lunedì 17 febbraio 2020

1- SOCIETA’ CIVILE: IL RITORNO DEL RIMOSSO… E LE AMICIZIE INTERESSATE


Questo post di Francesco Maimone, (diviso in 3 puntate), muove dall'esigenza di definire la coerenza, ovvero la novità, - rispetto al quadro delle conquiste democratiche acquisite (forse?) con la nostra Costituzione del 1948 -, dell'armamentario concettuale che presuppone la "riforma", (in senso lato), derivante dall'ammissione all'intervento atipico, presso la Corte costituzionale, delle formazioni sociali portatrici degli interessi, definiti "collettivi o diffusi"; tali interessi, agganciatisi al più importante dei sistemi di garanzia politico-legalitaria col criterio della "attinenza alla questione in discussione", potranno affiancarsi alle parti in senso giuridico-processuale (quali, in teoria, delineate dalla Costituzione come titolari diretti degli interessi espressamente menzionati e gerarchizzati nella Costituzione stessa, per promuovere una soluzione pluriclasse e sostanzial-egalitaria del conflitto sociale) e quindi rappresentare la rispettiva posizione di fronte alla Corte. 
Questa "novità" appare prima facie corrispondere a un concetto di "società civile" che insinua la presa d'atto di una già avvenuta, e in un certo modo irreversibile, trasformazione dello Stato democratico costituzionale
Una trasformazione che i post di Francesco individuano risalendo nel tempo e facendo così emergere il "segno" della novità: un'esperienza del passato, nel configurare (secondo gli stessi Costituenti) i rapporti tra Stato (democratico-costituzionale) e società civile, che si palesa in forme nuove (all'interno di quelle democratico-costituzionali). 
Quella esperienza che gli stessi Costituenti avevano voluto superare "per necessità", per risolvere (mestamente, dobbiamo dire, non "una volta per tutte") i problemi sociali emersi tragicamente dalla società oligarchica che controllava lo Stato liberale.
Una rete di interessi post-costituzionali, o meta-costituzionali, (in insospettabili, dai Costituenti, proiezioni sezionali) - ma in realtà funzionalmente pre-costituzionali, come vedremo -, potrà sovrapporsi agli interessi costituzionalmente garantiti e consentirne una rilettura a esiti imprevedibili. E trasformare il pluralismo da solidaristico in competitivo (sulle risorse scarse e entro il "prediletto" conflitto intergenerazionale).
O meglio, se si tiene conto dell'irrompere, mediante il vincolo esterno, della (diversa) soluzione alla questione sociale e alla questione finanziaria data dai trattati europei e dalla globalizzazione istituzionalizzata, a esiti pure troppo prevedibili; certamente con riguardo al depotenziamento in atto (cosmetico, cioè a costo necessariamente zero) dei diritti sociali.


… La democrazia non può portare a una divisione degli uomini in “bourgeois” e “citoyen”. Solo la società socialista può superare il dualismo fra “bourgeois” e “citoyen”…
[G. LUKACS, Cultura e potere, Roma, 1970, 158]

1. L’11 gennaio scorso la Corte Costituzionale ha diramato un comunicato con il quale annunciava la propria apertura “all’ascolto della società civile”. In sostanza, mediante una modifica delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (in vigore dal 23 gennaio 2020), anche le formazioni sociali senza scopo di lucro (tra cui le ONG), “se portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione in discussione”, potranno in futuro “presentare brevi opinioni scritte per offrire alla Corte elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso sottoposto al suo giudizio” (c.d. amici curiae). La Corte, inoltre, nel caso in cui ritenga necessario acquisire informazioni su specifiche discipline, avrà altresì la possibilità di convocare “esperti di chiara fama” da sentire in apposita adunanza in camera di consiglio.
L’innovazione è stata sin da subito accolta con con toni di entusiasmo ed indicata come un “passo fondamentale di democrazia e apertura”. In questa sede, più che esprimere giudizi su tale novità processuale (che dovrà necessariamente essere verificata a posteriori e “sul campo”) si intende piuttosto verificare, a partire dal concreto contesto storico e rifuggendo da quello che Lukacs chiamava “empirismo ottuso”, in che relazione la stessa si ponga oggi con l’effettivo stato non di una democrazia generica, ma della nostra “democrazia costituzionale”.
In modo ancora più esplicito, si tratterà di indagare se l’inedita “apertura” della Corte rappresenti realmente un passo fondamentale verso la democrazia costituzionale o se invece la partecipazione al giudizio costituzionale di soggetti esterni (pur non tecnicamente come parti) non si inserisca soltanto nella scia di quella che M. Fioravanti ha definito “La trasformazione costituzionale”, ovvero il mutamento di paradigma disegnato dai Costituenti.
Dal momento che l’ascolto della Consulta è indirizzato alla “società civile”, è dal dal significato di tale espressione che converrà prendere le mosse, senza che vi sia ovviamente alcuna pretesa di delineare la storia esaustiva del concetto né di esaminare le varie teorie sulla società civile oggi in circolazione. Verrà altresì abbozzato un confronto tra il significato del lemma ricavabile da un’interpretazione sistematica della Costituzione (grazie anche agli opportuni rimandi presenti nel blog) e quello derivabile dalla “narrativa” internazionale; infine, si cercherà di tirare le somme sulle novità evidenziate e sui rischi che possono ad esse essere sottese in una prospettiva de iure condendo.

