domenica 9 dicembre 2018

GLOBAL COMPACT FOR SAFE, ORDERLY AND REGULAR MIGRATION: LA GRANDE PIANIFICAZIONE E IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATIZZATO



Post di Francesco Maimone



delle nostre società evidenziando il loro contributo positivo
(
Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration)

1 In questi giorni sta tenendo banco sui Social e nei media il tema riguardante l’approvazione del Global Compact for Safe, Orderly and Regular migration (per brevità, GCSORM), ovvero l’accordo promosso in sede ONU e che sarebbe finalizzato a dare una risposta globale al fenomeno della migrazione. Tra le voci che si sovrappongono a favore e contro detto accordo, sembra soprattutto passare inosservato il fatto che il GCSORM non è una misura estemporanea partorita improvvisamente dal nulla, ma costituisce un documento inserito in una logica e ben congegnata “sequenza procedimentale” per dare specifica attuazione ad un disegno molto più vasto che l’Ordine sopranazionale dei M€rcati ha tracciato già da tempo.

2 In questa sequenza, ed evitando di risalire troppo nel tempo (per esempio, alla International Conference on Population and Development tenutasi nel lontano 1994 al Cairo), bisogna innanzi tutto prendere le mosse dalla distopica volontà di “trasformare il nostro mondo” contenuto in quel capolavoro cosmetico chiamato  “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” adottata all’unanimità (quindi anche con il contributo del rappresentante italiano pro tempore) dall’Assemblea Generale dell’ONU con Risoluzione del 25 settembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio 2016 e che ha il compito di orientare i successivi sviluppi per i prossimi 15 anni. Come risulta da documenti parlamentari, l’Agenda “ha sostituito i precedenti Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che avevano orientato l’azione internazionale di supporto nel periodo 2000-2015. La nuova Agenda globale si propone, in particolare, di raggiungere i seguenti 17 obiettivi pubblicizzati alla stregua di un nuovo e meraviglioso paese di Bengodi, obiettivi ai quali sono associati “169 traguardi … che sono interconnessi e indivisibili” (così al punto 18, pag. 6, dell’Agenda):


2.1 Non è il caso di addentrarsi in un esame dettagliato di detto documento. Si evidenziano tuttavia alcuni principi generali che sono da considerare i pilastri sui quali è stata congegnata la Road Map elitista:
- “L’attività imprenditoriale privata, gli investimenti e l’innovazione rappresentano i motori principali della produttività, di una crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo la varietà del settore privato, che varia dalle micro imprese alle cooperative, e alle multinazionali. Promuoveremo un settore imprenditoriale dinamico e ben funzionante, salvaguardando contestualmente i diritti dei lavoratori e le norme ambientali e sanitarie…” (punto 67, pag. 29, dell’Agenda). Lo Stato non è contemplato come “motore della produttività”;
- “Il commercio internazionale è il motore per una crescita economica inclusiva e per la riduzione della povertà, ed esso contribuisce alla promozione dello sviluppo sostenibile. Continueremo a promuovere un sistema multilaterale di commercio che sia universale, basato sulle regole, aperto, trasparente, prevedibile, inclusivo, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, così come una liberalizzazione significativa del commercio (punto 68, pag. 29, dell’Agenda). Il Mercato sarà sempre più il nostro pastore;
- “ogni Stato ha la primaria responsabilità della propria economia e del proprio sviluppo sociale e che il ruolo delle politiche interne e delle strategie per lo sviluppo non può essere messo in discussione. Rispetteremo lo spazio politico di ogni Nazione e la loro leadership per implementare politiche per la lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, pur rimanendo coerenti con l’importanza delle leggi e dell’impegno internazionali. Allo stesso tempo, gli sforzi per lo sviluppo nazionale necessitano del supporto di un contesto economico internazionale favorevole, attraverso un commercio mondiale coerente e di sostegno reciproco” (punto 63, pag. 28, dell’Agenda). Nel caso dell’Italia, per esempio, verrebbero “rispettate” le politiche deflazionistiche e di impoverimento derivanti dall’appartenenza all’U€ ed al sistema della moneta unica;
“… Riconosciamo il bisogno di fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo affinché raggiungano la sostenibilità a lungo termine del debito, attraverso politiche coordinate, finalizzate a promuovere, a seconda dei casi, il finanziamento, la remissione, la ristrutturazione e la solida gestione del debito. Molti paesi restano vulnerabili alle crisi del debito e alcuni paesi, ivi inclusi alcuni dei paesi meno sviluppati, alcuni piccoli Stati insulari in via di Sviluppo e alcuni dei paesi sviluppati, sono nel mezzo di una crisi. Ribadiamo che i debitori e i creditori devono lavorare congiuntamente al fine di evitare e allo stesso tempo risolvere le situazioni di debito insostenibile. Mantenere livelli di debito sostenibile è responsabilità dei paesi mutuatari (punto 69, pag. 29, dell’Agenda). Detto altrimenti, nel farsi sbranare, l’agnello dovrà cooperare al meglio con il lupo, dal momento che sua è la responsabilità di essere la parte più debole del rapporto obbligatorio.

3. Quanto delineato per sommi capi rappresenta a ben vedere il manifesto di un neoliberismo incrementale, all’interno della cui cornice di “crescita sostenibile”, ovviamente, svolgono un ruolo non indifferente anche le migrazioni di massa. A queste ultime, si badi bene, viene infatti riconosciuto a priori un:
“… contributo positivo [per] una crescita inclusiva e uno sviluppo sostenibile. Inoltre, [viene riconosciuto] che la migrazione internazionale è una realtà di grandissima rilevanza per lo sviluppo dei paesi d’origine, di transito e di destinazione, che richiede risposte coerenti e comprensive. [perciò si lavorerà insieme] a livello internazionale per garantire flussi migratori sicuri, regolari e ordinati, secondo il pieno rispetto dei diritti umani e il trattamento umano dei migranti, a prescindere dallo status di migrante, rifugiato o sfollato...” (punto 29, pag. 8 dell’Agenda). Insomma, viene affermato in modo perentorio e senza possibilità di smentita che le migrazioni sono un bene, una opportunità di crescita e sviluppo globali.

