non si promuovono le condizioni per rendere effettivo tale diritto, però ci si interessa della tutela ambientale.
Sul caso ex ILVA, concordo con le soluzioni di Quarantotto, ben cosciente che ci troviamo comunque ad operare in situazioni di emergenza. Altro discorso, ovviamente, si dovrebbe fare in una situazione fisiologica ed in presenza di una pianificazione pubblica (https://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/la-grande-assente-e-la-pianificazione.html) ormai dimenticata e che imporrebbe seriamente una razionale tutela ambientale a 360°
Ah, che autori mi citi, che "un tempo" si soffermavano persino sugli artt. 3, comma 2 e 4 Cost.!
EliminaNostalgia canaglia!
E poi sì, hai perfettamente ragione: il problema ambientale, entro l'umanesimo (lavorista) costituzionale, è in definitiva un problema di programmazione economica:
"Certo è, onorevole Corbino, che IL TRACOLLO DELL'ECONOMIA LIBERALE SOVRASTA COME UN'OMBRA QUESTI NOSTRI DIBATTITI SUL TITOLO TERZO. Può darsi che sulle rovine di questo tracollo già cominci a spuntare la nuova economia di domani, e non sarà un male se sarà la pianificazione a tenerla a battesimo…” [G. ARATA, Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 13 maggio 1947]."
Il fatto è che, pare, occorra (occorrerà) attendere un nuovo tracollo dell'€conomia liberal€, perché gli esseri umani, cui capiti di essere investiti della necessità di decidere il destino, possibilmente "il benessere", degli altri, tornino a pensare razionalmente. Per "l'interesse esclusivo della Nazione" beninteso (e se no, che giurano a fare?)
Se prendiamo i tre significati giuridici di “ambiente” assunti da Giannini (“1 l'ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi al paesaggio; 2. l'ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi alla difesa del suolo, dell'aria, dell'acqua; 3. l'ambiente a cui si fa riferimento nella normativa e negli studi dell'urbanistica”) sarebbe interessante analizzare quanto è rimasto effettivamente nella competenza dello Stato (come cura dell’interesse collettivo) e quanto, di contro – anche sotto forma di una partnership petalosa ed in nome dell’onnipresente “pluralismo” – ad interessi privati.
RispondiEliminaMi vengono in mente, fra i tanti istituti, gli “accordi procedimentali”, come se l’Amministrazione – privata via vincolo esterno dei fondi necessari per poter agire – potesse ancora avere voce in capitolo senza cedere agli interessi ed al profitto (con connessa corruzione, ovviamente come effetto necessario indicato da Von Mises). Non c’è un settore che non sia stato infiltrato e lasciato all’empirismo ottuso. Altro che pianificazione. Salubrità, certo, ma anche estetica, sono stati sacrificati in nome del mercato.
Quando l’uomo rinsavirà, dopo l’ennesimo crollo dell’economia liberale, forse avrà orrore di sé stesso