2. “Il diritto della particolarità del soggetto a trovare il proprio appagamento – vale a dire il diritto della Libertà soggettiva – costituisce la chiave di volta e il punto centrale nella differenza tra l’antichità e l’epoca moderna [G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Milano, 2006, 243]. 
Non è possibile parlare di epoca né di politica moderna senza considerare i suoi tre attori fondamentali, sconosciuti all’antichità: l’individuo (o soggetto), lo Stato e la società civile con la sua complessità. Hegel individua quindi in modo compiuto la distinzione tra una sfera pubblica ed una sfera privata, la scissione tra la dimensione sociale e quella statuale. E’ stato infatti il filosofo tedesco ad aver interpretato “… la realtà delle formazioni sociali moderne sulla base della contrapposizione fondamentale tra una sfera sociale contraddittoria e una sfera politica in cui le contraddizioni vengono a mediazione” [così N. BOBBIO - M. BOVERO, Società e Stato nella filosofia politica moderna. Modello giusnaturalistico e modello hegelo-marxiano, Milano 1979, 114].

2.1 Nella società civile - come precisa Hegel - “oggetto … è il cittadino (in quanto bourgeois)” [G.W.F. HEGEL, Lineamenti, cit., 347], ovvero il cittadino privato. E così la società civile (bürgerliche Gesellschaft) rappresenta, in corrispondenza, la società borghese dei produttori e dei proprietari privati protagonisti dell’economia capitalista industriale già tratteggiata “… dalle basi fondamentali dell’economia politica…(v. Smith, Say, Ricardo)…” [G.W.F. HEGEL, Lineamenti, cit., 345]. La società civile, insomma, con il suo carattere antagonistico, è il luogo dove vigono alcuni principi: “…uno dei principi della società civile è la persona concreta che, in quanto persona particolare, è fine a sé stessa, e che è una totalità di bisogni e una mescolanza di necessità naturale e di arbitrio[G.W.F. HEGEL, Lineamenti, cit., 337].

2.2 Hegel si era perfettamente reso conto – nonostante non vivesse in Inghilterra [si rimanda, in proposito, all’opera di G. LUKACS, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Torino, 1960] – di come la dialettica dell’allora società industriale si reggesse sul “contrasto tra le classi” e di come allorché “la società civile si trova a operare senza impedimenti si accrescono, da un lato, l’accumulazione delle ricchezze”, ma, dall’altro, viene a determinarsi altresì un “eccesso di povertà” [G.W.F. HEGEL, Lineamenti, cit., 401-403]. Nel pensiero del filosofo tedesco, tale contrapposizione tra società civile e società politica, tra interessi particolari ed interessi generali, avrebbe dovuta essere sanata mediante alcuni meccanismi e, in particolare: 1) gli Stände (i ceti) e le corporazioni, istituzioni di collegamento in grado di far confluire i vari interessi a livello politico-statuale nell’ambito dell’assemblea legislativa [strumenti per mezzo dei quali “la sfera della società civile…passa nello Stato”, così G.W.F. HEGEL, Lineamenti, cit., 413]; 
2) l’amministrazione della giustizia (Rechtspflege); 
3) e l’amministrazione pubblica (Polizei).
Sarebbe importante analizzare come in Hegel detti meccanismi dovessero rappresentare già in nuce momenti per erigere in forma solidaristica quello che in età più recente è stato definito “stato sociale”, comunque con la supremazia del politico sull’economico. Tale argomento esula, tuttavia, dal presente esame, per il quale si rinvia, in particolare, all’interessante opera di G. DUSO, Libertà e costituzione in Hegel, Milano, 2013.