3.1 E’ da sottolineare, quindi, che sin dall’Agenda 2030 è sancito in nuce che la realizzazione degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile debbano essere realizzati “all’interno di una struttura di Partnership Globale” (punto 40, pag. 10 dell’Agenda) nell’ambito della quale non poteva mancare il riconoscimento del ruolo svolto dal “variegato settore privato…dalle micro-imprese…[dalle] multinazionali, [dalle] organizzazioni della società civile e… filantropiche [cioè le ONG]” (punto 41, pag. 10 e punto 45, pag. 11 dell’Agenda).
Fissata in generale l’Agenda nel 2015, l’oligarchia capitalistica mondiale si è ovviamente mobilitata per dare esecuzione, in particolare, all’obiettivo n. 10 (“ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni”), preoccupandosi di dettagliare la disciplina al fine di rendere “… più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la mobilità delle persone, anche con l’attuazione di POLITICHE MIGRATORIE PIANIFICATE E BEN GESTITE” (punto 10.7 pag. 21 dell’Agenda).

4.1 Tale disciplina è contenuta nel testo della fondamentale Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 19 settembre 2016 (“Dichiarazione di New York per i rifugiati ed i migranti”, di cui non è stato possibile reperire il testo in lingua italiana) anch’essa, ovviamente, adottata con il contributo dell’allora rappresentante italiano pro tempore. Secondo quanto previsto al punto 21 della citata Dichiarazione (pag. 5), anche se gli Stati hanno approvato una serie di “impegni” che si applicano indistintamente sia ai rifugiati che ai migranti, il GCSORM darà tuttavia specifica attuazione all’Allegato II con il quale sono state stabilite proprio le “misure per l'adozione nel 2018 di un patto globale per la migrazione sicura, ordinata e regolare”. L’assunzione di un corrispondente patto globale per i rifugiati – oggetto dell’Allegato I – sembra sia stata invece rimandata ad altre sessioni intergovernative.
Ora, al di là delle pletoriche espressioni sparse a piene mani in tutto il testo della Dichiarazione in parola, è necessario passare brevemente in rassegna quelli che sono i principi più importanti in essa sanciti in materia di “migranti economici”. Tali principi sono contenuti nell’Introduzione, nei punti da 41 a 63 (ovviamente in linea con quelli già formalizzati dell’Agenda 2030) e nel citato Allegato II il quale, più specificamente, ha la funzione di anticipare nel dettaglio il contenuto sostanziale e soprattutto organizzativo del GCSORM.

4.2 Ci viene innanzi tutto spiegato che gli uomini si stanno muovendo anche “per cercare … nuove opportunità economiche per fuggire da povertà [e] insicurezza alimentare” (punto 1, pag. 1), anche se non viene mai spesa una parola sulle reali cause della povertà. Tale “movimento” di uomini è ribadito dall’ONU come opportunità per una crescita inclusiva ed uno sviluppo sostenibile nonché per la distopica realizzazione di un “mondo migliore”: “… Quando abbiamo adottato un anno fa il programma di sviluppo sostenibile nell’orizzonte 2030, abbiamo evidenziato chiaramente il contributo positivo che i migranti hanno apportato alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Questo contributo rende il nostro mondo un posto migliore. I vantaggi e le opportunità associati alla migrazione regolare, sicura e ordinata sono considerevoli e generalmente sottovalutati...” (punto 4, pag. 2).
Di conseguenza, “… Il massiccio spostamento di migranti deve essere pienamente sostenutoe protetto in conformità con gli obblighi del diritto internazionale”, dovendo gli “… obiettivi di sviluppo sostenibile [essere] realizzati a beneficio di tutte le nazioni, dei popoli e di tutti i componenti della società” (punto 11, pag. 3) e potendo i migranti “… contribuire positivamente e profondamente allo sviluppo economico e sociale delle loro società di accoglienza e alla creazione di ricchezza su scala globale” nonché aiutare ad “… affrontare alcune delle tendenze demografiche, carenza di manodopera e altre sfide che affliggono le società ospitanti e fornire competenze notizie e rinnovato dinamismo nelle economie di questi paesi” (punto 46, pag. 10).

4.3 Considerati tutti questi presunti “benefici” apportati dalle migrazioni economiche di massa, che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti [e che] tutti hanno il diritto di essere riconosciuti OVUNQUE come persone di fronte alla legge [a prescindere da motivi di] fortuna, nascita o qualsiasi altra situazione” (punto 13, pag. 3), la conclusione non poteva che essere scontata: “… tutti hanno il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” perché “la migrazione dovrebbe essere una scelta” (punto 42, pag. 10). In sostanza, la Dichiarazione di New York, sotto il paravento generalizzato e ipocrita dei “diritti umani”, finisce per riconoscere il pieno diritto dei “migranti economici a lasciare il proprio Paese e ad essere accolti da un altro, ricevendo un trattamento praticamente uguale a quello dei rifugiati.
Gli Stati firmatari, d’altronde, si sono impegnati ad adottare le misure necessarie per migliorare la loro integrazione, se del caso, in particolare per quanto riguarda l'accesso all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla giustizia…ai corsi di lingua” (punto 39, pag. 9) ed a tutti i servizi sociali, assicurandosi così di assestare forse la spallata decisiva a quello che è ormai rimasto del loro sistema di Welfare.

4.4 Anche la Dichiarazione di New York ovviamente ribadisce che, essendo quello delle migrazioni un fenomeno globale, esso “richiede approcci e soluzioni globali” (punto 7, pag. 2), e ciò in quanto nessuno Stato da solo può gestire questi spostamenti. Di conseguenza, gli Stati si sono espressamente assunti l’impegno di “RAFFORZARE LE STRUTTURE DI GOVERNANCE delle migrazioni a livello globale” (punto 49, pag. 11), confermando chiaramente il ruolo di primo piano che in tale governance (a tutti i livelli) dovranno avere - anche per “colmare le lacune nel finanziamento degli aiuti umanitari” (punto 38, pag. 9) - la Banca Mondiale, “le organizzazioni della società civile, comprese le organizzazioni religiose, il settore privato, le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e altre parti interessate [e] LE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE” (punto 39, pag. 9 e punto 61, pag. 13).