2.3 La società civile [intesa come “la totalità relativa dei rapporti reciproci relativi degli individui, in quanto persone autonome, in una universalità formale”, G.W.F. HEGEL, Enc. delle scienze filosofiche, Milano, 1996,821], incapace di autogovernarsi, non poteva quindi esistere per Hegel se non in relazione allo Stato, così come i corpi sociali attivi nell’ambito della società civile non potevano, da soli, transitare nella dimensione di universalità che solo lo Stato era in grado di consentire: “… se Hegel distingue la società civile dallo Stato nella esposizione del sistema, tuttavia egli critica una concezione della società civile intesa come qualcosa che è reale in sé e viene prima dello Stato…famiglia e società civile sono dette sfere ideali in cui l’idea reale dello spirito si articola. Esse sono reali solo nel terzo momento e hanno la loro realtà nella costituzione dello Stato” [G. DUSO, Libertà e costituzione in Hegel, cit. 242]. E’ lo Stato che si pone quindi per il filosofo di Stoccarda come l’istituzione necessaria “garante” in grado di operare la mediazione etica-comunitaria fra le pulsioni particolaristiche della società civile.

3. In Hegel, però, la composizione dialettica del particolare (società civile) nell’universale (lo Stato), nel tentativo pregevole di far trovare soluzione in seno a quest’ultimo alle contraddizioni ed alle tensioni presenti nella prima, si attuava solo ad un livello logico ed ideale-speculativo, con la conseguenza che non era in grado di eliminare di fatto la separatezza dei due ambiti e di spezzare la sostanziale divisione classista della struttura sociale. 
Bisognerà perciò attendere le riflessioni di Marx per assistere al rovesciamento pratico della filosofia, “… quel Marx che sulle orme di Hegel [doveva] denunzia(re) nel citoyen un vuoto fantasma separato, con processo d’astrazione, dall’uomo reale; separazione ch’egli [ha] critica(to) teoricamente come effetto della contraddizione esistente nel seno della società borghese e risolveva praticamente superando la contraddizione stessa… [L. BASSO, Le fonti della libertà, in La rivoluzione liberale, 17 maggio 1925, 81-82]. Come spiega ancora L. Basso, la correzione del materialismo marxiano consisterà “in un’applicazione alla materia di ciò che Hegel aveva astrattamente scoperto per rispetto allo spirito. Giacché il Marx non fa se non sostituire al pensiero la materiail sostrato sociale” [L. BASSO, Valore morale del socialismo, in Critica sociale, gennaio 1925, 25-28].

4. Pertanto, se Hegel, idealmente, riteneva che lo Stato rappresentasse la sintesi della vita etica di un popolo in grado di superare e ricomporre le divisioni ed i contrasti sussistenti nella società civile, Marx, riprendendo detta distinzione (tra società civile e Stato), doveva rovesciare il rapporto: non è la società civile ad essere una sotto-struttura dello Stato, ma è lo Stato ad essere una sovra-struttura rispetto a quella. Marx rimette così il mondo “sui piedi”, nel tentativo di smascherare prima e superare poi proprio quel dualismo ricomposto solo idealmente da Hegel, assumendo come proprio principio il fondamento reale, cioè il modo di esistenza del popolo in carne ed ossa.

4.1 Al riguardo, Marx premette come storicamente, nelle epoche precedenti (antica e feudale), non ci fosse distinzione fra costituzione politica e il “contenuto materiale dello stato”, cioè la società: “… la costituzione politica [era] la costituzione della proprietà privata, ma solo perché la costituzione della proprietà privata [era] una costituzione politica” [K. MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Roma, 1977, 43]. Sfera pubblica e sfera privata coincidevano, dando vita ad una condizione universale di servitù [Marx afferma, in tal senso, che “Il Medioevo era la democrazia della illibertà” e della “compiuta alienazione, K. MARX, Critica, cit., 44] riassunta in quella condizione che il filosofo chiama di “dualismo reale”. E’ con l’emergere della classe borghese, degli interessi e delle esigenze di quest’ultima che si radicalizza l’opposizione tra Stato e società civile, assistendosi alla compiuta metamorfosi verso, appunto, un “dualismo astratto[“Il Medioevo è il dualismo reale, l’età moderna è il dualismo astratto”, K. MARX, Critica, cit., ibidem], condizione che contraddistinguerà la “libertà” e la “democrazia” dei moderni dopo la Rivoluzione francese. A ben vedere, si è trattato soltanto di sostituire ad una servitù immediata un’altrettanta condizione di servitù, di passare da una “compiuta alienazione” ad un’altra, a quel regno della mera uguaglianza formale imbellettato di democrazia compiuta.
4.2. L. Basso riassume bene quanto sin qui detto:
“… La cosiddetta democrazia liberale… in realtà non fu una democrazia…Al contrario, la cosiddetta democrazia liberale non fu altro che il tentativo di sussumere le esigenze democratiche negli schemi elaborati dal liberalismo…. nato storicamente dall’esigenza di difendere contro gli arbitrii o gli eccessi del potere assoluto una sfera autonoma di attività individuale sia nel campo economico che in quello del pensiero e della religione, e aveva preso slancio e vigore nel periodo in cui le grandi scoperte geografiche e il dilatarsi dei traffici, poi il rapido sviluppo della ricchezza mobiliare e il formarsi dell’accumulazione capitalistica avevano segnato l’inizio di una nuova fase storica caratterizzata da un largo sviluppo dell’iniziativa privata Di qui la necessità di limitare l’assolutezza del potere statale e di ridurne la funzione: in un primo tempo le teorie del diritto naturale offrirono l’arma ideologica più valida contro le esorbitanze del potere, e difatti in seguito, furono esse che diedero contenuto alle prime Dichiarazioni dei Diritti. IL CAPITALISMO HA DOVUTO CREARSI UN SUO DIRITTO” [L. BASSO, Il Principe senza scettro].
Lo Stato liberale moderno (con tutta la conseguente teoria giuridica, non ultima quella sulla “sovranità nazionale”o “statale”) è nato come Stato della classe borghese per difendere interessi e privilegi di quest’ultima, di gruppi separati che, autonomizzandosi politicamente, esercitavano il potere, presentando però anche i loro interessi come se fossero pubblici: la borghesia…dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese” [K. MARX, Manifesto del partito comunista] o, altrove, “… la forma di organizzazione che i borghesi si danno per necessità, tanto verso l'esterno che verso l'interno, al fine di garantire reciprocamente la loro proprietà e i loro interessi” [K. MARX, Ideologia tedesca]. Ecco perché, secondo Marx, lo Stato hegeliano, tacciato di “misticismo”, non era in grado di realizzare alcuna riconciliazione etica, ma era semmai destinato a lasciar intatte le contraddizioni e le manifestazioni di arbitrio presenti nella società.

4.3 Difatti, cosa quel passaggio alla costruzione storica dell’“astratto riflesso” abbia significato, Marx lo spiega rafforzando il carattere conflittuale già presente nella concezione hegeliana. Per Marx la società civile comprende, innanzi tutto, “tutto il complesso delle relazioni materiali fra gli individui all’interno di un determinato grado di sviluppo delle forze produttive”, un luogo il cui spirito è il bellum omnium contra omnes”, e allo stesso tempo un luogo distopico dove si realizza l’opposizione tra bourgeois / citoyen e dove la società civile sta allo Stato come la terra al cielo:
… Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l'uomo conduce non soltanto nel pensiero, nella coscienza, bensì nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si afferma come comunità, e la vita nella società civilenella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzo, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee. Lo Stato politico si comporta nei confronti della società civile in modo altrettanto spiritualistico come il cielo nei confronti della terra…” In ciò risiede quella “universale contraddizione mondana tra lo Stato politico e la società civile” [K. MARX, La questione ebraica].