4.5. Per non farsi mancare proprio niente, e sul presupposto indimostrato che “la diversità arricchisce ogni società e contribuisce alla coesione sociale”, gli Stati hanno tra l’altro dichiarato di condannare “fermamente le manifestazioni e gli atti di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia nei confronti di rifugiati e migranti”, aggiungendo però alla condanna anche l'intolleranza associata, nonché l'uso frequente di stereotipi” (punto 14, pag. 3), cui segue l’impegno a combatterle. Non sia mai che ai cittadini dei Paesi di accoglienza possa saltare in mente di esternare in qualche modo il proprio legittimo e giustificato disagio.

5. Volendo riassumere quanto detto sin qui, si può dire che, pianificata compiutamente nel 2015 un’Agenda con l’indicazione di 17 macro-obiettivi che la “Comunità Internazionale” ha dichiarato di voler raggiungere nei prossimi quindici anni, l’ONU sin da subito si è spesa con solerzia per la loro concreta definizione e, concentrandosi - come detto - sull’obiettivo n. 10, ha fatto il modo che fossero sottoscritti dagli Stati i principi e gli impegni di cui alla Dichiarazione di New York del 19 settembre 2016. Da quest’ultima data è poi seguito “per fasi” un pervicace percorso di negoziati che dovrebbe concludersi in Marocco con il meeting intergovernativo del 11 ed il 12 dicembre 2018 per l’adozione del “Global Compact for safe, orderly and regular migrationil quale costituisce, dunque, solo l’ultimo atto (anche se non definitivo) della citata sequenza ad “imbuto”.

6. Deve essere subito chiarito che il GCSORM – in conformità alle indicazioni programmatiche inserite nell’Allegato II della Dichiarazione di New York (v. pagg. 24-27) – rappresenta un deciso “salto di qualità” sia rispetto a quest’ultima che rispetto all’Agenda 2030, non tanto per la coerentizzazione e ulteriore specificazione di tutti i principi contenuti in materia migratoria nei due documenti sopra commentati (per esempio, viene dichiarato che “La migrazione ha fatto parte dell'esperienza umana nel corso della storia, e riconosciamo che è una fonte di prosperità, innovazione e sviluppo sostenibile nel nostro mondo globalizzato”, punto 8, pag. 2), quanto perché contiene vere e proprie norme organizzative e procedurali-operative funzionali alla realizzazione di specifiche soluzioni normative all’interno dei singoli Paesi membri (v.infra).

6.1 In primo luogo, il GCSORM [nel quale si legge che è riaffermata la dichiarazione di New York e che lo stesso “è radicato nell'agenda 2030” (pagg. 1 e 2] specifica come al solito di voler offrire “una visione a 360 gradi della migrazione internazionale” e ribadisce che è improntato ad “un APPROCCIO GLOBALE per ottimizzare i benefici generali della migrazione” (punto 11, pag. 3). Ciò, in termini organizzativi, si traduce coerentemente in un impegno degli Stati “a proseguire il dialogo multilaterale presso le Nazioni Unite attraverso un meccanismo periodico ed efficace di continuazione e di revisioneal fine di assicurare che “le parole [del GCSORM] si traducano in azioni concrete a beneficio di milioni di persone in ogni regione del mondo” (punto 14, pagg. 3 e 4). 

6.2 A tal fine, l’organismo di cooperazione multilaterale diretto a facilitare “un dialogo ad alto livello sulla migrazione” è stato individuato nell’International Migration Review Forum, il quale fungerà da “… principale piattaforma globale per gli Stati membri per discutere e condividere i progressi compiuti nell'attuazione di tutti gli aspetti del Global Compact…con la partecipazione di tutte le parti interessate”. Il Forum si riunirà ogni 4 anni a decorrere dal 2022 per discutere l’attuazione del Global Compact a livello locale, nazionale, regionale e globale, nonché per consentire l'interazione con le “altre parti interessate” al fine di individuare opportunità di ulteriore cooperazione (punti 48 e 49, pagg. 33-34). 

6.3 L’International Migration Review Forum si avvarrà del Forum globale su migrazione e sviluppo, il quale avrà il compito di “fornire uno spazio per lo scambio informale annuale sull'attuazione del patto globale e riferire i risultati, le migliori pratiche e gli approcci innovativi”, mentre gli Stati membri sono incoraggiati a sviluppare “non appena possibile, risposte nazionali ambiziose per l'attuazione del patto globale e a condurre revisioni periodiche e inclusive dei progressi a livello nazionale, ad esempio attraverso l'elaborazione e l'uso volontario di un piano nazionale di attuazione” (punti 51 e 53, pag. 34).
In breve, pare evidente che il GCSORM formalizzi la creazione dell’ennesima ORGANIZZAZIONE SOVRANAZIONALE e mondialista in grado di dettare – sotto forma di immancabile Soft Law - vere e proprie direttive in materia di migrazione in tutto simili a quelle provenienti dall’U€.

6.4 In secondo luogo, e facendo propri i principi già contenuti nell’Agenda 2030 nonché nella Dichiarazione di New York [in particolare, se quest’ultima ha sancito il diritto di emigrazione economica, si dovrà “consentire ai migranti di diventare membri a pieno titolo delle nostre società” punto 13, pag. 3], sulla scorta del principio del Whole-of-society approach (pag. 5), è dichiarato che il Global Compact possa promuovere “… ampi partenariati multi-stakeholder per affrontare la migrazione in tutte le sue dimensioni includendo migranti… comunità locali, la società civile, il mondo accademico, il settore privato, i parlamentari, i sindacati, Istituzioni nazionali per i diritti umani, i media e altre parti interessate nella governance delle migrazioni”, ovvero gli stessi soggetti che, insieme alle “organizzazioni basate sulla fede, dovranno cooperare all’attuazione del Global Compact (v. punto 15, pag. 5, e punto 44, pag. 33). A sostenere gli sforzi degli Stati membri ed a rafforzare le capacità delle Nazioni Unite nell’attuazione del Global Compact saranno ammesse in modo continuativo anche “le fondazioni filantropiche” (punto 43, pag. 32) alle quali (insieme agli altri soggetti) è permesso perciò di fornire contributi finanziari attraverso l’avvio, anche nell’immediato, di un fondo start up.
A ben vedere, pertanto, in quest’approccio olistico di attuazione del Global Compact, qualunque organizzazione o soggetto abbia un interesse (di qualsiasi natura) da far valere nell’ambito delle politiche migratorie a livello globale, potrà senz’altro aspirare a questi partenariati” (si pensi, per esempio, alle imprese multinazionali, alle Banche internazionali ed alle ONG ad esse direttamente o indirettamente collegate, o addirittura alle istituzioni religiose. Oppure, ancora, si pensi ai colossi delle telecomunicazioni che poi, paradossalmente, dovrebbero fornirci anche una narrazione imparziale sull’argomento!). 
Non c'è la prefigurazione di alcuna gerarchia di interessi, di alcuna distinzione, ricognitiva della sostanziale differenza di legittimazione, tra istituzioni democratiche (statali), rappresentative di interessi generali, e enti privati esponenziali dei più diversi interessi di settore, promossi da finanziatori altrettanto privati e spesso celati dietro le quinte di sigle altisonanti; interessi eticamente accattivanti nelle enunciazioni formali ma sostanzialmente opachi nelle loro finalità ultime. Finalità inevitabilmente riguardanti l'assetto del mercato del lavoro globalizzato e equalizzato verso il basso, della tutela e dei salari, per il tramite dell'evidente effetto dell'immigrazione come super-principio insediativo che riplasma le singole realtà statali, rese periferiche e subordinate dalla centralizzazione mondiale della governance.

6.5 Quanto al ruolo (obiettivamente subordinato, in questo quadro istituzionale globalizzato e de-legittimante) degli Stati nell’attuazione delle migrazioni (economiche) di massa, esso è condensato in ben 23 obiettivi che costituiscono la parte più corposa e defatigante del Global Compact. Veramente nulla è lasciato al caso. Ogni obiettivo contiene un impegno seguito da una serie dettagliata di azioni considerate strumenti strategici rilevanti e buone prassi per ottenere una migrazione sicura ed ordinata e sull’attuazione o meno dei quali verranno giudicati gli Stati firmatari. Non è possibile in questa sede analizzare nello specifico tutti gli obiettivi e gli impegni concreti assunti dagli Stati per realizzarli. 

Si segnala, per esempio, che nell’ambito dell’obiettivo n. 15 (“fornire accesso ai servizi di base per i migranti”) è addirittura prevista come azione statale l’impegno ad “istituire o incaricare istituzioni indipendenti a livello nazionale o locale…, per ricevere, indagare e monitorare le denunce relative a situazioni in cui l'accesso ai servizi di base dei migranti è sistematicamente negato o ostacolato”, istituzioni indipendenti che dovrebbero addirittura agevolare l’ottenimento del risarcimento del danno da parte del migrante in casi di disservizi, lavorando per un cambiamento della cattiva prassi (punto 31, lett. d), pagg. 22-23).

6.6 Ed ancora a titolo esemplificativo, si evidenzia come nell’ambito dell’obiettivo n. 17 (“eliminare tutte le forme di discriminazione e promuovere il discorso pubblico basato sulle prove per dare forma alle percezioni della migrazione”) sia previsto che gli Stati si impegnino a “Promuovere la comunicazione indipendente, obiettiva e di qualità dei media, comprese le informazioni basate su Internet, anche sensibilizzando ed educando i professionisti dei media su questioni e terminologia relative alla migrazione, investendo in standard etici e pubblicità” (punto 33, lett. c, pag. 24). Non è dato intendere, però, come possa essere promossa una comunicazione indipendente” ed imparziale se, come detto sopra, agli stessi media è consentito di essere partners nell’attuazione del Global Compact. Tant’è.
7. Non è qui il caso di dilungarsi nel ribadire quale sia “l’effetto immancabile e programmatico dell'immissione di forza lavoro proveniente da altri Stati, che risulti sistematica, costante e praticamente illimitata nella durata né quale sia la chiara paternità delle radici ideologiche sottese al paradigma neoliberista che “conduce al lavoro-merce globalizzato”, ai quali i documenti sopra richiamati danno un palese sigillo. Si tratta piuttosto di capire brevemente quali potrebbero essere gli effetti di riverbero sul nostro Ordinamento nel caso di eventuale adozione del GCSORM da parte dell’Italia. Ciò, peraltro, in considerazione di quanto affermato in modo rassicurante dal Ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero Milanesi, nella risposta ad un’interrogazione a risposta immediata presentata dall’On. Giorgia Meloni, ovvero che “il Global Compact … non sarà un atto giuridicamente vincolante”.

Ora, gli atti dell'Assemblea generale dell’ONU sono nella maggioranza dei casi denominati “risoluzioni” che, sotto il profilo dell'efficacia giuridica, sono privi di forza vincolante in quanto invitano, ma non obbligano – è vero - gli Stati a uniformarsi al loro contenuto. E’ la Carta stessa, d’altronde, ad attribuire alle risoluzioni dell'Assemblea generale il valore di raccomandazioni (cfr. artt 10-14). 
Tuttavia, già alle risoluzioni in generale deve riconoscersi un’efficacia giuridica, seppur limitata, “… consistente nel cosiddetto effetto di liceità… [che] opera nel senso di creare una presunzione di legittimità nell'ambito del diritto delle Nazioni Unite, del comportamento adottato dagli Stati in conformità alla raccomandazione dell'Assemblea generale…” [S. MARCHISIO, Digesto discip. pubbl., 1999, voce, ONU, 520].

Alcune risoluzioni dell'Assemblea generale dell’ONU, tuttavia, si presentano “…contenenti in annesso “DICHIARAZIONI DI PRINCIPI”, atti di particolare solennità inquadrati nella categoria della soft law … molto spesso il loro contenuto si colloca in una prospettiva de lege ferenda, vale a dire di modifica del diritto internazionale vigente, consuetudinario o pattizio. È il caso, tra gli altri, della Dichiarazione sul Nuovo ordine economico internazionale (NOEI), annessa alla risoluzione 3201 (S-VI) dell'1-5-1974, in parte ribadita dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, annessa alla risoluzione 3281 (XXIX) del 12-12-1974… le dichiarazioni… possono tradursi nel contenuto di norme convenzionali o assumere valore dichiarativo rispetto a norme internazionali preesistenti, consuetudinarie e pattizie, o, infine, presentarsi come autorevoli manifestazioni della prassi degli Stati ai fini della formazione di norme del diritto internazionale non scritto…” [S. MARCHISIO, cit., 521].