4.4 Insomma, la “società civile” (Gesellschaft) è uno spazio di separazione dell’uomo dalla comunità (Gemeinschaft) [per la distinzione dei due concetti, si veda in particolare F. TÖNNIES, Comunità e società, Laterza, 2011], ma anche da sé stesso, poiché già l’uomo si ritrova alienato, scisso in due:
da una parte il citoyen astratto, l’homo politicus, il quale può vantarsi di godere di pari diritti di fronte alla legge, dei mitici diritti umani, “membro immaginario di una sovranità fantastica”. Già, perché “… Lo Stato sopprime nel suo modo le differenze di nascita, di condizione, di educazione, di occupazione, dichiarando che nascita, condizione, educazione, occupazione non sono differenze politiche… senza riguardo a tali differenze, trattando tutti gli elementi della vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato...”;
dall’altra il bourgeois, l’homo oeconomicus, l’individuo concreto (la quasi totalità dei consociati), afflitto dalla disuguaglianza economica che costituisce la sua effettiva realtà nonostante l’uguaglianza formale del diritto, immerso com’è in una struttura economica fondata sul classismo, sull’egoismo e la concorrenza spietata. Infatti, nonostante riconosca a tutti la patente politica, lo Stato“… nondimeno lascia che la proprietà privata, l'educazione, l'occupazione operino nel loro modo, cioè come proprietà privata, come educazione, come occupazione, e facciano valere la loro particolare essenza. Ben lungi dal sopprimere queste differenze di fatto, lo Stato esiste piuttosto soltanto in quanto le presuppone…Tutti i presupposti di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera dello Stato, nella società civile, ma come caratteristiche della società civile”. Questa, fa notare Marx, è la fondamentale “… contraddizione nella quale si trova il bourgeois con il citoyen, nella quale si trova il membro della società civile con il suo travestimento politico” [K. MARX, La questione ebraica, cit.].

4.5. La società civile collima pertanto con la dimensione dell’attività economica, degli interessi privati dei pochi proprietari “… di godere arbitrariamente, senza riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla società, della propria sostanza e di disporre di essa”, di scambiare in modo sfrenato producendo accumulazione capitalistica, sfruttamento e miseria, ma continuando però a celare tale arcano sotto il velo ipocrita dell’”emancipazione politica” [intesa, come “la riduzione dell'uomo, da un lato, a membro della società civile, all'individuo egoista indipendente, dall'altro, al cittadino, alla persona morale]. 
Ecco perché, nell’analisi marxiana, la vera “anatomia della società civile è da cercarsi nell’economia politica” [K. MARX, Per la critica dell’economia politica], nei rapporti materiali dell’esistenza che devono essere mutati onde eliminare quel “… dualismo tra la vita individuale e la vita della specie, tra la vita della società civile e la vita politica”, per conquistare, in definitiva, dopo l’emancipazione politica [che Marx riconosce comunque essere stata “certamente un grande passo in avanti”], l’emancipazione umana:
Solo quando l'uomo reale, individuale riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali è divenuto membro della specie umana, soltanto quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato le sue "forces propres" come forze sociali, e perciò non separa più da sè la forza sociale nella figura della forza politica, SOLTANTO ALLORA L'EMANCIPAZIONE UMANA È COMPIUTA” [K. MARX, La questione ebraica, cit.]. Parafrasando sempre Marx, Hegel aveva interpretato bene il mondo, si trattava però di mutarlo [K. MARX, Tesi su Feuerbach].

5. Il lettore che si sia sforzato di leggere sin qui sa che solo di recente, dopo lotte sanguinarie e travagliatissime vicende storiche, si è cercato di rimediare a quel dualismo di cui parlava Marx, nel tentativo di ricomporre l’opposizione tra “società civile” e Stato. Ciò è avvenuto, precisamente, con il passaggio dallo “Stato liberale” oligarchico [definito in modo efficace come quello Stato in cui “tutto il potere politico è nelle mani di una strettissima classe censitaria” divisa “…in gruppi di interessati”, così M.S. GIANNINI, Considerazioni sullo Stato moderno, ora pubblicato in Riv. Trim. Dir. Pubblico, fasc.3, 1 settembre 2017, 693], allo “Stato democratico fondato, in Italia, sulla sovranità del popolo (art. 1, comma II, Cost.) chiamato a partecipare attivamente all’esercizio della stessa.
Le costituzioni democratiche - fra le quali abbiamo imparato che quella italiana rappresenta una delle versioni più evolute – hanno tentato di colmare lo iato esistente tra “società civile” e Stato esigendo la tendenziale identificazione tra gli stessi, tra governanti e governati (che non significa rozzo organicismo, bensì quel nesso dialettico “unità-distinzione” delle feconde riflessioni gramsciane):
“… Democrazia significa autogoverno del popolo, e quindi identità di governanti e di governati…questa identità non può essere diretta e immediata, ma abbisogna di una mediazione permanente che viene ottenuta appunto grazie all’apparato di governo chiamato a mediare precisamente fra il popolo, nella sua figura di sovrano, e il popolo stesso come insieme di cittadini governati” [L. BASSO, Considerazioni sull’art. 49 della Costituzione, in Istituto per la documentazione e gli studi legislativi. Indagini sul partito politico. La legislazione legislativa, I, Milano, 1966, 131-151].