10. Orbene, detto ciò, non può escludersi che già l’Agenda 2030 e soprattutto la Dichiarazione di New York esplichino per gli Stati un’efficacia vincolante. Verificato, infatti, che le relative risoluzioni non riguardano l'attività delle Nazioni Unite come organizzazione (per esempio, l’elezione del Segretario Generale), è indubbio che in esse la questione affrontata (quella dei migranti) “is a matter of existing, or nascent, or potential customary law” e che, quindi, le volontà dei singoli Stati devono considerarsi estremamente rilevanti e tali da poter contribuire alla creazione o allo sviluppo del diritto [P. FOIS, Le organizzazioni internazionali e la formazione del diritto internazionale contemporaneo. Il ruolo degli stati membri, in Rivista di Diritto Internazionale, Milano, 2014, 650].

10.1 Si consideri, in proposito, che con l’Agenda 2030 l’Assemblea Generale ha ottenuto il consenso su principi generali, ma gli stessi sono inseriti e collegati ad un quadro consuetudinario già fortemente consolidato e condiviso: “…. La nuova Agenda è stata creata seguendo obiettivi e principi della Carta delle Nazioni Unite, compreso il totale rispetto del diritto internazionale. È fondata sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sui trattati internazionali sui diritti umani, la Dichiarazione del Millennio e i risultati del Vertice Mondiale del 2005…11. Ribadiamo i risultati delle principali conferenze delle Nazioni Unite e i risultati che hanno portato alla creazione di solide fondamenta per lo sviluppo sostenibile e hanno contribuito a dare forma alla nuova Agenda. Fra queste ricordiamo la Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo5, il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, il Vertice Mondiale per lo Sviluppo Sociale, il Programma d’Azione della Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo6, la Piattaforma di Azione di Pechino7 e la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile. Ribadiamo il seguito di queste conferenze, compresi i risultati della Quarta Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi Meno Sviluppati” (così i punti 10 e 11 dell’Agenda, pagg. 4 e 5). 

10.2 Lo stesso, ed a maggior ragione, può dirsi per l’adozione solenne della Dichiarazione di New York, la quale può essere annoverata proprio nell’ambito delle “Dichiarazioni di principio”. Invero, in essa pare essere cristallizzata in versione più dettagliata quella opinio iuris ac necessitatis nell'àmbito della Comunità internazionale e che l'Assemblea “sente” come matura per una disciplina di diritto internazionale [si veda in tal senso B. CONFORTI, Enciclopedia del diritto, Milano, XXXI, 1981, voce “Organizzazione Nazioni Unite”, 273 secondo cui “… le dichiarazioni di princìpi costituiscono una delle manifestazioni più autorevoli dell'opinio iuris ac necessitatis nell'àmbito della comunità internazionale…”]:
Ribadiamo gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite. Riaffermiamo inoltre la Dichiarazione universale dei diritti umani e richiamiamo i principali strumenti internazionali relativi a tali diritti. Riaffermiamo e continueremo a proteggere pienamente i diritti fondamentali di tutti i rifugiati e migranti, indipendentemente dal loro status; tutti hanno diritti. La nostra azione dimostrerà il nostro pieno rispetto per il diritto internazionale e la legge internazionale sui diritti umani e, se del caso, per la legge internazionale sui rifugiati e il diritto internazionale umanitario...” (così al punto 5 della Dichiarazione, pag. 2).

10.3 Non dovrebbe perciò disconoscersi che già gli atti dell’Assemblea Generale dell’ONU sopra citati nella sostanza possano atteggiarsi - nella loro specifica singolarità – a vere e proprie fonti di diritto consuetudinario internazionale, ovvero “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” alle quali “l’ordinamento giuridico italiano” afferma di conformarsi secondo quanto previsto dall’art. 10, comma I, Cost. (c.d. adattamento automatico):

… con questa formula … si è voluto porre una “norma sulla produzione”, cioè determinare il procedimento sufficiente a introdurre automaticamente la regola di diritto interno che manca (o a sostituire quella esistente, ma in contrasto con l’altra derivabile dal diritto internazionale) in virtù di deduzione della medesima, per opera dell’interprete, dai principi del diritto internazionale. In questo modo, mentre si conferma la posizione di autonomia dei due ordinamenti, si pone il meccanismo affinché quello statale si uniformi all’altro, imponendo alle autorità gli opportuni comportamenti e concedendo ai cittadini di poterne richiedere l’adeguamento alla norma internazionale.
Si dà vita, in altri termini, ad una specie di “ordine di esecuzione in bianco”, valido cioè per tutte le norme presenti ed avvenire, che rende quindi non necessario l’intervento del legislatore diretto ad imporre l’esecutività interna. L’eventuale mancato funzionamento di tale congegno di adattamento dà vita ad un illecito internazionale e quindi all’assunzione della correlativa responsabilità dello stato” [C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, II, 1344-1345].