5.1 E a monte, perché questa agognata identità governanti-governati (riassumibile ne “Lo Stato siamo noi” di Calamandrei) non rimanesse frustrata, le costituzioni democratiche (in quella italiana, art. 3, comma II, Cost.) hanno previsto che fosse necessario proprio l’eliminazione delle contraddizioni presenti in seno alla “società civile”, in primis con la previsione del diritto ad un lavoro dignitoso (artt. 4, 36 Cost.). Infatti, solo cittadini che abbiano assicurato il pieno sviluppo della loro personalità in condizioni di uguaglianza, non solamente giuridica, ma di fatto, possono democraticamente assolvere alla funzione sovrana…tutte le costituzioni moderne garantiscono l’uguaglianza giuridica, ma le condizioni di fatto sono ben diverse: si trattava appunto di far riconoscere questo contrasto fra la norma e la realtà per obbligare lo Stato a una politica di intervento diretta a eliminare gli ostacoli di fatto, cioè le profonde disuguaglianze economico-sociali  [L. BASSO, Considerazioni sull’art. 49 della Costituzione, cit.]. Gramsci, sul punto, era stato lapidario: “… non può esistere eguaglianza politica completa e perfetta senza uguaglianza economica” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, (a cura di V. Giarratana), Torino, 693].
Lo sviluppo della personalità di tutti e di ognuno in comunità, cioè il diritto di tutti e di ognuno di “fiorire” - nel quale consiste la verà libertà e l’emancipazione umana - corrisponde per definizione da un lato alla riunificazione tendenziale di Stato e “società civile” e, dall’altro, a quella di citoyen e bourgeois, coincide cioè sia con il superamento dello Stato vissuto come estraneo e come oppressione di classe, sia con il completamento della uguaglianza formale per mezzo dell’uguaglianza sostanziale.

5.2 Si badi che con ciò non si vuol affatto affermare che in tale costruzione dello Stato democratico gli interessi privati della “società civile” vengano obliterati [si veda, per esempio, l’art. 41, comma I, Cost.] o che il conflitto venga meno [si vedano gli artt. 39 e 40 Cost.]., ma si vuol dire che il Potere Costituente ha voluto che quegli interessi giungessero – attraverso ben determinati congegni giuridici-istituzionali – alla migliore composizione possibile, mediate dallo spirito solidaristico [art. 2 Cost.] degli stessi appartenenti alla comunità [si veda sempre l’art. 41, commi II e III, e l’art. 42, comma II, Cost.] e per la cura di fini meta-individuali, ovvero l’edificazione di quella che Gramsci era solito definire “società regolata” [contrapposta allo “Stato-classe”, A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit.], viatico di sicurezza e pace nazionale nonché, nelle forme cooperative non predatorie (art. 11 Cost.), anche di quella internazionale.

5.3 In un simile contesto istituzionale, che prevede come attore principale lo Stato sovrano, la “società civile” – pur nella sua complessità contemporanea – si carica di un significato ben preciso e non disorientante, esprime di certo i molteplici interessi di cui è portatrice e che richiedono di essere soddisfatti, ma non mette mai in discussione che sussista altresì un Ordine pubblico ed un interesse pubblico, quel “…limite generale ed invalicabile posto dal diritto pubblico a tutela degli interessi generali, ovvero un katéchon avente “funzione conservatrice” di quegli stessi valori e principi fondamentali che, in mancanza di detto limite, rischierebbero logicamente di essere disfatti in uno con l’intera comunità nazionale” (si tornerà sul punto nella terza parte del presente lavoro).
Questa è “la mappa” costituzionale nella quale è iscritto, in senso prescrittivo, l’unico modello di società che possa fregiarsi dell’aggettivo “civile”. Ma purtroppo, come affermava Bateson, “la mappa non è il territorio”...
(1- SEGUE)

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