10.4 “… A nostro avviso, siffatti princìpi [contenuti nelle relative Risoluzioni/Dichiarazioni] non sono altro che delle norme consuetudinarie sui generis, a formare le quali concorrono, da un lato, la loro uniforme previsione ed applicazione nell'àmbito degli ordinamenti statali e, dall'altro, la circostanza che i valori che esse perseguono siano sentiti come internazionalmente obbligatori, corrispondano cioè a valori di cui la comunità internazionale si faccia inequivocabilmente assertrice” [B. CONFORTI, cit.]. Ed al riguardo, bisogna considerare che tali norme, alle quali l’Italia si conforma in modo automatico, sono fonti “paracostituzionali”, cioè hanno una efficacia gerarchica superiore alle leggi ordinarie che alle prime devono quindi cedere. Di conseguenza, rilevata un’ipotetica antinomia tra una norma di diritto internazionale consuetudinaria ed una norma ordinaria interna, quest’ultima dovrebbe essere dichiarata incostituzionale per violazione dell’art. 10, comma I, Cost.
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11. Con riferimento specifico al GCSORM, poi, per gli Stati membri il quadro giuridico diventerebbe di certo ancora più rigoroso. Ed infatti, il Global Compact non si limita semplicemente a fissare “principi, ma introduce per i firmatari impegni che istituiscono veri e propri standards di regolazione nazionale (con correlativo obbligo di adeguamento, a tutti i livelli, delle relative strutture giuridico-amministrative), standards che spaziano in modo totale dal campo della legislazione sulle condizioni di entrata alle condizioni di informazione e valutazione dell'immigrazione nel Paese di arrivo, dagli obblighi di salvataggio (obiettivo n. 8) all’obbligo di adozione di norme tese alla inclusione ed integrazione di ogni singolo migrante economico (obiettivo n. 16) la cui sfera giuridica, in definitiva, risulta ampliata mediante la previsione di dettagliate “posizioni pretensive” nei confronti dello Stato di accoglienza.

11.1 Bisogna altresì considerare che le conseguenti norme di recepimento (o di mancato recepimento) del Global Compact - potenzialmente censurabili all'interno degli Stati con clausole costituzionali come il citato art.10 Cost. o, all’esterno, tramite il Rule of Law della Corte internazionale di giustizia - sarebbero altresì sindacabili dalle nuove organizzazioni sovranazionali di Governance globale collegate all’ONU mediante ulteriori raccomandazioni/censure di sostanziale infrazione.
E se si tiene presente, in particolare, che la miriade di soggetti sopra elencati, in quanto partners (finanziatori) e parti direttamente interessate al fenomeno migratorio, avranno certamente diritto a partecipare all’International Migration Review Forum, al Forum globale su migrazione e sviluppo e ad altri simili consessi, ne discende che SOGGETTI PRIVATI (si pensi per tutti proprio alle ONG di sorosiana memoria) avranno il potere di influire sulle decisioni e/o sanzioni da imporre agli Stati membri, sottraendo loro ulteriore sovranità in una materia di così vitale impatto per la vita di milioni di cittadini. Insomma, ancora una volta siamo di fronte, oggi più che mai, a quello che Lordon chiama diritto internazionale provatizzato.

11.2 Siamo cioè in presenza di quel fenomeno purtroppo ormai usuale e patologico per cui “… i soggetti privati, facendosi legislatori, possono provare a parlare non solo in nome di interessi provati, ma anche attraverso il linguaggio degli “argomenti” e dei “diritti”, con “procedure di governance che [li] vedono partecipare attivamente a decisioni pubbliche, sia all’interno degli Stati, sia in ambito internazionale”, dando così vita ad “assetti giuridici creati del tutto privatamente” [M.R. FERRARESE, Enciclopedia del diritto, Milano, Annali, IV, 2011, voce “Globalizzazione giuridica”, 560-562].

12. E’ certo, in conclusione, che la mancata adozione del GCSORM costituirebbe veramente un segnale forte di discontinuità (anche se del tutto in controtendenza rispetto alla prassi purtroppo seguita sino ad oggi dall’Italia nella materia de quo), soprattutto se si considerano i devastanti effetti che l’attuazione di tale Global Compact è in grado di riverberare sul nostro Ordine costituzionale.
In un Ordinamento a Costituzione “rigida” come il nostro, ed in cui anche le “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” in ogni caso non possono mai travalicare i principi fondamentalissimi (fungendo questi ultimi da “limite all’ingresso” delle prime), gli effetti dell’eventuale (ed insipiente) adozione anche del GCSORM potrebbero essere facilmente sterilizzati da una Corte Costituzionale che operasse a doverosa tutela della democrazia sostanziale per mezzo del paramentro di cui all’art. 10 e, si ritiene - nel caso specifico - anche di quello fissato all’art. 11 Cost.. Tuttavia, l’antica incomprensione del fenomeno globale in salsa €uropeista da parte della nostra Corte Costituzionale non lascerebbe ben sperare.
Pertanto: se fino ad oggi i rappresentanti istituzionali dell’Italia hanno “errato” nell’adottare quanto di meglio le oligarchie internazionali hanno saputo apparecchiare nel loro interesse ed a danno della sovranità dei Popoli, al di là degli effetti che già dispiegano l’Agenda 2030 e la Dichiarazione di New York, l’adozione del GCSORM non si rivelerebbe forse come un diabolico perseverare?

mercoledì 5 dicembre 2018

SCIANCA, PEROTTI E IL SOLITO PROBLEMA DELLA "MITOLOGIA DELLA PUREZZA ORIGINALE"

Post di Sofia



In questo post Antonio Martino lasciava questo commento:

L’interrogativo è rimasto aperto, ma il dubbio (ascoltando i tg, leggendo i giornali così come pubblicazioni e monografie varie) che la cerchia DI PERSONE CONSAPEVOLI sia ancora piuttosto isolata, rimane.
Non c’è giorno che non mi domandi - di fronte al monopolio della falsa informazione, delle reazioni internazionali alle nostre politiche economiche, di fronte ai disservizi che subiamo ogni sacrosanto giorno o ai servizi di cui non usufruiamo, di fronte al totale dissesto del territorio, al senso di smarrimento delle persone e alla perdita di prospettive future, di fronte alla rassegnazione che si legge nelle parole e negli occhi dei più svariati interlocutori – come abbiamo perso memoria di quello che siamo e valiamo (come popolo, intendo).
Mi chiedo perché subiamo sommessamente l’incuria e la devastazione, i disservizi e la desolazione, la depredazione e la desertificazione, questa distruzione intorno che non ci dà più il senso di casa, di quartiere, di popolo, di appartenenza  ad una comunità che dovrebbe proteggerci, ad uno Stato che dovrebbe esserci di ausilio per lo sviluppo delle nostre esistenze e di elevazione sociale, perché siamo tutti costretti a lavorare sempre di più e a guadagnare sempre di meno, ad abbrutirci per avere in cambio il “niente”, per pagare tasse che in cambio non danno servizi e assistenza ma aumentano solo il nostro senso di impoverimento generale e di ingiustizia e aumentano il senso di incertezza per il futuro.
Proprio sull’onda di questi interrogativi, mi imbatto nella lettura di “La Nazione fatidica – Elogio politico e metafisico dell’Italia” (Altaforte Edizioni 2018) scritto da Adriano Scianca (filosofo), e prefazione di Mario Giordano.
La parte più interessante del testo è l’introduzione, per arrivare alle conclusioni che, a mio modesto parere, sono totalmente dissociate dalle ottime premesse di cui l’autore si è fatto portavoce.
Ed infatti, le prime pagine sono quasi un proclama a “questo Paese così “anomalo”, questa nazione così “dispettosa”, questa patria che nonostante tutto continua a produrre resistenze economiche, politiche culturali ai progetti oligarchici mondiali; fanno riferimento alle volontà internazionali di “eliminare la diversità degli italiani, della loro intelligenza, della loro insopprimibile potenza creativa (riportando parole di Ida Magli). Chiariscono che contro l’Italia non si leva un piano (e qui i primi segni del virus) ma un insieme convergente d’interessi geopolitici, tradizioni avverse e rancori storici. L’Italia, questa penisola che qualcuno vorrebbe trasformare in bagnasciuga per le ferie assolate di tutte le oligarchie, questo serbatoio inesauribile di folclore e rovine, questo teatro ambulante vocato al sollazzo dei padroni del mondo, sconta e sconterà sempre la colpa di esistere. Avrebbe dovuto essere solo un Paese di simpatici pizzaioli e invece si è impuntata ad avere un ruolo storico, a fare di testa sua. Asservita, umiliata, vilipesa, incatenata, pure essa resta nonostante tutto scaturigine di eterni grattacapi per i Mangiafuoco globali….tutta la storia dell’Italia come nazione unita è caratterizzata da questo conflitto a intensità variabile: ogni volta che ha provato ad alzare la testa, a pensare in grande, c’è stata una mano intervenuta dall’alto per riportarla la posto che le compete secondo le gerarchie stabilite altrove….con tanto di lezioni, da parte della quinta colonna accademica e giornalistica, sulla necessità di dedicarsi esclusivamente al terziario, ai servizi, al turismo e di lasciare andare la politica industriale, che è cosa da grandi e non ci compete. Perchè sono proprio i nostri a dirlo. Gli stranieri tramano, ma sanno anche di poter andare sul sicuro, grazie all’innata inclinazione al tradimento da parte della nostra classe dirigente, soprattutto intellettuale…siamo noi ad autodenigrarci, a considerarci inaffidabili, incostanti, vili. Noi, o meglio, una parte di noi, che guarda caso è proprio quella a cui è affidato il compito di riprodurre una narrazione nazionale in cui il nostro popolo possa rispecchiarsi. Le nostre élite non credono nell’Italia, trasmettono lo scetticismo e lo spirito di autosabotaggio a gran parte della popolazione; siamo l’unico Paese che considera la locuzione “all’italiana” come negativa, anziché connotante ciò che è bello, elegante, di buon gusto, piacevole, intelligente, vivace e scaltro, come nel resto del mondo…siamo l’unico popolo di cui si possono elencare impunemente difetti e malefatte, indiscriminatamente attribuiti a un’intera collettività.
Scianca non manca neppure di fare i dovuti riferimenti  all’Italia nell’ambito dei rapporti  con l’Europa.
Richiama Herder, von Savigny e Hegel i quali ciascuno nel proprio ambito hanno esplicitato il concetto di carattere nazionale presentandolo come Volksgeist, lo “spirito del popolo”, termine che riassume l’originalità e la funzione di ciascun popolo nella storia del mondo e che dovrebbe fungere da fonte del diritto al posto della “legge naturale” teorizzata dai giusnaturalisti. Ogni popolo, insomma, avrebbe il proprio sistema etico di riferimento e di conseguenza dovrebbe avere anche un sistema di leggi a esso ispirato, e non invece ricalcato su principi universali, uguali in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo.
Affronta il tema del populismo, dei cambiamenti sociali (tra cui l’immigrazione), della globalizzazione...mentre questi cicloni si abbattevano su popolazioni ignare, le nostre classi politiche, ma ancor più quelle culturali e giornalistiche, non facevano che tessere del mondo colorato e globalizzato, in cui popoli e culture si fondano armoniosamente, un paese dei balocchi in cui ciascuno può godere di tutti i vantaggi di un continuo scambio di saperi, valori, tecnologie, capitali, merci, culture, senza in compenso dover scontare alcuna controindicazione. Una narrazione che si è rivelata dolorosamente ingannevole, ma rispetto al cui fallimento le élite al potere non hanno fatto alcuna autocritica, preferendo invece colpevolizzare e deridere le grandi masse incapaci di cogliere i frutti dell’Eden globalista. Le classi meno abbienti sono state apostrofate come “deplorevoli” (Hillary Clinton), “sdentate” (Francois Hollande), “plebee” (Eugenio Scalfari), con testate autorevoli e commentatori blasonati intenti a maledire il suffragio universale e a ripensare la democrazia in modo che il popolo non abbia l’intollerabile tentazione di votare diversamente da come vuole il sistema dei mass media…ad essere  messi in discussione sono stati proprio i presupposti della democrazia.
Ma sul finale, incredibilmente, Scianca passa dalla descrizione del fenomeno “populismo” al “popolo”, dalla collettività alla “gente” (che non vuole sia confusa con la gens romana); quella che non viene da nessuna parte, e non ha alcuna direzione, immersa in un eterno presente fatto di contingenze prosaiche, che non ha una coscienza politica ma che è solo stufa. Un modello sociale che ricorda l’associazione di consumatori più che la polis, che ha solo diritti e non ha doveri, in cui ogni forma di autocritica e di sacrificio le è preclusa. Il cui sport preferito è l’autoassoluzione, che detesta la cultura, con la propensione al materialismo, narcisistica, incapace di oggettività, empatia, che subisce la dittatura delle emozioni e impone quella delle opinioni. Il gentismo è tutto questo ma soprattutto è l’esaltazione acritica di tutto questo, la massa che si auto-elogia in quanto massa, il basso che si autocelebra in quanto basso, la volgarità fiera di esserlo, il rifiuto di ogni verticalità, di ogni ascesa, sociale o culturale, la precisa volontà di non mettere in discussione se stessa.
Ecco, è proprio il passaggio dall’esaltazione del popolo italiano e dell’Italia dell’introduzione, con la descrizione del popolo e del gentismo di queste ultime pagine che non comprendo. Così come incomprensibili sono le conclusioni: il limite di ogni nazionalismo è infatti che ci costringe a scegliere tra la nostra Nazione e l’avventura dei nostri fratelli. Un popolo è una personalità storica collettiva, una civiltà è una famiglia di popoli in cui è necessario il rapporto dialettico infinito. “ECCO PERCHÉ NON C’È CONFLITTO TRA L’ITALIA E L’EUROPA”. Ed aggiunge come gli italiani siano sempre stati convinti europeisti. Richiama Mazzini, Mancini, Cattaneo, Ferrari, Cavour nei quali vi era un senso dell’individualità (la nazione), dell’universalità (l’umanità, più precisamente ancora l’Europa), di guisa che l’espandersi dell’individualità trova un suo naturale immediato limite nell’interesse degli altri e in quello generale dell’Europa.
Insomma si finisce per utilizzare un dato storico neutro ed un principio generale (perché pare piuttosto evidente che gli interessi di un popolo debbano trovare un limite nel rispetto degli interessi di altri popoli) per attribuire al popolo italiano una sorta di incapacità a sentirsi parte di un progetto più grande e più ampio, di comunanza e pacifica convivenza di popoli, come se fossero gli italiani a vantare pretese mercantiliste su altri paesi (proprio per effetto della ben studiata, a tavolino, costruzione europea, a conduzione prioritariamente franco-tedesca), piuttosto che subirle, con effetti disastrosi ormai sotto gli occhi di tutti. 
Non c’è Europa senza sintesi ghibellina, ovvero senza collaborazione romano-germanica…amare la propria patria significa saperla trascendere, non ovviamente, in fumoso e pericoloso cosmopolitismo che abbraccerebbe il mondo intero, ma capacità di guardarla dall’alto, di amarla in una visione stellare, dalla quale sia capace di scorgerne i difetti, le inclinazioni da correggere, il suo posto nel mondo e i suoi limiti.
Amare la propria patria significa vivificare il proprio popolo innanzitutto con la forza dell’esempio, alimentare il nostro genio nazionale, coltivandone le virtù e correggendone i vizi, senza imitare modelli a noi estranei, senza replicare macchiette d’oltralpe, ma anche senza rinchiudersi in una accettazione passiva e fatalistica di ciò che siamo.
Suscitare l’immagine di quello che siamo stati e che possiamo ancora essere gli italiano del XXI secolo è il nostro compito nell’era presente. Non è un compito dato una volta per tutte, è il senso di una missione perenne.
La nazione va continuamente conquistata, non va considerata un fatto, quanto semmai un da fare.
Insomma, dopo averlo esaltato nelle pagine iniziali, in quelle finali il popolo italiano è ridotto a quello che non può vantare alcun diritto di egemonia o di privilegio, quello che deve rientrare nelle righe e collaborare con gli altri popoli/nazioni, che dovrebbe imparare a correggere i propri vizi e difetti e stare al proprio posto. Che dovrebbe imparare a FARE come se stesse invece vivendo di rendita.
Libri e conclusioni come queste, ovviamente non sono una novità. Nel post citato all’inizio si affrontava proprio questo identico tema. Nel libro di Perotti, così come in quello di Scianca, il problema è riconducibile allamitologia della purezza originale della costruzione europea (come ampiamente discusso nei commenti). Questi autori ritengono che il conflitto TRA L’ITALIA E L’EUROPA non esista perché continuano ad interpretare il disastro presente come deviazione, o addirittura “tradimento”, dei programmi originari, mentre di altro non si tratta che di un “un irrigidimento di una via seguita fin dai primi passi”.
Come correttamente aveva spiegato Quarantotto non c'è mai potuto essere-, un "europeismo" diverso dall'Unione europea; cioè, diverso da un "internazionalismo dei mercati", liberoscambista, che non sia legato ad una rigida pianificazione della rivincita del capitale sul lavoro. In nome di una pace ab orgine contraddittoriamente brandita, ma solo, e sempre, "contro" gli scenari naturali della democrazia (come persino Togliatti aveva ben chiaro), fondati sugli Stati-nazione. 
L'Unione europea non ha "tradito" alcuna originaria purezza del disegno federalista, ma ne è solo il punto di approdo di una fase: per passare poi, in assoluta coerenza col disegno originario, alle ulteriori fasi che stiamo vivendo.
Quelle fasi dalle quali la democrazia, e la Costituzione su cui essa si fonda in Italia, usciranno definitivamente "distrutte", per usare le parole di Calamandrei (ex multis, fra i Costituenti che avevano fatto avvertimenti fin dagli anni '40 del secolo scorso).
E, come ha aggiunto Francesco Maiomone, la mitologia della purezza originale riuscirebbe a rendere compatibili tensioni neoliberali e paradigmi keynesiani, quando invece sappiamo che “il "pieno impiego" e la "giustizia sociale" sono sempre, e senza alcuna esitazione, stati concepiti come obiettivi irrilevanti e sacrificabili”. 


In definitiva, se non si riconosce la dialettica tra pensiero liberale e socialismo (ovvero legalità costituzionale) e non si comprendono i diversi concetti sostanziali di democrazia e di "piena occupazione"  il problema nazionale e il suo rapporto con quello europeo, è irrisolvibile.
Se manca la conoscenza storica fondamentale, se non si ha alcuna consapevolezza delle premesse e del percorso costruttivo della struttura europea (che quindi pare ancora patrimonio culturale di una nicchia troppo ristretta), i libri come quelli  recensiti non possono che andare avanti per luoghi comuni e deduzioni da premesse totalmente incomplete, se non infondate.
E intanto..l’incuria e la devastazione, i disservizi e la desolazione, la depredazione e la desertificazione continuano. 
E ci dicono pure che è colpa nostra.